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Autore Discussione: Tavolo n° 2 Straordinari...  (Letto 43376 volte)
darwin
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« Risposta #30 inserito:: Giugno 29, 2008, 11:43:18 pm »

(seconda parte)

Veniamo al secondo punto: la produttività.
Ci sono due modi di intendere la produttività:
   la prima è la quantità di prodotto e di fatturato per persona impiegata nel ciclo produttivo;
   la seconda è la quantità di prodotto e di fatturato per ora lavorata.
La scelta del governo va tutta vero la prima concezione, ho un dipendente ne devo ricavare il massimo, con il minimo investimento possibile.
La seconda dipende dalla professionalità delle risorse, dalle scelte di posizionamento sul mercato, dagli investimenti sul prodotto, dagli investimento sul miglioramento del ciclo produttivo per adattarlo a professionalità più alte e più remunerate.
Non a caso dal provvedimento sono escluse tutte le fasce di lavoratori a più alta professionalità. Un fattore critico in Italia è dato dallo scarso impiego di lavoratori a più alta preparazione formativa nella produzione, ci sono meno diplomati e laureati nel ciclo produttivo e spesso sono impiegati per qualifiche non adeguate.
A testimonianza del dibattito riportiamo un articolo pubblicato da Marco Panara su Affari & Finanza di Repubblica.

Citazione di: Marco Panara in Affari & Finanza

La competitività non dipende dal costo del lavoro
I salari italiani sono più bassi che negli altri paesi avanzati, che però guadagnano lo stesso quote di mercato. D'altra parte i livelli di Cina o India sono irraggiungibili. Sarebbe ora di affrontare il problema nei suoi termini reali
Marco Panara
 
Una multinazionale europea (non italiana) nel settore meccanico, che ha stabilimenti in 23 paesi, ha messo a confronto il salario orario che paga ai suoi dipendenti. Le differenze sono impressionanti: si va da 28,69 euro l' ora in Svezia fino a 0,49 euro l' ora in India. Quella multinazionale ha stabilimenti anche in Italia dove, per un' ora di lavoro, spende 18,03 euro. Per rendere più chiaro il confronto abbiamo preso la remunerazione in Italia (18,03 euro = 100) e misurato su questa base la remunerazione di un' ora di lavoro negli altri paesi.
Anche tenendo conto che non è un dato generale ma una esperienza specifica e concreta, quello che ne emerge dovrebbe farci riflettere molto. Per un' ora di lavoro in Germania quella multinazionale spende una volta e mezzo rispetto a quanto spende in Italia, il trenta per cento in più lo spende negli Stati Uniti, il 15 per cento in più in Francia. Solo l' 8 per cento in meno lo spende in Spagna e il 10 per cento in meno in Corea.
__________________________________________________________________________
COSTO ORARIO DEL LAVORO
_________________________________________________________________
Paese   Euro all'ora   Indice (Italia = 100)
Svezia   28,69   159,12
Germania   27,14   150,53
Giappone   25,42   140,99
Stati Uniti   24,29   134,72
Francia   20,88   115,81
Belgio   19,71   109,32
Italia   18,03   100,00
Spagna   16,72   92,73
Corea   16,39   90,90
Portogallo   6,01   33,33
Turchia   5,23   29,01
Repubblica Ceca   4,54   25,18
Ungheria   4,33   24,02
Argentina   4,12   22,85
Brasile   3,43   19,02
Messico   2,97   16,47
Polonia   2,55   14,14
Sud Africa   2,25   12,48
Marocco   2,10   11,65
Cina   1,98   10,98
Romania   1,74   9,65
Tunisia   1,52   8,43
India   0,49   2,72
Se si passa agli altri il confronto è assolutamente impari: rispetto all' Italia un' ora di lavoro in Portogallo costa un terzo, un po' meno costa in Turchia, un quarto nella Repubblica Ceca e in Ungheria, per scendere fino a un decimo in Cina e Romania e un quarantesimo in India. Non tutti gli stabilimenti producono le stesse cose e richiedono lo stesso livello di formazione, ma non sempre e non necessariamente il livello di sofisticazione delle produzioni corrisponde al livello dei salari.
Non ci interessa qui comprendere cosa aspetta la multinazionale in questione a spostare tutte le sue attività in India, avrà per fortuna le sue ragioni. Quello che ci interessa è capire cosa ci dice questo confronto sull' Italia e sui suoi destini.
La prima cosa che ci dice è che il costo del lavoro in Italia è tra i più bassi nel gruppo dei paesi industrializzati. Tra quelli censiti in questa occasione solo la Spagna e la Corea sono sotto di noi e neppure di molto, mentre la maggioranza ha un costo del lavoro più alto, e questo non sembra essere un vincolo determinante per esempio alla capacità di mantenere o accrescere la propria quota del commercio mondiale. Il fatto che l' Italia perda posizioni nel commercio mondiale mentre la Germania o il Giappone, che hanno un costo del lavoro sostanzialmente più alto, invece no, ci fa capire con chiarezza che non è il costo del lavoro la chiave della nostra perdita di competitività né per un suo eventuale recupero.
 
Abbiamo impegnato anni a discutere e scontrarci su questo punto, ma basta guardare i dati della tabella che pubblichiamo per capire che tutto quel tempo e quell'impegno sono stati spesi male: l'abisso che ci separa non solo dall' India e dalla Cina, ma anche dalla Repubblica Ceca e dall' Ungheria è tale che a meno di un impoverimento generalizzato e rivoluzionario del nostro paese è impensabile e non auspicabile colmare.
Il problema però esiste, perché la perdita di competitività dell' Italia non dipende dal fatto che lavoriamo poco, poiché anzi lavoriamo più ore della media dell' Europa a 15, dipende piuttosto dal fatto che ciascuna ora di lavoro non sempre produce tutto il valore che sarebbe necessario per consentirci di essere sicuri del nostro presente e ottimisti sul nostro futuro.
Ci sono molti modi per capire meglio la natura di questo problema. Andrew Warner, senior economist alla Millennium Challenge Corporation, ha fatto uno studio accurato sulla produttività del lavoro nei vari paesi, e uno dei parametri che adotta è la crescita del pil per ora lavorata. Ebbene, tra il 1995 e il 2000 la crescita del pil per ora lavorata è stata del 9,20 per cento in Irlanda, paese leader di questa classifica, tra il 2,2 e il 2,6 per cento nel Regno Unito, in Germania, in Francia e negli Stati Uniti, solo dell' 1,73 per cento in Italia, fanalino di coda tra i 18 paesi presi in considerazione.
In quello stesso studio Warner individua quattro barriere alla crescita della produttività oraria e mette a confronto su di esse i vari paesi. Le barriere sono: la formazione, l' organizzazione del lavoro, le normative e la qualità delle infrastrutture. In tutti e quattro la posizione dell' Italia è peggiore di quella degli altri grandi paesi industrializzati e, nel caso delle infrastrutture, è tra le peggiori in assoluto. Le conclusioni alle quali questa analisi ci porta è che puntare sulla compressione del costo del lavoro per rilanciare la competitività dell' Italia non solo non è realistico ma rischia di essere un grave errore strategico. Il che non vuol dire che il costo del lavoro è una variabile indipendente, ma che in questo momento della storia e dell' economia mondiale, quello su cui si deve incidere assai più che il costo è invece il contenuto del lavoro.
Bisogna aumentare da una parte la produttività e dall' altra il valore delle cose prodotte, in maniera tale da remunerare adeguatamente il lavoro e il capitale e consentire di porre le premesse per un aumento costante ed economicamente sostenibile dei redditi e del benessere futuro. E' una questione che riguarda tutti, la politica e le istituzioni, la pubblica amministrazione, le imprese e i sindacati. La scelta è tra puntare sulla crescita della produttività e del valore delle produzioni, oppure come è accaduto negli ultimi anni limitarsi a mantenere il modello produttivo e competitivo esistente cercando finché possibile di tenerlo in piedi comprimendo i costi.
 
Ovviamente non ci possiamo permettere di buttare via nulla, né sarebbe giusto farlo, quindi lo sforzo che le imprese stanno facendo per restare a galla è legittimo e anche lodevole. Se però dopo la resistenza non si passa alla crescita, per molti rischia di essere solo un prolungamento dell' agonia.
Ma cosa vuol dire scegliere di puntare sulla crescita della produttività e del valore delle produzioni? Vuol dire cambiare mentalità. Vuol dire concentrarsi sui problemi veri e impegnarsi per rimuovere le barriere all' aumento della produttività, investire in tecnologia, in formazione, in qualità manageriale. Vuol dire aumentare la flessibilità del lavoro, che serve come il pane, ma che è utile al sistema se rende più efficiente l'organizzazione del lavoro, e diventa invece negativa se rende il lavoro precario al solo scopo di abbassarne il costo. Vuol dire esaminare ogni legge, già in vigore o nuova, valutandone la comprensibilità, la semplicità di applicazione, l' effetto sulla modernizzazione del sistema. Vuol dire rischiare uscendo dai settori tradizionali non aspettandosi di raccogliere già domani. Vuol dire capire che i problemi dell'Italia di oggi non sono quelli di vent'anni fa e che gli strumenti di vent'anni fa non sono più quelli giusti per risolverli.

 
Pensiamo che si indichi chiaramente che il problema della produttività in Italia non è legato ad un aumento delle ore lavorate.
Qui emerge tutta le debolezza dell'economia italiana, su Repubblica è stato pubblicato un articolo di Spaventa sulla mancanza di investimenti sull'innovazione in Italia.

Citazione di: Luigi Spaventa su Repubblica

Le colpe delle imprese
 
Luigi Spaventa - La Repubblica
Esistono mille buone ragioni per modificare il sistema contrattuale nel mercato del lavoro: non solo un miglioramento di efficienza; ancor più, come argomentano da tempo Pietro Ichino, Tito Boeri, Pietro Garibaldi, una riduzione delle iniquità causate dalla coesistenza di un assetto rigido e antiquato con esperimenti di liberalizzazione privi di reti di protezione, normativa e sindacale.
 
Fra quelle ragioni, tuttavia, ve n’è una che persuade proprio poco, perché non regge alla verifica. Al convegno di Santa Margherita dei "giovani imprenditori" (che non devono essere poi tanti, se nel 2006 in neppure il 2 per cento delle imprese industriali gli imprenditori avevano non più di 35 anni, mentre in oltre 50 per cento ne avevano più di 56), la presidente signora Guidi ha sostenuto che un maggior spazio della contrattazione aziendale (e magari individuale) risolverebbe il problema della bassa produttività del lavoro.
 
Ma si può davvero credere che il disperante andamento negli ultimi sette anni – nell’industria manifatturiera produttività in calo nel quinquennio 2001-2005 e piatta nell’ultimo biennio – sia imputabile all’assetto contrattuale nazionale, e non piuttosto a scelte ragionate delle imprese?
 
Se il livello e la dinamica della produttività del lavoro dipendessero in prevalenza dall’impegno dei lavoratori, pur condizionato dal regime contrattuale, dovremmo concludere che negli ultimi vent’anni si è verificato un impigrimento collettivo della cosiddetta forza lavoro. Si sa invece che le determinanti principali sono la dotazione di capitale e, ancor più, il ritmo dell’innovazione, che migliora l’efficienza dei processi produttivi ed è misurato dalla produttività totale dei fattori. Nell’industria in senso stretto (un aggregato più ampio della manifatturiera) il calo della produttività del lavoro fra il 2001 e il 2006 è spiegato da una riduzione ancor più vistosa della produttività totale dei fattori, mentre è aumentata di poco l’intensità di capitale.
 
L’industria italiana, dunque, non ha innovato (la spesa privata in ricerca e sviluppo in rapporto al prodotto è pari alla metà di quella media europea) e ha investito poco. Le ragioni? Usiamo le parole di una relazione della Banca d’Italia, che fra i problemi della bassa crescita dell’economia italiana mette al primo posto «la capacità di innovare del sistema produttivo»: «L’aumento nella flessibilità dell’utilizzo, la lunga fase di moderazione salariale e la rapida crescita dei flussi migratori hanno reso meno costoso l’impiego del fattore lavoro rispetto al capitale». Si è scelto così un modello basato sulla crescita dell’occupazione piuttosto che sull’investimento e sull’innovazione; e neppure troppo attento al merito individuale, se è vero che «i premi aziendali sembrano poco correlati ai risultati».
 
L’andamento della produttività dipende dunque da scelte libere, e legittime, delle imprese, che il regime contrattuale non sembra aver condizionato più di tanto (se non, come, si è visto, per una maggiore flessibilità). Piuttosto, al di là di noti condizionamenti esterni (eccesso di regolazione, inadeguatezza delle infrastrutture pubbliche, istruzione insufficiente), vi erano condizionamenti interni al sistema produttivo: soprattutto una struttura dimensionale e una composizione della produzione difformi da quelle dei maggiori Paesi europei, che hanno ostacolato l’adattamento al nuovo mondo della tecnologia e della concorrenza internazionale.
 
L’investimento, l’innovazione, e dunque la produttività, sono inversamente correlati alla dimensione; i processi di riconversione produttiva sono lenti e costosi. Non sorprende che, per anni, queste difficoltà abbiano provocato scelte difensive e di retroguardia e, pertanto, gli esiti di produttività sopra richiamati.
Le scelte delle imprese non dipendono, grazie a Dio, da un contratto, nazionale o aziendale (e si vorrebbe che non dipendessero per nulla da interventi pubblici).
Ma esiste un altro contratto implicito, che alla lunga ne indirizza i comportamenti in vista del profitto: quello del libero scambio in un mercato globale. Gli effetti, benefici, si cominciano a vedere. Da un paio d’anni, mentre è aumentata la mortalità nell’universo delle imprese, quelle che rimangono si rafforzano, per sopravvivere: «La crescente pressione competitiva…e la disciplina del cambio…sono tra i principali fattori che hanno messo in moto la ristrutturazione del sistema produttivo italiano, attraverso un’intensa riallocazione di risorse…in favore delle imprese più efficienti e profondi cambiamenti nelle strategie aziendali».
 
È ripresa la crescita delle esportazioni; in alcuni settori l’andamento della produttività ha invertito il segno. La riforma del sistema contrattuale serve: ma, per creare sviluppo, serve soprattutto che il cambiamento del modello seguito per troppo tempo dalle imprese italiane continui e si consolidi.

La conclusione è che l’intervento proposto dal governo è ampiamente negativo, non risolve nulla e tende ad ampliare ancora tendenze negative della nostra economia.
Diremmo che comunque l’uso della leva fiscale per ridistribuzione del reddito non è vincente e non risolve il problema.

Cosa fare allora. Proposta
La proposta deve andare verso l’attirare fondi ed investimenti sul settore produttivo per ammodernare sia il prodotto che il ciclo di produzione.
Alcune proposte possono essere:
a)   innalzamento della tassazione sui redditi finanziari al 20%, come dappertutto nel mondo occidentale;
b)   rivedere i percorsi formativi della scuola e dell’università per favorire il miglioramento delle competenze;
c)   invogliare capitali italiani e stranieri per investimenti su produzioni ad alto contenuto tecnologico e/o artigianali di pregio, utilizzando la leva fiscale, il miglioramento delle infrastrutture fisiche e di comunicazione digitale;
d)   esercitare un ruolo politico di mediazione affinché i contratti nazionali recepiscano la necessità di ridistribuire il reddito verso i lavoratori dipendenti;
e)   incentivare, con la leva fiscale, la formazione sul lavoro per favorire la riconversione della produzione;
f)   istituire una contrattazione di secondo livello che favorisca il riconoscimento del merito nella partecipazione ai risultati aziendali e che non penalizzi i lavoratori delle piccole e medie imprese che spesso non hanno un’adeguata rappresentanza sindacale, per la partecipazione ai seguenti risultati sulla base:
       1)   sia del raggiungimento dei risultati previsti aziendali generalizzato a tutti i dipendenti;
       2)   sia il riconoscimento per coloro che hanno espresso migliore professionalità.
Quindi la proposta di detassazione sul lavoro straordinario apre la finestra a tutta la concezione del mondo produttivo e del lavoro.
Il lavoro atipico va completamente ridisegnato nella normativa per evitare la precarizzazione a vita. Pensiamo che l'economia non possa essere solo quella dei call center a basso contenuto di competenze. Spesso molti laureati finiscono lì perché sanno parlare in modo convincente in italiano.
Ovvio che chi è in attesa di un rinnovo di contratto nei mesi successivi sorvola su qualche ora in più di lavoro prestato.
E' inutile correre di più da precario se gli altri corrono con i treni, questa è la lezione che dovremmo imparare dagli ultimi anni della nostra storia economica.
Il problema è sopratutto di far invertire la rotta all'economia che, spinta dagli spiriti che più che animali sembrano sprovveduti, sta superando il punto di rottura di ogni equilibrio. Dalla speculazione dei subprime a quella sulle materie prime, si sposta solo il terreno di razzia, a pagare sono sempre gli stessi e la domanda potrebbe bloccarsi sul mercato con un effetto domino spaventoso.
Si deve garantire che tutti i dati macro economici garantiscano la necessaria crescita dell'economia per poter distribuire ricchezza ma si deve anche decidere dove far pendere l'ago della bilancia per la ridistribuzione della ricchezza.
Dal punto di vista teorico le soluzioni vincenti sono quelle cooperative, tutti abbiamo sentito parlare di John Nash e della teoria dei giochi non a somma zero.
Questo ha ricadute sul concetto di welfare e sulla concezione dei servizi offerti al cittadino, dai servizi amministrativi, sanitari, formazione ed educazione, sicurezza, difesa, etc..
Fa un po' venire la pelle d'oca l'idea che alcuni servizi possano essere garantiti sub iudice al cittadino, che ci sia l'idea che lucrare sui servizi basilari di competenza di uno Stato possa introdurre efficienza che arricchisca tutti. L'esempio della sanità statunitense è lì a monito, qualche anno fa si parlava di trenta milioni di dannati esclusi.
Ritornando al tema i servizi di ogni tipo offerti al cittadino questi sono fondamentali per lo stare insieme, quindi è un grande valore per tutta la comunità - società.
Ripeto senza servizi sociali efficienti come possono le donne vivere appieno tutta la loro vita?
O stanno chine a far gli straordinari senza altra prospettiva che sbarcare il lunario o hanno una vita piena senza pensare a sbarcare il lunario.
Uno dei maggiori contributi offerti dal precedente governo è stato la trattazione della spesa pubblica operata da Padoa Schioppa, a rileggerlo si trovano analisi e soluzioni evidenti.
Bisogna considerare che la spesa sembra troppo elevata perché la ricchezza non cresce, ma la spesa è in linea con gli altri paesi europei come valore assoluto.
Perciò c'è bisogno di ristrutturare completamente il funzionamento dei servizi garantiti dallo stato, ammodernare il "ciclo produttivo".
 
Questo rende più simile gli interventi di politica di gestione delle retribuzioni a quelle del privato, se vuoi servizi e vuoi impegno allora devi garantirti personale competente e motivato, andando a concorrere con le aziende private.
Anche qui la soluzione non può essere di pretendere maggiori prestazioni orarie per supplire la mancanza di professionalità e mezzi, ma di dare quanto serve per allinearci con i paesi industrializzati.
Purtroppo oggi siamo in attesa che la pretesa del reddito da investimento finanziario di minimizzare risorse per i servizi dello stato, per lasciare più alti margini di guadagno alla propria speculazione, porti ai ciclici disastri da avvelenamento dei pozzi che abbiamo visto nella storia.
Siamo proprio smemorati ed è proprio vero che chi non comprende gli errori fatti nella storia e condannato a ripercorrerli.
È necessaria una nuova visione dell'economia italiana, solo quando avremo allineato la nostra economia a quelle avanzate per contenuto innovativo potremo uscire dall'emergenza.
(fine)
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Arturo Infante detto Darwin detto Mac
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« Risposta #31 inserito:: Giugno 30, 2008, 12:07:44 am »

Penso interessante una risposta quanto espresso da mammamaria circa alcune realtà dei servizi. Il problema è un po' politico anche e forse anche la sinistra non è immune da colpe.
A parte ogni considerazione sul ruolo del taglio alla spesa che ha portato a comportamenti poco in linea con tutti i principi di spesa sociale, ci sarebbe da ripensare al ruolo delle cooperative.
Da qunto mi ricordo le cooperative che si sono distinte in questo ruolo sono quelle nate intorno a CL, forti anche di una gestione davvero nepotistica della cosa pubblica.
Qui a Bari, penso anche altrove in Italia, alcune cooperative legate a quel mondo si sono distinte per essere andate sotto le luci della magistratura sopratutto nella gestione delle mense scolastiche. Non ricordo bene come è finita ma la gestione politica è stata chiara.
Però anche nella sinistra non si è lesinato in certi errori che rientrano nella gestione castale del pubblico denaro.
Un welfare di stile scandinavo certamente non si sarebbe distinto in questo, ma sulla qualità del servizio offerto, ogni punto debole sarebbe un'onta gravissima per l'amministrazione.
Purtroppo alcuni interventi del governo di destra, vedi DL 97/08, si sono distinti pereliminare alcuni controlli sulle questioni degli appalti. Sarebbe bene introdurre una normativa ferrea in Italia per la verifica delle modalità di offerta del servizio, in primis chiedere la qualificazione delle risorse a cui è affidato il servizio.
Questo perché qui il controllo politico e sulla politica non funziona in nome del così fan tutti, così dobbiamo fre anche noi per il bene di tutti, perché tutti trovano prima o poi un "riferimento" politico.
Mi sarebbe piaciuto dilungarmi di più su questo tema, che spiega anche qualche declino dell'immagine offerta dalle amministrazioni di sinistra, dopo l'epopea mitica delle amministrazioni del centro Italia, però lo giudico tema da altro tavolo sul come radicare il PD sul territorio.
Lo snodo della buona amministrazione è essenziale.
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« Risposta #32 inserito:: Giugno 30, 2008, 09:07:41 am »

Darwin, grazie!

Entro stasera, in assenza di parere diverso da parte tua, inserisco il tuo documento nel forum.

ciao
ggiannig
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« Risposta #33 inserito:: Luglio 01, 2008, 07:19:50 pm »

Darwin e Amici,

ho presentato il documento all'Amministrazione.

Commenti entusiasti e desiderio di vedere come il forum lo integrerà (lo farà anche Sylvia).

Quasi certo che dopo il passaggio nel forum sarà presentato al governo ombra.

Sono molto lieto. A Darwin ancora un grazie e un abbraccio (virile).

ciao
gianni.
 
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mammamaria
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« Risposta #34 inserito:: Luglio 01, 2008, 11:35:24 pm »

Magnifico!
Un abbraccio anche da parte mia.... un abbraccio materno! Felice
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darwin
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« Risposta #35 inserito:: Luglio 01, 2008, 11:53:35 pm »

Veramente bisognerebbe ringraziare anche mammamaria, paolav, matleo e gianni per i suggerimenti che hanno consentito un documento che oltre a considerazioni un po' algide (che rischiavano di essere sterili) contenesse un sano slancio di valori sociali e politici e la voglia di mettere a fuoco anche molte situazioni critiche diffuse nella società.
Ho sentito non solo suggerimenti ma anche attenzione e conforto all'essere gruppo (da parte di tutti), se continuiamo e ci diamo da fare i risultati potranno venire davvero incisivi.
Molti sapranno discettare in modo certamente più elegante e forbito, ma è importante portare con sobrietà e la massima precisione possibile analisi e soluzioni per i problemi reali, che non mancano.
Ancora grazie a tutti voi.
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Arturo Infante detto Darwin detto Mac
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« Risposta #36 inserito:: Luglio 01, 2008, 11:59:49 pm »

grazie a te Darwin, e spinta da emulazione ti abbraccio di un abbraccio fraterno  Ghigno

ciao
paola
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« Risposta #37 inserito:: Luglio 02, 2008, 12:16:53 am »

... virtualmente.

Da oggi pomeriggio il forum non è accessibile.

Non ne conosco la ragione ma avevo segnalato nei giorni scorsi alcune cose da migliorare, può essere che stiano lavorandoci.
Speriamo sia per questo e non per un attacco.

Appena si ripristina l'accesso inserisco il documento che come dicevo è già noto all'Amministrazione.
Il quella sede si auspica che il forum sia interessato ad approfondimenti e integrazioni.

A differenza della lettera d'intenti che uscì firmata dal gruppo nel suo insieme, anche se è stato reso noto tra le righe che si trattava, in grande prevalenza, del lavoro delle Signore, penso che i documenti debbano essere firmati da chi ci ha lavorato realmente, ovviamente nell'ambito del Gruppo.

Nello specifico Darwin. Fatemi sapere se devo citare altri.

A tutti noi anche se ancora in pochi va il merito morale d'averci provato e di avere avuto fiducia nel fatto che ce la si può fare.
Paola, Mammamaria e Darwin l'hanno dimostrato. Questo vale molto.

ciao
ggiannig   

     
« Ultima modifica: Luglio 02, 2008, 12:47:33 am da Admin » Registrato
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« Risposta #38 inserito:: Luglio 02, 2008, 12:40:03 am »

caro Gianni, grazie per le numerose citazioni, ma io preferirei che non si parlasse di parto (almeno per me) quando una donna emette un pensiero.

sarà che non ho bisogno di sublimare alcun desiderio strettamente materno, sarà che la creatività, anche per una donna, non deve (secondo me) necessariamente esprimersi attraverso IL o UN parto.

sarà che non devo dimostrare di essere femmina o (meglio) donna attraverso un'idea più o meno assimilabile al parto.

a me basta una vita (grazie al cielo) direi abbastanza vissuta anche senza marmocchi.

ti abbraccio
paola
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« Risposta #39 inserito:: Luglio 02, 2008, 12:49:07 am »



... sicura sia un abbraccio?

Buona notte.

gianni
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« Risposta #40 inserito:: Luglio 02, 2008, 12:56:31 am »

Nel tuo documento hai fatto riferimento ai servizi, e questo mi fa venire in mente un altro sottobosco di lavoratori poco noti: mi riferisco proprio  a quelli che garantiscono i cosiddetti "servizi". Assistenza agli anziani o ai disabili (fisici e mentali), servizi di pre-post scuola, educatrici degli asili nido. Servizi che vengono erogati in genere su appalto da aprte di cooperative, e gli operatori che vi lavorano hanno un ulteriore tipo di contratto che è quello di "socio di cooperativa".
La situazione è qanto mai complicata, in quanto, in particolare nel caso dell'assistenza ai disabili c'è uno svilimento della figura del professionista, e nello stesso momento uno sfruttamento dell'operatore non qualificato. SI parte dall'assistenza stretta, intesa nel senso di movimentare il malato, prestare opera di "pulizia" imboccarlo e simili, a competenze che di fatto dovrebbero essere affidate a personale qualificato (con relativo diploma se non in alcuni casi anche laurea), la cui figura viene di conseguenza svilita. Spesso chi fa assistenza ai disabili si trova a svolgere mansioni da educatore. In molti casi lo fanno anche bene ma, se da una parte chi ha il titolo di studio per svolgere tale mansione non è interpellato e si vede defraudato da una possibilità di lavoro, dall'altra chi svolge di fatto tali mansioni, non essendo qualificato è remunerato di conseguenza: a tutti gli effetti fai l'educatore ma vieni pagato come assistente. Per l'assistenza di base poi, è prevista comunque una qualifica, ma la maggior parte delle vlte chi fa l'operatore non ne è in possesso. In poche parole il lavoro viene svolto a bassissmo costo da persone non qualificate, anche se con ottimi risultati. Il danno è duplice: chi è qualificato non lavora, chi non lo è fa un lavoro sovrastimato e mal pagato.
Nel caso degli educatori di asilo nido è il caos: spesso il servizio è fornito da cooperative, pur essendo il nido un servizio comunale, ed in molti casi si trovano a lavorare fianco a fianco educatrici "di ruolo" ed educatrici di cooperativa. Che hanno uguale mansione ma trattamento molto diverso, anche sul piano remunerativo, oltre che in stabilità. Il che crea non pochi problemi nell'esercizio delle funzioni di entrambe le figure: come pèuò lavorare serenamente chi si sente precaria, sapendo di svolgere lo stesso lavoro della collega che è invece inquadrata in maniera stabile?
Su tutto questo grava lo "stipendio". In genere i "soci di cooperativa" sono pagati ad ore, e pur firmando un contratto con un definito numero di ore, non sempre queste riescono ad essere coperte: su un contratto da 26 ore spesso se ne coprono solo 21, e non per indisponibilità del socio. Di solito la paga oraria di questi lavoratori è di 6 € circa.
Scusa se ho mess oaltra carne a cuocere, ma è una situazione molto particolare quella di chi lavora nell'ambito de i"servizi alla persona", e mi premeva metterla in risalto.
Per il resto il tuo lavoro mi sembra molto chiaro e completo.


ciao Maria, la mansione alla quale tu alludi, per quanto riguarda l'assistenza ai bisogni primari, è supportata dalla qualifica di ASA.

è un operatore che frequenta un corso di un anno con frequenza obbligatoria ed esame finale (l'ho fatto anch'io in un periodo della mia vita in cui volevo sperimentare il lavoro nel sociale, appunto).

non è assimilabile (se non in minima parte) al lavoro dell'educatore.

entrambe le prestazioni possono essere gestite ed erogate dalle cooperative. Molte di queste in effetti, hanno approfittato di come lo Stato aveva deciso di rispondere al bisogno di assistenza per sfruttare i propri soci/dipendenti.
Infatti in Italia si è deciso di rispondere al problema assistenza tramite l'interazione con le cooperative, che si sono prese alla fine qualsiasi licenza.
Tradendo così l'idea origine che le aveva inizialmente fatte sperimentare, soprattutto nel centro italia.

così succede quando, gettate le "ideologie" e tutto ciò che a loro era anche lontanamente assimilabile, al posto di dignitosi e onesti proletari le cooperative sono state create e gestite da sottoproletari senza arte né parte, per dirla con un eufemismo.

ciao
paola



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« Risposta #41 inserito:: Luglio 02, 2008, 12:58:51 am »



... sicura sia un abbraccio?

Buona notte.

gianni


sì sono sicura, Gianni, altrimenti non l'avrei scritto.
anzi, era per farti capire che non sono irritata con te, ma con quest'idea ammorbante ed universale del parto a tutti i costi. UFF...

ciao
paola

e buona notte


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« Risposta #42 inserito:: Luglio 02, 2008, 02:43:31 am »

Allorchè verrà inserito sul forum aggiungerò qualche altra notazione, che mi era venuta in mente ma che, come al mio solito, ritardi a fare.

Prima o poi mi farò di passo più svelto ...

Ciao.
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Utente non iscritto
« Risposta #43 inserito:: Luglio 02, 2008, 08:15:43 am »

Ok ti aspettiamo anche qui.

ciao
gianni
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« Risposta #44 inserito:: Luglio 02, 2008, 01:03:21 pm »

Confermei la necessità di avere firme più collettive possibile per un'infinità di ragioni.
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Arturo Infante detto Darwin detto Mac
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