Carissimi per una prima riflessione partirei dall'enunciato della proposta governativa.
Detassazione straordinariAl fine di incrementare la produttività del lavoro, nel secondo semestre 2008 a partire dalla busta paga di luglio, lo straordinario e i premi di produttività dei dipendenti nel settore privato sarà tassato del dieci per cento. La misura è valida per i redditi non superiori a 30 mila euro. Il provvedimento è stato emanato in via sperimentale e dura fino a dicembre 2008.
Cerco una esemplificazione individuando le parole chiave.
Reddito inferiore ai 30.000 euro.
Tassazione degli straordinari al 10%.
Tassazione dei primi legati alla produttività al 10%.
Tetto massimo del reddito con tassazione ridotta 3.000 euro.
Rivedendo gli scaglio IRPEF interessati abbiamo una massimo ammontare di:
390 per i redditi più bassi fino a 15.000 euro
510 per i redditi fino a 28.000 euro
760 per i redditi oltre i 28.000 euro
Insomma dai 32 ai 63 euro circa mensili.
La cosa vale circa da un terzo alla metà del valore indicabile come contingenza. Non è poi specificato se i redditi per incremento di produttività sono i premi di produzione aziendali o i premi ad personam erogati per valutazione obiettivi aziendali.
Questo provvedimento avrebbe 2 obiettivi: ridistribuire ricchezza per le famiglie in crisi e migliorare la produttività. La leva sarebbe quella della motivazione sul lavoro ed il riconoscimento del merito.
Veniamo al primo punto.
Se il problema è quello della quarta settimana allora è un po' difficile pensare che anche i 62 euro mensili in più (il massimo) possano coprire i bisogni della quarta settimana, dare serenità e far riprendere slancio alla domanda. Siamo in un mercato unico europeo, un'unica moneta e prezzi al consumo molto più allineati che nel passato.
Allora dobbiamo guardare al gap delle retribuzioni italiane rispetto a quelle dell'area euro.
Se guardiamo le statistiche delle retribuzioni medie sono necessarie cifre moltiplicate di un fattore cinque, rispetto a quelle indicate dal provvedimento.
Inoltre una parte dell'incremento retributivo in busta paga prospettato è legato a dei meccanismi in cui oltre alla partecipazione del dipendente contano molto fattori di scelta imprenditoriale, investimenti sul prodotto, sul ammodernamento del ciclo produttivo scelte strategiche dell'azienda, in cui il dipendente di solito non mette nulla di proprio. Mi riferisco ai premi di produttività e la valutazione degli obiettivi laddove ci siano mutue scelte dei lavoratori tramite la loro rappresentanza e l'azienda. Spesso questi non sono contemplati per le piccole e medie imprese.
Allora tutto è legato al riconoscimento degli straordinari, cioè il raggiungimento del riconoscimento economico previsto dal provvedimento è legato solo all'allungamento dell'orario di lavoro, una sottospecie di cottimo.
Tutto si gioca sul costo del lavoro, ancora oggi. Abbiamo il costo del lavoro fra i più bassi in Europa, l'economia è asfittica ed ancora la nostra classe dirigente punta a salvaguardare il profitto col minimo capitale investito. Insomma con un'economia asfittica nella domanda ancora usiamo ricette oramai logore, bocciabili in ogni università.
Cito un interessante articolo di Fabrizio Montanari (Università di Modena e Reggio Emilia) su Ticonzero (newsletter della Bocconi) per individuare alcuni spunti.
1 – L’importanza dei sistemi di incentivazione
La retribuzione monetaria ha tradizionalmente assunto il ruolo di bilanciare la
relazione di scambio tra i lavoratori nella loro prestazione d’opera e le imprese nella
remunerazione dello sforzo del lavoro ricevuto. Il sistema retribuito, o premiante,
occupa una posizione centrale come elemento regolatore delle relazioni tra persone
ed organizzazioni, le cui risultanti possono essere interpretate almeno rispetto a tre
distinte visioni:
• un rapporto di scambio economico, nella sua versione più semplice di
• scambio tra lavoro e remunerazione;
• un rapporto di scambio psicologico attraverso il quale si definiscono e si regolano le attese reciproche, con particolare riferimento ai principali diritti e doveri;
• un rapporto di appartenenza che definisce i prestatori di lavoro come membri dell’impresa e persone che compongono il soggetto economico dell’impresa stessa.
Qualunque sia l’interpretazione di fondo del rapporto tra persone ed organizzazione, è indubbio che esso contenga una relazione di scambio regolata dal sistema premiante. Le variabili di base dei sistemi di remunerazione sono riassumibili in tre classi: i contributi forniti dal prestatore di lavoro all’impresa; le ricompense ottenute; gli algoritmi di correlazione tra contributi e ricompense, ossia le logiche di parametrazione dei contributi rispetto alle ricompense.
Tanto in letteratura quanto nella pratica manageriale si sono sviluppati negli anni numerosi studi ed approcci volti ad individuare le logiche che permettessero un più equo, efficace ed efficiente legame tra contributi erogati ed incentivi offerti1.
Il tema del rapporto tra comportamenti individuali e sistema di incentivi è di grande attualità. Negli ultimi anni, numerosi libri e articoli hanno enfatizzato l’importanza del fattore umano per il successo delle organizzazioni: le aziende che vogliono avere successo nei mercati globali devono dotarsi di un adeguato capitale umano con abilità, competenze e capacità migliori rispetto a quello dei propri concorrenti (e.g. Cappelli, 1999; Pfeffer, 1994, 1998). Il riconoscimento della centralità delle persone nella determinazione del vantaggio competitivo conduce ad una maggiore attenzione alle pratiche di gestione delle risorse umane, soprattutto ai sistemi retributivi. Questi ultimi, infatti, rappresentano uno degli strumenti più importanti per attrarre, trattenere e motivare le persone con le caratteristiche idonee al perseguimento degli obiettivi aziendali (Costa, 1997). I sistemi di incentivi costituiscono anche un potente mezzo per allineare gli obiettivi individuali con quelli organizzativi, minimizzando fenomeni di azzardo morale o selezione avversa (Eisenhardt, 1989, Roberts, 2007). In altre parole, attraverso l’implementazione di adeguati sistemi di incentivi è possibile ridurre il potenziale di opportunismo e allineare i comportamenti individuali con quelli desiderati dall’organizzazione.
Quindi ad un nuovo modo di intendere il rapporto lavoratore impresa i saggi nostri governanti oggi puntano tutto sul capitale lavoro e nulla sugli investimenti per migliorare sia la redditività del prodotto, sia la capacità produttiva per ora lavorata, sia la costruzione di una migliore collaborazione lavoratore – impresa.
Poi ci chiediamo perché la nostra economia sia asfittica.
Veniamo al secondo punto: la produttività.
Ci sono due modi di intendere la produttività: la prima è la quantità di prodotto e di fatturato per persona impiegata nel ciclo produttivo; la seconda è la quantità di prodotto e di fatturato per ora lavorata.
La scelta del governo va tuta vero la prima concezione, ho un dipendente ne devo ricavare il massimo, con il minimo investimento possibile.
La seconda dipende dalla professionalità delle risorse, dalle scelte di posizionamento sul mercato, dagli investimenti sul prodotto, dagli investimento sul miglioramento del ciclo produttivo per adattarlo a professionalità più alte e più remunerate.
Non a caso dal provvedimento sono escluse tutte le fasce di lavoratori a più alta professionalità. Ricordiamoci di un altro fattore critico che è dato dallo scarso impiego di lavoratori a più alta preparazione formativa nella produzione. In Italia ci sono meno diplomati e laureati nel ciclo produttivo e spesso sono impiegati per qualifiche non adeguate. Abbiamo presente i laureati che finiscono per aspirare ad impieghi con contratti atipici nei call center.
La conclusione è che l’intervento proposto dal governo è ampiamente negativo, non risolve nulla e tende ad ampliare ancora tendenze negative della nostra economia. Direi che comunque l’uso della leva fiscale per ridistribuzione del reddito non è vincente e non risolve il problema.
Le imprese hanno già attinto a piene mani con la riduzione del cuneo fiscale, nulla è andato verso i lavoratori. Ciò che allo stato attuale era stato possibile fare è stato fatto.
Cosa fare allora.
La proposta deve andare verso l’attirare fondi ed investimenti sul settore produttivo per ammodernare sia il prodotto che il ciclo di produzione. Le ricette del laisse faire del liberismo degli anni ottanta hanno prodotto oggi la crisi dei su prime, perché è facile investire in prestiti a chi non arriva a fine mese, e un ruolo di primo piano nell’esplosione dei prezzi delle materie prime, con meccanismi in cui girano in compra vendita solo carte e non prodotti.
Alcune proposte possono essere:
innalzamento della tassazione sui redditi finanziari al 20%, come dappertutto nel mondo occidentale;
rivedere i percorsi formativi della scuola e dell’università per favorire il miglioramento delle competenze;
invogliare capitali italiani e stranieri per investimenti su produzioni ad alto contenuto tecnologico e/o artigianali di pregio, utilizzando la leva fiscale, il miglioramento delle infrastrutture fisiche e di comunicazione digitale;
esercitare un ruolo politico di mediazione affinché i contratti nazionali recepiscano la necessità di ridistribuire il reddito verso i lavoratori dipendenti;
incentivare, con la leva fiscale, la formazione sul lavoro per favorire la riconversione della produzione;
istituire una contrattazione di secondo livello che favorisca il riconoscimento del merito nella partecipazione ai risultati aziendali e che non penalizzi i lavoratori delle piccole e medie imprese che spesso non hanno un’adeguata rappresentanza sindacale.