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Autore Discussione: Eros senza pudore  (Letto 3156 volte)
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« inserito:: Maggio 27, 2008, 06:57:22 pm »

Eros senza pudore

di Maria Grazia Meda


Il sesso non ha più barriere. Invade il pubblico e il privato.

Travolge la moralità pubblica. Abbatte il confine tra lecito e illecito.

Una rivoluzione analizzata da una studiosa del corpo.

Colloquio con Marcela Iacub.

Parlare di pudore nella nostra società scollacciata e voyeuristica può far sorridere. Dalla pubblicità a Internet, passando per i generi più disparati di talk show, siamo bombardati dall'esibizionismo più esasperato. Uno spiattellamento di corpi, di pratiche sessuali, di sentimenti e di opinioni che, come uno tsunami, hanno spazzato via gli ultimi paletti del comune senso del pudore. Dunque, ha ancora senso discuterne? Sì, se a parlarne è Marcela Iacub, nota giurista argentina residente a Parigi, specialista della giurisprudenza del corpo.

Il suo nuovo saggio, 'Par le trou de la serrure. Une histoire de la pudeur publique. XIX-XXI siècle' (ed. Fayard) è appena arrivato nelle librerie e già fa discutere. Analizzando le leggi francesi sulla moralità e il buon costume degli ultimi due secoli, Iacub ha prodotto un saggio denso, curioso e piacevole sulla storia del pudore: la storia della sessualità e della grande battaglia per la liberazione dei costumi. Avvalendosi dei casi più clamorosi o bizzarri, delle sentenze storiche, dell'evoluzione del diritto, Iacub racconta come la nozione di pudore sia servita in passato al legislatore per determinare la liceità delle pratiche sessuali all'interno di uno spazio chiuso. E di come, poco per volta, il confine tra pubblico e privato si sia fatto sempre più labile. L'abbiamo intervistata: non per parlare del passato, ma dei comportamenti attuali contraddittori, a volte scioccanti. E non sempre così liberati come potremmo immaginare.

Possiamo ancora parlare di pudore?
"No. È un termine che allude a un universo di significati superati, cui si è sostituita la nozione di sesso. In passato si parlava di pudore per distribuire la sessualità nello spazio: ovvero, il legislatore aveva creato un 'muro', che per comodità definisco 'il muro del pudore', per separare lo spazio pubblico da quello privato. Un modo per legittimare le libertà in materia di sesso senza riconoscerle. Dietro quel muro, ovvero nello spazio privato, chiuso, impenetrabile allo sguardo esterno, il legislatore sembrava dire 'ciò che fate è disgustoso ma siete liberi di farlo perché non è di mia competenza'".


Una prova di ipocrisia?
"Piuttosto una grande distinzione tra peccato e diritto. Prima di Napoleone il diritto era mescolato alla religione, lo Stato si faceva polizia dei comportamenti sessuali, facendo rispettare le regole dettate dalla Chiesa. Con il Codice Napoleonico si dà vita a un compromesso tra passato e moderno, tra diritto laico liberale e Chiesa".

L'inizio della modernità.
"Certo. La Francia è stato il primo paese a separare il peccato dal crimine e delitto, a considerare l'omosessualità una questione privata. In Inghilterra nel 1860 gli omosessuali venivano impiccati, in Svizzera nel '900 si condannavano i concubini. Il codice fu una rivoluzione contro la religione, il primo codice laico che penalizzava esclusivamente la violenza".

L'Erotic Art Museum di AmburgoE oggi, dov'è il muro del pudore?
"È un muro 'liquido', perché il sesso non è più una questione privata, ma è dappertutto. Paradossalmente, in un mondo sempre più erotizzato ed esibizionista, il diritto esige che l'individuo controlli le proprie pulsioni. In altre parole, è come se volessimo mettere il peccatore alla prova del proprio peccato: un dispositivo perverso. E proprio perché la sessualità non è più considerata una questione privata, ma psichica, lo Stato vuole farsi carico della salute mentale degli individui. Basti pensare che oggi il consenso da solo non basta. Prendiamo la prostituzione: le leggi attuali nella maggioranza dei paesi suggeriscono che è inimmaginabile che una donna scelga liberamente di prostituirsi. O che un giovane tra i 15 e i 18 anni possa darsi a certe pratiche sessuali, ad esempio sesso di gruppo, o guardare un film porno. Si decide insomma quali pratiche sono 'buone', spazzando via la nozione di consenso. Non è certo cosa da poco".

Lei cosa suggerisce?
"Un ritorno a formule classiche: determinare se c'è stata o meno violenza, se c'è o meno danno. Perché fare sesso dovrebbe essere qualcosa di speciale? Perché continuiamo a pensare che il sesso sia qualcosa di grave? Dovremmo sdrammatizzarlo. Invece arriviamo a casi assurdi, come è accaduto negli Usa, dove si è dimostrato che c'è stata una violenza sessuale perché la donna era innamorata".

Questa deve spiegarcela.
"I giudici hanno ritenuto che non era libera di acconsentire perché appunto innamorata. Se portiamo questo ragionamento all'estremo, la donna innamorata è in assoluto la meno consenziente. Insomma, oggi la liberazione dei costumi in campo sessuale è accompagnata dall'incertezza permanente tra ciò che è lecito e illecito. La sessualità è intesa come luogo del pericolo".

C'è invece chi sostiene che il pudore sia una norma inventata dagli uomini per controllare il corpo femminile.
"La nozione di pudore nell'accezione moderna, occultare il corpo e le pratiche sessuali, appare solo nel XVII secolo. Ma io direi che i maschi sono molto più pudichi delle donne: pensi ai décolleté e ai vestiti trasparenti nella storia, oppure l'attuale discorso femminista che vuole coprire il corpo della donna".

Il nudo fa ancora scandalo?
"Visto che abbiamo erotizzato tutto lo spazio pubblico, lo scandalo è nel vestito, non nella nudità. Ci si veste per essere sexy. Una donna in monokini è più pudica di una in bikini: è il concetto del nudo casto, una nudità che non ha nulla di sessuato. Lo spiegano i sociologi del costume: un uomo difficilmente abborderà una donna in monokini, o lo farà diversamente di quando ha davanti una donna più vestita".

Nel nostro codice penale puniamo come osceni "atti e oggetti che secondo il comune sentimento offendono il pudore": così il cittadino diventa l'occhio dello Stato.
"Ecco l'ipocrisia: in materia di morale pubblica lo Stato non vuole apparire come censore, ma si serve del cittadino per definire ciò che offende il pudore".

Lei scrive che lo Stato non dovrebbe legiferare sui costumi.
"Se una persona non si lava e ha cattivo odore, non faremo una legge per obbligare tutti a lavarsi una volta al giorno. Queste sono regole dettate dal buon vivere. Lo Stato ha voluto uniformare il sentimento del pudore, dicendo dove comincia e finisce quello dell'individuo".

A guardare la spudoratezza della nostra società, però, ci vorrebbe forse un terzo super partes a mettere dei paletti.
"Ma non dovrebbe essere la giurisprudenza a farlo, perché ragionando così il diritto dovrebbe dirci anche come lavarci o come mangiare: ci sono persone che trovano indecenti un obeso o i talk show. Immagini se tutto ciò che ci mette a disagio dovesse fare l'oggetto di una legge, sarebbe terribile. La sessualità dovrebbe rientrare nella sfera delle azioni individuali come l'igiene o l'alimentazione, nelle quali lo Stato non deve intervenire. Nella misura in cui non aggredisci l'altro e non c'è violenza, puoi sempre guardare altrove. Ci vuole tolleranza: perché allinearsi sulle persone più pudibonde?

Nasce da qui la confusione tra morale e diritto?
"Sì. Stiamo per varare una legge sulle top model troppo magre e vietare le pubblicità televisive sui dolci: questo è il sintomo di una sempre maggiore volontà di controllo. Lo Stato è preoccupato di come le persone vivono le proprie pulsioni, siano esse sessuali, alimentari, di dipendenza dagli stupefacenti, dal tabacco, dall'alcol. In materia di pratiche sessuali questa interferenza ci sembra meno violenta perché abbiamo introiettato certi tabù, ma dopo il compimento della rivoluzione sessuale perché mai dovremmo disciplinare questi comportamenti con delle leggi?

Dove sembrano mancare tanto le regole quanto ogni forma di pudore è Internet.
"In realtà ci sono delle regole: oggi lo spazio Internet è regolato come in passato lo Stato controllava i bordelli. È un nuovo spazio in cui si lascia libero corso all'esibizionismo in tutte sue manifestazioni: sessuali, sentimentali, artistiche".

Non è contraddittorio parlare di pudore dei sentimenti e privacy quando assistiamo a un tale esibizionismo della vita privata di chiunque in pubblico?
"Il diritto ha creato il concetto di violazione della privacy, considerando che la sfera del privato sia luogo chiuso. Quindi nessuno può parlarne, anche se il diretto interessato ha divulgato la propria intimità nei minimi dettagli pubblicamente. In questo senso ci sono forti similitudini con la questione dei diritti d'autore: le leggi attuali sono pensate come se avessimo il copyright della nostra propria narrazione: chi parla di te è come se stesse rubandoti qualcosa. Considero questa tendenza un attacco alla libertà di espressione di giornalisti e artisti. Credo che in fondo tutte le forme di narrazione sulla vita privata dovrebbero essere considerate come una fiction, perché in questo campo non c'è mai 'la' verità, ma delle sue rappresentazioni provvisorie. Quindi, strano, mai come oggi siamo estremamente esibizionisti e insieme tentiamo di impedire agli altri di parlare di noi".

Un bel caso di schizofrenia collettiva.
"Sì. Siamo spudorati, ma poi esigiamo il massimo pudore dagli altri".

(26 maggio 2008)

da espresso.repubblica.it
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