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Autore Discussione: Bruno Gravagnuolo. La politica del manganello  (Letto 1996 volte)
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« inserito:: Maggio 27, 2008, 06:53:24 pm »

La politica del manganello

Bruno Gravagnuolo


Ronde, squadracce, spedizioni punitive. Da sempre sono state nel codice genetico del fascismo e non solo di quello italiano. E si può dire senza timore di smentite che il sovversivismo fascista, fin dai «prodromi» antisemiti nella Francia dell’affare Dreyfus, nasce proprio dal populismo autorganizzato della società civile «sana». Che fa appello all’ordine nazionale e si mette al suo posto, per espellere i «germi» che inquinano la società. E ciò è particolarmente vero nel caso dello squadrismo fascista in Italia. Prima impegnato a bastonare gli scioperanti, o a sostituirli propagandisticamente al lavoro.

Poi dedito sul territorio, a incendiare cooperative, comuni socialisti e Camere del Lavoro. Nonché a manganellare e uccidere su larga scala, con raid militari agli ordini dei famosi ras della «Padania» di allora. Sempre in nome della «rivolta civile e nazionale» della gente, che «ne ha piene le tasche» dei «fomentatori di disordini»: contadini, operai, comunisti, socialisti, cattolici, pacifisti e antimilitaristi.

Dunque, sovversivismo dal basso, nell’esperienza italiana. E sovversivismo dall’alto. Ovvero intervento attivo di esercito, carabinieri e prefetti, di volta in volta complici assenti delle violenze. Oppure nel 1922 volenterosi collaboratori delle violenze squadriste. Mirate a reprimere autonomamente, e a sollecitare solidarietà e copertura di stato. E si arrivò con Gentile nel 1924 persino a distillare dottrina filosofica da ciò. Con l’idea che il manganello avrebbe potuto rafforzare le «convinzioni interiori», in un tempo in cui la persuasione spontanea dell’ethos collettivo vacillava.

Certo, roba lontana per fortuna. L’esperienza e la catastrofe fasciste non sono passate invano, in una con un lungo dopoguerra democratico, che è riuscito a tenere lontane rivincite neofasciste, sul filo della discontinuità repubblicana. Ma in momenti di crisi come questo certe «atmosfere» possono ripetersi. E anzi si sono già ripetute. Nel nord-est, con la sciagurata teorizzazione leghista delle ronde, contro micocriminalità e immigrati. Appelli e teorie sempre in cerca di saldatura «autorizzativa» con l’alto: con le istituzioni, oltre che con il consenso della gente che «ne ha piene le tasche». E atmosfere che si ripetono a Roma, per ora senza invocazione di «ronde». Ma quantomeno con l’adozione - ufficiale stavolta - di atteggiamenti pubblici che fanno crescere un clima. Lo alimentano, e rischiano di fungere da ombrello giustificativo e autorizzativo delle illegalità muscolari e xenofobe. Come altro interpretare le gravi parole del sindaco di Roma Alemanno, che oltre a condannare genericamente le violenza del Pigneto, ha però testualmente dichiarato: «Frutto della scarsa attenzione alla legalità e alla sicurezza»? Si badi, stavolta non siamo difronte a un depistaggio difensivo, come quello del sindaco Tosi a Verona, che per schivare le accuse di intolleranza legata alle sue idee, parlò di semplice «bullismo giovanile» sull’omicidio di branco skinheads. No, stavolta Alemanno incolpa il lassismo della parte politica avversa. E finisce con l’avallare le «motivazioni» psicologiche del raid al Pigneto, assieme ad altri fenomeni di intolleranza passati, e magari futuri. E il tutto all’insegna di quel famoso «clima» reattivo, nel quale come s’è visto la «gente che ne ha piene le tasche» è spinta a reagire. In una sorta di giustificazionismo sociologico con bersaglio politico mirato. Che non può che incoraggiare la spontanea autorganizzazione di nuclei di società civile intollerante: ronde, comitati di quartiere o squadracce. Per poi magari condannarle, in nome di un tardivo ristabilimento della legge dall’alto (e «al di sopra delle parti»), che però passa per la blindatura legislativa e repressiva della condizione dei migranti, con il consenso della «gente».

Sono dinamiche arcinote, e che in Italia conosciamo bene, connaturate alle pulsioni d’ordine della destra italiana e di quel fascismo, neo e post da cui viene Alemanno. Si dirà: paragoni impropri, tempi lontani e superati. Che stridono con il vero clima positivo di questi giorni nella politica italiana: il superamento bipartisan degli steccati su memoria e istituzioni. Può darsi, eppure ci sono sintomi inquietanti di «piccole cose» che ritornano. I raid e le giustificazioni di cui sopra, oltre alle leggi ventilate sulla «clandestinità reato». E poi, restando ancora ad Alemanno, certi irresistibili «ritorni ideali» a Roma. Ad esempio il recupero insensato e grottesco, da parte del Sindaco capitolino, di Ezra Pound, il poeta antisemita e fascistissimo che imprecava alla radio fascista durante la guerra. Clamorosamente promosso da Alemanno a progenitore libertario del 1968 e affiancato al poeta beat Ferlinghetti! Inaccettabile offesa per la cultura e per Roma, città delle Fosse ardeatine e vittima dei rastrellamenti nazisti degli ebrei. E assurdità che nessuno, nessuno! ha contestato al sindaco Alemanno. Non basta, perché dal Campidoglio e col suggello di An, arriva anche la proposta di una via per Almirante. l’Unità si è già espressa contro e con ottimi argomenti. Li ribadiamo: sarebbe uno sfregio a Roma e all’Italia antifascista. Perché Almirante, in doppio petto o no, non fu mai un democratico.

Fu un saloino che controfirmò i bandi fucilazione ai renitenti. Uno che diceva che neofascista ce l’aveva scritto in fronte. Che fu contro il divorzio e che negli Usa invocò soluzioni cilene per l’Italia. E iscrivere Almirante nella memoria civica comune equivale a iscrivere in essa anche il fascismo: tutto! Incluse ronde, squadracce e spedizioni punitive che da sempre sono l’anima del fascismo.

Pubblicato il: 27.05.08
Modificato il: 27.05.08 alle ore 13.37   
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