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Autore Discussione: Bresso: «Il Pd? Deve essere frullato»  (Letto 3022 volte)
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Utente non iscritto
« inserito:: Maggio 27, 2008, 10:02:59 am »

26/5/2008
 
"Contro questo nucleare"
 
 
 
 
 
MERCEDES BRESSO
 
Sono per la scienza, sono convinta che le scelte vadano fatte senza preclusioni di alcun tipo, laicamente, come dice la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. Ma è esattamente per queste ragioni che sono contraria al rilancio in tempi brevi del nucleare, prospettato dal governo.

Parto dalle indicazioni fornite ieri su queste pagine dal premio Nobel per la Fisica, professor Carlo Rubbia: questo nucleare è vecchio, sarebbe molto più importante e strategico rivitalizzare la ricerca e le competenze italiane in materia. Ha senso aggrapparsi al volo all’ultimo vagone di un treno ormai passato? A me sembra di no. Casomai, ed è proprio quello che facciamo in Piemonte, è meglio guardare avanti, facendo tesoro delle migliori esperienze nel mondo (il contrario della sindrome «da villaggio di Asterix» di cui parla l’editorialista Luigi La Spina) e ponendosi allo stesso tempo il problema di individuare soluzioni immediate, per far sì che lo sviluppo non sia un concetto di fantasia.

Esistono due problemi irrisolti nel nucleare attuale, problemi che spiegano anche il calo mondiale nel suo utilizzo: 1) siti per i rifiuti radioattivi; 2) i costi di smantellamento elevatissimi, valutati nel doppio - almeno - del costo della centrale, che rendono la soluzione poco economica. Puntare sul futuro, accettare la sfida dell’innovazione tecnologica e della ricerca, che sono da sempre caratteristiche del nostro sistema (economico, accademico, industriale), significa invece muoversi in altro modo e come Regione abbiamo accettato questa sfida.

L’efficienza delle fonti rinnovabili è in crescita, da queste e dal risparmio energetico possono venire forti abbattimenti del fabbisogno (l’uso domestico, in Piemonte, è prima voce di consumo con il 38% del totale) e allo stesso tempo si crea economia: tutti i settori produttivi interessati a queste tecnologie e soluzioni – dalla meccanica all’edilizia - sono tra le nostre «specialità». Ecco, allora, che creiamo ricerca, innovazione, sviluppo, lavoro, ricchezza, risparmio per le famiglie. Subito.

Contemporaneamente, concentriamo forze e risorse sullo sviluppo di competenze e conoscenze per quel che riguarda la prossima frontiera energetica, dandoci il tempo di riconquistare terreno e riproporci come avanguardia, battendo ogni strada: solare a concentrazione, nucleare utilizzando altri metalli che non siano l’uranio (il torio di cui parla Rubbia, ad esempio), fusione nucleare (che non lascia rifiuti pericolosi)...

C’è, infine, l’impossibilità tecnica di localizzare una delle centrali nucleari attuali in Piemonte. A suo tempo mi occupai della Valutazione di impatto ambientale e conosco bene la questione, non mi pronuncio su altri luoghi. I siti individuati erano due: Trino, il migliore, e Alluvioni Cambiò. In quest’ultimo caso è il nome stesso della località a chiarire quale sia il problema. Per quel che riguarda Trino, la quantità d’acqua è troppo scarsa – all’epoca era scarsa solo in inverno, oggi lo sarebbe anche in estate – per consentire un raffreddamento senza il rischio di dover fermare la centrale e quindi buttare via l’intero investimento. Conviene? Direi di no, anche perché il guasto – è capitato anche negli Usa e in Giappone – è possibile e in piena Pianura padana sarebbe devastante.

Insomma, sono disponibilissima ad affrontare l’argomento e ad approfondire le possibilità di impegno, magari comune, con la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. Ma sono per l’applicazione della scienza di oggi e domani, non quella di ieri. Sarebbe uno spreco e un rafforzamento della nostra arretratezza.

Presidente della Regione Piemonte

da lastampa.it
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« Risposta #1 inserito:: Febbraio 21, 2009, 11:46:32 pm »

«Una gestione federale aiuterà a superare le faide»

di Andrea Carugati

Mercedes Bresso, presidente del Piemonte, all’assemblea di oggi non ci sarà. «Sono a Cipro con il Comitato delle Regioni dell’Unione europea. Sono presidente del gruppo socialista in questo Comitato...».
Cosa pensa delle dimissioni di Veltroni?
«La sua scelta è comprensibile, ora ha bisogno di riflettere e riprendersi dallo choc, ma non credo che il suo addio sia definitivo, che smetterà di fare politica, o farà il parlamentare semplice. Tornerà nel Pd in un ruolo attivo. Lui ha detto che è più tagliato per i ruoli istituzionali che per la guida dei partiti: lo capisco, anch’io ho la stessa vocazione. Vuole andare a fare un giro in Africa? Vada pure, basta che poi torni...».

Come può uscire il Pd dalla crisi?
«Insieme ad altri presidenti e sindaci, a partire da Vasco Errani, stiamo elaborando una posizione comune da portare in assemblea: andare al congresso subito non è praticabile. Serve un chiarimento vero, e non si può fare con la tagliola sulla testa delle elezioni di giugno».

Dunque lei è per eleggere un nuovo segretario fino a ottobre?
«Sì, ma per superare la crisi serve una gestione federale del partito, che consenta di superare le faide tra gruppi. Sì dunque a Franceschini, ma affiancato da un gruppo dirigente composto da segretari regionali, sindaci, presidenti di Regione. Mettiamo al governo del Pd le forze locali, in modo da ridurre i conflitti tra fazioni».

Però negli ultimi mesi, dai livelli locali sono venuti tensioni, scontri, anche problemi giudiziari...
«Sui territori si è litigato molto meno rispetto al nazionale. Ma il punto è che il partito ha speso il suo tempo a parlare di questioni interne, e ha dimenticato i problemi della gente normale, a partire dalla crisi. Ripartire dai territori significa innanzitutto parlare dei problemi veri delle persone, uscire dai palazzi romani. E a giugno ci sono le amministrative, non solo le europee».

State pensando a una squadra di nomi da presentare a Franceschini?
«Intanto partiamo dall’abolire il governo ombra, che non ha funzionato per niente. Nomi non ne faccio, il punto è fare un partito che viene dalla base, altrimenti non ne usciamo».

Azzerare anche il coordinamento?
«Non mi dispiacerebbe. In fondo la responsabilità dei problemi non è solo di Veltroni, ma di tutto il gruppo dirigente».

Non è un rischio andare alle elezioni con un leader transitorio?
«Con dei capilista forti il problema delle europee si può superare. E poi chi l’ha detto che un segretario reggente sia per forza debole?».

A chi pensa come capolista? Si è parlato di Cofferati nel Nordovest..
«Non mi pare tra le candidature forti. Ha detto che deve occuparsi della famiglia, dunque non può avere il tempo di stare tutta la settimana a Bruxelles.

Crede che Franceschini possa affrontare adeguatamente il tema della collocazione europea del Pd?
«Certo, non cambia niente se c’è un ex Ds o un ex Margherita. Io vedo una sola soluzione: una presenza autonoma del Pd raccordata con il Pse».

Come andrà l’assemblea costituente: sarà il caos?
«Non saprei...io l’avrei spostata di una settimana, per avere più tempo».

Nella base c’è chi pensa che tutta la classe dirigente debba andare a casa.
«Non mi pare proprio il caso di fare un harakiri collettivo...».

Ma il progetto del Pd è a rischio se le europee vanno male?
«Non sono convinta che il progetto sia legato solo agli esiti elettorali. Conta molto di più la capacità di costruire davvero il partito: penso ad esempio alla laicità, su cui non ci possono più essere debolezze. Se ci sono persone del Pd che vogliono imporre la loro visione confessionale a tutto il partito e agli italiani, allora è meglio che se ne vadano: ci sono tanti altri partiti...»,

Non teme scissioni? Meglio pochi ma buoni?
«Il punto è essere comprensibili, altrimenti gli elettori non ci capiscono. Dunque meglio qualcuno in meno ma con una chiara impostazione riformista».

La Binetti potrebbe uscire...
«Non piangerei proprio se se ne andasse. Siamo oltre il livello dell’accettabile per il modo in cui pensa di imporre le sue idee agli altri».
acarugati@unita.it

21 febbraio 2009
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #2 inserito:: Febbraio 25, 2009, 10:11:43 am »

L'intervista al governatore del Piemonte

Bresso: «Il Pd? Deve essere frullato»

«Sono stati messi i pezzi nel bicchierone, nessuno però ha mai attivato le pale. Solo quando idee e identità saranno mischiate andrà tutto meglio»
 

Mercedes Bresso, nome da Madonna e militanza ultraradicale, 64 anni, presidente “piddina” della Regione Piemonte, è una specie di Zapatera della politica italiana: intrattabile sui diritti («Perché sui diritti non si dovrebbe trattare»), liberale e riformista. È anche detta comandoira, perché un po’ decisionista, ma di tutti i soprannomi che le hanno attribuito lei preferisce «la zarina». La incontro nella dimora savoiarda della Venaria ed effettivamente sembra una reginetta: sorride davanti all’obiettivo, insiste per uno scatto accanto a una statua di donna egizia velata, si informa sulla resa del colore della sua giacca in foto. Quando le dico che è una dei pochi amministratori che non compare nei volumetti giudiziari di Travaglio o nel libro La casta, mi corregge: «In realtà Stella e Rizzo mi hanno citata, altrove, come esempio virtuoso per il rapido restauro della Reggia in cui ci troviamo». La modestia non è il suo forte. Da mai indagata, ci tiene a dare prova di ultra-garantismo e sulla vicenda Soria (il presidente del Premio Grinzane accusato sia di molestie sia di irregolarità amministrative), è fermissima: «I fatti vanno dimostrati».

Sostenitrice da sempre del coordinamento del Nord del Pd, Bresso, fa anche parte dell’associazione dalemiana Red. Dopo il crollo sardo e le dimissioni veltroniane, è convinta che, al di là di congressi e assemblee costituenti, il partito debba rispondere prima di tutto a due domande: chi siamo? e perché i cittadini dovrebbero votarci? Partiamo da qui.


Possibile che non abbiate ancora una risposta?
«Dove si siederanno i nostri europarlamentari a Strasburgo? In che rapporti siamo con la gerarchia ecclesiastica? E con i sindacati?».

Sergio Chiamparino, il giorno dopo l’addio di Veltroni, si è fatto domande simili. Chiamparino leader? «Non sarebbe male cominciare a dare responsabilità nazionali ad amministratori locali come Chiamparino. Porterebbero concretezza. La questione del leader però è secondaria ».

Sarà, ma non ci vorrebbe un ricambio generazionale? Ha visto Matteo Renzi? A 34 anni ha vinto le primarie di Firenze...
«A me non dispiace nemmeno Maurizio Martina, segretario del Pd lombardo. Ma prima delle Europee, non è il momento per elementi nuovissimi. Torniamo ai problemi veri».

Il Pd a Strasburgo.
«Intanto penso che le candidature debbano nascere dal territorio. Quelle piemontesi le decideremo qui. E poi non c’è dubbio che i democratici dovrebbero andare nel Pse».

Lei ha detto che lascerà il partito se non succede. Ma se succede non saranno gli ex popolari o i rutelliani ad abbandonare il Pd?
«Non credo»

Ce lo vede Franco Marini, o un mariniano, sui banchi dei socialisti?
«E lei ce lo vede Marini o un mariniano, tra i liberali inglesi? Quelli sono a favore dell’eutanasia».

Lei si disse favorevole a portare Eluana in Piemonte.
«Sono per lo Stato di diritto. Una sentenza mi consentiva di farlo. Il cardinal Poletto arrivò a dire che una legge dello Stato non dovrebbe andare contro la legge di Dio».

Lei replicò che esistono più religioni e che non siamo in un Paese governato dagli ayatollah. Gli ex margheritini della sua maggioranza si ribellarono.
«Ho avuto un parente in condizioni drammatiche. Era cattolico e mi sono guardata bene dal suggerire di staccare la spina. I cattolici dovrebbero avere lo stesso rispetto della volontà altrui».

Si arriverà a una legge sul testamento biologico?
«Se la legge in questione è quella proposta dal Pdl sarebbe meglio di no».

Nel caso passasse, Ignazio Marino ha proposto un referendum abrogativo. Lo appoggerà?
«Sì, ma prima bisogna vedere la legge».

Marino è stato sostituito in Commissione sanità dall’ex teodem Dorina Bianchi.
«Quell’operazione non mi è piaciuta affatto».

Dorina Bianchi sostiene che la vita non appartenga solo all’individuo, ma anche alla collettività.
«Figuriamoci! Io sono ferma all’habeas corpus. Ha presente la Magna Charta del 1215?».

Lei, provocatoriamente, ha anche detto che prima di farsi cattolica, si farebbe valdese.
«Ero seria, non era una provocazione».

Era seria quando ha detto che il gay pride vale una processione religiosa?
«Possono essere entrambe manifestazioni di orgoglio identitario».

Paola Binetti, sua collega di partito, temo che non sia d’accordo.
«Non siamo d’accordo su moltissime cose. Ma sui diritti gli italiani sono più sulle mie posizioni che sulle sue».

Come potete stare nello stesso partito?
«Guardi, il Pd dovrebbe essere un frullato. Sono stati messi i pezzi nel bicchierone, ma nessuno ha mai attivato le pale per frullare».

Non mi pare poco.
«Quando idee e identità saranno frullate, andrà tutto meglio. Certo, resteranno dei pezzi non frullati. Ma chi vuole andare più al centro può confluire nell’Udc, no?».

Lei si è detta favorevole a una alleanza con l’Udc.
«Sì. Anche se ammetto che Cuffaro e l’Udc in Sicilia sono un problema serio».

A sinistra...
«Si è visto che andare da soli non porta lontano. Io sono favorevole alle alleanze con chi ha un programma comune».

Vendola, Mussi, Fava?
«Chiunque non rappresenti le forze del “no”. Coi partiti che non vogliono governare e si mettono sempre e comunque di traverso preferirei non avere a che fare».

Lei quando ha cominciato a fare politica?
«Nel periodo universitario».

A Torino?
«Durante la guerra i miei genitori sono sfollati da Torino a Sanremo. Ma io sono a tutti gli effetti torinese. Nel ’67 andai a Milano per finire economia e commercio. E lì cominciai a frequentare i giovani liberali».

Niente gruppetti extraparlamentari?
«No. Nel ’68 mi sposai e cominciai a fare l’insegnante di matematica, ma era un lavoro che non mi piaceva».

Perché?
«Troppo da donna. Finii alla Programmazione con il primo presidente della Regione Lombardia, Piero Bassetti, e rimasi a Milano 13 anni. Intanto erano cominciate la carriera accademica e la frequentazione dei radicali».

La Milano incendiata degli anni di piombo.
«Ricordo il fragore dell’esplosione di piazza Fontana. Ero lì vicino. Per me quelli furono gli anni delle grandi battaglie per i diritti».

Il primo comizio?
«Alla Statale. Spiegavo perché abolire il codice Rocco, quello che proibiva l’aborto».

Anche lei, come altri radicali, si fece arrestare per difendere il diritto all’aborto?
«No. Però con Franca Rame facemmo una dichiarazione di aborto. Fummo incriminate per autocalunnia».

Non era vero che aveva abortito?
«Non ho mai abortito e non abortirei mai. Ma sono liberale: ognuno deve essere libero di fare le proprie scelte ed esprimere le proprie idee».

Quando ha lasciato i radicali?
«Sono stata una pioniera delle politiche ambientali. Nel ’75, c’erano le amministrative e con alcuni compagni milanesi preparammo un programma avanzatissimo».

Ebbe successo?
«No. Pannella decise che non ci dovevamo candidare. Non voleva crescere una classe dirigente locale, lontana da Roma, e non era interessato all’ambiente».

Lei è stata attaccata dagli ambientalisti perché è favorevole alla Tav.
«Solo degli strani personaggi in Val di Susa pensano che i treni siano contro l’ambiente».

Gli strani personaggi sono preoccupati per l’impatto ambientale.
«Lì i problemi sono tecnici, non ambientali».

Al fianco degli abitanti della Val di Susa ci sono molte associazioni ambientaliste.
«C’è un ambientalismo progressista e un ambientalismo di pura conservazione. Il secondo a me non piace».

Dopo l’esperienza coi radicali...
«Università e università... Poi, nel 1985, Livia Turco mi chiese di candidarmi alle regionali col Pci».

Una liberal-radicale nelle liste comuniste?
«Come indipendente. Mi chiesero di iscrivermi al partito, dissi che non l’avrei fatto se prima non avessero cambiato nome. Nel ’91, presi la tessera del Pds».

Chi le propose di fare la presidente di Regione?
«Chiamparino. Accettai perché a me piacciono le battaglie. Non ho paura di niente».

Non esageri.
«È così. Chi ha coraggio è anche un po’ incosciente».

Un esempio della sua incoscienza?
«A diciassette anni, con mia sorella andammo a curiosare alla Cetra di Torino. Eravamo del fan club del Reuccio, Claudio Villa. Lui, che ci conosceva, ci disse che era lì per registrare una canzone, ma non gli avevano fornito il testo, e ci chiese, scherzando, se avevamo qualche idea. Beh, mi misi lì...».

E che cosa fece?
«Scrissi. Ne venne fuori il pezzo Un furibondo twist. Non un successo, ma insomma...».

Dopo il Piemonte a che cosa punta?
«Al Piemonte».

Un secondo mandato da presidente?
«Certo. Devo finire il lavoro qui. Ora sto studiando uno statuto speciale che dia alla macro-regione Piemonte- Liguria, maggiori competenze».

Quali competenze?
«Quelle che hanno la Sicilia e il Trentino».

Ultra-federalista.
«Ed europeista. Io ero federalista, seguace di Cattaneo, quando i leghisti non erano nati».

Che cosa ne pensa del progetto di federalismo di Calderoli?
«Che è il trionfo di Vasco Errani. E ha poco a che fare con il vero federalismo».

Che cosa c’entra Errani, governatore dell’Emilia-Romagna?
«Calderoli ha adottato un vecchio progetto di Errani che era alla base del federalismo del governo Prodi. Quando il leghista l’ha sottoposto a noi presidenti di Regione ci è venuto da ridere. Io comunque sono per un federalismo molto più spinto. Alla Svizzera».

Lei è stata radicale, ambientalista e ora è nel Pd. Mi ricorda un altro politico...
«Francesco Rutelli?».

Solo che ora, lei e Rutelli, sembrate il diavolo e l’acqua santa. Non una sola posizione in comune.
«Mia nonna, parlando di mia madre, diceva: “È come se me l’avessero cambiata”. Beh, con Rutelli è lo stesso: non lo riconosco più».

Se lo ricorda...
«Certo, il prediletto di Pannella».

C’erano anche Eugenia Roccella e Gaetano Quagliariello, ora vicinissimi alla Chiesa.
«Hanno atteggiamenti da spretati. Demoliscono il loro passato. Io capisco le scelte personali, religiose, ma non la perdita della laicità».

A cena col nemico?
«Non mi piace l’immagine di due avversari che vanno a cena insieme».

Un nome me lo faccia.
«Lombardo, il governatore della Sicilia. Il suo alleato principale, Cuffaro, è inquietante. Ma lui ha l’idea di un Sud che prende per mano se stesso e che non si fa difendere dallo Stato. Molto interessante».

Lei ha un gruppo di amici storici?
«La figlia di mio marito, Silvie, che ha più di quarant’anni, e poi Pierre e Marica, professori universitari. Ho amici sparsi in tutto il mondo».

La scelta che le ha cambiato la vita?
«Mio marito, Claude Raffestin. L’ho incontrato nel 1974 a un convegno di Bassetti sulle Alpi. L’ho visto e ho deciso che era il mio uomo. »

La comandoira.
«Eravamo entrambi sposati. Per molti anni abbiamo fatto gli “international commuters”: ci dividevamo tra Milano e Ginevra».

L’errore più grande che ha fatto?
«Interrompere l’insegnamento accademico. Ma non potevo fare altrimenti».

Da associata a Red, ha mai visto Redtv?
«L’ho cercata una volta sul satellite. Ma se devo essere sincera sto poco davanti al teleschermo e non guardo i dibattiti televisivi».

Niente Matrix, niente Porta a porta?
«Il blablabla dei salotti tv è molto romano. È un avvitamento della politica su se stessa. Non credo che interessi davvero ai cittadini».

Domande finali. La sua canzone?
«Contre vents et marees, di Serge Reggiani».

Il film?
«Deserto rosso, di Antonioni».

Il libro?
«Memorie di Adriano, della Yourcenar. Ma è difficile scegliere. Leggo qualunque cosa».

E scrive. «Ad aprile esce Il profilo del tartufo, un giallo di territorio».

Li ha letti i libri di Walter Veltroni e Dario Franceschini?
«No, ammetto di no».

Oltraggio.
«Evito di leggere gli scritti dei politici».

Punta a vendere più di Veltroni?
«Non sarebbe male. Coi guadagni comunque non comprerei una casa a New York, come ha fatto lui».

Bresso, tra le sue passioni, però, c’è anche quella di comprar case. Uno schiaffo alla gauche pauperista.
«Io sono sobria e risparmiatrice. Però se trovo qualche affare...».

Ha molte case?
«Una a Superga, dove vivo, una a Latte, uno studio a Parigi e un terreno sul Lago d’Orta. Tutte pagate molto poco».

Cultura generale. Quando è caduto il muro di Berlino?
«Novembre ’89. Ero in Svizzera. Un’emozione così la provai solo quando cadde il dittatore portoghese Salazar».

Quanto costa un litro di benzina?
«Un euro. Ho appena comprato una Panda metano-benzina, natural power».

Segue le regole ambientaliste di Al Gore?
«Sì. E cerco di applicarle anche in Piemonte. Vorremmo convincere i cittadini a coibentare le case».

Ha un profilo su Facebook?
«Ebbene sì. E ho un mucchio di amici. Il dibattito nei miei spazi on line è molto civile».

L’articolo 7 della Costituzione?
«È quello del Concordato, i rapporti Stato-Chiesa».

I patti Lateranensi...
«Anche se nella versione craxiana sono accettabili, sì, sarebbe il momento di abolirli».

Vittorio Zincone

24 febbraio 2009
da corriere.it
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