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Autore Discussione: MINNITI: I fascisti hanno dichiarato guerra alle idee. -  (Letto 6252 volte)
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« inserito:: Maggio 24, 2008, 12:53:35 am »

Minniti: «Ci sarà il collasso del sistema giudiziario»

Massimo Solani


«Una parte significativa del pacchetto sicurezza è la trasposizione testuale di quanto era contenuto nel pacchetto Amato, che avevamo costruito con un lavoro durato mesi in collaborazione con sindaci e presidenti di Regione». Ha un rimpianto Marco Minniti, ministro dell’Interno del governo ombra e vice di Giuliano Amato nei giorni del naufragio del pacchetto sicurezza proposto dal governo Prodi. «Aver bloccato quelle norme che rispondevano ad una esigenza reale del paese - spiega - ha fatto sì che toccasse alla destra affrontare quelle questioni, con l’approccio che tutti possiamo oggi valutare. La nostra incapacità ha pesato inevitabilmente anche sul risultato delle elezioni: era chiaro ed evidente che il tema della sicurezza sarebbe stato centrale in campagna elettorale».

Onorevole Minniti, quali sono le parti del nuovo pacchetto sicurezza “fotocopiate” dal testo Amato?
«Tutta la partita sull’impegno contro la criminalità organizzata, ad esempio, nelle prime bozze non c’era. È stata inserita successivamente e su nostro input, sia le norme che riguardano l’abolizione del patteggiamento in appello per i reati di mafia sia quelle per lo snellimento delle pratiche di confisca dei beni mafiosi. E poi la banca dati del Dna, i nuovi poteri ai sindaci, la cooperazione con le polizie municipali, la distruzione delle merci contraffatte e le norme studiate per la tutela dei minori. Segno che avevamo fatto un buon lavoro, ma è un dato di rimpianto ulteriore. E lo dico anche ai colleghi della sinistra radicale che allora non compresero sino in fondo l’importanza di queste norme. Noi non siamo riusciti a produrre un risultato serio, pur avendo capito l’importanza della partita».

Nel testo licenziato mercoledì, però, c’è molto altro. E di differente. Specie in materia di immigrazione.
«La cosa che divide in maniera netta le loro scelte dalle nostre è il modo di intendere la lotta all’immigrazione clandestina e alla criminalità. Noi la riteniamo fondata su due binari paralleli: quello della integrazione di coloro che vengono per lavoro e quello dell’allontanamento di quanti invece delinquono. Il governo Berlusconi, seguendo la strada del reato di immigrazione clandestina, ha scelto di cavalcare una bandiera politica più che uno strumento davvero efficace».

Si mette sullo stesso piano tanto gli immigrati irregolari che delinquono quanto quelli che invece lavorano e hanno una casa. Hegel direbbe che è “la notte dove tutte le vacche sono nere”.
«Esattamente. Quando mi oppongo all’introduzione del reato di immigrazione clandestina non lo faccio per motivi ideologici, come dice Maroni. Anzi, io vedo molta ideologia nella loro proposta. Il mio è un no che nasce da due elementi fondamentali: quel reato, per come è proposto, è inefficiente e controproducente».

Andiamo per ordine. Perché inefficiente?
«Dire che la clandestinità è un reato significa passare dall’allontanamento per via amministrativa a quello per via giudiziaria, trasferendone la competenza al sistema giudiziario italiano con i suoi tempi, e soprattutto le sue regole: che prevedono tre gradi di giudizio. Per cui nessuno potrà più essere espulso prima della sentenza definitiva espressa dalla Cassazione. Pensiamo soltanto a quanto tempo ci vorrà prima che l’allontanamento diventi effettivo, se poi lo sarà mai. Tutto questo senza parlare del rischio collasso di un sistema giudiziario già gravemente in difficoltà. Un pericolo peraltro denunciato anche dall’Associazione Nazionale Magistrati».

E perché controproducente?
«Perché è uno strumento cieco, che mette insieme cose che insieme non possono stare. Mette insieme gli immigrati che sono già in Italia, che lavorano ed hanno una casa (come prescrive la Bossi-Fini), con coloro che compiono reati. Le badanti con i clandestini che fanno gli scippi o compiono gli stupri. Questo significa che se ospito a casa mia una badante irregolare posso essere perseguito per il reato di favoreggiamento, come se io fossi trafficante di uomini. Un rischio che riguarda i cittadini comuni, dobbiamo dirlo con chiarezza. Prendiamo la misura della confisca degli appartamenti affittati ai clandestini: per la norma sono sullo stesso piano la vecchietta che affitta una stanza alla colf extracomunitaria e senza permesso di soggiorno agli aguzzini che cedono un materasso a 200 euro al mese in una camera con altre venti persone. Gente che si arricchisce sfruttando la disperazione dei più deboli».

Pubblicato il: 23.05.08
Modificato il: 23.05.08 alle ore 14.57  
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« Ultima modifica: Giugno 26, 2018, 04:24:28 pm da Arlecchino » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Giugno 05, 2008, 09:35:53 pm »

Minniti: governo nel caos usa il reato come una bandiera

Maristella Iervasi


«C’è grande confusione dentro la destra al di là della luna di miele e della tanto sbandierata omogeneità della maggioranza. Nel governo è in atto uno scontro politico - sottolinea Marco Minniti, ministro ombra dell’Interno - che in maniera implicita tenta di ridefinire il ruolo di Berlusconi: non tanto come presidente del Consiglio che parla all’Italia ma come capo di una coalizione di partiti. Di conseguenza Berlusconi è costretto a pattinare, anche con un certo impaccio, su una questione rilevante com’è quella della sicurezza e l’immigrazione. Prova ne è la retromarcia sul reato di clandestinità. Una misura rigida e cieca che non distingue tra nuovi clandestini e badanti che loro malgrado potrebbero tornare in un futuro irregolari. Il Pd ha avuto il merito di portare alla luce tutte le contraddizioni della maggioranza. C’è una opposizione che morde e obbliga Berlusconi al pattinamento».

Reato di immigrazione clandestina: dalla faccia feroce alla retromarcia. È già finita la luna di miele?
«Quando si derubrica come opinione personale dichiarazioni riprese da tutte le tv, c’è poco da interpretare. È qualcosa che investe il ruolo del presidente del Consiglio: ha parlato a conclusione di un importante incontro internazionale. Quindi, da premier. Ridurre il tutto ad una opinione personale è francamente sconcertante. Segno evidente di una levata di scudi che attraversa il Pdl».

Ed è per via di questo scontro politico in casa che il premier pattina? O la retromarcia è dovuta alle pressioni del Vaticano?
«Berlusconi ha avvertito che il modo con il quale il suo governo sta affrontando la lotta alla criminalità - problema vero e serio del paese - comincia a manifestare crepe. Ha compreso che in realtà la passeggiata lungo il muro del consenso è più complicata. Che il reato di immigrazione clandestina appare sempre più una bandiera politico-ideologica. Da qui le riserve del mondo cattolico, della magistratura, della giustizia e dell’imprenditoria».

Il capo della polizia Manganelli ha lanciato l’allarme sulla mancanza della certezza della pena. Esattamente come il Pd. Il reato di clandestinità rischia davvero di non avere efficacia sulle espulsioni?
«Renderà meno efficace la vera lotta alla criminalità e farà esplodere il sistema della sicurezza del paese. Non si può rispondere all’allerta sull’indulto quotidiano caricando il sistema giudiziario e carcerario. Il nuovo reato in questione - che oggi può apparire popolare - può rovesciarsi nel suo opposto. Mentre occorre velocizzare e colpire i pregiudicati».

Reato di clandestinità, misura in qualche modo cieca. Qualche esempio: a chi verrebbe applicato?
«Ammettiamo che un egiziano venga fermato e sottoposto all’espulsione: ha diritto a presenziare in tutti i tre gradi di giudizio».

Quindi cosa succede?
«Se nel primo grado è condannato viene espulso e rispedito in Egitto. Poi, siccome ha diritto alla difesa dell’appello la polizia lo deve riprendere e riportare in Italia e qualora rivenisse condannato l’immigrato irregolare deve tornare nuovamente nel suo paese. Avanti e indietro così fino alla pronuncia finale della Cassazione. Con un aggravio di costi e impiego di personale di polizia, dando per scontato che in tutti questi viaggi la persona in questione non scompaia».

Altro caso: una badante oggi regolare per un malaugurato motivo perde il posto di lavoro e diventa irregolare. Potrebbe essere incriminata di clandestinità?
«Il nuovo reato non è retroattivo, si dice che varrà solo per i nuovi ingressi irregolari e non per chi è già qui. Ma per come è formulata la misura non distingue: si presta ad una interpretazione vaga lasciando aperto il problema delle centinaia di migliaia di immigrati rimasti fuori dall’ultimo decreto flussi, che hanno casa e lavoro e vanno regolarizzati. Sta proprio qui la contraddizione: devi affrontare questo tema prima di immettere un nuovo reato, altrimenti a rischiare potrebbe essere in un futuro anche la colf che prima era regolare».

E chi entra con un visto e poi resta sul territorio?
«Nel mare magnum della clandestinità io Minniti clandestino posso dire che ci stavo già prima. La clandestinità come è noto non ha data di ingresso. Quindi ammettiamo che il nuovo reato entri in vigore il 5 agosto ed io vengo fermato, sarei uno sciocco se mostrassi un documento: dirò che ho smarrito il passaporto e che sono arrivato in Italia lo scorso anno».

Berlusconi con la sua retromarcia: solo aggravante per chi delinque e non reato, ha dato ragione all’opposizione. Un bel successo, ma il Pd cosa farà sul pacchetto sicurezza?
«Presenteremo un pacchetto di emendamenti: da un lato in segno correttivo, dall’altro propositivi con misure che non sono presenti nel decreto e non riguarderanno solo l’immigrazione».

Le anticipi allora.
«La nostra linea è quella non di un reato cieco ma di saper distinguere: sì all’integrazione per chi ha casa e lavoro ed espulsioni effettive per chi sta nell’area o nel confine della criminalità. Va inoltre perseguito penalmente chi si rifiuta di fornire le generalità: chi si brucia i polpastrelli vuol dire che ha qualcosa da nascondere. Nel contempo servono anche misure amministrative per prevenire l’autolesionismo di chi è colpito da espulsione. Sono senza parole per l’assalto leghista al campo Sinti di Mestre: una deriva ottusa. Quelle persone sono cittadini veneziani che hanno persino fatto il militare».

Aggravante: se è una misura per colpire la pericolosità sociale, perche legarla al colore della pelle? Perché un terzo della pena in più solo per l’immigrato? L’italiano non delinque?
«Gli italiani delinquono come gli immigrati. La Bossi Fini ha prodotto clandestinità e questa non c’entra con la preoccupazione della criminalità. Per quanto riguarda l’aggravante, per come è formulata nel decreto è l’anticamera del reato di clandestinità. Ho fortissime riserve: non si può stabilire una differenza di pena a seconda da chi lo commette. Introduce un principio discriminatorio. Altra cosa è invece il clandestino espulso che violando il divieto di reingresso delinque».

Pubblicato il: 05.06.08
Modificato il: 05.06.08 alle ore 8.52   
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« Risposta #2 inserito:: Marzo 22, 2017, 12:47:58 pm »

Decreto sicurezza, Minniti respinge le polemiche: "Non è una legge di destra"
L'irritazione del ministro dell'Interno: Chi parla di sindaci sceriffi non ha letto quel testo. Vogliamo contrastare il crimine, non i clochard"


Di CARLO BONINI
18 marzo 2017

ROMA - Il ministro dell'Interno Marco Minniti è un calabrese allergico ai tartufismi. Va dritto. "Quindi il decreto sulla sicurezza urbana sarebbe una legge di destra... Straordinario... Forse perché qualcuno non l'ha letto". E capovolge la prospettiva. "Allora qualcuno mi risponda: è di destra una legge che sottrae la definizione delle politiche della sicurezza nelle nostre città alla competenza esclusiva degli apparati, trasformando la sicurezza in bene comune e chiamando alla sua cogestione i rappresentanti liberamente eletti dal popolo, vale a dire i sindaci? È di destra un decreto che, per la prima volta nella storia repubblicana, risponde a una legittima richiesta di sicurezza con il solo strumento amministrativo, senza aumentare le pene o introdurre nuovi reati? È di destra un provvedimento che è stato scritto a quattro mani con l'Anci, con sindaci italiani che vanno da Zedda a Nardella, da Decaro a Sala?".

Come per il protagonista del celebre film del regista russo Nikita Sergeevic Mikhalkov, "Amico tra i nemici, Nemico tra gli amici", nel destino di Minniti c'è un ricorrente paradosso che racconta molto della Sinistra italiana, della scarsa dimestichezza di una sua parte quando si tratta di mettere mano, conciliandoli, a diritti cruciali e apparentemente confliggenti come "sicurezza" e "libertà". E anche per questo, forse, proprio quell'accusa di essere padre di una "legge di destra", insieme all'obiezione, opposta, di molti sindaci che avrebbero voluto strumenti penalmente più penetranti (come l'obbligo di arresto in caso di recidiva dopo il Daspo), convince Minniti di essere sulla strada giusta. "L'unica percorribile, perché in grado di declinare le politiche della sicurezza in chiave moderna, democratica, e inclusiva. Dunque rinunciando a declinarla solamente come ordine pubblico. La dico semplice: perché una piazza sia sicura la notte, è necessario che sia presidiata da una macchina della polizia, non c'è dubbio. Ma anche che quella piazza sia illuminata e resa agibile da politiche sociali di inclusione, oltre che di decoro urbano. Ecco, il mio decreto sulla sicurezza è questa cosa qui".

Ci sarebbe anche bisogno, se si parla di sicurezza, che gli apparati siano trasparenti e responsabili - va aggiunto - come pure il decreto nella sua versione originaria indicava, introducendo, con un emendamento, il codice identificativo per i reparti impegnati nell'ordine pubblico. Emendamento poi ritirato. "Solo per ragioni tecniche - dice Minniti - Perché quella norma, per ragioni di procedibilità, come accaduto ad un'analoga iniziativa dei Cinque Stelle in commissione, non poteva appunto essere oggetto di un emendamento. Quindi, rassicuro tutti. Introdurrò l'identificativo di reparto per le forze dell'ordine impegnate nell'ordine pubblico. E non perché di sinistra. Ma perché, banalmente, è giusto e così si fa in altri grandi e importanti Paesi europei".

Negli argomenti di Minniti, è l'irritazione profonda anche per un secondo, "strumentale" argomento. Che in quelle norme si nascondano, insieme, "classismo", da un lato, e condiscendenza per le pulsioni d'ordine di qualche sindaco sceriffo. "Questa idea che il decreto serva ai sindaci per ripulire i centri storici delle città, confinando i marginali ancora più ai bordi, significa semplicemente non aver letto quel decreto. Il sindaco non ha nessun potere di disporre il daspo, vale a dire l'allontanamento amministrativo di un soggetto da una determinata area della città, perché quel potere è e resta dei questori. Il sindaco ha solo il potere di segnalare le aree urbane su cui concentrare gli sforzi di controllo del territorio. Inoltre, l'obiettivo di questo strumento non saranno i clochard o chi rovista in un cassonetto della spazzatura, ma, per dirne una, qualche spacciatore seduto davanti a una scuola o una discoteca, o magari un writer cui sarà chiesto di ripulire un bene comune che ha imbrattato".

Ancora una volta, dunque, un capovolgimento degli argomenti. "Classista non è il decreto. Classista è il modello da cui questo decreto divorzia. Quello che abbiamo avuto sin qui. Un modello di sicurezza che la garantisce solo a quei soggetti forti che sono in grado di assicurarsela privatamente o che hanno la forza per negoziarla politicamente. Insisto: cosa c'è di più democratico di Comitati provinciali per l'ordine e la sicurezza pubblica presieduti da un prefetto e un sindaco che, insieme, definiscono le strategie per il controllo e la sicurezza del territorio? Si dirà: ma se il sindaco è di destra? Sempre un sindaco è. E, soprattutto, è un sindaco liberamente eletto dal popolo".

IL COMMENTO DI SAVIANO: PER IL CONSENSO, CONTRO I DISPERATI
C'è infine un paradosso. Che da Sinistra - "quasi per autocertificazione", osserva sarcastico il ministro - venga contestato un modello che, ribaltando il rapporto tra il centro e la periferia, "devolve ai rappresentanti delle comunità la sicurezza dei luoghi che, solo le comunità, più di chiunque altro, conoscono e sono dunque in grado di proteggere al meglio". Un modello che, per altro, rende il prezzo della inevitabile compressione delle libertà di fronte alla minaccia, quale essa sia, terroristica piuttosto che del crimine organizzato, più tollerabile. Proprio perché condiviso. "Lo ripeto - si appassiona Minniti - io, scrivendo il decreto insieme ai sindaci non avevo in testa il clochard o l'ambulante immigrato. Io avevo in testa non solo quello che è successo a Berlino in dicembre quando si è visto cosa può accadere se non si protegge adeguatamente un mercatino rionale. Avevo in testa quello che ho ascoltato da molti sindaci del nostro Mezzogiorno quando mi spiegavano che l'infiltrazione della criminalità organizzata nel tessuto urbano passa anche per i parcheggiatori abusivi. Avevo in testa il bene comune. Lo chiamano destra? Io dico che è l'Italia, vista dal mio punto di vista, quello della sinistra riformista. Chi dice che rinuncia alla libertà per la sicurezza è un cattivo maestro. Sicurezza è libertà. Non c'è nessun posto sicuro se non è garantita la libertà di frequentarlo. Non c'è nessuna libertà se non viene garantita la sicurezza del libero andare".


© Riproduzione riservata 18 marzo 2017

Da – http://www.repubblica.it/politica/2017/03/18/news/decreto_sicurezza_minniti_respinge_le_polemiche_non_e_una_legge_di_destra_-160816527/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P1-S1.6-T1
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« Risposta #3 inserito:: Luglio 16, 2017, 05:20:37 pm »

Lavoro per frenare i trafficanti, il piano di Minniti per la Libia

Giovedì il ministro a Tripoli per convincere le tribù a fermare i flussi di migranti


Pubblicato il 11/07/2017

FRANCESCO GRIGNETTI
ROMA

Occhi puntati oggi su Varsavia, alla sede centrale di Frontex, l’agenzia europea delle frontiere, dove si vedono i rappresentanti dei governi che partecipano alla missione Triton, nel Mediterraneo centrale. Riunione chiesta dall’Italia. Da parte nostra ci sarà il prefetto Giovanni Pinto, direttore centrale della Polizia delle Frontiere, con il mandato di «ridiscutere» un pilastro della missione, ossia lo sbarco in Italia (e non nei porti di Francia, Spagna o Malta) dei migranti che vengono recuperati sulle navi che operano nell’ambito di Triton.
 
Altra questione, ma intrinsecamente collegata agli sbarchi, sono i salvataggi a cura delle navi umanitarie. È in preparazione un codice di condotta per le Ong a cura dell’Italia, che l’Europa tutta intende fare proprio. E non sarà uno scherzo farlo digerire alle associazioni. Giusto per capire le posizioni, ieri la presidente della Camera, Laura Boldrini, ha seccamente detto: «Dico no a un codice ad hoc solo sulle Ong. Non bisogna rendere il loro lavoro più complicato. Quel codice rispediamolo al mittente. Dopodiché, se una Ong ha rapporti non trasparenti, se dimostrato, ne risponda davanti alla legge». Infine, un invito ai ministri dell’Interno: «Prima di riunirsi nei loro vertici partecipino a un salvataggio: capiranno che vuol dire».
 
LEGGI ANCHE - “Triton è una missione dell’Italia, non tocca a noi cambiare regole” (M. Bresolin) 
 
Se a Varsavia si parlerà dell’accoglienza di chi arriva, due giorni dopo a Tripoli sbarca Minniti in persona per discutere con i libici di come non far partire troppi migranti. Il ministro ha in calendario una riunione con i sindaci delle città meridionali della Libia, in particolare del Fezzan, i quali si preoccupano che sul flusso di migranti sia ormai nata e prosperi un’economia specifica. Se davvero si vuole frenare il flusso di migranti illegali che risale dall’Africa, avevano spiegato i sindaci del Fezzan in una riunione precedente a Roma, occorre che nasca un’altra economia. Di qui di nuovo la richiesta di aiuto all’Italia (che con la Libia ha stipulato a febbraio un accordo bilaterale, poi appoggiato dai Ventotto).
 
Qualche idea è stata messa a punto. C’è il progetto di arruolare in una nascente Guardia di frontiera un certo numero di miliziani dei clan Tuareg e Tebou (le due principali etnie che si contendono il Fezzan) per utilizzarla a difesa delle frontiere e non il contrario: dopo Tallinn, ora anche i ministri europei dell’Interno appoggiano ufficialmente la nascita in Libia di questa Guardia di frontiera che nel deserto dovrebbe fare lo stesso lavoro della Guardia costiera.
 
I sindaci del Fezzan chiedono però di passare dalle parole ai fatti anche su altri dossier. Attendono che si concretizzino gli aiuti promessi per realizzare strade, aeroporti, ospedali e infrastrutture. Spiegava il ministro Minniti nei giorni scorsi: «Il traffico di esseri umani, purtroppo, oggi è uno dei principali canali economici di cui la Libia vive. Nel momento in cui si punta a stroncarlo, è chiaro che bisogna offrire a quelle popolazioni un circuito economico alternativo».
 
Si pensa anche a gemellaggi tra comuni italiani e libici. E se poi alla riunione di Tripoli ci saranno altre richieste di parte libica, Minniti, che al momento è l’unico in grado di andare e venire dalla Libia, dove lo considerano un interlocutore affidabile, ha annunciato che è pronto a prendere nota per poi ripartire con il discorso europeo. A Tallinn, infatti, per la prima volta i Ventotto si sono resi conto che è ora di non lesinare più sui finanziamenti alla Libia a meno di non finire sommersi.
 
Matteo Renzi, intanto, recrimina perché l’hanno messo in croce per una frase. «Dovremmo mettere un tetto massimo oltre il quale l’Italia non può fare di più, ma dentro il quale si facciano politiche di accoglienza vere», ribadisce. «Il piano per l’Africa deve essere collegato al blocco delle partenze. Questo non è razzismo. È un elemento di buon senso». 

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Da - http://www.lastampa.it/2017/07/11/esteri/lavoro-per-frenare-i-trafficanti-il-piano-di-minniti-per-la-libia-eCb3N6wHgp5IHuEnR5vcNJ/pagina.html
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« Risposta #4 inserito:: Agosto 12, 2017, 05:10:11 pm »

Minniti: “La linea del governo è la mia”.
Delrio: “Io non cerco popolarità”
Braccio di ferro nell’esecutivo.
Gentiloni: con il codice vince lo Stato e perdono gli scafisti

Pubblicato il 09/08/2017

GRAZIA LONGO, FRANCESCA SCHIANCHI
ROMA

Ha vinto la mia linea perché di fatto è la linea del governo». All’indomani dell’incidente più grave della breve vita del governo Gentiloni, risolto con l’intervento del capo dello Stato, il ministro dell’Interno Marco Minniti, prima di salire sul palco della Festa dell’Unità di Certaldo, vuole vincere, ma non stravincere. Minimizza gli attriti con il collega delle Infrastrutture Graziano Delrio, ma rivendica ancora una volta la sua posizione: «Il regolamento delle Ong lo vuole il governo: per questo è inevitabile che la Guardia costiera in futuro non possa che tenerne conto». Che è come avvertire Delrio: le Ong ribelli devono essere autorizzate a intervenire solo in caso di estrema urgenza. 

Nell’esecutivo torna un’apparente calma dopo la tempesta: il premier Paolo Gentiloni va al Tg1 delle 20 e tenta di chiudere la vicenda ricordando come «il codice dei migranti è un pezzo fondamentale di una strategia d’insieme sull’immigrazione» che «sta producendo pian piano risultati», per cui «vince lo Stato e perdono gli scafisti». Il ministro degli Esteri Alfano prende le distanze dichiarandosi contrario «al derby tra rigore e umanità», mentre il presidente della Repubblica Mattarella, omaggiando le vittime di Marcinelle, sottolinea le sofferenze dei migranti di ieri e di oggi, e a qualcuno della “linea Delrio” pare un tentativo di dare una carezza anche alla loro sensibilità. Ma da quelle parti resta una diffusa irritazione per l’atteggiamento del titolare del Viminale. 
 
«Io faccio il tifo per Minniti e sono contento se diventerà più popolare: ma se lui insegue la popolarità, io sono diverso», si lascia andare il titolare delle Infrastrutture Graziano Delrio a qualche battuta tagliente con i collaboratori. «Condivido l’importanza del codice per le Ong: ma è frutto di un approccio all’emergenza che viene dal governo Renzi e continuato poi da Gentiloni», si sfoga, come a sottolineare che non può essere il solo capo del Viminale a intestarsi ogni merito di un lavoro lungo e collettivo. Quello che ieri altre fonti renziane nel governo ripetevano: i due decreti che portano il nome del titolare dell’Interno, su immigrazione e sicurezza urbana, hanno iniziato la loro gestazione con il suo predecessore Alfano, e rispetto alla prima versione “minnitiana” sono stati depurati e rivisti perché considerati a rischio incostituzionalità. Così come i fondi per l’Africa o il lavoro con la Guardia costiera libica. Lui, sottolineano, guarda con piacere a una certa attenzione mediatica, «la popolarità», la definisce Delrio: «Io sono diverso, ho una vita privata che mi soddisfa grazie alla quale sono riuscito a stare vicino a Renzi in questi anni». 
 
Nel merito poi il titolare delle Infrastrutture si è sgolato in questi giorni a spiegare che la chiusura dei porti non è contemplata dal regolamento per le Ong, un protocollo che deve coesistere con il soccorso in mare, e che il ministero dell’Interno non può dare ordini alla Guardia costiera. Non solo: pure sull’ormai famoso trasbordo di migranti dalla nave di Msf alla Guardia costiera, qualche sera fa, insiste a dire che il Viminale era avvisato con anticipo. «Io sono consapevole e orgoglioso di essere cattolico e terzomondista – l’ha sentito dire qualche amico ieri – ma ciò non toglie che voglio una lotta dura e seria agli scafisti». Una posizione che gli sarebbe piaciuto spiegare al collega dell’Interno, se solo si fosse presentato al Consiglio dei ministri di lunedì. Il premier aveva fatto sapere a entrambi che avrebbe preferito evitare la discussione nel mezzo della riunione di governo, ma era disponibile a “mediare” dopo: solo che, come ormai noto, Minniti ha preferito non presentarsi. Una scelta inspiegabile per Delrio, che aspettava ieri una telefonata chiarificatrice del collega. Non è arrivata: solo una ricostruzione a distanza, dal palco della Festa dell’Unità.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/08/09/italia/politica/minniti-la-linea-del-governo-la-mia-delrio-io-non-cerco-popolarit-XeZJgvWyVuImiuaD515hfL/pagina.html
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« Risposta #5 inserito:: Settembre 01, 2017, 12:01:57 pm »

Minniti: "Sui migranti ho temuto per la tenuta democratica Paese"
Il ministro dell'Interno alla festa dell'Unità di Pesaro.
"Timori davanti all'ondata degli sbarchi e alle problematiche avanzate dei sindaci, per questo dovevamo agire come abbiamo fatto non aspettando più gli altri paesi europei".

29 agosto 2017

"Ad un certo momento ho temuto che, davanti all'ondata migratoria e alle problematiche di gestione dei flussi avanzate dei sindaci, ci fosse un rischio per la tenuta democratica del Paese. Per questo dovevamo agire come abbiamo fatto non aspettando più gli altri paesi europei". Così parla il ministro dell'Interno Marco Minniti alla Festa dell'Unità di Pesaro.

"Quando il 29 giugno sono arrivati 12 mila 500 migranti in sole 36 ore su 25 navi diverse", ha ricordato il capo del Viminale, "la situazione era davvero difficile e io quel giorno sono dovuto tornare subito dell'Irlanda. Non potevamo continuare a gestire in questo modo i flussi migratori e abbiamo agito in modo nuovo. Ora l'Europa ci ringrazia per questo. Il Mediterraneo centrale e tornato al centro dell'attenzione dell'Unione europea".

Quanti soldi servono per fermare il flusso migratorio? è stato chiesto al ministro dell'Interno: "Almeno quanto è stato speso per la rotta dei Balcani: 3 più 3 miliardi". Ma Minniti aggiunge anche: "Se un uomo fugge da guerre e carestie io ho il dovere di accoglierlo come Dio comanda".
Quanto ai rapporti con la Libia,  "il traffico di esseri umani è attualmente la principale attività economica in alcune realtà del paese, a cominciare da Sabrata. Per combatterlo occorre fornire sostegno ai sindaci dalle città libiche costruendo con loro percorsi alternativi che li aiutino a realizzare uno sviluppo futuro diverso e stabile".

"Sono rimasto positivamente stupito - ha aggiunto - dal livello dei masterplan che ci hanno presentato a Tripoli nel luglio scorso i sindaci delle 14 città della Libia che abbiamo incontrato insieme ai delegati dell'Anci. Per questo dico loro che se ci aiuteranno nella lotta al traffico di esseri umani e nella gestione dei flussi migratori provenienti dall'Africa centrale noi li sosterremo nella creazione di un circuito economico nuovo nei loro territori". Minniti ha affermato anche che l'Organizzazione mondiale per i migranti ha attuato in Libia, dal gennaio al giugno di questo anno il rimpatrio assistito di 5 mila rifugiati che sono tornati nei paesi di origine. "E' ancora poco - ha sottolineato il ministro - ma questo significa che il sistema puo funzionare. Complessivamente, la stessa Oim ha salvato fino ad ora 10 mila persone".
Migranti, Gentiloni: ''Oggi un primo passo avanti, ma serve una strategia comune''

Si parla anche della legge sullo Ius soli, che il ministro auspica di "approvare subito, una legge di civiltà". Sottolineando che "il problema dell'immigrazione non c'entra nulla con questo progetto, ed è particolarmente ponderata. E' elemento importante della politiche di integrazione e favorisce la creazione di un paese più sicuro non più debole. Sullo ius soli si gioca il futuro del nostro paese", ha aggiunto Minniti: "Quelli che hanno colpito in Europa negli ultimi attentati non venivano da fuori ma erano persone non integrate nei loro sistemi. Se vogliamo più sicurezza", ha rimarcato il ministro dell'Interno, "dobbiamo fare meglio e non far aspettare 18 anni per dare la cittadinanza a ragazzi che sono italiani".
Minniti: "Sui migranti ho temuto per la tenuta democratica Paese"
 
"L'Italia è a rischio attentati?" è la domanda diretta al ministro. Che risponde: "Partiamo dal presupposto che io sono scaramantico, e quindi 'mai dire mai', però ricordiamoci che, a differenza di tutti gli altri Paesi, l'Italia viene da due vittorie: abbiamo sconfitto il terrorismo interno e il terrorismo mafioso, quando la mafia decise di mettere le bombe. I responsabili di quelle decisioni sono tutti al 41 bis. E poi - ha aggiunto - abbiamo la migliore polizia, e non lo dico io, sarebbe facile, lo dicono i nostri partner internazionali".
 
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« Risposta #6 inserito:: Dicembre 08, 2017, 10:31:55 am »

Minniti: «I fascisti hanno dichiarato guerra alle idee. La risposta dello Stato sarà dura»

«Non si può essere violenti con chi pensa cose diverse da noi. Passato questo limite non si torna più indietro».
Il ministro critica duramente il blitz di Forza Nuova nel corso di un lungo colloquio con Marco Damilano.
E sullo Ius Soli: «È fondamentale per il futuro del paese»

DI FEDERICO MARCONI
07 dicembre 2017

Minniti: «I fascisti hanno dichiarato guerra alle idee. La risposta dello Stato sarà dura»
«"Hanno dichiarato guerra alle idee". È questa la prima cosa che ho pensato appena ho saputo dell’azione di Forza Nuova sotto la redazione dell’Espresso. E in una democrazia questo non è possibile. Il rispetto per le idee degli altri non può mai mancare. La Repubblica italiana si fonda sull’antifascismo e sulla libertà di stampa. E su questi due punti non si può transigere. Non possiamo sottovalutare queste azioni, che hanno un altissimo valore simbolico. Queste azioni devono essere perseguite dalla legge, ma nel rispetto delle regole e degli strumenti della democrazia». È forte la presa di posizione di Marco Minniti sui fatti del 6 dicembre. Il ministro dell’Interno non ha potuto evitare il tema nel corso di un lungo colloquio con il direttore dell’Espresso Marco Damilano, che si è tenuto nel corso della seconda giornata di Più libri più liberi.

Per Minniti ieri è stato oltrepassato un limite. «In democrazia, le idee degli altri possono non piacere. Ma le persone non possono essere attaccate per questo. Non si può minacciare la libertà di stampa, ne quella di espressione». Viene incalzato sulla possibilità di sciogliere questi gruppi in base alle leggi Scelba e Mancino. E il ministro risponde chiaramente: «La legge è già stata utilizzata, contro Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale per esempio. Ma prima di utilizzarla, l’importante è fare le indagini. Con queste dobbiamo costruire un percorso che permetta di dimostrare, in materia inequivocabile, che questi gruppi sono contro la democrazia. Senza possibilità di ricorso alcuno». Perché, sottolinea: «Se poi un giudice li assolve per insufficienza di prove, queste persone, questi gruppi, rischiamo di farli passare per eroi, perseguitati dalla legge».

Blitz di una dozzina di militanti del partito di estrema destra. Un'intimidazione arrivata dopo gli articoli della nostra testata sugli affari della galassia nera

In questo clima di incertezza politica, però, questi gruppi antidemocratici non troveranno linfa: «I corpi dello Stato che rappresento non subiscono incertezza politica». E poi citando Ciampi, che nella notte delle stragi del 1993 non riusciva a chiamare il centralino del Viminale, afferma: «L’Italia è l’unico paese al mondo ad aver sconfitto un terrorismo interno e un terrorismo mafioso, senza cedere a uno Stato d’eccezione, senza cedere a svolte antidemocratiche. Questo è un patrimonio straordinario per l’Italia di oggi».

Si parla poi delle prossime elezioni. Damilano chiede se il ritorno dei collegi uninominali, anche in territori dove la mafia è fortemente radicata, metta a rischio la tenuta democratica del Paese. «Per colpire al cuore le mafie dobbiamo recidere il rapporto che hanno con la politica» risponde Minniti «il voto è il cuore dell’espressione libera del cittadino. Se quel voto è contaminato dalla criminalità organizzata è un problema cruciale per la democrazia. La politica deve dimostrare di saper resistere alla sensazione faustiana delle mafie. Quando un politico fa un patto con le mafie, si illude di poterlo controllare. Ma non è così. Una democrazia vince se un politico non ha vincoli».

«A Roma la mafia c’è?» la domanda diretta di Damilano. «Abbiamo avuto molte indagini e processi che dicono questo. Non c’è dubbio alcuno che ci siano organizzazioni mafiose che agiscono a Roma e nel litorale romano. E l’obiettivo che ci siamo dati è liberarlo» risponde Minniti, che annuncia: «Non daremo tregua alle organizzazioni criminali di Ostia, fino a che la partita non sarà vinta».

Si tocca poi l’argomento dei migranti. «Un tema centrale, non solo nella nostra epoca, ma nella storia dell’uomo» risponde Minniti, che avverte: «Bisogna comprendere che l’unica soluzione a questo problema strutturale è controllare i flussi. Non rincorrerli. E questo significa togliere la vita dei migranti dalle mani dei trafficanti. Che sino a che continuano a fare quello che vogliono, hanno in mano le chiavi delle democrazie europee. Noi stiamo lavorando per governare i flussi migratori. Quest’anno abbiamo 56mila arrivi in meno. Noi però dobbiamo distruggere l’illegalità per costruire canali legali, tenere così insieme legalità e sicurezza».

Damilano però gli ricorda che la principale critica che viene mossa al ministro è di aver dato un ruolo di primo piano proprio ai trafficanti. Minniti si scalda, non rispondendo però del tutto: «Noi abbiamo costruito un patto positivo con la Libia. Onu e Unhcr possono agire in Libia grazie a quel patto. Unhcr ci ha ringraziato. Grazie a noi l’Oim può agire in tutti i campi di accoglienza libici».

L’ultima battuta è per lo Ius Soli. «Chi ha detto che lo Ius Soli non arriverà all’approvazione. Il calendario dice che è in calendario in Senato» afferma Minniti, prima di ricordare che è una sua battaglia: «Per me lo Ius Soli non è una legge sull’immigrazione, ma una legge sull’integrazione. E un paese che vuole pensare al proprio futuro, deve avere ottime politiche di integrazione. Così da sconfiggere anche i terrorismi islamici».

Da - http://espresso.repubblica.it/attualita/2017/12/07/news/minniti-i-fascisti-hanno-dichiarato-guerra-alle-idee-la-risposta-dello-stato-arrivera-e-sara-dura-1.315702?ref=HEF_RULLO
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« Risposta #7 inserito:: Febbraio 25, 2018, 11:14:35 am »

Notte di guerriglia a Torino, il Viminale: fatti gravissimi, abbassare i toni
Minniti: ma non c'è un rischio degenerazione politica. Le reazioni dei partiti

23 febbraio 2018

Notte di guerriglia a Torino, il Viminale: fatti gravissimi, abbassare i toni
Quanto accaduto ieri sera a Torino, con il lancio di bombe carta contenenti chiodi e bulloni contro le forze di polizia, "è un fatto gravissimo". Lo sottolineano ambienti del Viminale ricordando che chi le ha lanciate "voleva fare del male". Dal ministero ribadiscono dunque l'appello a tutte le forze in campo ad abbassare i toni" e aggiungono: "non faremo sconti a nessuno, le forze dell'ordine intervengono e interverranno per fermare l'illegalità in maniera tempestiva, come accaduto finora".

"Penso di no": così il ministro dell'Interno Marco Minniti ha risposto alla domanda se ci sia un rischio di degenerazione violenta della politica. "Noi - ha detto in diretta Fb - abbiamo una capacità e una forza della nostra democrazia che ci consente di poter dire, con una certa serenità, che siamo in condizione di affrontare la campagna elettorale, che è il cuore della democrazia. E come tali le elezioni devono essere garantite rispettando il principio di libertà e di sicurezza". "Noi - ha aggiunto Minniti - dobbiamo esprimere un grande apprezzamento alle forze di polizia, alle donne e agli uomini delle forze di polizia, che in questi giorni con un impegno straordinario stanno garantendo la libertà di tutti".

Intanto il questore di Torino, Francesco Messina, dice: “Mi complimento con il personale del reparto mobile di Torino e con tutti i funzionari e gli operatori della polizia di Stato per il servizio di ieri sera. Le persone che vanno a un corteo con bombe imbottite di schegge di legno e metallo non sono dei dissenzienti, ma veri e propri delinquenti".

Ma a Torino tutti i sindacati di polizia oggi hanno fatto comunicati per denunciare i fatti accaduti. "Siamo vicini ai poliziotti feriti nella notte a Torino, alcuni dei quali colpiti addirittura da bombe carta con schegge di metallo. Potevano morire. Le violenze perpetrate in nome dell'antifascismo da gruppi di veri e propri delinquenti delle piazze sono doppiamente gravi perché tradiscono i valori di democrazia, libertà, pace e tolleranza che sono alla base della nostra Costituzione nata dalla Resistenza". Lo afferma Daniele Tissone, segretario generale del sindacato di polizia Silp Cgil il giorno dopo la notte di guerriglia che ha vissuto Torino per effetto del corteo organizzato dagli antagonisti per impedire il comizio del leader di CasaPound Di Stefano, ospite di un hotel in città. Notte di guerriglia conclusosi con il bilancio di sei feriti tra gli agenti e due fermati.

"Da tempo denunciamo, purtroppo inascoltati - dice Tissone -, una rinascita dei rigurgiti fascisti e una ripresa di quel clima di violenza politica che ricorda purtroppo gli anni settanta. Finché si concederanno piazze, spazi e agibilità a chi professa idee razziste, omofobe e sessiste non riusciremo a fermare questa spirale". "Anche per questo - conclude il segretario del Silp - domani saremo in piazza con la Cgil a Roma per dire mai più fascismi e mai più razzismi. Fascismo è qualsiasi forma di violenza politica e come poliziotti democratici abbiamo il dovere di contrastare questa deriva in ogni modo".
Più pesante l'accusa dell'altro sindacato di polizia, il Siulp: "Ancora una volta la furiosa violenza dei centri sociali, lo spiccato senso anti democratico e illiberale, sotto la copertura di un inaccettabile e offensivo pretesto 'antifascista', ha causato un grave turbamento nella città, con il ferimento di poliziotti mediante una bomba carta costituita da pezzi di metallo, colpevoli di salvaguardare il diritto al rispetto delle leggi e consentire a una forza politica di presentare liberamente i propri candidati, ma dal colore politico non gradito da questi 'campioni' di democrazia".

Preoccupato anche il Pd. "Gli scontri" al corteo 'antifascista' a Torino "sono un segnale doloroso, un campanello d'allarme per tutti noi". A dirlo il segretario metropolitano del Pd Mimmo Carretta secondo cui "ieri sera si è scritta una brutta pagina della nostra città". Per Carretta "il clima teso e il costante alzare il tiro in una campagna elettorale senza fine riaccendono tensioni sociali, odi, che parevano sopiti e che ci riportano ad altri periodi storici. Agli agenti feriti va la nostra solidarietà".

E da Lecce dov'è in campagna elettorale coglie la palla al balzo Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia: "I centri sociali, quelli violenti, devono essere chiusi. Questa è gente che deve essere fermata, sono violenti organizzati. Con un altro governo obiettivamente dovrebbe essere presa e portata in commissariato. Ieri a Torino sono state sparate bombe ripiene di oggetti di metallo. Abbiamo le foto di quello che hanno prodotto sul corpo degli agenti in divisa".

Ma sono tante le reazioni politiche alla sera di guerriglia. "Noi condanniamo qualsiasi violenza e da qualsiasi parte provenga. Però non possiamo fare a meno di ricordare che l'Italia è una Repubblica fondata sull'antifascismo, che la nostra Costituzione è antifascista" dice il leader di LeU, Pietro Grasso, Quanto ai responsabili Grasso sostiene che "li trova la magistratura per quanto riguarda l'aspetto penale. Domani ci troveremo tutti a Roma a manifestare proprio per dichiarare ancora una volta che l'Italia è antifascista, democratica, e prospetta ancora una volta i valori della Resistenza e della Costituzione”.

Ma per Renato Brunetta di Forza Italia "a sinistra ha cavalcato questa invenzione dell'antifascismo, e poi i veri fascisti sono quelli dei centri sociali. Sono i fascisti di oggi, e vanno assolutamente combattuti. Non bisogna lasciare l'antifascismo, che è cosa nobile, in mano a questi delinquenti dei centro sociali: li conosciamo tutti".

Per Roberto Calderoli, leghista, vicepresidente del Senato " Quando qualcuno lancia una bomba carta e la riempie di bulloni e chiodi quella non è una bomba carta ma una bomba e chi fa esplodere le bombe contro le forze dell'ordine non è un manifestante ma è un terrorista e come tale va trattato, sbattendolo in galera per molti anni". Calderoli esprime " solidarietà e ringraziamento alle forze dell’ordine ma adesso occorrono misure drastiche per prevenire e arginare questa ondata di violenza che si nasconde nell'antifascismo, anche se poi i veri fascisti sono loro. Serve la galera per i terroristi e la chiusura di quei centri sociali che rappresentano il terreno fertile dove crescono la violenza ed Il terrorismo. Non sottovalutiamo questi episodi e appena saremo tornati al governo dovremo subito agire per impedire un ritorno del terrorismo, un ritorno degli anni di piombo".

Sugli incidenti torinesi interviene anche l'ex parlamentare e capogruppo di Forza Italia in Consiglio comunale, Osvaldo Napoli, che afferma: "La violenza vista per le vie di Torino non ha nessun colore politico. Centri sociali o CasaPound, poco importa: tutti i violenti hanno la stessa matrice di odio per la libertà e la democrazia. Trovo molto grave che la politica si sia fatta trascinare sul terreno dei distinguo e dei sofismi: quando si lanciano bombe carta arricchite di schegge metalliche è importante sapere se quel gesto sia da attribuire a criminali di un colore politico piuttosto che di un altro?". "È un gesto criminale e il crimine non ha un colore politico.
Aggiunge Napoli - Se la politica non entra in quest'ottica, e continua invece a dividersi pensando di strumentalizzare manifestazioni di odio, a uscirne sconfitta sarà la politica. La terribile pagina scritta ieri sera a Torino merita una seria e approfondita riflessione in Consiglio comunale dove Forza Italia si aspetta una puntuale comunicazione da parte del sindaco".

© Riproduzione riservata 23 febbraio 2018

Da - http://torino.repubblica.it/cronaca/2018/02/23/news/torino_i_sindacati_di_polizia_all_attacco_schegge_di_metallo_potevano_uccidere_-189556838/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_23-02-2018
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« Risposta #8 inserito:: Giugno 12, 2018, 06:28:08 pm »

Minniti: “Mai chiuso i porti. Da Salvini un azzardo politico a urne aperte”

Conciliare sicurezza e umanità è possibile. E non si può fare politica sulla pelle dei disperati.

Colloquio con Marco Minniti di Fabio Tonacci – La Repubblica

  
Pubblicato il 11 giugno 2018 in Primo piano

Un azzardo politico a urne aperte. Sulla pelle di 629 disperati recuperati in mare. Un azzardo che il ministro dell’Interno Matteo Salvini lancia a metà pomeriggio della domenica elettorale e che, fin da subito, assume i contorni del pretesto. Perché l’Italia non è nel pieno di un’emergenza sbarchi. Perché gli arrivi via mare dei migranti sono calati del 78 per cento rispetto all’anno scorso. Perché gli approdi italiani non sono sotto stress. E perché in mezzo al Mediterraneo c’è una nave sola, la Aquarius della ong franco-tedesca Sos Mediterranée, con a bordo i suoi 629 passeggeri.
 
Una sola nave. Eppure, su di essa, Salvini ha deciso di appoggiare tutto il peso del Viminale per un braccio di ferro con Malta. Chiudere i porti d’Italia, ha detto. Quella nave non deve attraccare. «Chiudere i porti… per una nave sola, per giunta…», ripete al telefono Marco Minniti, l’ex ministro dell’Interno.
 
È in Calabria con la famiglia, ma non riesce a non seguire ciò che sta accadendo nel Mediterraneo. «Io i porti non li ho chiusi neanche quando in 36 ore arrivarono in Italia 26 navi. Non barconi, navi. Ventisei. Sbarcarono 13.500 migranti. Anche in quel caso, dimostrammo che umanità e sicurezza si possono conciliare».
 
Era il giugno 2017, un anno fa esatto. Minniti era atteso a Washington per una visita istituzionale. Durante lo scalo tecnico in Islanda, annullò gli incontri e fece tornare l’aereo a Roma per gestire la situazione. Quella sì, di reale emergenza. I porti non li chiuse, è vero. Però da quel momento l’idea cominciò a filtrare sui giornali, a prendere forza, a rimbalzare negli uffici politici di Bruxelles.
 
Nel novero delle possibilità a disposizione dell’Italia, chiudere i porti alle ong era l’extrema ratio, quella che il governo Gentiloni si riservava di valutare, ma che mai è stata formalizzata con una dichiarazione di Minniti. Era la carta del bluff, a ben vedere. Con la quale l’Italia andava a giocare una delicata partita a poker durata mesi e mesi al tavolo di Bruxelles, dove tutti avevano carte migliori delle nostre.
 
C’erano trattati, missioni e accordi con in calce la firma dei governi italiani precedenti e che, in un verso o nell’altro, fissavano in Italia il porto di sbarco dei migranti. Alla fine, dopo diverse “mani” giocate anche sul tavolo di Frontex, i porti sono rimasti aperti, l’Europa si è convinta a impegnarsi economicamente in Africa, il Codice delle ong assai criticato a sinistra ha ottenuto l’approvazione degli altri Stati membri.
 
E la missione Triton è stata modificata inserendo Malta tra gli scali sicuri in un nuovo operation plan che, guarda caso, Malta non ha ratificato. «Quello di Salvini è un azzardo politico, concordo. E aggiungo: è un azzardo politico e umanitario, fatto sulla pelle di 629 migranti», continua Minniti.
 
«Il ministro dell’Interno dichiara di voler chiudere i porti italiani, Malta risponde che la competenza non è sua. Dunque, dove andrà la nave? Che faremo? A bordo hanno persone che necessitano di cure e di ristoro, non possono rimanere a galleggiare nel Mar Mediterraneo in attesa che i due governi si decidano.
 
Oltretutto non posso non notare che l’annuncio di Salvini è stato diffuso mentre era in corso il voto delle elezioni amministrative. Mi auguro che questa mossa non sia stata studiata a tavolino per scopi elettorali».
 
Di sicuro, è una prova di forza. Che ha dei rischi, diplomatici e istituzionali. Continua Minniti: «Non fai un braccio di ferro con un altro stato dell’Unione per una nave sola, in un momento in cui non c’è emergenza. Si perde di credibilità. Così l’Italia, per l’eterogenesi dei fini, rischia di rimanere isolata in Europa».
 
Si è detto tante volte, in passato, che tutti gli Stati membri devono fare la loro parte ed è giusto chiedere un maggiore impegno a Malta, altrimenti all’Italia rimarrà sempre il cerino in mano. «Farlo in modo pretestuoso, però, è sbagliato dice ancora Minniti Rimarremo isolati, ecco cosa temo. Se qualcuno pensa di cancellare tutto il castello fin qui costruito con una scorciatoia, quale è l’annuncio della chiusura dei porti, si sbaglia. È una risposta pigra, che ci metterà solo in difficoltà».
 
I 629 dell’Aquarius, intanto, aspettano. Sono partiti con i gommoni dalla Libia, in un momento in cui la guardia costiera libica appare assai piùdistratta rispetto al passato.
 
«Durante il nostro governo le partenze da quel Paese sono calate dell’85 per cento», si limita a osservare Minniti. Cosa sta succedendo, quindi? Il ritorno dei barconi è un avvertimento al governo in carica, perché rispetti i patti presi coi predecessori, o è pura casualità?
 
Di certo la scivolata di Salvini sulla Tunisia esportatrice «di galeotti» ha agitato, e non poco, i governi del Nord Africa. Ed è un fatto che la Francia abbia sfruttato gli ultimi tre mesi di incertezza politica per strappare all’Italia l’iniziativa sulla Libia. Hanno organizzato un vertice internazionale a Parigi per risolvere la crisi libica. Si stanno prendendo il ruolo di referente unico e affidabile, per i paesi del Nord Africa. Mentre il ministro Salvini vuole chiudere i porti.
 
Leggi l’intervista a Marco Minniti: “Sugli immigrati solo io mi sono assunto responsabilità e ne ho portato il fardello” di Libero.

Da – PD
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