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« inserito:: Maggio 22, 2008, 11:07:06 pm » |
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L'eminenza azzurra
di Denise Pardo
Ha fissato le regole per le poltrone di governo.
Ora deve costruire il Pdl. Parla il nuovo uomo forte di Berlusconi.
Che del capo dice: 'Andrà al Quirinale'.
Colloquio con Denis Verdini
La presidenza della Repubblica? "lI punto d'arrivo naturale del Cavaliere". Le Europee? "Sbarramento al 5 per cento". La legge accorpa-ministeri? "Fatta coi piedi". Parla l'uomo forte della macchina da guerra del Pdl in fieri, al secolo Denis Verdini, neo coordinatore nazionale, uscito allo scoperto dallo shadow power di gran manovratore (senza cuore, secondo chi è passato sotto le sue maglie della strage di candidature e poltrone). Alto, una chioma folta, genere Angelo Rovati, Verdini, classe 1951, amico di Sandro Bondi, nato come lui in Toscana, a Fivizzano ("Ma io ho sempre vissuto solo a Firenze", ci tiene a precisare lui che non è tipo campagnolo) dopo averne fatte tante si è concesso il lusso di dedicarsi alla sua grande passione: la politica. Da ragazzo ha importato carne per sbarcare il lunario e laurearsi, dopo la scomunica del padre alpino, ex prigioniero in Siberia, intransigente sul suo impegno politico nel '68. Poi il commercialista di successo e l'imprenditore immobiliare. Ora è presidente del Credito Cooperativo Fiorentino, banca locale ed editore del 'Foglio' e del 'Giornale della Toscana'. Dopo aver seppellito il Gotha della lottizzazione, il manuale Cencelli ("Troppo specioso"), ha messo a punto il codice Verdini, scacchiera su cui si è fatto il governo Berlusconi. Verdini, avaro di interviste, parla con 'L'espresso' dalla sua casa in uno strepitoso palazzo romano, tra damaschi, sedie cardinalizie e baldacchini papali.
Al posto del caro amico Sandro Bondi, passato ad alti incarichi, è stato scelto lei. Una nomina sofferta? "Neanche un po'. Due legislature fa, io e Sandro siamo diventati vicini di banco. Per caso. Ero stato cacciato dall'aula dal presidente Pier Ferdinando Casini. Accusa ingiusta: aver fatto il pianista. Figuriamoci. Non voto altri e non mi faccio votare da altri. Infatti, non brillo per presenze. Dopo una telefonata dei miei figli, 'papà, sei stato buttato fuori come noi a scuola' e vivaci proteste, sono finito in prima fila vicino a Bondi. Così è nata l'amicizia e ho cominciato a lavorare al suo fianco. Lui è più politico e analitico. A me intrigava l'organizzazione e il lavoro da ufficio elettorale. Ho un carattere forte e una testa quadrata. Prima della formazione del governo, quando si è dovuto decidere chi doveva rimanere al partito, mi sono offerto. Ed è andata".
La chiamano 'il badante di Bondi'. O anche 'il manutengolo di Bondi'. "I soprannomi abbondano. Il più usato: il gioioso tagliatore di teste, attribuendo solo a me le decimazioni delle candidature. Invece, ho svolto un lavoro difficile: mettere il cento dentro il dieci. Altra è la storia del manutengolo. Un giorno, scherzando, ho detto che ero il manutengolo del cameriere di Berlusconi, cioè Bondi. Sandro con quella sua aria grave, mi ha corretto con sussiego: 'Il manutengolo del maggiordomo, prego. Non del cameriere di Berlusconi'. La battuta ha fatto il giro del partito".
Ha inventato i gazebo. È uno degli ideologi delle liste bloccate. Ora pensa alle Europee? "Come nelle grandi democrazie d'Europa, l'obiettivo è la presenza di due sole forze politiche. Quindi, la soglia di sbarramento del 5 mi sembra una misura corretta. D'altra parte, la legge elettorale e le liste bloccate nascono dalla mia terra, la più rossa delle rosse. Dopo, è stata elaborata dalle commissioni e da Roberto Calderoli. Ma, di fondo, è quella usata alle regionali 2005 in Toscana. E d'altra parte, ad aprile sono stati i cittadini a scegliere, anticipando il referendum".
L'intesa con il Pd sulle europee? "È necessaria. Bisogna riconoscere anche a Veltroni il merito della scelta della chiarezza, durissima visto il risultato, ma proficua da un punto di vista storico. Con il Pd va trovato l'accordo".
L'immagine dialogante e seduttiva di Berlusconi è la prima pietra dell'impresa di salire al Colle? "Dopo aver cambiato la politica italiana, il Quirinale è il punto d'arrivo naturale. Le riforme istituzionali sono nell'agenda da anni. La presenza di Berlusconi le ha spinte, ma le ha anche frenate. Si teme...".
Si teme l'indole padronale, lo strapotere, il conflitto d'interessi... "Il conflitto d'interessi non interessa più a nessuno. Neanche a chi non ha votato il Cavaliere. Diamo cento euro in più nella busta paga, detassiamo gli straordinari, favoriamo i premi aziendali senza tassazione e poi vediamo. Alla fine, la gente fa i conti con la propria famiglia".
Al Colle, quindi. Con più poteri? "Credo che il Quirinale anche nella funzione non esecutiva ma di rappresentanza è l'ovvia evoluzione della sua epopea politica. Ora ci si ostina a non riconoscergliela, ma storicamente verrà sicuramente rimarcata".
Innamorato come Bondi, come Fede? "Bondi ha lavorato fianco a fianco con Berlusconi ad Arcore, e c'è una forte affinità affettiva. Io sono convinto che il Cavaliere sia unico al mondo, un uomo semplicissimo e complessissimo, con una visione straordinaria. Non è piaggeria. Il mio rapporto con lui è basato sul fare, non sul parlare. È quasi impossibile non subirne la fascinazione. Ma sa, io mi innamoro delle donne. Non vorrei che oltre a sostenere che sono massone, si dica anche che sono gay".
Non indossa il grembiulino? "Per me non è un'offesa. La storia della massoneria è articolata, ne hanno fatto parte personaggi formidabili. Il problema è che non è vero".
L'ha detto il Gran Maestro Gustavo Raffi e anche Francesco Cossiga. "Raffi ha smentito. Penso che Cossiga abbia fatto un ragionamento politico".
Il presidente emerito conosce bene le storie della massoneria. "Anch'io ne so. Allora, siamo massoni in due. Comunque, per farli felici, le dico che se mi danno la tessera, non mi fanno fare l'apprendista ma il capo, io ci sto. Queste voci nascono dalla mia formazione, laica e non cattolica, che ha radici nel Risorgimento, nei principi liberali, nei miei rapporti con Giovanni Spadolini. È stato un mio professore, poi io gli ho dato una mano, in senso pratico: mi occupavo e partecipavo al piccolo cenacolo intellettuale intorno alla sua Fondazione".
Sarà arduo trasformare un 'cartello elettorale' come il Pdl in un vero partito. "La transizione dell'integrazione nel Pdl e in tutto il paese di Fi, An, i piccoli partiti e gli spezzoni di partiti sarà una fase delicata. Ma è anche un momento particolare e raro in cui la democrazia della nostalgia, la tradizione dei grandi partiti che hanno fatto la storia dell'Italia, sta lasciando il passo alla democrazia del cambiamento. La marcia comune va fatta in fretta: entro il 2008, il processo di scioglimento. Entro il 2009 quello definitivo di costruzione".
An ha detto no alla fusione a freddo. Sotto l'ombrello Pdl per le elezioni, per il governo ha ballato alla grande da sola. A differenza di Fi, è un partito più partito, strutturato... "Ancora questa storia. Fi è un partito leaderistico, ma viene sottovalutato il suo radicamento. Nel 2007, Fi ha celebrato 4.538 congressi comunali, ed è presente in tutti gli 8 mila comuni: non è un partito di plastica. An ha una storia più lunga, ha le correnti. Ma ha avuto più di una fuoriuscita: Rauti, Mussolini, Storace".
Dino Boffo, direttore di 'Avvenire', l'ha attaccata: lei è un laico e lui è preoccupato per i cattolici. "Il suo articoletto me l'hanno raccontato, non l'ho visto. Se tutte le mattine dovessi leggere quello che si scrive, diventerei matto. Sa che c'è?".
Che c'è? "Esaminiamo i nomi. Gianni Letta? Incontra preti da mane a sera. Angelino Alfano ed Elisabetta Casellati: cattolici come Renato Schifani, presidente del Senato. Il figlio di Cossiga, Giuseppe? Lo dica il presidente emerito com'è, perché non vorrei riaprire un'altra discussione. Mario Mantovani è un cattolico, Francesco Giro, non ne parliamo, Eugenia Roccella anche, Maria Stella Gelmini e Claudio Scajola pure, Bondi si sa. Mescolo dc e cattolici perché nell'animo uno può essere quel che gli pare".
Che vuol dire? "Che ne so io se uno che è cattolico è anche democristiano e viceversa. Andiamo avanti. C'è Raffaele Fitto. Gianfranco Rotondi. E Mara Carfagna che si dichiara attenta e vicina. Ho elencato solo quelli di Forza Italia. Ma più che le provenienze, se fossi Boffo mi aspetterei le posizioni sulle questioni centrali e spinose".
Una vita piena di soddisfazioni, la sua. Ma ha avuto 18 iter giudiziari. E si dice che il suo rapporto con l'impresa toscana Baldassini-Tognoli-Pontello sia molto stretto. "Sul mio cammino ho incontrato tutti magistrati incompetenti ma non in malafede. Tranne una. E sono stato assolto in toto nei procedimenti. Il mio rapporto con la Baldassini e con il suo azionista Riccardo Fusi, persona straordinaria, risale a quando, giovane commercialista che guadagnava bene, diventai suo socio in alcune operazioni immobiliari. Nel '92 Fusi e altri imprenditori furono arrestati. Io no. Scagionati, presero una valanga di soldi di risarcimento. Oggi, la Baldassini è tra le prime aziende italiane. E in Toscana si fa un gran chiacchierare".
A proposito di...? "Si dice: la Baldassini vince le gare del rosso comune di Firenze. Verdini, che è coordinatore regionale di Fi, non dà addosso perché sarebbe in combutta con Fusi, tanto per citare una delle dicerie. Siccome su questo la magistratura ha indagato e non ha riscontrato nulla, le chiacchiere lasciano il tempo che trovano".
È socio di Veronica Lario nel 'Foglio'. La conosce bene? "No. Ma è una gran figura, una gran donna che ha dato uno stile forte al suo ruolo di moglie del premier".
Cosa avrebbe fatto se sua moglie avesse pubblicato una lettera come quella mandata a 'Repubblica' da Veronica? "Mia moglie è una donna molto indipendente".
È soddisfatto del lavoro del manuale Verdini? "Sì. Eccolo qua. Un sistema matematico dell'equilibrio politico: il calcolo di voti, percentuali e punteggi per ogni poltrona. Ogni formazione ha il suo colore. Vede lo schema? An non è nera: è viola. Ora lo scoglio da superare è la legge accorpa-ministeri. È fatta con i piedi. Ed era giusto che in primis la sperimentasse il centrosinistra. Il ministero che comprende Istruzione, Università e Ricerca ha un solo sottosegretario. Le Attività produttive ne hanno tre. Una follia. Ma il dono dell'ubiquità per essere nelle commissioni dei due rami del Parlamento chi ce lo fornisce? E come si governa senza lavoro parlamentare?".
Insomma, modificherete la legge? "Saremo costretti. I costi vanno ridotti, ma non quelli del funzionamento della democrazia".
A quanto dice, non le interessano seggiole e poltrone. E quella di sindaco di Firenze? "Pagherei per farlo. Ma non succederà. Mi rendo perfettamente conto di essere uno che divide. Non uno che unisce"
(22 maggio 2008)
da espresso.repubblica.it
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