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Autore Discussione: La Comune di Toni Negri  (Letto 2365 volte)
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« inserito:: Maggio 22, 2008, 11:04:47 pm »

La Comune di Toni Negri

di Stefania Rossini


Finita la modernità e l'epoca delle masse, non basta l'individualismo. Bisogna trovare nuove forme di resistenza sociale. Il nuovo libro del filosofo padovano. Colloquio con Toni Negri  Manifestazioen ambientalista a GiakartaL'epoca in cui avevamo imparato a pensare è finita e ha portato con sé l'estinzione di una modernità di cui anche il socialismo faceva parte. Compiute le grandi cesure con le concezioni del lavoro, della sovranità e del potere, è necessario trovare un lessico della contemporaneità... Toni Negri non dà tregua alle nuove figure del tempo. Le accoglie e le rielabora nella sua implacabile visione del mondo. Dopo 'Impero', bestseller mondiale sulla globalizzazione, dopo 'Moltitudine', che ne descriveva gli abitanti antagonisti, sta per ultimare 'Il comune', punto di approdo della trilogia scritta con Michael Hardt che uscirà in autunno negli Stati Uniti, dove è considerato uno degli intellettuali più influenti del nuovo secolo (ma dove paradossalmente non può mettere piede a causa delle vicende giudiziarie degli anni Settanta).

Intanto dà alle stampe una raccolta di seminari tenuti al Collège International de Philosophie di Parigi ('Fabbrica di Porcellana', Feltrinelli, in libreria il 29 maggio) che discute e anticipa quella che indica come la sua "svolta tematica".

Una svolta verso dove, professor Negri?
"Può chiamarla anche 'conversione'. È stato un passaggio dove ho ritrovato Foucault e la sua biopolitica, cioè la descrizione di un capitalismo che non incide soltanto sulla sfera del politico, ma sulla vita intera delle popolazioni. Biopolitica è la gestione della salute, della morale, dell'igiene, della sessualità, di tutto. Nuove forme di resistenza sociale hanno poi messo in crisi quella sovranità statica. E intorno al concetto del biopotere si confrontano oggi varie ipotesi teoriche".

Qual è la sua?
"Quella che rompe davvero con il moderno, che non lo chiama più neanche post-moderno, ma che impone la contemporaneità con l'evidenza materiale di molti punti di vista: del precario che chiede un salario garantito, dell'informatico che ha bisogno di software libero, della casalinga che rimane in casa per allevare i figli, dello studente che vuole più formazione. Perché non retribuire la vita prendendo atto del fatto che ciascuno, semplicemente per il fatto che vive in una società produttiva, è a sua volta produttivo?".


Ha fatto un lungo giro per tornare al salario politico, parola d'ordine dei movimenti di trent'anni fa?
"Guardi che più vado avanti e più mi convinco che l'operaismo, insieme al post-strutturalismo francese e al pensiero dei post-coloniali, è stato una delle cose più serie della seconda metà del Novecento. È stato anche il mio modo di essere marxista, prima di riprendere il pensiero di Spinoza. Ma oggi il cambiamento del lavoro, che definiamo cognitivo, impone uno scarto ulteriore. Il salario politico è l'unica soluzione".

Toni NegriNel suo 'Impero' parlava ancora di lavoro immateriale. Che cosa è cambiato?
"Il fatto che anche il capitalismo, come lo Stato, non è più capace di unificare. Ricorda la legge classica del valore-lavoro? Il capitale variabile diventava forza lavoro produttiva solo quando era sotto il capitale. Tutto questo è finito. Pur restando al centro di ogni processo di produzione, il lavoro è il risultato di un'invenzione e i suoi prodotti sono quelli della libertà e dell'immaginazione".

Intende la creatività individuale, l'espressione di sé?
"Esattamente il contrario. Quella è roba evanescente, per chi cerca Dio al fine di darsi un'anima. Invece ognuno di noi è una moltitudine, un incrocio di cose che ci arrivano addosso e di cose che esprimiamo, ma che hanno significato solo in quanto siamo comuni. È il concetto del 'Comune', da intendere come ricchezza comune, come Res pubblica, ma sempre in movimento come il linguaggio".

Seminari alla Lacan, Foucault, linguaggio. C'è molta cultura francese nel nuovo Negri?
"La cultura francese ha zoccoli teorici duri che si rivelano utili, anche solo per essere messi in discussione, come è stato per quella fissazione del liberismo più o meno repubblicano che era diventato predominante. E c'è passione per le idee. Mica come in Italia dove tutti al massimo citano Bauman, e anche a sproposito".

Che intende?
"È piaciuto il termine 'liquido', ma quasi nessuno ha letto una riga, sennò saprebbero che Bauman è un esponente duro del tardo marxismo francofortese. La sua ipermodernità è una visione implacabile dell'espansione capitalistica. Ma l'Italia è il paese che nella crisi dello Stato nazione e in piena globalizzazione, è capace di inventarsi i dazi".

Un business center a TokyoSi riferisce a Tremonti e al suo libro?
"Idea ridicola, copiata da Sarkozy, uno che almeno può basarsi sulla struttura potente dell'amministrazione francese. La globalizzazione è irreversibile, si tratta solo di andare avanti con cautela. Ma che vogliono? Fare a meno dell'euro? Questa è demagogia con un po' di filosofia economica leghista. Quasi meglio Berlusconi che almeno lancia le 'I' di Internet, Inglese e Impresa".

Lei non ritiene la Cina un pericolo?
"La Cina può spaventare come potenza capitalistica, non come potenza produttiva. Il capitalismo è una brutta cosa perché produce ricchezza e insieme immoralità. Va combattuto, non temuto".

Fuori dai denti, Negri, come vede la situazione politica italiana?
"Ci sono germi autoritari piuttosto forti, soprattutto in questo tipo di ripiegamento su se stessi. Se vuole che lo dica in termini molto chiari, tutto quello che è identità è sempre fascista".

Torna anche lei a questa categoria del Novecento?
"Sono stati pochi i passaggi nei quali l'identità non è stata fascista: la lotta dei vietnamiti per l'indipendenza o quella dei neri americani. Ma in questo caso è un'identità che nello stesso momento in cui si afferma, si annulla, diventa universalità. Le sembra che qui stia accadendo?".

Questo però è sempre stato un Paese ricco di anticorpi. O di antagonismi, come lei ama dire
"Mi vado convincendo che in Italia c'è un blocco inamovibile: quello della Chiesa. È un fatto che ci rende diversi da tutti gli altri Paesi del mondo. La situazione globale è in grande movimento e noi siamo fermi a vecchi sogni identitari che la religione cerca di consolidare e rendere fonte di trascendenza. Ormai non c'è più un'idea di che cosa possa essere l'Italia. Certe volte penso davvero che avesse ragione Lenin. Sa che cosa diceva?".

Che cosa?
"L'Italia può essere soltanto un grande paradiso terrestre per tutti i proletari del mondo".

(22 maggio 2008)

da espresso.repubblica.it
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