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Autore Discussione: Parla Luca Barbareschi. «Abbiamo vinto occupiamo la Rai»  (Letto 3709 volte)
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« inserito:: Maggio 22, 2008, 08:43:30 am »

«Abbiamo vinto occupiamo la Rai»

Parla Luca Barbareschi, attore, produttore e deputato del pdl

Vittorio Zincone per il Magazine in edicola

«Come ha fatto prima il centrosinistra. e per la direzione generale Cominciamo a guardare anche fuori dall’italia...» così parla l’uomo che disse: «An, in viale mazzini, ha portato solo mignotte»

 
 
Luca Barbareschi, 51 anni, star riempi-teatri col Gattopardo, importatore delle opere di David Mamet in Italia, pioniere della tecnonavigazione informatica, nonché ballerino e cantante nei musical londinesi, ora è anche deputato del Pdl: in quota Fini, con liaison berlusconiane. Quando ho pensato per la prima volta di intervistarlo, l’attore-regista-manager-produttore era uno dei nomi papabili per il ministero dei Beni Culturali. Quando ho contattato il suo assistente, aveva ridotto le aspettative ed era in lizza per un semplice sottosegretariato. Nel momento in cui abbiamo fissato la data dell’incontro, la partecipazione al governo era sfumata, ma restava la possibilità di un assessorato alla corte del sindaco Gianni Alemanno. Quando gli ho citofonato per raggiungere il suo attico romano (zona Ghetto), il Campidoglio ormai era un miraggio. A fine intervista, l’ex conduttore del Grande Bluff, mi ha comunicato che anche la presidenza della Commissione Cultura sarebbe andata a qualcun altro. Barbareschi, veterano dello showbusiness, neofita del Teatrone della politica: «Ho rinunciato al film di Ron Howard perché pensavo di poter dare una mano a riformare il Paese. Ma non mi stupisco di nulla, ci ho scritto un film (Il Trasformista), su come funzionano certe cose, quindi...».

Sembrano funzionare come il gioco delle tre carte.
«Durante tutta la campagna elettorale, Alemanno mi ha presentato come il futuro assessore alla Cultura di Roma».

Poi ha scelto Umberto Croppi, amico antico, nonché “spin doctor” dell’ultimo trionfo.
«Croppi è bravo. Chapeau. Ma insomma, ha lavorato pure con Rutelli».

Sgarbi potrebbe atterrare sulla Capitale...
«Sì, sì, dopo essere stato cacciato da Milano».

Il sottosegretario alla Cultura, invece...
«È questo Giri».

Si chiama Francesco Giro.
«Uomo del cardinale Camillo Ruini. Mi chiedo se si voglia seguire il modello Sarkozy o sarkofaghy».

Si dia una risposta.
«Mi pare sarkofaghy. Si annunciano grandi cambiamenti, ma alla fine sale in cattedra il Gattopardo: per non cambiare nulla».

Forse, non avendo una militanza di partito alle spalle, lei ha pagato le molte dichiarazioni poco allineate degli ultimi mesi?
«Quando mi hanno candidato sapevano chi ero».

Lei si è detto favorevole alle adozioni da parte delle coppie omosessuali.
«In Europa esistono. Questo è il governo con meno persone che rappresentano il cattolicesimo. Non mi pare Berlusconi sia un baciapile».

Ma al Cavaliere nessuno può sfilare la poltrona da sotto al sedere. A lei, sì.
«Magari dirò cose sconvenienti, ma insomma... i leader principali del Pdl, Fini e Berlusconi, sono separati e hanno figli da mogli diverse».

Lei si è anche detto contrario al giannilettismo. Sembra autolesionismo.
«Con Letta ho un buon rapporto. Ma il Paese rischia di morire di accordi bipartisan. Il centrodestra ha vinto? E allora mettiamo i nostri uomini nei ruoli chiave e proviamo a governare».

Un’altra sua sparata di un paio di anni fa: «An in Rai ha portato solo mignotte».
«In pratica ho fatto da Cassandra».

Di Cattaneo, uomo vicino al centrodestra, ha detto: «Un poverino».
«Mi dovrebbero ringraziare. Ho chiarito prima di altri che non aveva le competenze adatte per guidare la macchina della Rai. L’anno scorso, poi, dissi che la Rai non avrebbe dovuto permettere a Endemol di fare banchetto con il budget della tv di Stato. Ricevetti una lettera di richiamo etico da parte del direttore generale Cappon. No dico, richiamo etico! Ora è Cappon a beccarsi i richiami... ma bipartisan, per il caso Travaglio-Schifani».

A proposito di etica. La sua difesa di Saccà, intercettato mentre parlava con Berlusconi di attrici da raccomandare, era spericolata.
«Quelle intercettazioni erano una trappola».

Saccà...
«È una risorsa che non va bruciata».

... non ha fatto una bella figura.
«Telefonate di quel tipo, in cui si segnalano attrici e attricette, le fanno e le ricevono tutti».

Questo non vuol dire che sia una bella cosa.
«Quando dirigevo il teatro Eliseo, a Roma, mi chiamavano da destra e da sinistra. Vado fiero del fatto di non aver mai favorito un raccomandato».

Secondo lei il centrodestra dovrebbe occupare con nomine fresche la Rai?
«Certo. Come ha fatto il centrosinistra».

Un nome per la direzione generale?
«Cominciamo a guardare anche in Europa, come fanno tutti: in Spagna l’italiano Paolo Vasile sta facendo grandi cose con TeleCinco».

A parte i possibili outsider europei?

«Molti manager tv, italiani e bravi, ormai si sono messi in proprio o lavorano per i privati».

Parla di Giorgio Gori e Marco Bassetti?
«Loro sono parecchio in gamba. Ma non amo il totonomine».

Non è che spera di rientrare nella prossima infornata di incarichi Rai?
«No. Non mi pare ci sia il clima per una nomina come la mia. E a destra la lealtà non viene ripagata come a sinistra».

Che cosa intende dire?
«Che la sinistra con tutti i vari attori militanti come Claudio Bisio o Paolo Rossi è stata generosa».

Si lamenta? Vorrebbe più generosità nei suoi confronti?
«Ma no, guardi. Io ho parlato con i numeri uno: Berlusconi e Fini. Gli ho messo in mano i miei progetti per la Cultura in Italia».

Fine del finanziamento pubblico al cinema.
«Certo, per evitare che spariscano soldi e che il cinema sia legato ai partito. Vedremo come va a finire. Sono abituato a portare a casa risultati: a diciott’anni risparmiavo i cents facendo il cameriere in America, ora ho: la casa dove vivo, quella di Filicudi, il mio studio. Una società, la Casanova, che fattura 20 milioni di euro e produce una decina di film l’anno. Non ho debiti, sono trasparente e ho fatto una fondazione contro la pedofilia».

Un tema che le è caro. Anche lei ha subito una violenza da bambino.
«Sono stato violentato, da un prete. Al di là dei danni ai singoli esseri umani, si deve capire che la pedofilia è un danno di macroeconomia: tanti bambini molestati, fanno una generazione che cresce con una struttura debole. Ora su questo argomento si è svegliato pure Papa Ratzinger».

La sua infanzia?
«I miei si separarono quando ero piccolissimo. Io ho vissuto con mio padre a Milano e ho girato molti anni per i Paesi del Medio Oriente dove lui costruiva strade. A diciotto anni...».

Parliamo del ’74, la Milano delle occupazioni...
«Quelli del Movimento mi stavano un po’ sulle palle. Ricordo alcune riunioni maoiste in una villa in Engadina. Roba senza senso. Comunque a 18 anni mio padre mi disse che se volevo fare l’università mi aiutava, se volevo fare l’attore mi dovevo arrangiare. Mi arrangiai».

Come?
«Cominciai a lavorare gratis con Virginio Puecher. Gli facevo da assistente alla regia nell’Enrico V. Il 20 agosto dell’anno della maturità, ho venduto la Vespa e sono partito per Chicago, sempre con Puecher. Poi mi sono trasferito a New York. Facevo il cameriere e contemporaneamente collaboravo con Frank Corsaro al Metropolitan e con Lee Strasberg dell’Actor’s studio».

Era una New York parecchio swinging.
«I sei anni più belli della mia vita. Il re era Oliviero Toscani. Per un po’ ho dormito a casa sua e lui mi portava a queste cene pazzesche con Lou Reed, Mick Jagger, David Bowie...».

Chi più ne ha più ne metta. In quel periodo c’era anche Isabella Rossellini a New York.
«Con lei ho avuto un flirt durato una sera. Io ero pazzo di lei, anche a causa del suo cognome. Mi dichiarai, mi disse che ero troppo ambizioso. Allora collaboravo con la Rai e Gianni Minà».

Quando rientrò in Italia?
«All’inizio degli anni Ottanta. Poco più che ventenni, con Massimo Mazzucco realizzammo Summertime e al Festival di Venezia vincemmo la sezione “De Sica”. In America ero andato a trovare pure Spielberg. Lo avevo beccato che giocava a scacchi da solo. Un’illuminazione. Incontrare uno che a trent’anni aveva già fatto così tanto, mi aveva spronato. Pensai: “Perché lui sì ed io no?”».

È una lezioncina per i giovani dell’Italia gerontocratica?
«A me non piace la retorica filo-giovani. Sono per recuperare tutte le intelligenze vive fino a 90 anni. Soprattutto quando poi i cosiddetti giovani sono rappresentati da persone come la deputata del Pd, Marianna Madia. Ad ascoltarla a Porta a porta qualche giorno fa, mi è venuto naturale difendere il veterano Ciriaco De Mita. Detto ciò, sì, i giovani si dovrebbero svegliare».

I giovani più bravi nel cinema?
«Mi piacciono Elio Germano e Matteo Garrone».

Le giovani?
«Io stesso ne ho lanciate parecchie. Con Roman Polanski scegliemmo Nicole Grimaudo per un Amadeus teatrale. Ma poi anche Gabriella Pession e Bianca Guaccero».

I sopravvalutati?
«In questo momento Toni Servillo mi pare sovraesposto. È bravo e serio, in teatro e mi pare un po’ di maniera. A me non piace nemmeno il linguaggio filmico di Nanni Moretti».

E l’attore Moretti?
«È inesistente. Non ti dimentichi mai che hai davanti Moretti. Io sono per la mimesi. Come attore ho dato il meglio quando ho fatto il Grande Bluff. Truccato e travestito, mi intrufolavo nelle trasmissioni altrui: nella prima serie non mi hanno beccato mai».

Reputa se stesso un buon attore?
«In teatro non mi batte nessuno. Il Gattopardo del Quirino ha il record d’incasso degli ultimi anni».

Le fiction che produce e che interpreta non sono sempre dei successi incredibili, però. La Rai sospese Giorni da leoni 2.
«Quella fiction la uccisero. Capita anche che chi pensa i palinsesti faccia scelte sbagliate».

Morando Morandini, il critico cinematografico, ha detto che lei, come attore... ha sbagliato mestiere.
«Morandini ha cominciato ad odiarmi all’inizio degli anni 90. Eravamo a Mosca, io producevo un film del russo Galin. Nella prima scena si diceva: “Lenin è peggio del re dei Tartari”. I critici de sinistra, tra cui Morandini, si alzarono e se ne andarono. Diciamo che sono sempre stato socialista. Ma i radical chic non mi hanno mai adottato».

Questo sembra anche il motivo per cui si è buttato a destra. Perché secondo lei non l’hanno adottata?
«Sarà che a differenza di altri mi sono dichiarato socialista fino all’ultimo giorno di vita di Bettino Craxi. Molti hanno rinnegato...».

Di chi parla?
«Quello che mi ha fatto più impressione è stato Gabriele Salvatores. Claudio Martelli, che ama il teatro, trovò un miliardo per il suo Elfo. Lui sembra essersi scordato l’appartenenza al Psi. Voglio bene a Gabriele e negli anni Ottanta abbiamo fatto molte cose insieme, ma insomma...».

I socialisti le chiesero mai di fare politica?
«Ai tempi di Mani pulite. Ricordo lunghe discussioni sul mio terrazzo con De Michelis e i repubblicani La Malfa e Cisnetto sul da farsi».

È vero che lei è uno dei primissimi frequentatori dell’Ultima spiaggia, lo stabilimento vippissimo dalle parti di Capalbio?
«È vero. Ci andavo prima che la sinistra chic se ne appropriasse. Chissà se chi va lì oggi sa che i proprietari sono di destra?».

Lei ha un clan di amici?
«Pochi, poco noti, ma decennali: Beppe, Fabrizio, Susanna e Aureliano».

Nessun politico?
«Gianni De Michelis. Ma dai socialisti non ho mai avuto un favore».

Come è il suo rapporto con Fini?
«Ottimo».

Con Berlusconi?
«Gli parlo da amico. Una volta è venuto a trovarmi in camerino al teatro Manzoni...».

Lo sa che è così che ha incontrato la moglie Veronica Lario?
«La sera siamo stati a cena fino alle 4 di notte».

A cena col nemico?
«Goffredo Bettini».

Alemanno dovrebbe mantenere Bettini alla direzione della Festa del Cinema di Roma?
«Alemanno valuti bene quali alternative proporre a quel che ha fatto Veltroni».

Lei la abbatterebbe la famosa teca dell’Ara Pacis di Meier?
«Non la amo. Ma prima di spendere un euro per distruggere un muretto, mi preoccuperei di fornire mezzi pubblici sicuri».

L’errore più grave nella carriera di Barbareschi?
«Parlare troppo».

La svolta che le ha cambiato la vita?
«Decidere di affrontare con le sedute di gruppo i miei problemi di fragilità interiore».

La canzone della vita?
«Little wing di Jimi Hendrix. Una delle prime canzoni che ho provato a suonare con la chitarra».

Il film?
«Otto e mezzo di Fellini, su tutti».

Cultura generale. “Dolente fulgore/ mite regina/ misteriosa malia/ polvere di stelle”, chi l’ha scritto?
«Non ne ho idea».

Sono versi del ministro della Cultura, Sandro Bondi. Quanto costa un litro di latte?
«Prendo quello di soia. Tre euro».

Che cosa si intende per podcast?
«Un file scaricato in Rete».

I confini dell’Afghanistan?
«A Nord... la Russia».

No.
«Vabbè... ci sono quelle repubbliche ex sovietiche».

È vero che da molti anni tiene un diario quotidiano?
«Sì. Ci appunterò anche queste ultime domande del cavolo».

Vittorio Zincone
21 maggio 2008

da corriere.it
« Ultima modifica: Luglio 01, 2008, 11:51:20 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Giugno 29, 2008, 11:50:23 am »

Una tragedia le raccomandazioni

Meloni: questo Silvio non mi piace «Ma per le aspiranti attricette senza arte né parte non provo compassione» «Un'intercettazione piccante con una ragazza poi diventata ministro? Io proprio non sono, il mio fisico vi sembra da showgirl?»


ROMA — Ministro Giorgia Meloni, c'è questa brutta storia delle intercettazioni. «Storia mortificante». Ha letto i discorsi che facevano al telefono? Quelle ragazze, quelle donne che chiedevano, imploravano, e quegli altri che promettevano, alludevano... «Senta: siccome io lo so che tanto poi lei vuol farmi finire a parlare di Berlusconi, e cioè del mio premier...». Tra l'altro, come saprà, c'è Di Pietro che definisce il Cavaliere un magnaccia e... «No no, appunto: visto che il giochino è scoperto, mi faccia almeno esprimere prima un paio di concetti».

D'accordo. Il primo? «La lettura di quei verbali descrive, perfettamente, il tragico sistema italico della raccomandazione». Può essere più esplicita? «Tutti, ma davvero tutti, esattamente come spiega l'ultimo rapporto Istat, tutti sono un po' convinti che in questo Paese il modo migliore per trovare lavoro sia ancora quello di farsi raccomandare ». Di solito, ministro, ci si fa raccomandare da voi politici. «E sa perché accade questo?». Un'idea diffusa, tra gli italiani, c'è: ma lo spieghi lei. «Perché non ci sono più criteri selettivi, luoghi dove la selezione sia oggettiva, fondata sul merito. Ora, però, premesso questo...». Prosegua. «Devo ammettere che di fronte a certe situazioni il mio grado di compassione è come dire? commisurato al grado di...».

Complicato trovare i termini, eh? «Okay, va bene, esempio concreto: tra un laureato che finisce a lavorare in un call-center e un'aspirante attricetta che...». Mettiamo la Antonella Troise, che mette in ansia Berlusconi, tanto da fargli dire: «Quella pazza si è messa in testa che io la odio, che le ho bloccato la carriera...». «Mettiamo una così, io mi chiedo: questa signorina, poi, sa recitare? E quell'altra che invece chiedeva di poter presentare un programma: sa presentare? La verità è che, spesso, si tratta di ragazze senza arte né parte, che non fanno altro che affidarsi al meccanismo consolidato della telefonata... Ci fosse una "Scuola popolare degli artisti", ci fosse una roba come il "Saranno famosi" di Canale 5, un posto dove ti insegnano tutto, credo che sarebbe diverso». Purtroppo, sembra che la politica approfitti della situazione, piuttosto che pensare a risolverla. «Lei sta pensando a...».

Per esempio a Salvo Sottile, l'ex portavoce di Gianfranco Fini. Sottile convocava la soubrette Elisabetta Gregoraci alla Farnesina... «Sì, la storia di Sottile e della Gregoraci può essere, in qualche modo, eloquente. Può capitare che la politica approfitti, di certe situazioni di disagio. Ma io glielo dico subito, e con chiarezza: io provo disgusto, per certi meccanismi». Allora, parliamo di Berlusconi. «Ecco, appunto...». Di Pietro dice che, al telefono, parla come un magnaccia. Raccomanda veline e... «Di Pietro usa un termine che non solo offende il suo passato di magistrato e di ministro della Repubblica, ma che mi sembra anche del tutto sproporzionato alla reale gravità dei fatti». Ministro, senta, andiamo oltre: il Berlusconi che dice quelle frasi, quelle certe frasi, che si interessa a certe ragazze, a lei piace o no? «No. A me, donna di destra, ovviamente non piace. Anche se, come appare evidente dalla telefonata di Rutelli che a Saccà sollecitava una fiction sulla famiglia Loren, il problema è piuttosto diffuso».

Che poi, avrà letto: Gianni Letta, il potentissimo Letta non riesce a raccomandare né il figlio di Antonello Venditti né la Giuditta Saltarini, moglie di Renato Rascel. «Pensano che a noi politici basti alzare un telefono, e poi... uno come Letta...». Ultima domanda. «La più brutta, scommetto...». Ministro, la prego. «Forza, proceda». Gira voce, e lo insinua pure il «Riformista», che presto verrà resa nota anche una piccante intercettazione tra il Cavaliere e una giovane con il fisico giusto per fare la soubrette che poi, adesso, sarebbe addirittura diventata ministro. Per caso lei... «Io? Io proprio no. Le sembro una con il fisico da showgirl?».

Fabrizio Roncone
29 giugno 2008

da corriere.it
« Ultima modifica: Luglio 01, 2008, 11:50:39 pm da Admin » Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #2 inserito:: Luglio 01, 2008, 06:34:57 pm »

Il vero scandalo non è il gossip

Carlo Rognoni


Ricordandomi del mio vecchio mestiere di giornalista, confesso che ciò che più mi ha colpito delle intercettazioni fra Saccà, Berlusconi e altri, è come il sistema dei media - dalla stampa alla televisione, con pochissime eccezioni e fra queste l´Unità - sia di fatto venuto meno a quello che a me sembra dovrebbe essere il suo compito: distinguere le notizie dal chiacchiericcio, i fatti dalle opinioni, e magari provare ad aiutare i lettori a capire quello che conta davvero.

Spero di sbagliarmi - forse ho anche dimenticato come si fa il giornalista - ma mi sembra che il risultato finale sia che agli occhi di molti lettori, quelle telefonate alla fin fine appaiano più come un invito a coltivare il gusto per il pettegolezzo che altro. Insomma annegata nel mare del gossip fa fatica a emergere la consapevolezza della gravità di alcune di queste intercettazioni. È un po´ come se alcuni giornali - anche i più blasonati - avessero preferito aiutarci a guardare dal buco della serratura di una casa, magari di malaffare, piuttosto che farci capire quanto siano inaccettabili, in una democrazia liberal, alcuni tradimenti, istituzionali e aziendali.

Se dal fango emergono solo delle "belle gnocche" (parola di Libero), per di più non proprio fortunate - visto che molte comunque ci hanno messo l´arte ma poi non hanno trovato la parte - la questione delle intercettazioni si riduce a una vicenda pruriginosa, magari di machismo all´italiana. Oppure si riduce al caso di "un magnaccia" (parola di Di Pietro). Purtroppo c´è ben di peggio. Ci sono fatti che una volta venuti alla luce dovrebbero spingere chi ha responsabilità politica, istituzionale, aziendale a intervenire con il bisturi. E tagliare il marcio. È su questi casi che i giornali avrebbero dovuto concentrare la propria attenzione.

Può un membro dell´Autorità garante delle comunicazioni parlare di Silvio Berlusconi come del suo «grande capo» e darsi da fare per favorire un produttore, una fiction piuttosto che un´attrice, e aiutare il grande capo «a dare una spallata a questi qua» (il governo Prodi)? In una democrazia normale questo non sarebbe sufficiente per costringere un membro di questa Autorità alle dimissioni? Siamo di fronte a un tradimento istituzionale gravissimo. Ebbene i più grandi media hanno messo la notizia sullo stesso livello di un´attrice in cerca di lavoro! E dire che forse è da sola una notizia che meritava una pagina di quotidiano per spiegare chi è l´uomo, che rapporti storici ha con Berlusconi, come si è comportato nelle scelte dell´Agcom. Forse che questa non è materia per un editoriale? Di più: per una campagna di trasparenza. Anche a costo di rimettere in discussione i criteri con cui sono scelti i membri dell´Agcom.

E veniamo a quello che a me sembra un tradimento aziendale. Agostino Saccà, un super manager, un uomo che è stato direttore generale, che fino a ieri controllava un budget di quasi 300 milioni di euro, che ha anche il merito di aver dato risorse e lustro alla fiction italiana. Ebbene può darsi che sia normale - o comunque rientri nel costume o nel malcostume italico - che riceva montagne di raccomandazioni. E da tutti. Ma vi sembra normale che trami per sostituire l´attuale direttore generale con quello che oggi è il premier e ai tempi delle telefonate il capo dell´opposizione? Che si faccia carico di raccontare a Silvio Berlusconi, al capo di Mediaset, della società concorrente della Rai per la quale lavora, come la gestione dell´azienda sia disastrosa, dando anche dei dati falsamente esagerati pur di dipingere un quadro drammatico e sollecitare così l´impegno del capo affinché convinca alcuni consiglieri di amministrazione a votare per cambiare direttore generale? E può un super dirigente Rai usare dei suoi buoni rapporti con Berlusconi per cercare di coinvolgerlo in un progetto per una città della fiction, per una nuova società di produzione, di cui lo stesso Berlusconi (sai che dispongo di un po´ di soldi, gli confida) si dice pronto a diventare il socio di riferimento? Ditemi voi che cosa succederebbe ad un Agostino Saccà qualunque in una qualsiasi azienda privata.

Un´altra riflessione emerge dalle telefonate. Non solo ci sono dirigenti Rai che non vogliono far riferimento al direttore generale, ma preferiscono scavalcarlo e discutere di strategie aziendali con un capo partito. Ma ci sono anche dei consiglieri che di fatto vengono usati - come dei pupazzi? - e se non sono in sintonia, vengono scavalcati due volte, dai dirigenti stessi e dai loro teorici referenti politici. Con il risultato che l´organizzazione della Rai finisce per assomigliare sempre di più a una rete di baronìe, che hanno sì un capo interno, il direttore generale, ma soprattutto tanti capi esterni. Anche questa circostanza che emerge da alcune telefonate con alcuni consiglieri avrebbe dovuto incuriosire chi fa il mestiere del giornalista. O no! In fondo dimostra come sia forte l´esigenza di cambiare profondamente i criteri con cui il servizio pubblico è governato. È solo compito dei partiti dire cosa vogliono che sia il servizio pubblico? O non spetterebbe anche a chi lavora nei media far sentire la propria voce e magari schierarsi con chi vuole cambiare la legge Gasparri?

Ci sono scelte che prescindono dalla logica dei partiti. Senza essere pregiudizialmente faziosi, rivendicando la propria autonomia e l´orgoglio di riconoscersi come un quarto potere, non è ora di cominciare a pensare che la credibilità del giornalismo cresce se ci si impegna a valutare responsabilmente e in modo autonomo l´importanza dei fatti? Il giornalista cane da guardia dell´interesse generale non si fa dettare l´agenda solo dai partiti o dal presunto basso istinto del lettore amante dei pettegolezzi. O sono io che non ho mai capito qual è il mestiere del giornalista? Forse che il cane da guardia non va più di moda e invece si porta il cagnolino da salotto?

Pubblicato il: 01.07.08
Modificato il: 01.07.08 alle ore 11.55   
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