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Autore Discussione: Giancarlo Ferrero. Domande preventive sul decreto Maroni  (Letto 4111 volte)
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« inserito:: Maggio 21, 2008, 12:10:25 am »

Domande preventive sul decreto Maroni

Giancarlo Ferrero


Il governo dovrebbe ricordare che la gatta frettolosa partorisce gattini ciechi. Il decreto legge che il nuovo Consiglio dei ministri stava predisponendo sulla sicurezza e di cui sono state diffuse alcune indiscrezioni, ha provocato una così dura reazione nell’opinione pubblica più qualificata da rendere necessario un informale “intervento” del Presidente della Repubblica ed indurre i ministri competenti a rivedere alcune durissime posizioni già prese ed ampiamente pubblicizzate. Ciononostante ciò che si è appreso da più precise indiscrezioni desta forti preoccupazioni e pone non pochi dubbi sulla capacità giuridica ed istituzionale di chi ha l’onere di governare il Paese.

In primo luogo non sembra venir meno la preliminare obiezione che nel caso di specie non si riesce a rinvenire il requisito stesso della decretazione d’urgenza, cioè la necessità e l’improcrastinabilità del provvedimento. La criminalità, infatti, non è in aumento, come risulta da obiettivi dati statistici, non è provato il collegamento tra l’immigrazione e la criminalità,manca uno studio minimamente serio del problema, non sono stati sentiti i più autorevoli operatori del diritto e pubblici funzionari del settore. Una mancanza, quella dell’estrema urgenza, molto grave che non sfuggirà certamente al Presidente Napolitano il quale ha già ha dimostrato di essere molto attento alla sua funzione di difesa e di supremo garante dei principi costituzionali. Come è noto, perché il decreto legge divenga efficace e sia subito legge dello Stato è indispensabile la firma del capo dello Stato.

Pur restando ferma, in talune frange governative, il proposito di introdurre il nuovo reato della clandestinità (più esattamente irregolarità amministrativa, gli immigrati non sono nascosti, non hanno gli appoggi né i rifugi dei mafiosi), con la nuova stesura del decreto viene modificato il nostro ordinamento penale, prevedendosi aggravanti ed eliminando attenuanti per gli immigranti “clandestini” che commettono reato. Non occorre scomodare esperti costituzionalisti per rendersi immediatamente conto della disparità di trattamento che ne deriverebbe, tale da rendere le nuove norme improponibili e gravemente viziate di incostituzionalità. In ogni caso, almeno dal punto di vista teorico, il reato aggravato verrebbe legislativamente previsto con tutte le sue implicazione e difficoltà giuridiche connesse alla problematica tipica delle circostanze del reato stesso. I magistrati sarebbero costretti ad avviare indagini complesse e ad imbarcarsi in processi ricchi di ostacoli pregiudiziali e di infinite eccezioni. difensive, sempre che si voglia mantenere il principio dell’obbligo della difesa, anche per chi non è abbiente e non può pagarsi l’avvocato! Sembra inoltre che si intenda stabilire riti accelerati per questi tipi di delitti, in perfetta armonia con la tradizionale rapidità della nostra giustizia. Va da sé che per non essere nella situazione di clandestinità, cioè per non incorrere nelle aggravanti, gli immigrati debbono essere regolarizzati, ottenere cioè il tanto sospirato permesso di soggiorno che la nostra amministrazione concede con oculata e meditata prudenza (o basterà la prova di aver presentato la prescritta domanda?).

Cosa fare poi con i circa 600 mila (ma quanti saranno veramente?) clandestini presenti in Italia?. La legge penale non è retroattiva, quindi non può applicarsi agli extracomunitari che sono entrati nel nostro territorio prima del decreto legge, a meno che nel decreto stesso venga specificato (ma è costituzionale?) che da quel momento in poi incorre nell’aggravante chi continua a restare clandestinamente in Italia. Difficile prevedere quanti tipi di clandestini e di illeciti verranno a coesistere e quali saranno gli effetti sul piano giuridico; il caos è alle porte. Mancano, inoltre, gli uomini che possano garantire un minimo di sorveglianza, mentre l’inevitabile promiscuità in carceri (già ora inadeguate) di tanti poveri disgraziati può innestare pericolosissime forme di ribellioni di massa.

Per fortuna è rientrata la cervellotica idea di sospendere il trattato di Schengen, idea che porterebbe all’immediata bocciatura di qualsiasi studente di giurisprudenza. Non può il governo ignorare che facciamo ancora parte (per quanto?) della comunità europea ai cui regolamenti e direttive siamo subordinati e che i giudici i non possono certo disattendere.

Quanto all’ipotizzata espulsione immediata dei cosiddetti clandestini è lecito chiedersi come potrà essere attuata se non si conosce con un minimo di fondamento da dove provengano ed a quale nazione appartengano gli irregolari, senza ovviamente considerare l’immenso costo che l’operazione comporterebbe.

La sola idea di impiegare l’esercito fa poi pensare ad orde dei barbari che stanno invadendo le nostre terre, insinuandosi nelle nostre case sotto la temibile corazze di badanti. Certo sarebbe più pericolosa una missione militare condotta contro le organizzazioni mafiose, ormai ben inserite nei gangli vitali dell’economia ed delle istituzioni pubbliche! Non meno peregrina è l’idea di utilizzare i sindaci e le polizie locali che non hanno ne possono avere alcuna competenza sull’immigrazione e sull’ordine pubblico (oltretutto con le ovvie disparità che si verificherebbero sul territorio nazionale stante l’autonomia e le differenze di vedute dei vari sindaci).

Pubblicato il: 20.05.08
Modificato il: 20.05.08 alle ore 8.52   
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« Risposta #1 inserito:: Maggio 30, 2008, 11:33:34 pm »

Il rovescio del diritto

Giancarlo Ferrero


Il governo non perde tempo: cavalcando la tigre della paura, forte del consenso poco consapevole dell’opinione pubblica spaventata ha già pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 26 maggio il decreto legge sul pacchetto di sicurezza. Essendo ormai entrato, seppure provvisoriamente, nel nostro ordinamento giuridico, i magistrati sono ovviamente tenuti ad applicarlo. Lo faranno con gli occhi rivolti al cielo pensando al tempo e al costo che richiederà la sua applicazione e con la consapevolezza che non darà sostanzialmente alcun risultato.

Mancavano già in passato e mancano tuttora gli strumenti amministrativi, cioè gli uomini ed i mezzi necessari per dare concreta esecuzione agli ordini giurisdizionali di espulsione. Il governo ne è così consapevole che ha espressamente previsto la reclusione per l’immigrato il quale trasgredisca l’ordine di espulsione, trasgressione che presuppone la reale possibilità di non ottemperare all'ordine stesso. Anche perché non sempre è nelle condizioni di dargli spontanea esecuzione per l’elevato costo del viaggio di ritorno e perché i Paesi limitrofi al nostro non gli consentirebbero di certo l’attraversamento del loro territorio e tanto meno la permanenza sullo stesso in virtù di un semplice provvedimento giurisdizionale di un giudice italiano.

L’art. 1 del decreto legge ha molto disinvoltamente sostituito l’art. 235 del codice penale, imponendo ai tribunali di espellere lo straniero od allontanare il cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea (quindi anche un francese) condannato a più di due anni. Il tempo perché si avveri questa condizione, stante la ben nota rapidità della nostra giustizia, non è pudicamente preso in considerazione. Se la persona coinvolta continua a calpestare il nostro sacro suolo, commettendo il reato previsto dal secondo comma dell’articolo, dovrà essere sottoposto a nuovo processo penale (sempre che naturalmente venga colto in flagranza) con ovviamente la piena osservanza di tutte le forme e gli oneri processuali, quindi con i lunghi tempi e costi del processo penale. Se pervicace e attaccato all’ex bel paese, potrebbe arrivare all’età pensionabile senza aver subito il trauma del distacco forzata dalla sua patria adottiva! Delle fatiche e del tempo dedicato al caso dagli uomini delle forze dell’ordine, dai funzionari e magistrati non si tiene alcun conto “de minimis praetor non curat”.

Purtroppo di questi particolari debbono però “curarsi” i dipendenti pubblici indicati che faticano a svolgere il loro lavoro “ordinario”, mentre sempre più arduo si fa la ricerca di nuovi locali adeguati in cui rinchiudere i condannati forestieri (le nostre carceri come è noto sono sovra affollate e prossime al punto di rottura). Girare attorno alla questione, come si fa da anni, serve solo ad incancrenire la piaga; non è compito dei giudici occuparsi delle espulsioni, ma degli organi amministrativi ai quali però debbono essere dati i mezzi e gli strumenti necessari, affrontandone i costi se veramente si vuole limitare il fenomeno dell’immigrazione clandestina. Il pugno duro è spesso indice di una sostanziale impotenza ed è desti nato a colpire i più deboli ed emarginati con un rovesciamento dell’ottica dei valori statali. Non poche volte poi volendo a tutti i costi seguire la linea della durezza si finisce con l’infrangono i principi della stessa civiltà giuridica. Ne costituisce un significativo esempio l’ultimo comma dell’art. 1 del decreto che introduce una specifica circostanza aggravante (con un aumento della pena sino ad un terzo) se un reato viene commesso “da chi si trovi illegalmente sul territorio nazionale”. In parole povere, uno stesso fatto previsto come reato viene sanzionato più severamente non per le modalità con cui è stato commesso o per le relazioni tra l’autore del reato e la vittima, ma semplicemente per quello che sei: un clandestino, un irregolare, un diversi dai bravi criminali nostrani! Per carità, stiamo tutti attenti che nessuno tocchi la nostra bella Costituzione e la preziosa autonomia e funzione della nostra illuminata Corte Costituzionale!

Molto pericolosa e con profili di incerta legalità è l’estensione ai sindaci del potere di emettere ordinanze con tingibili ed urgenti (la cui inosservanza costituisce un illecito) in materia di sicurezza ed ordine pubblico, su cui di norma sussiste la competenza dei prefetti. Considerato il numero di sindaci, le loro diverse impostazioni ideologiche, è facile prevedere molti difformi interventi sindacali che, oltre aggraveranno il lavoro dei prefetti, saranno causa di ricorsi ai tribunali amministrativi. Non riguarda direttamente gli immigrati la disposizione con tenuta nell’art. 5 che prevede dure sanzioni personali e patrimoniali (la confisca dell’immobile) per coloro che “cedono” a titolo oneroso l’uso degli immobili agli immigrati irregolari (e tali debbono considerarsi anche gli immigrati il cui permesso di soggiorno è scaduto). L’effetto sarà una forte riduzione degli affitti agli immigrati, con notevole peggioramento delle loro condizioni di vita, se non l’illecito ricorso a caro prezzo a prestanomi od a società fittizie.

Non fa per fortuna parte del decreto legge, ma del disegno di legge affidato al Parlamento, la norma che introduce l’atipico reato di immigrazione clandestina. Qui il governo ha voluto chiaramente provare di essere forte, tanto da poter maneggiare con disinvoltura la clava, scavalcando d’impeto sia i principi di solidarietà umana sia quelli minimali del diritto. Viene così punito non un comportamento asociale, ma lo “status” di una persona: l’essere un immigrato non regolare, anche se la sua vita è di specchiata virtù. Una decisione di forza che pone subito in sofferenza coscienze e costituzioni, in modo così sfacciato da provocare più stupore che indignazione. Oltretutto non è ben chiaro quando si commette il delitto: all’atto dell’ingresso (come riportato nel disegno di legge) clandestino nel nostro territorio (ivi compreso il mare territoriale) o nel momento in cui si diventa clandestini perché il permesso di soggiorno è scaduto (ma sarebbe necessario uno specifico emendamento)? Nel primo caso, si pensi agli sbarchi a Lampedusa, l’ingresso può essere dovuto a forza maggiore, mare in tempesta, mancanza di acqua e cibo prostrazione fisica condizioni tutte che non consentirebbero di ritornare indietro, neanche fuori dal mare territoriale senza rischiare la vita (vale a dire dove il reato non c’è, dato che non si arriva a punire l’intenzione). Secondo l’antica legge del mare, non è consentito lasciare in balia delle onde senza mezzi di sostentamento i naviganti sfortunati o improvvidi e per fortuna la nostra Marina ha sempre rispettato questa sacrosanta regola e ha scortato doverosamente gli sventurati superstiti nei porti. Gli immigrati così assistiti essendo, chiaramente clandestini, nel momento in cui entrano nel mare territoriale commettono peraltro il nuovo reato per cui è previsto l’arresto ed il ricorso al rito direttissimo (ovviamente inapplicabile nell’attuale situazione dei nostri uffici giudiziari). Con alta probabilità i magistrati italiani ravviserebbero piuttosto la sussistenza della tipica causa di esclusione della responsabilità penale (aver agito in stato di necessità o per forza maggiore) e procederebbero all’assoluzione dell’imputato.

Stante poi il pacifico principio della non retroattività della legge penale, la disposizione non potrebbe essere applicata a coloro che al momento dell’entrata in vigore del decreto erano già nel territorio italiano. Principio che indurrebbe tutti i clandestini non colti in flagranza a dichiarare che la loro presenza in Italia risale nel tempo. A meno che, in uno slancio di estreme fermezza, il reato non venga fatto consistere nella permanenza clandestina (a permesso di soggiorno scaduto) nel nostro territorio. Decine di migliaia di inutili processi si affollerebbero così nelle aule giudiziarie dove con un po’ di buona volontà ed una manciata di lustri verrebbero smaltiti! Certo, anche in questo caso sorgerebbero le solite questioni di incostituzionalità, vere palle ai piedi dei legislatori decisionisti.

In qualche modo si terrebbero comunque fuori dalla mischia le badanti perché servono alla longevità e dignità dei nostri anziani di pura razza europea. Al Parlamento l’ultima (e speriamo illuminata) parola, al momento non può che consigliarsi a tutti gli addetti al lavoro di muoversi con molta ponderata lentezza e tanta pazienza.


Pubblicato il: 30.05.08
Modificato il: 30.05.08 alle ore 8.17   
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« Risposta #2 inserito:: Giugno 28, 2008, 05:58:25 pm »

Csm, quando il parere è un dovere

Giancarlo Ferrero


È molta, certamente non del tutto casuale, la confusione che circonda la legittimità del parere del Csm sulla proposta di sospendere i processi per i reati puniti con meno di dieci anni di reclusione (una miriade, spesso gravissimi). Con una forzatura, che trae alimento da un miscuglio di malafede e ignoranza, si accusa il Csm di eccedere dalle sue competenze invadendo quella della Corte Costituzionale in quanto accusa la legge approvata al Senato di contrasto con la Costituzione. Poche parole sono sufficienti per inquadrare correttamente la questione ed impedire altre strumentalizzazioni.

Oltre ad essere l’organo che sovraintende alla vita professionale dei magistrati, per garantire la piena autonomia della loro funzioni, il Csm può fare proposte al ministro della Giustizia su tutte le materie riguardanti l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia.

E aspetto importante, può dare pareri su disegni di legge concernenti l’ordinamento giudiziario. È del tutto ovvio, infatti, che l’organo di autogoverno della magistratura si occupi dei problemi che riguardano la categoria e la sua attività. Ora soltanto chi è del tutto fuori dalla realtà giudiziaria può asserire che una legge dalla quale derivi la sospensione dei processi sia estranea all’organizzazione degli uffici giudiziari ed alla gestione del servizio giustizia. I processi sospesi vanno individuati dai singoli uffici e rimessi a nuovo ruolo, previo ovviamente l’espletamento di tutta una serie di incombenze processuali assolutamente indispensabili (si pensi alle notifiche alle parti per comunicare loro che il processo non si farà) e certamente onerose, con sottrazione di energie e tempi al normale espletamento del servizio. Anche il richiamo ai possibili vizi di incostituzionalità è perfettamente coerente con i rilievi sollevati nei pareri. Una legge pregiudizievole per il buon andamento degli uffici giudiziari è ancor più negativa se rischia di venire vanificata dalla Corte Costituzionale, con tutte le conseguenze che ne derivano (come è noto la legge dichiarata incostituzionale perde di efficacia e, quindi i giudici non ne devono più tenere conto) tra cui la ripresa dei processi sospesi. Inoltre gli uffici giudiziari verrebbero intasati da ordinanze di non manifesta infondatezza delle eccezioni di incostituzionalità, anche qui con il ponderoso corteo di incombenze processuali e diretta incidenza sugli uffici stessi. Peraltro, per poter motivare questi ulteriori rilievi, è indispensabile che il Csm spieghi le ragioni per cui ritiene le norme incostituzionali: se non lo facesse verrebbe meno al suo compito o quantomeno lo eserciterebbe in modo parziale. A nessuna persona con un minimo di conoscenze giuridiche verrebbe mai in mente di ritenere questi pareri del Csm come equivalenti a pronunce di incostituzionalità o, in ogni caso, dal contenuto obbligatorio per il Parlamento o il Presidente della Repubblica. Sono delle mere, anche se qualificate, opinioni giuridiche che possono servire a convincere, non a imporre decisioni. In altri termini, sono pareri facoltativi come se ne riscontrano a centinaia nel nostro ordinamento giuridico.

Sarebbe veramente offensivo per la preparazione e la competenza professionale dei componenti del Csm se , a fronte dei una proposta di legge del genere, non si fossero visti e denunciati i gravi vizi di incostituzionalità da cui è affetta, a cominciare dalla sua irragionevolezza ed indeterminatezza (tutti i reati commessi sino a... senza distinzione alcuna per la loro gravità o pericolosità), dalla violazione del principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale (la scelta delle precedenze tra i vari reati compete agli uffici giudiziari, non al potere politico, che ridurrebbe quindi l’autonomia della magistratura), al principio costituzionale del giusto processo (difficilmente può ritenersi conforme a giustizia non celebrare affatto il processo), al principio dell’inviolabilità della difesa in giudizio (preclusa alle parti interessate alla conclusione del giudizio). Non è il caso di proseguire per carità di patria, non si può però non evidenziare che la sospensione dei processi aggraverebbe in modo estremamente grave la piaga del risarcimento dei danni dovuto, in base alla cosiddetta legge Pinto, per l’irragionevole durata dei processi. Sono già diversi milioni quelli dovuti dallo Stato a chi ha subito le ordinarie lungaggini dei processi, incrementare ulteriormente il debito significa avviarsi al fallimento. Dopo quello istituzionale, anche quello economico sarebbe troppo per gli italiani.

Pubblicato il: 27.06.08
Modificato il: 27.06.08 alle ore 11.04   
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