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Autore Discussione: I ministri Ue a Tony Blair "Ecco un piano per la Palestina"  (Letto 3621 volte)
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« inserito:: Luglio 09, 2007, 09:47:24 am »

ESTERI

LA LETTERA

I ministri Ue a Tony Blair  "Ecco un piano per la Palestina"

 
Tony Blair, ex premier inglese
E' la lettera a Tony Blair, inviato del Quartetto per il Medio Oriente, scritta dai dieci ministri degli Esteri dei paesi mediterranei dell'Unione europea. Primi firmatari Italia, Francia, Spagna e Portogallo

Caro Tony, dopo dieci anni passati al servizio della Gran Bretagna, e mentre il mondo si stava già rammaricando di vederla lasciare le luci della ribalta, lei ha accettato una missione più complessa, addirittura più impossibile di tutte quelle in cui si era finora impegnato. Impossibile? Il compito, effettivamente, è tale da scoraggiare più di una persona.

Alla storia apparentemente senza fine di una pace tra Israele e i Palestinesi, si aggiunge oggi un insieme di fattori ostili: il colpo di forza di Hamas a Gaza ovviamente, le difficoltà politiche interne israeliane, l'attendismo degli Stati Uniti, la mancanza di convinzione dell'Europa, nonostante l'azione meritoria di Javier Solana, e soprattutto quella terribile sensazione di impotenza che sembra propagarsi in tutta la comunità internazionale.

C'è indubbiamente di che scoraggiarsi. E tuttavia, non possiamo impedirci, rallegrandoci della sua decisione di accettare questa missione, di provare un improbabile ottimismo. Prima di tutto, poiché noi conosciamo il suo coraggio, il suo senso del bene comune e la sua determinazione. Ma anche perché l'ampiezza della crisi ha provocato una presa di coscienza salutare, che paradossalmente rende finalmente possibile il progresso.

Tanto vale riconoscerlo subito, la prima constatazione di questa analisi è quella di un insuccesso condiviso che non possiamo più ignorare: la "road map" è fallita. Lo status quo che prevale dal 2000 non porta a nulla, lo sappiamo. Le condizioni troppo rigide che avevamo l'abitudine di imporre come preliminari alla ripresa del processo di pace non hanno fatto altro che aggravare la situazione. L'immobilità timorosa della comunità internazionale ha provocato troppi danni.

Questo bilancio negativo ci impone di cambiare approccio. Ci autorizza soprattutto a vedere più lontano. L'Europa ha il dovere di dirlo ai suoi amici sia israeliani che palestinesi. Poiché, se si accetta di cambiare prospettiva, se ci si azzarda a vedere la situazione con occhi nuovi, la situazione attuale offre anche le sue opportunità. Ne citeremo due.

Per prima cosa, la presa di Gaza da parte di Hamas. Da questa sconfitta può nascere una speranza. Il rischio di guerra civile in Cisgiordania, le minacce della divisione di fatto della Palestina e del ritorno degli scenari giordano e egiziano di prima del 1967 possono effettivamente dare uno scossone. Il Presidente dell'Autorità Palestinese, con la sua tenacia nel favorire la pace e il dialogo e nel denunciare coraggiosamente il terrorismo, ci invita all'ottimismo.

Altro motivo di sperare: la determinazione dell'Arabia Saudita, degli Emirati e del Qatar a fianco dell'Egitto e della Giordania. Questi nuovi protagonisti sono in grado, con le loro considerevoli risorse, di portare un aiuto decisivo.

Questi due punti, caro Tony, ci autorizzano a ridefinire i nostri obiettivi. Sostenuti da una concertazione rinnovata del Quartetto e della Lega Araba (con Egitto, Giordania, Arabia Saudita, Siria, Emirati) che associ le due parti (Olmert e Mahmud Abbas), questi obbiettivi dovrebbero ragionevolmente essere quattro:

a) Offrire una speranza, una vera soluzione politica ai popoli della regione. Questo passa attraverso negoziati, senza preliminari, sullo statuto finale, salvo che il percorso avvenga per fasi successive. Comprendendo le questioni di Gerusalemme, i rifugiati e le frontiere, questi negoziati permetteranno di fissare un obiettivo condiviso e realistico.

b) Prendere in considerazione il bisogno di sicurezza di Israele. Vale la pena esaminare l'idea di una forza internazionale robusta del tipo Nato o Onu capitolo VII. Questa avrebbe ogni legittimità ad assicurare l'ordine nei territori e a imporre il rispetto di un necessario cessate il fuoco. I rischi, ovviamente, sono elevati, ma questa forza può essere funzionante e sicura se noi rispettiamo due condizioni: che accompagni un piano di pace senza sostituirvisi e che si appoggi su un accordo inter-palestinese.

c) Ottenere da Israele provvedimenti concreti e immediati a favore di Mahmud Abbas, tra i quali il trasferimento della totalità delle tasse dovute, la liberazione di migliaia di prigionieri che non abbiano le mani macchiate di sangue, la liberazione anche dei principali leader palestinesi per assicurare il ricambio in seno a Fatah, il congelamento della colonizzazione e l'evacuazione degli insediamenti selvaggi. Nessuno di questi provvedimenti può essere contestato per motivi di sicurezza. L'Europa e il Quartetto devono dirlo con fermezza e amicizia a Israele. È troppo tardi per tergiversare.

d) Non spingere Hamas a rilanciare. Questo implica riaprire le frontiere tra Gaza e l'Egitto, facilitare il passaggio tra Gaza e Israele, e incoraggiare l'Arabia Saudita e l'Egitto, come il Presidente Mubarak ha proposto, a ristabilire il dialogo tra Hamas e Fatah.
Questi quattro obiettivi sono alla nostra portata. Nonostante le circostanze drammatiche, nonostante le ferite e gli odi, ci troviamo di fronte a una occasione storica - forse l'ultima.

Conosciamo la sua immaginazione. Siamo quindi certi che lei saprà trattare queste problematiche in modo globale. Da qui l'importanza di riunire senza indugio una Conferenza internazionale che comprenda tutte le parti del conflitto.

Caro Tony, lei ha lo straordinario privilegio di poter far diventare realtà, la visione di due Stati, israeliano e palestinese, che vivono l'uno accanto all'altro in pace e in sicurezza.

Sappia, che, in ogni giorno della sua missione, potrà contare sul nostro sostegno e la nostra adesione incondizionata.

(Lettera firmata dai 10 ministri degli Affari Esteri degli Stati mediterranei dell'Unione Europea, riuniti il 6 luglio 2007 a Portorose, Slovenia)

Ivailo Georgiev Kalfin (Bulgaria)

Yiorgos Lillikas (Cipro)

Bernard Kouchner (Francia)

Dora Bakoiannis (Grecia)

Massimo D'Alema (Italia)

Michael Frendo (Malta)

Luís Amado (Portogallo)

Adrian Cioroianu (Romania)

Dimitrij Rupel (Slovenia)

Miguel Ángel Moratinos Cuyaubé (Spagna)

(9 luglio 2007) 

da repubblica.it
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« Risposta #1 inserito:: Luglio 17, 2007, 12:20:50 pm »

Il ministro degli Esteri, che domani incontrerà l'inviato del Quartetto

Tony Blair, conferma la strategia del dialogo con gli integralisti

D'Alema: «Non regaliamo Hamas ad Al Qaeda» «E' tanta parte del popolo palestinese».

Mastella «perplesso». Diliberto applaude 


»ROMA — Mentre il presidente palestinese Abu Mazen, subìto lo smacco della perdita di autorità su Gaza, persegue l'isolamento di Hamas, dall'Italia continuano a partire segnali di apertura verso il partito più grande dei Territori, una formazione fondamentalista islamica tuttora considerata organizzazione terroristica dall'Unione Europea.
«Hamas è una forza reale che rappresenta tanta parte del popolo palestinese», ha detto ieri pomeriggio Massimo D'Alema. «È sbagliato regalare ad Al Qaeda movimenti come Hamas e Hezbollah. Hamas si è reso protagonista di atti terroristici, ma è anche un movimento popolare: per l'Occidente non riconoscere un governo eletto democraticamente, magari mentre andiamo a braccetto con qualche dittatore, non è una straordinaria lezione di democrazia», ha sostenuto il ministro degli Esteri. A suo avviso, «è interesse della comunità internazionale evitare di spingere questi movimenti nelle braccia di Al Qaeda».
Il titolare della Farnesina si è espresso così nella festa dell'Unità a San Miniato, in provincia di Siena. Si tratta dello sviluppo ulteriore di una sua tesi. Il 6 giugno, a Damasco, D'Alema ha lasciato capire che si deve anche a Hezbollah e ad Hamas se le forze italiane in Libano, circa 2.500 militari, non hanno subìto grossi attentati. Nel frattempo però l'irrisolto problema del forte radicamento di Hamas si è posto in termini più rudi e gravi: nel corso di giugno la sua milizia ha conquistato Gaza. Abu Mazen ha denunciato un golpe, da Ramallah ha sostituito il governo di unità nazionale presieduto da Ismail Haniyeh con uno di al Fatah guidato da Salam Fayyad e ha accusato Hamas di favorire l'ingresso di Al Qaeda nella Striscia percorsa da lampi di guerra civile.

Benché la tesi del titolare della Farnesina non sia una sorpresa, certo non equivale a un caloroso appoggio all'esecutivo di Fayyad. E nel governo italiano non mancano alcune obiezioni. «Rispetto le considerazioni di D'Alema, non ho competenze al riguardo», premette diplomatico il segretario dell'Udeur Clemente Mastella parlando con il Corriere. Ma riconosce: «Resto un po' perplesso. E non tanto per le valutazioni negative che su Hamas ha Israele. Per quelle, negative, di Abu Mazen», aggiunge Mastella. Il quale è pur sempre ministro della Giustizia.

Prosegue il segretario del-l'Udeur: «Quelli di Hamas hanno fatto prigionieri e passato per le armi loro fratelli. In più, stando ad Abu Mazen, hanno collusioni con Al Qaeda. Se cambiano atteggiamento, come i gruppi partiti da comportamenti terroristici che si sono evoluti su una linea di confine verso la democrazia, bene. Però finora è giusto che l'atteggiamento della comunità internazionale sia l'attuale».

Se per comunità internazionale si intende il Quartetto formato da Usa, Unione europea, Russia e Onu, il suo consiste nel porre come condizioni per abbassare le barriere verso Hamas passi di pace — rinuncia alla violenza, riconoscimento di Israele e degli accordi precedenti — che non ci sono stati.
Domani D'Alema riceverà a Roma il nuovo inviato del Quartetto per il Medio Oriente, Tony Blair, atteso anche da Romano Prodi (il quale è stato da Abu Mazen e Fayyad). Il ministro degli Esteri insisterà nel sostenere che Hamas è un problema politico troppo grosso per essere risolto in chiave militare o soltanto con sanzioni.

Il ds Piero Fassino, segretario del partito di D'Alema, ha scritto sabato sul nostro giornale che «avere una strategia con cui gestire i rapporti con Hamas non è questione eludibile». «Bravo D'Alema. La sua posizione mi pare molto corretta», è il giudizio che delle affermazioni di ieri del ministro degli Esteri dà al Corriere il segretario dei Comunisti italiani Oliviero Diliberto. «Ero e sono molto vicino ad Al Fatah, tuttavia Hamas ha vinto le elezioni ed è bizzarra concezione quella secondo cui i risultati del voto esistono soltanto quando vince chi vuoi tu. Questo vale pure per Hezbollah, appoggiata da un terzo dei libanesi », aggiunge Diliberto.

Le sue idee sul Medio Oriente sono molto lontane da quelle di Emanuele Fiano, deputato ds, ex presidente della Comunità ebraica di Milano. Ma anche Fiano non trova sbagliata la tesi del titolare della Farnesina: «Fassino e D'Alema toccano un punto vero. Quante persone ci sono a Gaza? Non è che perché hanno scelto Hamas le si può lasciare senza rappresentanti. Alla fine con Hamas bisognerà trattare ». Fiano, comunque, ricorda: «Mica ci si può sedere al tavolo con Hamas come si fa con il premier norvegese. Il primo scoglio è l'abbandono del terrorismo, prima ancora del, necessario, riconoscimento di Israele».

Maurizio Caprara
17 luglio 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #2 inserito:: Luglio 17, 2007, 10:36:17 pm »

«Prodi ha il dovere di dire se questa è la linea del governo»

Fini: «D'Alema irresponsabile su Hamas»

Il leader di An: «Gravi le parole del ministro.

Hamas è un'organizzazione politica che non ha mai ripudiato il terrorismo» 
 

ROMA - Da Gianfranco Fini arriva un duro attacco alla posizione del ministro degli Esteri Massimo D'Alema su Hamas. «Non regaliamo Hamas ad Al Qaeda» aveva detto tra l'altro D'Alema, ricordando che il movimento «è tanta parte del popolo palestinese».
 
Secondo Fini «le parole di D'Alema sono gravissime e irresponsabili. È evidente che Hamas è un'organizzazione politica che come tale raccoglie vasto consenso popolare, ma è incontestabile che non ha mai ripudiato il terrorismo come strumento di lotta. Lo ha praticato e lo pratica tuttora e si rifiuta di riconoscere lo Stato di Israele. Ed è per questo ragioni che l'Unione europea ha inserito Hamas nella lista delle organizzazioni terroristiche. Prodi ha il dovere di dire con chiarezza se le affermazioni di D'Alema sono condivise e sono la linea del governo».

CASINI CONDIVIDE - La posizione di Fini è condivisa anche dal leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini. «Il nostro ministro degli Esteri era distratto o l'Ue ha sbagliato a inserire Hamas nell'elenco delle organizzazione terroristiche. L'Italia non può avere alcun ruolo in Medio oriente se segue questa politica ambigua del doppio binario. Spero che Prodi ribadisca che la nostra posizione è quella europea e che l'Italia non ha alcuna compiacenza verso Hamas o altri gruppi che fiancheggiano il terrorismo, anche quando vengono sostenuti dal consenso popolare»

17 luglio 2007
 
da corriere.it
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