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Autore Discussione: Ma c'è pure il clandestino di serie A  (Letto 2762 volte)
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« inserito:: Maggio 17, 2008, 10:58:15 pm »

17/5/2008
 
Ma c'è pure il clandestino di serie A
 
MARCO BELPOLITI
 

In un libro, Zingari di merda (Effige edizioni), uscito da poco, Antonio Moresco, uno dei nostri scrittori più inquieti e urticanti, racconta un viaggio sulla vecchia e scassata Bmw di uno zingaro sgomberato di recente verso Slatina e Listava, in Romania, con la compagnia di un fotografo, Giovanni Giovannetti, le cui immagini chiudono il libro. Descrive le case di fango in cui vivono i Rom, ai confini del mondo civile in un paese che non li vuole, li discrimina e li caccia. Un reportage che non contiene partiti presi se non quello di raccontare in modo nudo e crudo la realtà che ha davanti. Le foto di Giovannetti completano il quadro.

Ci sono in questo libro tante verità anche contraddittorie, l’idea, come ricorda il risvolto editoriale, che gli zingari rappresentano la nostra parte più miserabile, più fatalista, più individualista: «Questo misto di libertà e opportunismo, di fierezza e infingardaggine, di irriducibilità e di parassitismo, di anarchismo e fascismo». Questa idea che dentro di noi c’è qualcosa degli zingari, della loro complessa, ambivalente e ambigua natura, fa pensare. Certo, vivere vicino a un campo nomadi non è facile; i Rom sono «qualcosa» di intrattabile, di incontenibile, che sfugge alle nostre categorie di gente stanziale, alle nostre idee di convivenza civile, di buon vicinato, di cittadinanza ordinata e ordinaria. Per questo ci mettono in crisi.

La lettura delle brevi pagine del reportage di Moresco fa riflettere: i Rom rappresentano oggi l’annoso problema della devianza sociale, di una popolazione visibile che resta ai margini della nostra società, qualcosa di irriducibile e che fa paura. E dunque spinge a reazioni immediate. Mentre vediamo tutto questo ignoriamo invece tutto quello che non appare in modo evidente ai nostri occhi. Ce lo racconta Gomorra di Roberto Saviano. Mi sono tornate in mente le pagine iniziali del libro, là dove si parla di clandestini invisibili: la scena apocalittica del container con cui si apre il racconto, con i cinesi immigrati dentro. Ecco, i cinesi, un’altra colorita popolazione che abita le nostre città e si sta espandendo a macchia d'olio al seguito della crescita impetuosa dell'economia del loro paese.

Non so se nella retata dei 400 clandestini di ieri ci sia qualche cittadino cinese presente illegalmente nel nostro paese. Ne dubito. I cinesi che vivono da noi non sembrano portare i medesimi problemi dei Rom. Sono una popolazione ordinata, dedita al commercio, ai traffici e agli scambi. Sono immigrati silenziosi, attivi, laboriosi. Ma anche loro spesso clandestini. Si tratta di una clandestinità che tuttavia non spaventa, anche a volte si trova fuori dalla legalità delle nostre leggi: non rubano, non cercano di rapire bambini, non svolgono l'accattonaggio o altre losche professioni lungo le nostre strade. Stano chiusi nei fortilizi dei loro quartieri, ma sovente dietro di loro, dietro anche alla parte sana della comunità, si nascondono organizzazioni criminali efficienti e solide, ben più pericolose di un campo nomadi.

Per capirlo basta leggere le prime 20 pagine di Gomorra, là dove vengono descritti i traffici occulti e clandestini del porto di Napoli gestiti da gruppi di cinesi in combutta con la camorra. E poi cosa dire delle case d'alloggio clandestine delle città italiane, a Milano e Roma di sicuro, dove si alternano giorno e notte nei medesimi letti tante persone diverse, dei negozi di massaggi che nel centro di Milano, a Chinatown, nascondono attività di prostituzione? E forse anche il mercato della droga, come dice più di un cronista, si è allocato da tempo in questi paraggi.

Ci sono, viene da pensare, immigrati e immigrati. Alcuni a cui la legge si rivolge in modo repressivo, e altri con cui è decisamente di manica larga. La clandestinità di serie A dei cinesi senza permesso di soggiorno - con le leggende metropolitane dei morti che spariscono e dei documenti che passano di mano in mano da cinese a cinese -, e la clandestinità di serie Z dei Rom e degli altri poveracci dell'Est Europa delle periferie urbane. Forse bisognerebbe che la legalità se deve esserci - e ci deve essere in un paese come il nostro che ne conosce così poca - sia valida per tutti, indipendentemente dalla nazionalità, della lingua e del mestiere che fa. Così, con due pesi e due misure, la caccia all'immigrato di ieri somiglia, come ha scritto Adriano Prosperi, a un pogrom.
 
 
da lastampa.it
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