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« Risposta #1 inserito:: Maggio 17, 2008, 11:00:36 pm » |
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Sbatti i Rom in prima pagina
Vittorio Emiliani
Questa vicenda dei campi Rom assaliti e incendiati, o comunque minacciati, sta assumendo proporzioni allarmanti, da Paese che rischia di sbandare, o già sbanda, verso forme di razzismo sempre più crude, indifferenziate e inaccettabili. Le dichiarazioni raccolte dalle televisioni ai bordi dei campi in preda alle fiamme a Ponticelli (per un supposto tentato rapimento) fanno pensare ad un vero e proprio odio per il nomade inteso come il diverso da sé, dalla propria cultura, dalla propria storia e quindi da esorcizzare, da cancellare possibilmente. Un odio che nasce da una paura diventata ossessione. Nel sondaggio Ipr Marketing pubblicato ieri da Repubblica emerge che il sentimento negativo nei confronti dei Rom è molto maggiore di quello suscitato dagli immigrati: per il 68 per cento degli italiani essi sono indesiderati e indesiderabili, insomma da espellere.
Almeno 3 intervistati su 10 dichiarano di temerli (il doppio di quanti hanno paura degli extra-comunitari); soltanto il 27 per cento, molto meno di un terzo, ritiene che possano integrarsi nella nostra realtà sociale.
Ci sono giornali e telegiornali che, dopo avere enfatizzato l’insicurezza dalla quale sarebbe avvolta Roma (per uno stupro, condannabile fin che si vuole e però abbastanza raro, rispetto a Milano stessa e ad altre grandi città europee), ora presentano tutta la realtà dei campi nomadi e dei Rom come una vera e propria galassia criminale. Il Giornale di mercoledì annunciava a tutta pagina: «Ecco tutti i crimini dei rom. Furti, estorsioni, scippi, spaccio di droga, ricettazione». Reati, anche gravi, certamente, e però i “crimini” sono qualcosa di più e di peggio. Tant’è che, commentando gli assalti incendiari di Ponticelli, sullo stesso quotidiano Filippo Facci sentiva la necessità di sottolineare la confusione che si va facendo «tra un rom romeno, un rom non romeno, un rom polacco, uno zingaro e un semplice nomade». E concludeva senza mezzi termini: chi decide di vendicarsi, di aggredire «un romeno che non c’entra niente, allora c’è una cosa che sei obbligato a sapere: che meriti la galera e basta. Romeno o rom fa lo stesso». Da sottoscrivere. Ma quanti leggono i commenti e quanti invece si fermano ai titoloni, a quei «crimini dei rom»? Questi titoli, come gli analoghi “strilli” dei Tg sono pesanti quanto macigni. Anche perché, secondo i dati dell’Opera Nomadi, gli zingari che vivono in Italia sono circa 110.000 «la più bassa percentuale in tutta Europa» e che gli zingari con cittadinanza italiana (fra cui gli ultimi nomadi) risultano circa 70.000.
È un errore imperdonabile, in ogni caso, fare di ogni erba un fascio, non distinguere cioè fra Rom di recentissima immigrazione (i quali vivono in campi abusivi, in condizioni che da sole costituiscono un incentivo a delinquere) e Rom o Zingari di lontano insediamento. Ci sono infatti in Italia Rom abruzzesi e molisani giunti qui alla fine del Trecento, dopo la battaglia di Kosovo del 1392, alcuni dei quali parlano l’antica lingua “romanì” e che per secoli si sono occupati di cavalli, con alcune comunità integrate da tempo, per esempio a Isernia. Ci sono i Napulengre, cioè i Rom napoletani, stanziati da decenni nella cintura partenopea, i Rom cilentani (una comunità di circa 800 unità vive a Eboli), i Rom lucani che si spingono fino all’alto Cosentino, i Rom pugliesi, presenti soprattutto nel Salento, i Rom calabresi, i più poveri di tutti, e poi i Camminanti siciliani, arrotini e ombrellai, i Sinti che un tempo gestivano soprattutto giostre in molte nostre regioni, i Rom Harvati, provenienti dalla Jugoslavia e ormai cittadini italiani, i Rom Lovara di cittadinanza spagnola o francese, un migliaio, in transito periodico, e gli Zingari dell’Est europeo giunti qui numerosi in seguito alle crisi di quelle regioni: bosniaci, serbi, kosovari, romeni e anche polacchi (questi ultimi stanziati a Novara). Fra i Rom ci sono i musulmani, cioè i Khorakhanè, e i cristiano-ortodossi, i Dasikhanè. Poi i Rom romeni fuggiti qui anche per le azioni criminali contro di loro di bande neonaziste.
Ecco un altro punto da non dimenticare mai: insieme a quello, enorme, degli Ebrei, c’è un Olocausto, meno vasto ma comunque spaventoso, degli Zingari. Così poco studiato che la cifra di queste vittime dimenticate oscilla fra le 200.000 e il milione e mezzo. Discrepanza dovuta anche al fatto che, a differenza degli Ebrei tutti alfabetizzati, gli Zingari erano per lo più analfabeti o semi-analfabeti, e quindi non hanno lasciato diarii, memorie, documenti, né i sopravvissuti hanno poi promosso adeguate ricerche. Nel solo lager di Auschwitz-Birkenau gli Zingari sterminati sono stati 20.000 su 23.000 internati. L’etnia più numerosa, cioè, dopo Ebrei e Polacchi.
In Italia si sa (o si vuol sapere) poco di questa tragedia di massa, spesso la si ignora completamente. Come si ignora la cultura dei nomadi. I bambini delle varie comunità che frequentano le scuole sono oggi quasi novemila, ma si fermano alle elementari o poco più. Qualcuno è arrivato all’Università come il Rom abruzzese Santino Spinelli in arte Alexian, poeta, musicista, compositore, saggista. Il primo, credo. L’ondata di xenofobia anti-Rom rischia di sommergere o di respingere lontano questi dati della nostra storia, di una convivenza plurisecolare, di rendere più difficili i progetti di integrazione in atto a Pisa, da anni, a Firenze o a Torino.
Certo, negli ultimi anni gli organi di governo, nazionale e locale, hanno per lo più sottovalutato l’entità reale dei flussi immigratori extra-comunitari e quelli dei Paesi neo-europei, in particolare dalla Romania entrata senza alcuna gradualità nell’Unione Europea e quindi con le libertà di circolazione e di insediamento previste dal Trattato di Schengen. Hanno sottovalutato l’impatto che la diffusione crescente, incontrollata, di campi nomadi e di baraccopoli ai bordi delle città avrebbe provocato sull’opinione pubblica (vivere vicino a un campo, per di più abusivo e quindi degradatissimo, di nomadi, o di immigrati clandestini, non è per niente piacevole). Tutto ciò è avvenuto in tutti i Comuni, qualunque fosse il colore dell’amministrazione, con particolare intensità a Milano e a Roma, dove la campagna del Pdl e di Gianni Alemanno ha puntato quasi ogni carta su questo argomento, sempre più dolente, e sull’insicurezza in generale.
Del resto, quando alcuni sindaci di centrosinistra avevano assunto misure di contenimento e di regolazione, Domenici a Firenze, o, come Sergio Cofferati a Bologna, avevano provveduto a sfollare dalle rive del fiume locale, il Reno, accampamenti romeni di fortuna, erano stati attaccati in modo accesamente polemico dalle forze della sinistra radicale. Anche quando - come a Bologna, per l’appunto - erano state offerte alternative decorose a quelle baraccopoli, pericolose da ogni punto di vista. Lo stesso valido decreto Amato sulla sicurezza non è mai stato varato per la solita opposizione interna al governo. Per cui da un regime di ampia (troppo ampia) tolleranza si sta transitando velocemente, affannatamente, alla tolleranza zero, preceduta dalle dichiarazioni demagogiche - alle quali la gente ha prestato fede votando di conseguenza - del tipo: «Espelleremo subito dopo la nostra vittoria a Roma ventimila immigrati clandestini». Misura palesemente inattuabile e che però ha costituito una delle fondamenta della vittoria del centrodestra nella capitale.
Onestamente credo che una maggiore vigilanza e un più incisivo controllo del territorio potessero esservi anche mesi fa, che il blitz contro clandestini e irregolari compiuto l’altro ieri potesse avvenire, magari non alle due di notte, anche mesi fa. A Roma e nel Paese. Quante volte non abbiamo sentito dire, anche a livello di prefetture e di prefetti, che tutto era sotto controllo, quando a occhio nudo si vedeva che non era vero e che bisognava assumere iniziative risolute, pur sapendo che avrebbero incontrato la protesta della sinistra radicale e magari della stessa Chiesa o di una parte di essa. Di quella stessa Chiesa che peraltro guardava ormai con stabile favore al centrodestra sostenitore della revisione della legge sull’aborto, quasi un’ossessione di questo pontefice. Misure che l’opinione pubblica reclamava e per le quali ha votato. Proprio per non assecondare una ondata xenofoba - che comincia coi Rom e non si sa dove possa dirigersi - occorreva agire per tempo, preventivamente, e non etichettare alcuni sindaci o assessori di centrosinistra (a Bologna, a Padova, a Firenze o a Torino) come pericolosi «sceriffi».
Ora l’iniziativa la assume il centrodestra, a livello nazionale, metropolitano e locale, e la assume a modo suo, con durezza repressiva, con esibizione di muscoli, rischiando di «criminalizzare» intere comunità laboriose e civili. Alle forze di centrosinistra sta il compito di non rassegnarsi al montare di un nuovo razzismo, alle forzature leghiste e non solo leghiste contro lo straniero e il diverso, alla repressione quale unica politica o quasi di questi «imprenditori dell’intolleranza», come li ha definiti su questo giornale Luigi Manconi. Parenti prossimi di quegli altri imprenditori che nei cantieri, in campagna, ai margini delle aziende sfruttano il lavoro nero dei clandestini e degli irregolari, speculando sulla loro assoluta precarietà e debolezza. Pronti poi a partecipare al coro di quanti invocano misure contro la manodopera immigrata senza permessi di sorta.
Siamo sempre più un Paese spaesato, senza coordinate, spaventato e come ripiegato su se stesso. La Spagna ha avuto una immigrazione, legale e clandestina, dall’Africa e da altri Paesi extra-comunitari, di proporzioni molto maggiori della nostra e però ha votato Zapatero e la sua proposta politica (chiara e persuasiva, evidentemente) confermandolo al governo. Da noi l’elettorato si è affidato di corsa, concitatamente, a Berlusconi, a Bossi e ad Alemanno, punendo il centrosinistra e cancellando dal Parlamento la sinistra radicale, demagogica purtroppo, alla vecchia maniera. Una riflessione seria su questo diverso orientamento politico generale fra due Paesi per molti versi analoghi andrà pure operata, per capire meglio il da farsi. Intanto, senza ipocriti (e inutili) buonismi, cerchiamo di evitare l’inciviltà di repressioni di massa, indistinte e miopi. Abbiamo mandato per il mondo, fra le Americhe, l’Australia e il vecchio Continente, circa 30 milioni di connazionali affamati e senza lavoro, da metà Ottocento a tutti gli anni Sessanta del Novecento, e ci siamo totalmente dimenticati di questo enorme esodo forzoso. Ci stiamo dimenticando persino della gigantesca emigrazione da Sud a Nord, dalla montagna alla pianura, alle coste, avvenuta nemmeno mezzo secolo fa. La gente, si sottolinea, ha paura. Far leva sulla paura è però puro cinismo politico. Una classe dirigente che si rispetti deve anche spiegare che la situazione italiana è, più o meno, la stessa degli altri Paesi sviluppati.
«Una nazione che chieda al suo governo il solo mantenimento dell’ordine è già schiava in fondo al cuore, schiava del suo benessere e da un momento all’altro può presentarsi l’uomo destinato ad asservirla». Sono parole, lucide e taglienti, di uno dei più autentici e schietti pensatori e politici liberali, Charles-Alexis Clérel de Tocqueville nel volume «La democrazia in America», anno 1840. Siamo in Europa. Vediamo di starci, in tutti i sensi. Ragionando e capendo.
Pubblicato il: 16.05.08 Modificato il: 17.05.08 alle ore 8.16 © l'Unità.
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