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Autore Discussione: Cossiga: «Sono dolori. Può tornare il terrorismo»  (Letto 4936 volte)
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« inserito:: Luglio 08, 2007, 05:17:46 pm »

Come vincere al qaeda
di Paolo Pontoniere

Il terrorismo è tornato a colpire.

Dalla Gran Bretagna allo Yemen.

Sconfiggerlo è possibile. Ma non si può pensare di annientarlo solo con l'opzione militare.

Occorre una nuova politica di dialogo e di integrazione.

Parla uno dei maggiori esperti mondiali colloquio con Brian Jenkins 


Gli attacchi di Londra e Glasgow dimostrano che l'isolamento sociale delle minoranze etniche ha prodotto una immagine oppressiva dell'Occidente che rende antagoniste le masse giovanili emarginate delle metropoli occidentali e i discendenti degli immigrati. E mentre c'è ancora la possibilità di sventare gli attacchi, sarebbe velleitario illudersi di poter eliminare del tutto il pericolo di una loro riuscita. Le tecnologie per scoprire coloro che trasportano esplosivi ci sono già e vanno usate a pieno campo. Però il terrorismo islamico non si vince solo adottando l'opzione militare e rafforzando le misure di sicurezza. Non si può fare politica internazionale usando solo la cartina di tornasole della guerra al terrorismo, questo non è un mondo a una sola dimensione. Bisogna rompere il fronte dell'alienazione. È necessario stabilire un dialogo con i rappresentanti eletti delle popolazioni medio-orientali. E sebbene sia impossibile eliminare del tutto il terrorismo di ispirazione religiosa, vincere è possìbile. Occorre solo decidere di giocare a tutto campo e non limitarsi esclusivamente a demonizzarli. Così parla Brian Michael Jenkins, padre dell'antiterrorismo moderno, all'indomani dei fatti inglesi e della strage nello Yemen.

Impegnato da oltre 40 anni nel campo della sicurezza, Jenkins è la massima autorità mondiale in fatto di lotta al terrorismo e all'eversione armata. Comandante dei berretti verdi in Vietnam, ex direttore della Kroll Associates, consigliere speciale per la sicurezza del Vaticano e della chiesa inglese, Jenkins è assistente speciale del presidente della Rand Corporation. Membro della commissione presidenziale statunitense sulla Sicurezza aerea e consulente della commissione nazionale Usa sul Terrorismo, Jenkins è anche autore di vari libri. L'ultimo, 'Unconquerable Nation', in cui esplora tutti i temi salienti della lotta al terrorismo, è stato pubblicato lo scorso settembre per i tipi della Rand.

Che conclusioni si possono trarre dall'analisi dei recenti attacchi inglesi?

"Due conclusioni, una positiva e l'altra negativa".

Cominciamo con la negativa,

"Al Qaeda ormai non è più nemmeno una ideologia, è diventata una narrativa epica nella quale si riconoscono le masse giovanili diseredate, da Karachi alla Scozia. Una narrativa nella quale i giovani prendono le armi contro l'Occidente oppressivo nel nome di Allah, ma anche per riaffermare la loro dignità di esseri umani e per il diritto di esprimersi pienamente per quello che sono, senza temere d'essere criminalizzati o emarginati".

E la positiva?

"Siamo riusciti a compromettere seriamente la loro capacità di preparare attacchi mortali. Questa era gente che voleva uccidere, ma non aveva le capacità tecniche e l'intelligenza necessarie a preparare un attentato fatale. Questo avviene per due ragioni. La prima è che le reclute non stanno ricevendo più il training necessario e l'altra è che probabilmente abbiamo distrutto molti dei loro campi e prosciugato i loro finanziamenti. Inoltre ci troviamo di fronte a elementi marcatamente meno estremisti, per esempio non si sono immolati con le loro bombe come fanno in Iraq, in Afghanistan e adesso anche nello Yemen".

Ci saranno altri attentati?

"Non ne dubito. E purtroppo non si può escludere che qualche volta andranno anche a segno. In fondo i terroristi devono riuscire a colpire una sola volta per fare danni irreparabili e purtroppo le forze di polizia non possono prevenire tutti gli attacchi al 100 per cento. È una situazione simile a quella degli anni di piombo europei, quelli delle Brigate rosse e della Baader Meinhoff. Al contrario dei terroristi rossi, il cui discorso era ideologico, questi fanno appello al senso eroico dei giovani, prospettano una battaglia di carattere planetario. C'è del romanticismo nel loro messaggio e questo è un elemento estremamente pericoloso".

Come lo si neutralizza?

"Inserendo maggiormente le minoranze etniche, non trattando i figli degli emigrati come se fossero degli stranieri in casa propria. Gli europei hanno una minoranza islamica che è significativamente più numerosa di quella americana e non si può negare il fatto che gli europei, e soprattutto gli inglesi, stiano facendo un lavoro miserabile sul versante dell'integrazione. I cittadini di colore e quelli che hanno un accento in Europa diventano ombre che scivolano lungo i muri. Un po' perché temono di essere criminalizzati, cosa che accade molto spesso, e poi anche perché i bianchi non li vedono affatto fino a quando non ne hanno bisogno per far svolgere i lavori più umili".

Esistono delle specificità inglesi?

"Sì, a parte il trattamento ingiusto degli immigrati di seconda, terza e quarta generazione, c'è il fatto che la Gran Bretagna paga lo scotto del suo passato imperialistico. Non è un fatto che ha a che fare solo con la sua politica in Iraq o in Afghanistan. Ma fa rivivere le ingiustizie commesse in Medio Oriente, in Asia centrale, nella Penisola indiana, in Africa. Inoltre gli inglesi sono stati molto disattenti e come risultato della loro superficialità hanno formulato la lotta al terrorismo, volontariamente o involontariamente che sia non fa differenza, in una cornice fortemente anti-islamica. Non si può leggere infatti in nessun altra maniera la loro decisione di nominare Salman Rushdie cavaliere dell'impero. Come si fa a insignire con l'onoreficenza di Stato più alta una persona che ha ancora una fatwa nei suoi confronti? Non che voglia contestare il diritto alla libertà di parola di Salman Rushdie, ma la sua nomina appare purtroppo come uno schiaffo in faccia ai musulmani".

Lei pensa quindi che ci sia un collegamento tra atti per così dire anti-islamici e gli attacchi?

"Certo diventa difficile escluderlo, anche alla luce della posizione europea e statunitense nei confronti di Hamas nella striscia di Gaza".

Si spieghi, per favore.

"La decisione dei governi occidentali si qualifica solo in termini anti-islamici. Hamas non è certamente il male peggiore e poi sono stati eletti, sono una realtà, bisogna cercare il dialogo. Teniamo rapporti con tantissimi governi dalla reputazione dubbia e apertamente ostili nei confronti dell'Occidente, perché non Hamas? Che cosa ne guadagniamo se non di spingere molti giovani nelle braccia dell'estremismo armato?".

Gli attentati in Gran Bretagna sono falliti. Ma il loro effetto sull'opinione pubblica è stato comunque agghiacciante e le libertà individuali vengono ristrette ulteriormente. Cosa ci si deve aspettare su questo fronte?

"Siamo tutti spettatori impotenti sul treno della lotta al terrorismo. La lotta al terrorismo non sta solo limitando le nostre libertà personali, ma sta appiattendo anche la nostra politica estera. Tutto viene visto attraverso la lente della lotta al terrorismo. I problemi diventano bidimensionali, se non sei con noi sei contro di noi. La politica estera è fatta di decisioni sul piano dell'economia, degli scambi culturali, degli accordi commerciali, dei programmi di aiuto internazionale, delle inziative ambientali. Non si può giudicare la loro efficacia solo se funzionano dal punto di vista della lotta al terrorismo. Dobbiamo capire se affrontano i problemi reali con i quali ci dobbiamo confrontare e che sono quelli del lavoro, della difesa dei diritti umani e di quelli sindacali, della distribuzione equanime delle risorse naturali, della difesa dell'ambiente, della giustizia sociale e dell'abbattimento delle barriere commerciali e delle tariffe".

Si può vincere contro il terrorismo?

"Ma certo. Si vince da posizioni di forza e non intendo di forza militare. La risposta militare conta probabilmente solo per il 5 per cento di quello che dobbiamo fare. La forza ci viene dal radicarci nelle nostre tradizioni di libertà e democrazia, dal rispetto delle convenzioni internazionali, dal coinvolgimento dei cittadini e dal rispettare i diritti dei dissenzienti. Alla fine vinceremo, come già nel passato, ma lo faremo solo se sapremo camminare a testa alta. Non sono sicuro che questo possa accadere con i governi attuali".
 


*********


Da Londra alla regina di Saba
Dietro la nuova stagione del terrorismo islamico
di Gigi Riva

 
La Gran Bretagna e il turismo nei Paesi arabi. Come nel luglio di due anni fa. Allora Londra e Sharm el Sheikh (Egitto). Oggi Londra, Glasgow e il tempio della regina di Saba, Marib (Yemen). L'uomo della nostra intelligence mette in ordine i fatti, ma si guarda dal tirare frettolose conclusioni. Tende a escludere, ad esempio, che ci possano essere una correlazione logica e un ordine partito dall'alto: "Gli attacchi li fanno quando possono, quando le circostanze lo permettono". Attenti allora a non evocare una geometrica potenza, tanto più se, nel caso inglese, il sostanziale fallimento è la spia di una difficoltà operativa e segnala una qualche efficacia nell'opera di prevenzione. Concorda un suo collega israeliano, in contatto con gli inglesi: "Gli islamisti non riescono a infiltrare, ormai da due anni, un artificiere in grado di far esplodere le autobombe. Era così anche in Medio Oriente, sino a qualche anno fa, quando diverse stragi furono evitate grazie all'imperizia nell'uso dei telefoni cellulari come innesco dell'ordigno. Naturalmente questo non significa che nel futuro non ci saranno altri attentati. Perché comunque abbonda il materiale umano disposto al sacrificio e anzi le file degli aspiranti martiri si ingrossano. Quanto ai bersagli, lì sì, la continuità col passato è evidente: l'Occidente e gli occidentali che col turismo alimentano in modo significativo il prodotto interno lordo di Stati i cui regimi vengono considerati vassalli degli interessi americani. È il caso dell'Egitto e dello Yemen. Ma anche della Tunisia e del Marocco. Racconta un diplomatico che alcuni mesi fa c'è stato un summit tra rappresentanti di Paesi del Magreb. Si sono scambiati informazioni utili e sono arrivati alla conclusione che esiste un pendolarismo di capi che valicano facilmente le frontiere per coordinare un'attività comune nel nome del Jihad globale. Loro tracce si trovano a Tunisi come ad Algeri o a Marrakesh. Non guidano un 'esercito' tale da impensierire i governanti, non sono in grado cioè di rovesciare in modo cruento l'apparato. L'algerino contava, da lui, 1.500 soggetti pericolosi.

Cifra che da noi darebbe apprensione, ma che lui considerava fisiologica e non preoccupante. Che ci sia un'interconnessione, grazie a Internet, di diverse formazioni terroristiche è assoldato. Che queste prendano ispirazioni da un'unica centrale, magari annidata nelle zone tribali del Pakistan, invece non è per nulla dimostrato. L'attribuzione troppo frettolosa di qualunque nefandezza ad Al Qaeda rischia da una parte di alimentarne il mito, dall'altra di impedire la reale comprensione di un universo variegato, frammentato, e ormai declinato in mille specificità locali. Troppo facile, per chiunque, appropriarsi del marchio e agire senza temere smentite, in nome del comune interesse contro 'l'aggressore' occidentale. In questo è emblematico l'ultimo attentato yemenita. L'area di Marib è da tempo turbolenta. Si sono contati, negli ultimi dieci anni, almeno 200 sequestri di turisti, quasi tutti felicemente conclusi con la liberazione degli ostaggi e qualche concessione del governo di Sana'a alle tribù locali ribelli. Nonostante gli appelli dei vari ministeri degli Esteri a non recarsi nell'area, il fascino deve essere irresistibile se il turismo non cessa e anche lunedì 2 luglio nell'area già della regina di Saba, c'erano, ad esempio, 14 italiani. Caso ha voluto che fossero colpiti gli spagnoli. Ma solo il caso. Sarebbe potuta essere diversa la nazionalità delle vittime, perché non si è mai fatta distinzione di passaporto. Ed è praticamente impossibile che degli elementi estranei a quel tessuto sociale abbiano potuto agire senza il beneplacito dei capi clan locali che controllano minuziosamente il territorio. Ragiona ancora lo 007 israeliano: "È assai probabile che si siano saldati gli interessi convergenti di un gruppo terroristico strutturato e delle tribù. E che, colpendo gli occidentali, si sia voluto mandare un messaggio forte e chiaro al presidente Ali Abdullah Saleh, al potere dal 1978 e ritenuto troppo amico di Washington". Saleh i nemici li ha anche dentro il suo palazzo. È opinione diffusa che i suoi servizi segreti siano infiltrati dagli islamisti. Altrimenti non si spiegherebbe quanto successo il 3 febbraio dell'anno scorso. Ventotto pericolosi terroristi, associati alla galassia di Al Qaeda, riuscirono a evadere dalla prigione di massima sicurezza, che si trova all'interno del quartier generale dell'intelligence, dopo aver scavato un tunnel di 44 metri per 80 centimetri di diametro che sfociava nella confinante moschea. Un lavoro lungo e paziente che non sarebbe stato possibile senza connivenze. Diversi di quei terroristi sono già stati ricatturati o si sono consegnati. Uno, il più importante, è riuscito a far perdere le sue tracce. Si chiama Abu Basir Nasir al-Wahishi, nome di battaglia Abu Hureira al Sana'ani, e il 22 giugno scorso ha tenuto a far sapere al mondo di essere stato nominato "capo di Al Qaeda del Jihad in Yemen" con un audiomessaggio di 20 minuti e di qualità scadente col quale teneva soprattutto a respingere le offerte di resa e di accordo da parte delle autorità. Secondo informazioni riservate sarebbe stato anche la mente di due attentati, falliti, nel settembre scorso, contro impianti petroliferi nel Paese. Gli oleodotti sono un altro bersaglio considerato fondamentale. Non a caso l'Fbi proprio l'anno scorso avviò perquisizioni a tappeto di uffici commerciali dello Yemen negli Stati Uniti alla ricerca di materiale compromettente. Altrettanto successe in Arabia Saudita. Fu trovato un documento di 140 pagine dal titolo: 'Manuale per colpire le installazioni petrolifere'. In calce porta la firma di Abdulaziz bin Rashid al Anaiza, figura di spicco di Al Qaeda che da tempo si trova in prigione in Arabia Saudita. La famiglia Bin Laden è originaria dell'Hadramaut, una delle regioni più povere dello Yemen. In una locanda sulla strada per Mukalla era già visibile, prima dell'11 settembre, un disegno a colori con la faccia di un uomo col turbante che sovrasta le torri Gemelle di New York. Che lo sceicco del terrore abbia proseliti nelle sue terre è scontato. Quanto a dirigerli in prima persona è assai dubbio. Ognuno agisce secondo le necessità del momento. La strategia è chiara: colpire interessi economici e turisti occidentali se si avventurano nelle terre dell'Islam.
 
DA espressonline
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« Risposta #1 inserito:: Aprile 04, 2008, 12:36:03 am »

Il naziskin marcia su Roma

di Gianluca Di Feo


Il fondatore del Movimento politico delle teste rasate. E il leader degli ultrà più duri. Assolti dalle inchieste per raid e ora candidati nelle liste di Francesco Storace 

Pochi possono vantare una legge ad personam, una modifica del codice penale ritagliata su misura per le proprie imprese: un privilegio che riguarda solo i protagonisti di vicende che hanno influito sulla vita della Repubblica. Ma in questo caso non si tratta di risolvere i problemi di un singolo, bensì di punire le sue attività. Ed è per questo che non può non sorprendere la candidatura di Roberto Valacchi nelle liste del movimento di Francesco Storace. Per carità: che il partito creato dal transfuga di An rivaluti la tradizione fascista è cosa nota. Non fa nemmeno scandalo il coro 'Duce! Duce!' che ha accolto Daniela Santanchè sul palco di Milano o le falangi di saluti romani che segnano ogni comizio della Destra. Il nome di Valacchi però ha una storia particolare, che nasce direttamente dai naziskin e dalla più violenta formazione nata in Italia nell'ultimo ventennio. È stato infatti uno dei cinque padri fondatori del Movimento politico, l'organizzazione che alla fine degli anni Ottanta diede una struttura unitaria alle teste rasate di tutta la Penisola. Finché, dopo una serie di aggressioni e di scontri, nel 1993 il Parlamento votò la legge Mancino: la legge che punisce l'istigazione all'odio razziale venne contestata per la prima volta proprio alla galassia skin che faceva capo a Valacchi e agli altri ideatori del Movimento politico, primo fra tutti Maurizio Boccacci. Il processo istruito dalla Procura di Milano si chiuse però sostanzialmente con un nulla di fatto e l'assoluzione degli indagati: una costante che ha caratterizzato la maggioranza delle inchieste penali sull'ultima stagione dell'estremismo nero.

All'epoca Valacchi era un leader, che non aveva esitato a parlare con Riccardo Luna delle sue imprese in un'intervista a 'Repubblica': "Ricordo una volta all'università nell'87. Dovevamo fare un volantinaggio e venni aggredito da un autonomo. Gli saltai addosso sfondandogli la faccia a pugni e calci. L'ho rovinato senza nemmeno levarmi la cinta. Ho una fibbia da mezzo chilo, è l'unica arma che porto". E ancora: "La scorsa estate ho spaccato la testa a un negro. Non perché era negro: poteva essere anche bianco ma aveva toccato il seno alla mia ragazza. L'ho appoggiato su una Mercedes e l'ho picchiato con la fibbia. Quando ho riaperto gli occhi, il cofano bianco, era rosso sangue". Hai pensato che potevi ucciderlo? "Quando ti sale l'adrenalina non pensi a nulla. Eppoi quel negro dava sempre fastidio a donne bianche". Infine il nazismo: "Il nazismo mi piace, non lo nego. L'Olocausto è una balla, forni crematori e camere a gas non sono mai esistiti". Già allora il giovane non aveva solo fama d'uomo d'azione. È lui, per esempio, a prendere posizione per criticare la lettera aperta contro le teste rasate scritta da Valerio Fioravanti e Francesca Mambro: "Non sanno niente del nostro progetto e sono convinti che si faccia ancora politica come negli anni Settanta, senza nessun programma e con la pistola in mano".


In quei mesi si riteneva che le squadre ispirate dal Movimento politico avessero condotto pestaggi e raid punitivi contro immigrati, spacciatori, associazioni ebraiche. Al massimo però i procedimenti penali si sono fermati alle responsabilità del singolo picchiatore, senza mai toccare il vertice del partito, che dalla provincia romana si è esteso in tutta Italia con la sigla Base autonoma. Così nel 1997, a 32 anni Valacchi si presenta incensurato alle elezioni comunali di Grottaferrata, dove con la famiglia manda avanti un ottimo laboratorio dolciario, e conquista un posto da consigliere nelle liste di An. Il pasticcere nazi-fascista ha rinunciato al bomber con la croce celtica, porta i capelli meno corti e pesa le parole con più attenzione: "Il cosiddetto Olocausto? Non neghiamo i campi di concentramento, ma il fatto che esistesse una soluzione finale pianificata a tavolino.

Le mie foto con il poster di Rudolph Hess? Erano ironiche e poi Hess non ha fatto nulla". Non cancella i due tatuaggi sui bicipiti - un cavaliere teutonico come quelli che dalla Tuscolo medievale facevano strage di avversari e il dio Thor - e le sue convinzioni. Inevitabile quindi l'abbandono di Alleanza nazionale dopo la svolta di Gianfranco Fini e l'approdo nelle liste di Fiamma Tricolore dove ritrova vecchi camerati come Boccacci. Per la Fiamma l'imprevista alleanza con Storace, spiazzato dal rapido riavvicinamento tra Fini e Forza Italia, apre all'improvviso prospettive nuove. Valacchi, per esempio, è candidato alla Provincia nei Castelli Romani e la sua elezione non appare improbabile. Dalla sua non ci sono pochi skins, ma una militanza nella destra sociale sempre più estesa, tornata forte nelle scuole, che unisce la battaglia contro clandestini e nomadi al problema della casa e all'assistenza agli anziani. Una presenza attivissima sul territorio abbandonato dagli altri partiti, con mobilitazione concrete anche sulle questioni ambientali. "Facce nuove e radici antiche", è il suo slogan.

È uno sbaglio considerare figure come Valacchi solo folklore. Perché raccolgono un consenso crescente tra un elettorato confuso e insicuro. E perché hanno una riserva significativa: quella delle curve, dove la destra estrema esercita più del fascino. E che nel Lazio secondo alcune stime possono portare anche 30 mila voti. Lì il protagonista è il responsabile romano di Fiamma Tricolore, Giuliano Castellino, coregista assieme a Boccacci dell'ultima fase di Base autonoma. Negli scorsi 12 anni ha collezionato accuse e assoluzioni, mantenendo una fedina immacolata sotto la camicia nera. Il primo fermo a 19 anni, nel 1996, con un gruppo di ultrà capeggiato da un veterano dei Nar. Per la Digos è stato uno dei registi della svolta dell'estrema destra capitolina, conquistando la leadership sul campo e trasformando l'Olimpico in un sipario per la propaganda.

L'anno chiave è il 1999: si parte dall'assalto del primo maggio contro le forze dell'ordine. Poi a settembre la conquista della Curva Sud mentre all'ingresso dello stadio viene scoperto un sacco con un ordigno micidiale e un gigantesco striscione contro l'allora ministro dell'Interno Rosa Russo Iervolino: l'ipotesi è che la scritta di insulti dovesse spingere la Celere a intervenire, per poi colpirla con la bomba. Una ricostruzione che non si traduce in incriminazioni. A novembre un attentato colpisce il Museo della Liberazione, nella prigione nazista di via Tasso, mentre un altro congegno esplosivo viene piazzato davanti al cinema che proietta un documentario su Adolf Eichmann, uno dei pianificatori dell'Olocausto. Per la Digos le bombe sono opera di Castellino: gli investigatori sostengono che ci sia la sua saliva sul mozzicone usato per accendere la miccia, che sia lui il ragazzo ripreso da una telecamera e che la voce della telefonata di rivendicazione sia la sua. Gli indizi raccolti sono giudicati insufficienti dalla Procura, che archivia tutto scagionandolo. Nove anni dopo, è candidato alla Camera al fianco di Storace e della Santanchè, ma sembra più a suo agio mentre urla con il megafono dal cassone di un camion, in un'atmosfera da comizi anni Settanta, o distribuisce pane gratis ai pensionati. Il suo habitat è la curva giallorossa, dove guida i Padroni di casa e manifesta grande solidarietà anche verso i supporter laziali più duri, in un fronte comune che supera il tifo e tende a coalizzarsi contro la polizia.

Se Castellino e i suoi giurano di riconoscere i principi democratici, come conferma la scelta elettorale, quello irrisolto è il rapporto con la violenza. Dentro e fuori gli stadi. A ottobre prima del match con il Napoli contesta pure l'appello dell'allenatore della Roma Luciano Spalletti contro chi va alla partita con i coltelli: "Io credo che l'allenatore debba fare l'allenatore, il giocatore il giocatore e il tifoso il tifoso. Noi andremo allo stadio a sostenere la Roma. E basta. Naturalmente, non tollereremo violenze in casa nostra". Quindici anni fa Valacchi teorizzava un concetto di reazione molto determinato: "Quando reagiamo cerchiamo di fare più male possibile. La reazione dipende da una ghiandola. Se secerne più adrenalina, faccio più male".

(03 aprile 2008)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #2 inserito:: Aprile 15, 2008, 04:05:38 pm »

Strali via web contro il leader del Pdl: «Andrà in visita in Israele»

«Allah maledica Berlusconi e il Papa»

La rabbia di Al Qaeda per la vittoria del centrodestra alle elezioni politiche italiane



DUBAI - «Che Allah lo maledica e scateni la sua rabbia contro di lui e contro il Papa cattivo». È questo il primo commento diffuso oggi su uno dei forum islamici in Internet che veicolano la propaganda di al-Qaeda a proposito della vittoria alle elezioni politiche in Italia ottenuta dalla coalizione guidata da Silvio Berlusconi.

NOTIZIA URGENTE - A inserire queste invettive pochi minuti fa su uno dei principali siti jihadisti, «al-Hesbah», è stato un internauta che si firma al-Wahabi. Quest'ultimo interviene per commentare la notizia della vittoria del Pdl alle elezioni italiane data dal sito islamico e accompagnata da un banner con una scritta in arabo che recita «notizia urgente». Sotto questo banner si annuncia infatti che «Berlusconi vince le elezioni generali italiane e diventa premier per la terza volta».

IL «CECCHINO» DEL WEB - A dare la notizia a tutti i seguaci di Osama Bin Laden è stata un assiduo frequentatore dei siti di al-Qaeda che si fa chiamare Qannas al-Jazira, in arabo «Cecchino della penisola araba». Il frequentatore del forum sembra essere particolarmente attento a tutto ciò che accade nel nostro Paese perché già in passato è intervenuto su vicende che hanno riguardato l'Italia. Il post si chiude con un terzo messaggio di commento inserito da Fursan al-Fajr, che scrive: «Alcuni giorni fa Berlusconi aveva detto che in caso di vittoria sarebbe andato in visita in Israele»


15 aprile 2008

da corriere.it
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« Risposta #3 inserito:: Aprile 15, 2008, 04:20:23 pm »

«Il Pd dovrà fare opposizione durissima e assorbire la sinistra radicale»

«Sono dolori. Può tornare il terrorismo»

Cossiga: «Berlusconi avrà contro sindacati, poteri forti, giudici. Veltroni dovrà contenere le spinte della sinistra»

 
 
ROMA — «Per Silvio Berlusconi adesso cominciano i dolori, ha una maggioranza ampia ma governare sarà davvero difficile. Immaginavo che avrebbe vinto, ma solo di poco». Il senatore a vita Francesco Cossiga è convinto che il Paese conoscerà una nuova stagione di turbolenze politiche e di piazza.

Perché fa questa previsione?
«Perché lo sconfitto, il leader del Partito democratico Walter Veltroni, o chi eventualmente gli subentrerà, sarà costretto a condurre una durissima opposizione non soltanto nelle aule parlamentari... ».

Eppure i segnali da parte del Pd sono stati di tutt'altro genere.
«Sarà costretto a dare ascolto e raccogliere le preoccupazioni di tutti gli antiberlusconiani, degli operai della Fiom, dei precari, dei giovani no global e dei centri sociali, insomma di tutti coloro che una volta erano rappresentati da Rifondazione comunista, da ieri fuori del Parlamento. Sarà obbligato a farlo per impedire che si creino le condizioni della rinascita del terrorismo brigatista. E il terrorismo di sinistra tornerebbe ad agire se, per ipotesi, si facessero le larghe intese. Non va dimenticato infatti che il brigatismo si scatenò trent'anni fa, con il sequestro di Aldo Moro, contro il compromesso storico, contro il governo di larghe intese guidato da Andreotti e nel quale io ero ministro dell'Interno, e posso oggi dire di essere stato indicato dai comunisti».

Senatore, è davvero convinto che questa sarà la linea del Pd nonostante Veltroni abbia detto in campagna elettorale che era finita la stagione della contrapposizione frontale?
«È l'unica strada possibile. Il Pd deve diventare una vera forza socialdemocratica in grado di assorbire la sinistra radicale. Non farlo, non mantenere i contatti con le masse, ripeto, può diventare pericoloso. L'opposizione è dura oppure non è, non può essere il partito delle banche».

Eppure si è parlato tanto di dialogo tra schieramenti opposti...
«Solo in Italia si sostiene che le riforme si fanno d'accordo, che i posti si spartiscono, che la televisione di Stato deve essere indipendente. Ricordo che quando il redattore politico della Bbc parlò male della politica di Tony Blair l'indomani fu cacciato via e non ci fu nessuno sciopero, nessuna interrogazione, perché il suo comportamento fu considerato antidemocratico. Il pensiero era: "se tu vuoi parlare contro il governo lo puoi fare dall'opposizione". La libertà di stampa consiste nel pluralismo della stampa».

Secondo lei, che cosa succederà a Veltroni?
«Lui ha commesso l'errore di non dire che stava vincendo. Mi spiego: quando si guida un esercito, per essere seguiti dalla truppa, si dice che si sta vincendo e non che si sta perdendo. Ha ripetuto: la rimonta, la rimonta, siamo a due punti. Erano convinti che il distacco fosse minimo, ma gli italiani per natura non stanno con chi perde ma con chi vince. Dentro il partito, Walter ha contro i prodiani e i dalemiani tacciono. E questi sono pessimi segnali per lui».

Torniamo a Berlusconi. Alcuni osservatori sostengono che per lui è l'ultima chance, e che non ci sono più alibi perché all'interno del centrodestra non ha più dei frenatori.
«Ripeto: sarà difficile per lui. Avrà contro i sindacati, per i quali non tutti i governi sono uguali, la magistratura — nonostante dal programma abbia espunto qualunque riferimento a ipotesi di separazione delle carriere tra pm e giudici - i poteri forti, anche se forse qualcosa è cambiato con la presidenza di Emma Marcegaglia in Confindustria. E poi avrà contro anche le grandi banche. Berlusconi è nelle stesse condizioni politiche nelle quali si trovava nel 2001. Un conto è vincere, un conto è governare. E per vincere bisogna avere dalla propria parte sindacati, poteri forti e magistratura. E poi dovrà affrontare i problemi dell'economia, dall'Alitalia all'inflazione».


Lorenzo Fuccaro
15 aprile 2008

da corriere.it
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« Risposta #4 inserito:: Aprile 21, 2008, 01:46:14 am »


PERUGIA: RAID PUNITIVO AL CENTRO SOCIALE EX MATTATOIO


Perugia, 20 apr. (Adnkronos)

- 'Raid punitivo' nel centro sociale ex mattatoio di Ponte San Giovanni a Perugia.

A denunciarlo e' lo stesso centro sociale che in una nota riferisce che questa mattina intorno alle 7 un gruppo di 4 persone ha messo a segno ''atti di vandalismo nei confronti dei locali danneggiandone le vetrate e accanendosi contro un camper parcheggiato nel piazzale nel quale stava dormendo il proprietario''.

A dare l'allarme ''l'unico testimone'', ossia la persona ''che dormiva nel camper e che ha subito l'aggressione rimanendo chiuso all'interno del mezzo''.
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