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Autore Discussione: IL SAGGIO DI UN ECONOMISTA USA Tutti uguali? No grazie  (Letto 3260 volte)
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« inserito:: Luglio 08, 2007, 05:06:50 pm »

ECONOMIA


CAPITALISMO / IL SAGGIO DI UN ECONOMISTA USA

Tutti uguali? No grazie
di Enrico Pedemonte

La disparità tra ricchi e poveri non va eliminata. Perché spinge a investire nell'istruzione.

La provocazione di un Nobel dell'economia


Colloquio con Gary Becker 

Gary Becker divenne famoso alla fine degli anni Sessanta, quando scrisse una controversa teoria sul 'crimine razionale'. L'idea gli venne dopo avere passato un'ora a cercare posteggio nei pressi dell'università: a quel punto fece un'analisi costi-benefici e decise che era più conveniente parcheggiare in modo illegale e rischiare la multa che continuare e girare a vuoto.

Quarant'anni dopo Becker, premio Nobel in Economia e docente alla University of Chicago, continua a dare scandalo leggendo i comportamenti umani attraverso le lenti dell'economia e la legge della massimizzazione del profitto. Nel suo lavoro più recente, 'I lati positivi della diseguaglianza', analizza i pro e i contro della crescente disparità tra ricchi e poveri. E le sue teorie generano polemiche perché la diseguaglianza crescente è uno degli argomenti bollenti del dibattito politico negli Usa, dove un amministratore delegato oggi guadagna in media 300 volte lo stipendio medio di un impiegato, mentre negli anni Settanta questo rapporto era 'solo' di 30 volte.

Gary Becker è un uomo esile e asciutto di 75 anni, con occhi vivacissimi e un perenne sorriso sulle labbra. Il suo ufficio è al terzo piano di un edificio vittoriano dell'Università di Chicago. Nella stanza spaziosa, accanto a una lavagna piena di formule, ci sono tre grandi tavoli sistemati a ferro di cavallo che sono ricoperti da colossali mucchi di carte, libri, dispense, foglietti, in un caos che nella stanza di uno studente verrebbe descritto come sintomo di indolenza, ma che nell'ufficio di un premio Nobel appare una manifestazione di disordine creativo.

Perché cresce l'ineguaglianza nei paesi ricchi?

"Rispetto a trent'anni fa, ora i più istruiti guadagnano assai più dei meno istruiti. Il ritorno degli investimenti sull'istruzione è cresciuto, e questo significa che chi può studiare è favorito, oggi più di ieri. Questo ha un lato positivo: spinge la gente a investire di più in istruzione".

Quindi l'ineguaglianza fa bene all'economia?

"Gli investimenti in capitale umano, che è il mio campo di studio, consentono di ottenere un crescente ritorno dagli investimenti nei mezzi di produzione e l'economia va meglio. Questo dimostra che gli investimenti in istruzione, che è una forma importante di capitale umano, sono i più produttivi. E questa è una cosa buona".

Nel suo ultimo lavoro lei sembra quasi considerare l'ineguaglianza in modo positivo, persino per i poveri...

"L'ineguaglianza è un male per i poveri poco istruiti, ma è un bene per quelli che riescono a studiare".

Qual è il fattore discriminante?

"L'innovazione tecnologica. Anche la globalizzazione pesa, ma è la tecnologia a favorire in modo crescente i più istruiti, che guadagnano sempre di più. Gli altri, in tutto il mondo sviluppato, compresi gli Usa, si stanno impoverendo".

Le sue teorie sull'ineguaglianza sollevano critiche...

"Mi colpisce il fatto che alcuni mi accusino di considerare l'ineguaglianza un bene. Io sono ben consapevole degli sforzi necessari per aiutare chi ha condizioni di partenza sfavorevoli. Negli Stati Uniti i giovani afroamericani che non si diplomano sono un grande problema. Bisogna trovare nuove politiche per aiutare quelli che sono dotati, ma non hanno i mezzi per studiare".

Quali politiche?

"Occorre aumentare gli investimenti per i bambini delle famiglie povere, concentrando gli sforzi su quelli fra i tre e i quattro anni. Ci sono prove che mostrano che quella è l'età cruciale. Inoltre, penso che ci dovrebbe essere più competizione tra le scuole. Io sostengo il sistema dei 'voucher', i buoni scuola che consentono ai genitori di destinare la loro quota di fondi pubblici alla scuola da loro scelta. Ci vorrebbero classi poco numerose per gli studenti poveri, e bisognerebbe pagare di più gli insegnanti migliori".

Più ineguaglianza significa anche minore mobilità sociale?

"Alcuni economisti lo sostengono, ma io credo che la mobilità sociale non stia poi cambiando molto. Certo, la percentuale dei poveri che diventano ricchi non aumenta, e siccome l'America si è sempre posta l'obiettivo delle pari opportunità, tutto ciò è fonte di preoccupazione".

Molti sostengono che questa sarà la prima generazione di giovani a guadagnare meno dei loro padri. È vero?

"Non credo che accadrà. In ogni società in cui il reddito pro capite aumenta, la generazione più giovane è destinata a guadagnare più di quella precedente. Negli Stati Uniti, con la crescita che c'è stata, i ventenni di oggi staranno meglio dei loro genitori, almeno dal punto di vista materiale. Può darsi che avranno una pensione inferiore, ma avranno risparmiato in altri modi, e saranno più ricchi dei genitori".

Succederà anche in Italia?

"Questo non è chiaro, perché l'Italia non sta andando molto bene. Oggi il Paese sta crescendo, ma negli ultimi anni ha avuto difficoltà. Quando non c'è crescita economica le nuove generazioni non stanno meglio di quelle precedenti. Se l'Italia andrà incontro a una fase di declino le accadrà proprio questo. Ma la Germania e l'Inghilterra stanno crescendo rapidamente, la Francia e il nord Europa stanno andando bene. Anche se non come gli Stati Uniti".

L'ineguaglianza crea risentimento. Che ruolo ha questo fenomeno nelle sue teorie?

"Sono gli intellettuali che provano risentimento per l'ineguaglianza, a partire da Rousseau, il grande pensatore francese. Non credo che il cittadino medio sia così preoccupato per l'ineguaglianza, a meno che non lo abbia letto da qualche parte. A preoccuparlo è il confronto tra il proprio standard di vita e quello dei vicini di casa e degli amici".

I poveri dei paesi avanzati stanno pagando un tributo per aumentare le condizioni di vita del Terzo Mondo?

"Da un lato gli stipendi dei poveri, nei paesi ricchi, sono danneggiati dalla competizione con Cina e India. Ma dall'altro possono acquistare merci a prezzo inferiore proprio perché sono fabbricate in quei paesi. Anche i designer italiani fanno fabbricare i loro prodotti in Cina. In generale la povera gente trae benefici dalla globalizzazione. Guardiamo la Cina. È vero che lì la diseguaglianza è molto aumentata dal 1980: ora quelli che abitano nelle città hanno un reddito 3,2 volte più alto di chi abita nelle campagne, e il reddito del 10 per cento dei più ricchi è nove volte superiore a quello del 10 per cento dei più poveri. Ma nello stesso periodo i cinesi che vivono in povertà sono calati di sei volte, da 260 a 40 milioni".

Lei dice che calcolando anche l'aumento della longevità nei paesi poveri, l'ineguaglianza tra paesi poveri e ricchi è diminuita.

"Se si guarda solo al reddito si vede che l'ineguaglianza tra paesi poveri e ricchi negli ultimi decenni non è cambiata granché. Ma in questi anni è successo che i paesi poveri hanno aumentato moltissimo la loro aspettativa di vita. Se si tiene conto di questo, e si incorpora la longevità nel reddito dei paesi, allora si scopre che la diseguaglianza tra aree ricche e povere è diminuita. È merito della globalizzazione: i paesi poveri hanno potuto aumentare l'aspettativa di vita adottando le tecnologie occidentali. è un aspetto della globalizzazione a cui non si presta attenzione".

Lei sostiene che il capitale umano rappresenta una ricchezza tre volte maggiore rispetto a quella investita nei beni di investimento materiali. Che cosa significa?

"Il capitale umano è la più importante forma di capitale nell'economia moderna. Si presenta sotto forma di conoscenza, istruzione, training.".

Come si misura?

"Per valutare il valore di una macchina, calcoliamo il costo necessario per costruirla. La stessa cosa facciamo con il capitale umano. Facendo questi calcoli si scopre che in istruzione e training, ogni anno, spendiamo tre volte quello che spendiamo in beni di investimento. Le mie stime dicono che nei paesi ricchi il 30 per cento del reddito viene investito in capitale umano".

Negli Stati Uniti il costo dell'università è andato alle stelle perché gli studenti investono sempre più nell'istruzione. In Italia invece l'università è quasi gratis. Che effetto ha questo sul 'ritorno economico degli studi'?

"Il problema fondamentale, in Italia, è che non c'è abbastanza competizione tra gli atenei. Docenti e studenti non sono incentivati a lavorare duro. Se dovessi riformare il sistema educativo italiano, un compito arduo su cui non vorrei cimentarmi, introdurrei maggiore competizione. Scuole e università devono poter competere per attirare i migliori docenti e studenti. Inoltre, in Italia i professori universitari hanno troppo potere, direi il monopolio del potere, sulle assunzioni. Questa è la ragione per cui un gran numero di ottimi professori italiani lavorano nelle università americane. È un'enorme dispersione di docenti che tornerebbero in Italia se il sistema universitario fosse migliore. Stanno qui perché nel vostro Paese non trovano buoni lavori. La chiamiamo la diaspora italiana".

Per usare le sue parole, si tratta di un enorme flusso di capitale umano che viene perduto. Che peso ha questo fenomeno in Italia?

"Certo, è un problema. Ma una fuga di cervelli ancora maggiore è in atto da Cina e India. Ci sono aspetti negativi ma anche positivi di questo fenomeno...".

Quali?

"Primo: questo trend può essere rovesciato se cresceranno le opportunità nei paesi d'origine, perché generalmente le persone vogliono vivere nel paese dove sono cresciuti. Secondo: anche quando questi professori non tornano indietro, spesso trasferiscono la loro conoscenza al loro paese d'origine. I paesi che mandano più giovani a studiare all'estero crescono più rapidamente".

Troppa ineguaglianza può frenare la globalizzazione? Supponiamo che alla Casa Bianca salga un presidente come Hillary Clinton o come Obama...

"La reazione antiglobalizzazione sta crescendo negli Stati Uniti. È in corso un attacco alla Cina. Ma chiunque sia eletto presidente, Obama o Hillary, gli effetti di questa reazione saranno poco rilevanti. Facciamo parte del Wto e non possiamo imporre limitazioni su larga scala ai commerci se vogliamo continuare a esserne membri. Questa è la ragione per cui certi politici possono tranquillamente sparare a zero contro la globalizzazione. Sanno che non potranno fare quasi nulla quando andranno al potere, perché ogni paese ora ha uno spazio di manovra limitato. Può darsi che saranno introdotte marginali restrizioni all'importazione di qualche prodotto cinese, ma niente di importante".

L'innovazione si fa sempre più rapida, e nessuno sa dire quali lavori sopravviveranno da qui a vent'anni. Ci vuole un nuovo contratto sociale per proteggere i lavoratori più deboli?

"Al contrario, l'Europa ha bisogno di piu flessibilità nel mercato del lavoro. La competizione arriva da tutte le parti del mondo e ci sono sempre più opportunità per gli uomini d'affari di esportare ovunque. Quindi c'è bisogno di una forza di lavoro flessibile, meno restrizioni sul lavoro, meno intoppi burocratici nel creare nuove aziende. Certo, la gente che perde il posto di lavoro deve essere aiutata con qualche forma di compensazione. Ma la migliore protezione per chi perde un lavoro è trovarne subito un altro".


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Pensiero globale
di Paolo Pontoniere

L'interconnessione fra i popoli è il motore del progresso. Parola dello studioso indiano Chanda
 
Nient'affatto prodotto del tardo capitalismo, la globalizzazione è invece frutto di una pulsione naturale connaturata alle più alte aspirazioni ideali sin dai primordi della razza umana. Ed è cosa buona perché corrisponde a tutti i precetti dell'etica. La tesi è di Nayan Chanda, autore di 'Bound Together, How Traders, Preachers, Adventures, and Warriors Shaped Globalization', libro controcorrente che ha fatto sensazione in America. Ogni male della modernità, dai fast food all'effetto serra, è attribuito, nell'opinione comune, proprio alla globalizzazione. Chanda, cofondatore del Centro per lo studio della globalizzazione della Yale University, sostiene invece che la globalizzazione è una delle principali forze motrici del progresso umano. Indiano, 61 anni, cresciuto a Calcutta e a Parigi, ha vissuto e lavorato a Saigon, Hong Kong, Canberra, Washington. Collabora al 'New York Times' e a 'Le Monde Diplomatique'. Secondo Chanda, la globalizzazione non ha solo una dimensione economica, ma caratteristiche storiche ed etiche. E soprattutto non è un fenomeno recente, sviluppatosi con l'avvento delle tecnologie digitali, ma un percorso che inizia agli albori della storia umana, un sogno vecchio come l'umanità: "L'interconnessione delle genti del pianeta. Le sue basi sono state poste quando gruppi di uomini e donne hanno deciso
di lasciare la Valle del Rift in Africa orientale, alla ricerca di condizioni di vita migliori.

E nel 6 mila avanti Cristo, la globalizzazione, per come la conosciamo adesso, si stava già manifestando appieno".

Una tesi forte, dal momento che a quell'epoca le comunicazioni erano estremamente scarse. Chanda spiega: "è cambiata la velocità del processo. Oggi nuove idee e nuovi prodotti si diffondono istantaneamente su tutto il pianeta. E i consumatori sono la variabile che ne incrementa la visibilità".

Tra gli aspetti extra economici della globalizzazione, Chanda cita la diffusione della coscienza universale, con l'accettazione di principi come libertà individuale, fratellanza tra i popoli, diritto all'istruzione e all'assistenza sanitaria. "E anche la coscienza di fenomeni deleteri di cui la globalizzazione viene ritenuta responsabile, come l'effetto serra per esempio, è un prodotto della globalizzazione", sostiene Chanda. Sono proprio i mezzi della globalizzazione - Internet, tv, giornali - che permettono in tempo reale a persone che altrimenti non ne conoscerebbe nemmeno l'esistenza, di essere informate su quello che sta accadendo nella foresta amazzonica, sui ghiacciai polari o nel Medioriente. Di più: è proprio la globalizzazione che permette a coloro che si oppongono ai suoi effetti deleteri di lanciare le campagne per limitare l'impatto di quei fattori negativi. La globalizzazione è responsabile della proliferazione delle fabbriche in cui coi ritmi di lavoro massacranti viene sfruttata manodopera spesso minorile, in Asia e in America Latina.

Ma la globalizzazione è decisiva per poter prendere coscienza dei diritti sindacali. La metafora Starbucks è un altro pezzo forte delle teorie di Chanda. Che si domanda: "Starbucks è diventata una catena di caffè a carattere planetario, ma perché mai una pianta, che cresceva solo in Etiopia (il caffè), è divenuta una bevanda consumata in tutto il mondo? E come mai dal nome del dio tibetano della compassione, Avalokiteswar, trasformatosi in cinese Guanyin e in giapponese Kwanon alla fine ha dato il nome a una delle marche di macchine fotografiche più famose, la Canon?" Risposta di Chanda: "Parole, nomi ed esperienze vengono portate fuori dai loro contesti originari, da gente venuta da fuori". Voglia di conquistare, di migliorare il tenore di vita e curiosità. Ecco le molle che hanno spinto marinai, commercianti, predicatori e avventurieri a diventare i principali agenti della globalizzazione". I simboli del carattere delle nazioni, quelli per i quali la gente spesso finisce con lo sgozzarsi, per Chanda sono tempo perso e orpelli inutili, paragonabili all'idea folle della purezza della razza. "La globalizzazione non è una malattia, è un termine che definisce la crescita della consapevolezza dei legami che corrono tra le popolazioni del mondo".
 
da espressonline
 
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