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Autore Discussione: POCO LETTI (ARCHIVIO)  (Letto 21001 volte)
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« Risposta #15 inserito:: Settembre 06, 2007, 11:17:48 pm »

Attivato anche un numero di telefono per informazioni

Chikungunya: caccia alla zanzara tigre

Nelle zone colpite dall'epidemia del virus veicolato dalla puntura dell'insetto diinfestazioni e altri provvedimenti   
 
 
RIMINI - Stavolta non è il solito film kolossal americano sulle invasioni degli insetti, ma la sensazione è un po’ la stessa. In Emilia Romagna è stato lanciato l’allarme per un'epidemia dal nome stranissimo: Chikungunya. L'infezione è provocata dalla puntura di un insetto. Una task force contro la trasmissione del virus Chikungunya è già attiva e tutte le abitazioni del Riminese situate nei pressi di un tombino, verranno sottoposte a trattamenti di disinfestazione con l’obiettivo di tenere lontana la zanzara tigre, sul banco degli imputati per i casi di febbre ed eruzioni cutanee registrati negli ultimi giorni nell’area romagnola.

L'EPIDEMIA - Nella regione, dopo i primi episodi rilevati nel Ravennate, sono stati 197 i casi di sospetto contagio da Chikungunya (che in swahili significa «andare curvo», proprio per gli intesi dolori che può provocare), di cui 36 già confermati da esami di laboratorio e due risultati negativi. Sulla vicenda è al lavoro l’Istituto zooprofilattico di Reggio Emilia. Il virus, che prima d'ora in Italia non aveva mai avuto una diffusione così vasta, viene trasmesso generalmente dalla zanzara Aedes aegipty, assente in Italia. Ma nel nostro Paese il ruolo di untore sembra essere stato ereditato, appunto, dalla zanzara tigre (Aedes albopictus) e da altre zanzare della stessa famiglia. Il Chikungunya è endemico in diverse aree tropicali ed è presente attualmente in forma epidemica nell’Oceano indiano. Per la prima volta fu isolato nel 1953.

GLI INTERVENTI- Diverse zone della Romagna sono colpite e da prima stima effettuata dai tecnici incaricati da Hera, che si occupa della gestione dei servizi legati al ciclo dell'acqua (potabilizzazione, depurazione, fognatura), saranno necessari interventi in circa 140 mila abitazioni dove saranno effettuate la disinfestazione delle caditoie e il trattamento larvicida. Fin dal Il 1 luglio 2007 era partito il «Progetto sperimentale per una strategia integrata di lotta contro la zanzara tigre» che aveva coinvolto i Dipartimenti di sanità pubblica delle Aziende Usl di Rimini, Cesena, Forlì e Ravenna, il Centro agricoltura ambiente «Giorgio Nicoli», il Servizio sanità pubblica dell’Assessorato regionale politiche per la salute. Ad oggi, il piano d’azione predisposto dalla Regione, AUsl, Hera e Provincia prevede la disinfestazione nelle aree pubbliche con circa 400 interventi giornalieri, mentre per le abitazioni private la media è di circa 90 al giorno, il tutto per ristabilire la normalità in 10-15 giorni. Invece il blocco della raccolta del sangue era già stato applicato sul territorio romagnolo, nei comuni di Cervia e Ravenna, grazie a quanto ha stabilito la Regione Emilia Romagna il 31 agosto scorso. Lo stop proseguirà fino a nuovo ordine. Nei giorni scorsi sono state effettuate ulteriori disinfestazioni nelle aree pubbliche di Bellaria e Santarcangelo, zone al confine con il Cesenate dove è stato riscontrato un caso di infezione da virus Chikungunya (oltre a quelli ravennati), mentre oggi, nel corso di un altro incontro, la task force predisporrà il piano straordinario di disinfestazione.

TELEFONO PER INFORMAZIONI - A Rimini la battaglia contro la zanzara tigre viene già effettuata sia negli edifici pubblici che in quelli privati che, dalle mappe, risultano avere una caditoia. L’Ausl di Rimini, ha predisposto un piano di efficienza, allertando i Pronto soccorso degli ospedali e i medici di famiglia. Inoltre, ha attivato un numero telefonico 0541-707290 dalle 9 alle 12 al quale si possono rivolgere i cittadini per avere tutte le informazioni.

Ambra Craighero
06 settembre 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #16 inserito:: Settembre 12, 2007, 06:45:24 pm »

Sconsigliata anche l'astinenza prolungata

Prostata: no a peperoncino e coito interrotto

Gli esperti della Società italiana di Urologia stilano le regole per «salvare» la ghiandola maschile.

Ottime carote, spinaci, kiwi


ROMA - Troppo peperoncino fa male alla prostata. E fanno male anche l'astinenza sessuale prolungata e il coito interrotto. Lo dicono gli urologi della Siu, la Società Italiana di Urologia, che hanno divulgato un decalogo salvavita contro le malattie prostatiche alla vigilia della Giornata Europea di Informazione indetta per il 14 settembre dalla European Association of Urology. Dieci regole semplici, per contrastare soprattutto un fenomeno, quello del carcinoma alla prostata, che colpisce in Italia 46.400 persone all'anno, con 7 mila decessi (seconda causa di morte per tumore dopo il cancro al polmone).
Con un aumento dei casi, spiega il presidente della Siu Vincenzo Mirone, del 12-13 per cento negli ultimi cinque anni, a fronte però di un calo della mortalità. Il rischio di sviluppare un carcinoma di questa ghiandola aumenta a partire dall'età di 40 anni: più dell'80 per cento dei casi di neoplasia prostatica sono diagnosticati in pazienti sopra i 65 anni e il 94 per cento dei decessi avviene nello stesso gruppo di età. E se tra i parenti di primo grado si registrano dei casi di tumore, le probabilità di ammalarsi aumentano di ben 4 volte.
Per questo, è indispensabile la prevenzione: dopo i 50 anni, suggeriscono gli esperti, bisogna effettuare una visita di controllo almeno una volta l'anno.


LE REGOLE SALVA-PROSTATA - Ma poi, ciascun maschio è chiamato a rispettare alcune regole apparentemente elementari.

1) ALIMENTAZIONE - Evitare cibi dannosi alla prostata, anzitutto, quelli che un tempo non a caso venivano considerati afrodisiaci, per il semplice fatto che infiammavano l'area, creando un artificiale impulso al coito: moderazione dunque nel mangiare peperoncino (non più di due volte a settimana, ammonisce Mirone), ma anche birra, insaccati, spezie, pepe, superalcolici, caffè, e aragoste. Vanno bene invece cibi con antiossidanti, dalle carote agli spinaci, dal kiwi alle carni rosse.

2) IDRATAZIONE - Occorre poi bere tanto, almeno due litri d'acqua al giorno, e regolarizzare la funzione intestinale.

3) ATTIVITA' FISICA - Utile camminare almeno mezz'ora al giorno, e evitare per ovvi motivi un uso eccessivo della bicicletta.

4) SESSO - Mentre sul fronte del sesso, la salute della prostata dipende da un'attività sessuale regolare: l'astinenza prolungata provoca ristagno di secrezioni nella ghiandola prostatica ed una possibile infezione seminale. Per la stessa ragione, va evitato il coito interrotto.

DIAGNOSI PRECOCE E COMUNICAZIONE - «Negli ultimi anni - ha sottolineato Mirone - si assiste a un'importante riduzione del tasso di mortalità per cancro alla prostata in gran parte dei paesi occidentali. Seguendo alcune semplici regole ognuno può tenere sotto controllo il suo stato di salute riducendo i rischi e favorendo diagnosi precocì. Ma soprattutto, secondo gli urologi, occorre maggiore divulgazione: un tema su cui ha insistito anche Franco Cuccurullo, presidente del Consiglio Superiore di Sanità e rettore dell'Università di Chieti: «Al sud - ha ricordato - si fa un uso smodato di peperoncino. Dobbiamo dire a tutti che non è senza conseguenze. Divulgando soprattutto il ruolo della prevenzione, attraverso un'informazione comprensibile: un tema che ha trovato spazio negli ultimi piani sanitari nazionalì. Il vicepresidente della Commissione Sanità del Senato Cesare Cursi ha sottolineato che «bisogna invertire la tendenza secondo cui tutte le donne vanno dal ginecologo, e pochi uomini dall'urologo o dall'andrologo».

12 settembre 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #17 inserito:: Settembre 13, 2007, 06:21:35 pm »

AMBIENTE

13/9/2007 - RETROSCENA
 
Un nuovo clima

E dai tropici arrivano i virus
 
Quasi duecento contagiati dalla «Chikungunya»
 
 
ROMA
Ondate di calore e umidità, che a tratti ci fanno sentire come ai tropici, aprono la via a «immigrati» davvero pericolosi, a differenza di quelli che muovono da territori dove fame, sete e siccità sono il presente. I cambiamenti climatici portano malattie.

«Per la prima volta, in Italia, abbiamo avuto un focolaio di epidemia del virus Chikungunya», spiega Roberto Bertollini, responsabile di Oms Italia. Sono stati 197 i casi (e un morto). Una patologia con febbri alte e sintomi che la fanno scambiare per una brutta influenza, e per la quale non esiste vaccino. E’ diffusa dalla zanzara Aedes Aegypti, meglio nota come zanzara tigre, che ormai si è stabilita alle nostre latitudini.

Come influisce il clima sul piano globale? Bertollini riferisce gli ultimi dati disponibili, relativi al 2000, che definisce «superati in senso peggiorativo». Per esempio, il clima risultava già responsabile del 2,4% di tutti i casi di diarrea nel mondo e il 2% di tutti gli episodi di malaria, per un totale di 150 mila morti.

Sul piano europeo, l’analisi dell’Organizzazione mondiale della sanità, ricorda i 35 mila morti in eccesso per l’ondata di calore del 2003, ma anche i problemi legati alle alluvioni che, nello stesso anno, provocarono 250 decessi e colpirono circa due milioni di persone. I casi di salmonella, poi, salgono del 5-10% per ogni grado di aumento di temperatura.

Ma quello che preoccupa di più è l’interazione tra ondate di calore e inquinamento da ozono. «Si è calcolato - riferisce Bertollini - che un’ondata di calore fa crescere la mortalità del 10%. Se a questo si aggiunge l’effetto ozono, la mortalità aumenta del 13% e, nella popolazione anziana, può raggiungere percentuali anche più elevate». In forte crescita sono anche le malattie gastroenteriche. Ne parla Luciana Sinisi, responsabile del settore ambiente e salute dell’Apat, l’agenzia per la tutela dell’ambiente. «Per il surriscaldamento cambia la qualità delle acque e negli alimenti si possono sviluppare micotossine - dice -. Nel 2003, tonnellate di cereali andarono perse per questa ragione. Del resto, più aumenta il caldo, più si sviluppano fenomeni di fermentazione».

Il clima causa anche il prolungamento della stagione dei pollini. «E siccome è cambiata la circolazione atmosferica - aggiunge la dottoressa Sinisi -, abbiamo nel nostro territorio molte varietà di piante allergeniche nuove che, trovando una temperatura più calda, attecchiscono».

C’è, poi, un rischio chimico pesante. «L’aumento della temperatura porta a una più veloce degradazione dei pesticidi che, così, perdono di efficacia. Questo fenomeno induce a un maggiore uso di prodotti. Il risultato è la contaminazione del suolo e delle acque. A medio termine, anche delle falde freatiche».

A questo punto, raccomandano gli esperti, il rischio di malattie non è più esclusivo campo d’azione del ministero della Salute. La prevenzione sanitaria e quella ambientale devono andare a braccetto.

 
da lastampa.it
 
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« Risposta #18 inserito:: Settembre 14, 2007, 11:26:04 am »

Parkinson , campanello d'allarme nel naso

Bruxelles, congresso europeo di neurologia, dai disturbi dell'olfatto alla diagnosi precoce


Anticipare la diagnosi di morbo di Parkinson attraverso uno screening della popolazione per iniziare precocemente le cure, è tra gli obiettivi di clinici e ricercatori che puntano ora ad indagare sui disturbi non motori della malattia. All'XI Congresso europeo di neurologia di Bruxelles si è parlato della possibilità in un futuro prossimo di esplorare l'olfatto, di solito alterato in questi malati, con un semplice test che permetterebbe di prevedere chi si ammalerà di Parkinson.

Concreta invece l'opportunità di intervenire sulla depressione che colpisce un parkinsoniano su due.

"Il neurologo pone l'attenzione soprattutto ai disturbi motori, mentre spesso la depressione insorge molto prima e l'impatto sulla qualità di vita dei pazienti è pari a quello dei disturbi motori", ha sottolineato Paolo Barone del Dipartimento di scienze neurologiche all'Università Federico II di Napoli commentando i risultati di "PRODEST" e "PRIAMO" due studi, europeo e italiano, presentati al Congresso che evidenziano come quasi la metà dei pazienti trattati con antidepressivi continuano ad essere depressi.

La diagnosi differenziale e precoce è fondamentale. Secondo gli esperti bisogna che il medico impari a distinguere i sintomi così da individuare la terapia più efficace come il pramipexolo.

Lo stesso farmaco, messo a punto una decina di anni fa dalla Boehringer Ingelheim, da qualche tempo si è dimostrato efficace anche per un'altra malattia emergente e ciclica, la sindrome delle "gambe senza riposo" che colpisce da 1 a 10 persone tra la popolazione adulta con gravi disturbi del sonno notturno e delle attività quotidiane.

(mariapaola salmi)

da repubblica.it
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« Risposta #19 inserito:: Settembre 14, 2007, 11:26:44 am »

Arriva l'anticorpo che ti salva la vista

Sanihelp.it - I pazienti affetti da Degenerazione Maculare legata all’età (DMLE) hanno da oggi un’arma in più per combattere la malattia. È disponibile infatti anche in Italia il nuovo trattamento ranibizumab, che rappresenta una nuova frontiera nella cura della DMLE di tipo essudativo, condizione degenerativa che causa una severa perdita della vista (acuità visiva) nella popolazione occidentale sopra i 65 anni.

Si tratta di un anticorpo monoclonale che agisce bloccando le varie forme del Fattore di Crescita Vascolare Endoteliale (VEGF-A), proteina che induce l’angiogenesi, processo alla base dello sviluppo e della progressione della degenerazione maculare neovascolare.

Questo farmaco non solo arresta la progressione della malattia poiché permette la chiusura dei neovasi con il massimo rispetto della retina sana, ma migliora anche, in una percentuale significativa, la funzionalità visiva del paziente. Infatti circa il 95% dei pazienti ha mantenuto la propria funzionalità visiva e nel 40% dei casi è stato possibile ottenere un miglioramento dell’acuità visiva pari ad almeno 15 lettere. Questo risultato incide anche sul recupero dell’autonomia nello svolgimento delle attività di vita quotidiana come leggere, fare la spesa, usare il denaro, che nei pazienti affetti da questa patologia è molto compromessa.

La Degenerazione Maculare colpisce l’1% della popolazione oltre i 50 anni, il 14% degli ultra 75enni, mentre oltre il 30% degli ultra 85enni sono affetti dalla forma più grave di degenerazione maculare, la neovascolare o umida. Di queste, circa 260.000 soffrono della forma neovascolare, la più aggressiva, che ogni anno conta 20.000 nuovi casi.



Fonte: Novartis

di Roberta Camisasca
ultima revisione: 13-09-2007
da sanihelp.it
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« Risposta #20 inserito:: Settembre 19, 2007, 04:35:03 pm »

Parte in Italia lo studio «Miracles»

Ipertensione, emicrania e rischio ictus

Un progetto per stabilire in che misura il tipico mal di testa e la pressione alta aumentano il pericolo di infarto cerebrale
 

MILANO – Ipertensione e emicrania, se associate, quale impatto hanno sul rischio ictus? È il quesito che si propone di risolvere il progetto «Miracles», il primo studio osservazionale multicentrico italiano.
Lo studio ha l'obiettivo successivo di paragonare, nelle popolazioni affette da ipertensione o da emicrania o da entrambe le patologie, i fattori di rischio per eventi cerebrovascolari.

Il progetto è coordinato da 10 centri ipertensione e da 10 centri cefalee, distribuiti su tutto il territorio nazionale, con il coinvolgimento di circa 500 medici di medicina generale, e si svolge sotto l'egida della Società italiana dell'ipertensione arteriosa (Siia) e della Società italiana per lo studio delle cefalee (Sisc), con il supporto della Solvay Pharma.

FATTORI DI RISCHIO - Numerosi studi hanno indagato l'associazione tra ipertensione arteriosa ed emicrania, evidenziando come l'ipertensione possa, ad esempio, incrementare la frequenza e la severità degli attacchi emicranici, contribuendo alla trasformazione di una episodica in una cefalea cronica quotidiana. Nonostante questi studi, è tuttora ancora controverso il rapporto tra emicrania ed ipertensione arteriosa, e rimane da chiarire l'associazione con il rischio ictus. Si sa invece con certezza che l'ipertensione rappresenta il principale e più importante preditore di ictus, poichè è coinvolta nell'insorgenza di 12,7 milioni di episodi di malattia nel mondo (186mila nuovi casi di ictus all'anno solo in Italia), pari al 70% del totale. Anche l'emicrania, però, che colpisce il 12% della popolazione, rappresenta un fattore emergente di rischio ictus. Sono infatti sempre più numerose le evidenze che indicano che le persone che soffrono di emicrania presentano un rischio superiore di andare incontro a un ictus cerebrale, in particolare di quello ischemico in donne di età inferiore a 45 anni, con fattori di rischio addizionali quali il fumo di sigaretta e l'uso di contraccettivi orali.

OBIETTIVI - l progetto Miracles rappresenta anche la prima occasione di collaborazione tra due importanti Società scientifiche, la Siia e la Sisc, che andrà ad incrementare la cooperazione tra i centri specialistici e i medici di medicina generale per la condivisione di criteri diagnostici e procedure terapeutiche. «Se lo studio Miracles metterà in evidenza l’effettiva esistenza della "comorbidità" di ipertensione ed emicrania, sarà possibile porre maggior enfasi sulla prevenzione dell’una nel paziente affetto dall’altra, e viceversa – spiega il professor Enrico Agabiti Rosei, Direttore della Clinica Medica dell’Università di Brescia e Presidente della Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa (SIIA) - Di ancor maggiore rilievo, se sulla scorta del Miracles dovessero sorgere studi atti ad indicare effettivamente nell’emicrania un fattore di rischio per ictus, la prevenzione di quest’ultimo diventerà particolarmente stringente nel paziente emicranico. Ciò permetterà di risparmiare non solo vite, ma anche sofferenze umane, che sono tali per il paziente e per i suoi familiari, ma rappresentano anche un ben triste costo per il sistema sanitario e per la società».

19 settembre 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #21 inserito:: Novembre 21, 2007, 03:27:02 pm »

Chi dà i numeri sulla Sanità?

Oliviero Beha


La Sanità in Italia è come le Miniere di Re Salomone: diamanti per alcuni, pochi, un profondissimo buco nero per i moltissimi altri. Se la metafora mineraria applicata alla cosa che più ci dovrebbe interessare («l’importante è la salute», no?) è valida sempre, è ancora più valida per la Sanità nel Lazio. Perché i diamanti e il buco sono più grossi, e perché una serie di elementi sotto gli occhi di tutti, ma proprio per questo forse sfuggenti o disattesi, spiegano immediatamente dal punto di vista meramente logistico come e quanto le dimensioni siano maggiori che nel resto del Paese.

Ne cito solo alcuni, da un elenco nutrito, che distinguono il Lazio nel panorama «salomonico» nazionale. Intanto, la presenza di cinque policlinici universitari e sei facoltà di medicina che formano uno su quattro dei medici italiani. Poi l’evidenza della romanità: dove sono le più importanti istituzioni statali, diplomatiche, vaticane ecc.ecc., con il corollario di chi viene a Roma anche o solo perché con tale profluvie di istituzioni deve avere a che fare? Ancora: ogni anno si svolgono nella capitale circa 600 manifestazioni ed eventi di varia natura, con le conseguenze numerico-economiche del caso anche soltanto in fatto di costi per una decente rete di servizi di soccorso ed emergenza.

Questo solo per una rinfrescata impressionistica. Si dirà: non scriverai mica tutto ciò per giustificare la voragine nei conti pubblici dell’Assessorato competente, quello per intenderci dove spadroneggiava la cosiddetta Lady Asl oggi agli arresti domiciliari (da cui mi dicono continui a esercitare, o almeno tenti, un potere, un’influenza e maneggi politico-sanitario-lobbistico - loggistici con due g - di elevato spessore)?

Ah no, certo che no. L’eroico Storace socialmente di destra ha in effetti lasciato la Regione Lazio in mutande economiche e in calzini etici. Per la Sanità, la più ricca e quindi la più interessante e colpita tra le miniere salomoniche, lo sprofondo è di 9,6 miliardi di euro. L’incidenza del giro di Lady Asl, il deficit in questo caso di trasparenza, ma non solo di essa, in fatto di modalità e tempistica nel pagare i fornitori attraverso banche esotiche, una serie di inchieste a latere sono materia di impegno giudiziario non da ridere. Da piangere.

In questo paesaggio deformato arrivano sulle soglie della miniera dei nuovi minatori, che provano e riescono a quel che sembra a far luce sui filoni diamantiferi e sulle caverne sempre più interne della Sanità laziale. Non hanno solo le pile dei loro caschi, ma alle spalle il faro del governo Prodi. E questo articolo è per l’appunto di genere elettrico. È storia recente l’idea del ministero del Tesoro, supportato dalla presidenza del Consiglio davanti agli occhi spalancati del ministro della Sanità, di commissariare l’Assessorato di cui stiamo parlando. Idea che sta oggi sbiadendo di fronte alla realtà, diversa nei numeri da quella che ci viene presentata.

Per tornare a Re Salomone, il rischio è comunque che magari in buona fede i megariflettori del governo scambino per ulteriori buchi quelle che sono invece ricoperture dei medesimi, almeno in parte. I riflettori fanno sembrare tutto un profondissimo, interminabile buco nero, le lucine specifiche e mirate di un Marrazzo o di un Battaglia tendono invece a distinguere, evidenziare, correggere. Il che, se è come dico, rende insensato parlare semplicemente di problemi di comunicazione di un governo che non si accorgerebbe di quando le cose vanno meglio, oppure anche solo un po’ meno peggio. Clamoroso, no? Se sono sviste in buona fede, bisogna rivedere il sistema di illuminazione, se gatta ci cova allora saremmo come sempre punto e daccapo.

La questione appare invece più semplice e anche più beneaugurante. Erano 9,6 miliardi il cratere storaciano nel 2005? In due anni il deficit di esercizio cala di circa 1 miliardo. Il costo della produzione del Servizio sanitario regionale diminuisce tra il 2006 e il 2007 di 400 milioni, in realtà di più di 500 secondo i vecchi stilemi amministrativi giacché la Finanziaria 2007 ha introdotto giustamente un accantonamento di 130 milioni per futuri aumenti contrattuali. Il risultato economico migliora in un anno di 740 milioni.

Il 28 febbraio di quest’anno, dopo aver scoperchiato la pentola o illuminato tutta la miniera come mai in passato, naturalmente, viene concordato un cogente piano di rientro con il governo, a fronte di un’integrazione statale per la traforata Sanità laziale di 9,7 miliardi da rimborsare in trent’anni o prima a cadenze/scadenze obbligate. Lo so, sono tanti diamanti sempre di tasca nostra, ma rendono l’idea delle estrazioni fatte finora giocando sulla nostra pelle in tutti i sensi, dal letterale ahimé al figurato. Mettendo a fuoco il piano che deve negli anni coprire l’enorme falla pubblica, oggi rispetto alle previsioni si registra uno scostamento in peggio di 192 milioni che motivatamente la Regione intende coprire senza aumento di pressione fiscale né richieste di ulteriori finanziamenti.

Perché motivatamente? Perché Istat alla mano i residenti in regione sono 188.530 in più,che valgono come finanziamento ulteriore 297 milioni annui di cui 100 già anticipati. Non c’è bisogno di essere Odifreddi per un calcolo al volo. 192 di sforamento, 197 di credito sottoscritto dai numeri, la Regione almeno in quanto a Sanità è in pari con il piano e dovrebbe aver dato segnali rassicuranti, o almeno tali da testimoniare una correzione di rotta e un diverso/opposto cammino rispetto allo storacismo.

Non entro qui nei numeri positivi sostanziali, secondo i dati ufficiali, di «questa» sanità laziale: in mezzo alla bufera sanitaria naturalmente non solo laziale, qui crescono le percentuali di prestazioni, trapianti, raccolta sangue ecc., si aprono nuovi ospedali ed altri sono programmati, le liste d’attesa stanno diminuendo anche se a ritmi ancora inaccettabili. Inaccettabili? Beh, la faccenda prende un’altra piega se consideriamo che tra sanità pubblica e sanità privata si giocano partite inconfessabili davvero da miniere di Re Salomone. Perché inconfessabili? E se sono inconfessabili,come faccio a dirvelo o a scrivervelo?

Torniamo a noi, e alle cifre. Qual è dunque l’origine del contendere, perché da settimane si è insistito su commissariamenti ed emergenze a oltranza, voglio dire oltre quella della realtà salomonica che si commenta da sé? Mah. Il Direttore della Programmazione presso il ministero Turco sa benissimo quali siano i numeri. Altrettanto credo valga per l’occhiuto Direttore del Dipartimento Ragioneria Generale dello Stato presso il ministero Padoa-Schioppa. Dico rispettivamente di Filippo Palombo e di Francesco Massicci.

Eppure secondo il Tesoro il debito ulteriore sarebbe stato alla fine dell’estate di 358 milioni in più, il che avrebbe modificato il presente ragionamento dalle fondamenta, mentre oggi dopo un’altra occhiatina alla miniera pare solo di 98. Qualcuno sbaglia i conti. Chi? E se hanno ragione alla Regione Lazio, non sarebbe una buona notizia mineraria mentre crollano altre gallerie per gli scavi precedenti? Possibile questa renitenza a dare segnali positivi per l’opinione pubblica mentre la sfiducia scrolla come foglie il sentire comune dagli alberi istituzionali?

www.olivierobeha.it

Pubblicato il: 21.11.07
Modificato il: 21.11.07 alle ore 9.17   
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« Risposta #22 inserito:: Novembre 22, 2007, 11:13:20 pm »

TECNOLOGIA & SCIENZA

Intervento dell'oncologo sul diritto fondamentale del malato a non soffrire

"Non si può trasferire l'angoscia legata a una parola alla necessità di usare questa medicina"

Veronesi riabilita il ricorso alla morfina "Potente antidolorifico da usare più spesso"


VERONA - Bisogna riabilitare la morfina e le sue qualità di antidolorifico. E' l'appello rivolto oggi dal professor Umberto Veronesi, parlando a Verona nel corso di una lettura magistrale alla quarta edizione degli Stati Generali del malato oncologico organizzata dalla Lega italiana per la lotta contro i tumori (Lilt).

"Non si può trasferire l'angoscia legata alla parola morfina alla necessità di usare questa medicina per liberare una persona dal dolore", ha sottolineato il medico. Uno dei principali diritti del malato, ha ricordato Veronesi, è quello di non soffrire. Un punto fermo che non vale solo per le malattie più gravi, ma anche per quelle più banali. La morfina, ha osservato ancora il professore, è un potente antidolorifico che "deve essere usato anche per una distorsione alla caviglia", uscendo dal concetto che l'immaginario collettivo ha di questa medicina solo perché "ne è stato fatto un uso improprio da chi vuole uscire dalla realtà".

L'oncologo si è quindi soffermato sul diritto del paziente a rifiutare l'accanimento terapeutico "che provoca più sofferenze della malattia stessa". "Siamo in un paese democratico - ha proseguito Veronesi - e libertà è anche rifiutare le cure". La medicina, ha ricordato, è "in pieno ripensamento" e il medico deve anche "avere l'umiltà di chiedere al paziente le sue volontà e assecondarle fino a che è possibile". Una premessa che Veronesi nel ribadire l'esigenza di redigere il testamento biologico per salvaguardare la persona quando non è più in grado di esprimere la propria volontà.

(22 novembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #23 inserito:: Novembre 28, 2007, 05:37:56 pm »

Cronache

Censurata la «mancanza di informazioni». Londra taglia i fondi

È provato: «L'omeopatia è inutile»

«Solo un placebo, effetti collaterali inattesi».

Nuova ricerca di Lancet. I farmacologi: basta aiuti

 
ROMA — Efficace come un placebo. Finta medicina. O, se preferite, acqua fresca. Stangata di Lancet, la prestigiosa rivista di scienza, sull'omeopatia. Un articolo firmato sull'ultimo numero da Ben Goldacre, autore di un commento affilato anche sul quotidiano britannico Guardian, stronca la più gettonata delle terapie alternative citando cinque ampie revisioni degli studi condotti negli ultimi anni.

Tutti, sostiene, portano alla stessa conclusione: «Non sono stati evidenziati vantaggi significativi rispetto ai placebo». Non basta. Goldacre insiste nel colpire duramente denunciando gli «inattesi effetti collaterali» e la mancanza di informazione adeguata. Seguono, sempre su Lancet, due servizi sull'ondata antiomeopatica nel Regno Unito, dove il governo ha tagliato i fondi pubblici ad alcuni centri che prescrivono le cure dolci, e sul buon vento che soffia in India dove il mercato sta crescendo del 25% all'anno, sostenuto da 100 milioni di pazienti.

Alle insinuazioni replicano i Laboratoires Boiron, una delle maggiori aziende del settore, che cita i risultati di sperimentazioni condotte secondo le regole corrette dal punto di vista metodologico. Vengono rivendicati gli «effetti benefici degli interventi con omeopatia». «L'ennesimo attacco scientificamente ingiustificabile» è annoverato fra le attitudini sfavorevoli «al progresso nella conoscenza. L'omeopatia è una vera e propria chance per la medicina di domani — argomenta Boiron — ma non ce la fa da sola, ha bisogno di condividere il percorso con gli scienziati, mondo accademico e realtà ospedaliera».

Polemiche anche in Italia dopo la divulgazione del documento della società italiana di farmacologia, la Sif, nell'ultimo numero della Newsletter. Bocciate oltre all'omeopatia («la forza delle evidenze che scaturisce dagli studi pubblicati è bassa e vengono in genere riportati risultati negativi»), agopuntura («efficacia moderata come nel caso delle patologie infiammatorie croniche»), medicina tradizionale cinese («su di essa esistono limitatissime informazioni, carenza aggravata dalle difficoltà legate alla lingua») e fitoterapia. Meno duro il giudizio sulle erbe: «Da anni molti medici in Italia le usano e hanno maggiore familiarità. Le prove di efficacia però non sono sempre entusiasmanti e se prescritte con troppa disinvoltura possono portare qualche guaio». Achille Caputi, presidente della Sif, spiega le ragioni dei farmacologi: «Per il servizio sanitario è un momento di estreme difficoltà economiche e non vediamo perché bisognerebbe rimborsare cure che non funzionano, come vorrebbe la proposta di legge in discussione al Parlamento».

 Sono circa 200 i centri ospedalieri e Asl che rimborsano le altre terapie (salvo versamento di ticket e prodotti a carico del paziente), grazie all'autonomia di spesa delle Regioni. La popolarità delle terapie alternative in Italia è per la prima volta in calo secondo l'ultima indagine Istat, 60 mila famiglie intervistate nel 2005. Gli italiani che almeno una volta hanno combattuto raffreddore, influenza e dolori intestinali o reumatici sono 7 milioni e 900 mila, un milione in meno rispetto al '99. Il motivo? Maggiore prudenza dopo gli articoli scientifici non rassicuranti.

Margherita De Bac
28 novembre 2007


da corriere.it
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« Risposta #24 inserito:: Gennaio 22, 2008, 05:50:39 pm »

Qui "depositerò" gli articoli non letti o poco letti.

ciaooooooooo
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« Risposta #25 inserito:: Gennaio 28, 2008, 11:43:57 am »



Qui il "Limbo" degli articoli poco letti.

ggiannig
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