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Autore Discussione: Scalfaro: «Niente gridi d’allarme, la democrazia non è a rischio»  (Letto 2829 volte)
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« inserito:: Aprile 26, 2008, 10:08:09 am »

Non condivido il «manifesto» delle associazioni partigiane

Scalfaro: «Niente gridi d’allarme, la democrazia non è a rischio»

Berlusconi non celebra la Liberazione? Grave lacuna culturale. E la Moratti metta a fuoco i valori fondanti


Presidente Scalfaro, si apre un altro 25 aprile di polemiche. La destra contesta alle associazioni partigiane i toni della loro «mobilitazione straordinaria», indetta perché l'Italia «corre nuovi pericoli ed emergono sempre più rischi per la tenuta del sistema democratico». Approva il richiamo alla piazza?
«Non lo condivido e non mi sembra una cosa positiva. Se ogni forza che opera nel Paese mantiene senso di responsabilità e freddezza, rischi non se ne corrono. Credo che, sia pur considerando che la nostra è una democrazia ancora giovane e i cui sviluppi meritano una costante attenzione, un grido d'allarme come quello lanciato con il "manifesto" contestato vada oltre una normale dialettica e suoni onestamente sproporzionato, per quanto spiegabile».

Spiegabile forse con il bisogno di dare una «prova di esistenza in vita» della sinistra dopo il voto?
«Siamo in una fase post-elettorale che ha visto un trionfo inaspettato del centrodestra (inaspettato almeno rispetto alle dimensioni) e una caduta a picco della sinistra, Pd a parte. Risponde dunque a una prevedibile logica il soprassalto di chi ha perso e vuole dimostrare che un antico patrimonio di ideali e valori non è tramontato, che esiste ancora e resta custodito con saldezza. Ma sono convinto che per affermare tutto questo non ci sia bisogno di particolari mobilitazioni. Esasperare i sentimenti degli italiani con proclami più o meno squilibrati non è mai utile e positivo. Da qualunque parte lo si faccia».

Lei, che presiede l'Istituto nazionale di storia della lotta di liberazione, come giudica le reazioni che propongono di abolire la festa del 25 aprile?
«È un contrappunto per alcuni versi inevitabile, rientra in certe manifestazioni di assoluta inintelligenza che abbiamo già visto in passato. Sono convinto che non si debba in alcun modo inseguire le provocazioni di certi agitatori che negano la storia, ciò che è di una gravità eccezionale. Non meritano neppure di essere citati. In fondo rappresentano poco più che se stessi».

Non è proprio così. Berlusconi, ad esempio, non ha mai onorato la Liberazione e sembra aver fatto scuola.
«Quei comportamenti denunciano gravi lacune culturali e rientrano in una strategia di rigetto dei valori fondanti della democrazia repubblicana. Ed è su questo che oggi si impone una riflessione pubblica, della società e non solo del mondo politico. L'insurrezione contro il nazifascismo è un evento storico che va valutato in modo serio, trasparente e imparziale. Insomma: i fatti stanno lì e non possono essere negati perché magari non ci piacciono, né modificati o magari esaltati troppo. Ciò premesso, oltre al doveroso ricordo che dobbiamo dedicare a tutte le vittime di quella dura e terribile stagione, va rianimato l'orgoglio dei sentimenti di coloro che si batterono in prima persona riconquistando l'Italia alla libertà».

Ma come si realizza questa «rianimazione» se perfino chi rappresenta le istituzioni si chiama fuori? Il sindaco di Milano ha annunciato che non sarà presente né alle cerimonie del 25 aprile né a quelle del primo maggio.
«È un problema di trasmissione della memoria, che non può essere amputata o fatta oggetto di un uso politico. Bisogna far entrare nella circolazione del sangue di ogni persona, vecchia o giovane, gli antidoti al totalitarismo. A partire dalla tolleranza, dal rispetto dei diritti e dei doveri, dalla tutela della Carta costituzionale che proprio quest'anno compie sessant'anni. Quanto al sindaco di Milano, non voglio polemizzare con le sue scelte, ma è chiaro che chiunque abbia un incarico di responsabilità deve interpretarlo con atteggiamenti limpidi e sereni, tenendo a fuoco i valori di fondo. Che sono di tutti».

Beppe Grillo ha convocato per oggi a Torino un incontro pubblico che è percepito come una contromanifestazione.
«In un momento di assestamento politico come questo (assestamento anche psicologico per molta gente che è ancora sotto choc, come gli sconfitti dal voto), è indispensabile che chiunque sa di avere una voce ascoltata si ponga qualche remora, qualche limite. L'Italia non ha bisogno di accensioni incontrollate. Servono invece sentimenti positivi, pacatezza, responsabilità, nello sforzo di trovare un denominatore comune. De Gasperi questo sforzo lo fece con passione e ragione, "con intelletto d'amore" come si disse, e gli italiani risposero.

Da capo dello Stato, lei sdoganò i post-fascisti al governo e celebrò i 50 anni della Liberazione con un pellegrinaggio laico attraverso l'Italia.
«Anche da questo punto di vista non fu un periodo facile, il mio settennato. Ci furono diffidenze da superare, in Europa soprattutto, e agitazioni interne da riassorbire. Ce l'abbiamo fatta collaborando nell'interesse comune. Per ciò che riguarda la competizione sulla storia, in quel periodo si alternarono diversi momenti tesi. Che furono però superati, come sempre è avvenuto da quando è finita la guerra. La democrazia, da noi, è più forte di quel che tanti credono. E la sua identità comincia il 25 aprile 1945».


Marzio Breda
25 aprile 2008

da corriere.it
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« Risposta #1 inserito:: Maggio 01, 2008, 09:46:54 pm »

Parla L'ex presidente, unico a non essere citato nel discorso alla camera

Scalfaro: «Fini, caduta di stile continuare a negare i fatti»

«L’antifascismo? Fermai Bruxelles ma ora atti concreti»

L’intervista

L’ex capo dello Stato e la «dimenticanza» del neopresidente


Gli racconti che Gianfranco Fini, al momento di insediarsi alla guida della Camera, ha elogiato il «nobile e coraggioso impegno per la pacificazione nazionale profuso da Cossiga e Ciampi» e ha deliberatamente trascurato il suo nome, e lui resta per lunghi secondi in silenzio. Gli esce una sola parola, appena mormorata e dunque incomprensibile, il cui labiale potrebbe essere forse tradotto in «scostumatezza », «bassezza» o anche «tristezza ». Poi si rischiara la voce e si prepara a rispondere.

Presidente Scalfaro, l’omissione di Fini dimostra che per il Popolo della libertà lei resta un avversario. Che gliene pare?
«Non voglio incrociare alcun dialogo su questo. Ho sentito il discorso di Schifani al Senato, e mi è parso alto, al di sopra delle piccole contese. Quanto a Fini, dico solo che continuar a negare i fatti o alterarli così come sono nella loro verità è una grave caduta di statura e di stile».

Lei cita i fatti e un fatto è che nel 1994 inviò un diffidente memorandum al neonato governo di centrodestra per vincolarlo su tre punti: unità nazionale, solidarietà sociale, fedeltà alle alleanze internazionali. Rifarebbe oggi lo stesso passo? «L’approccio di lavoro su quei cardini che intendevo tutelare è ormai largamente condiviso. Anche se, certo, occorre sempre che tutti vigilino affinché i princìpi irrinunciabili di una sana democrazia siano rispettati con il massimo rigore e mai disattesi... Non fu però l’unico mio passo istituzionale verso quell’esecutivo, che vedeva affacciarsi sulla scena soggetti politici nuovi, verso i quali era comprensibile qualche interrogativo e incertezza. In Italia e fuori d’Italia».

Allude alla mozione con cui l’Europarlamento ci chiese allora di «assicurare il rispetto dei valori dell’antifascismo »?
«Ci fu anche quell’episodio, una mozione pesante per la stessa credibilità democratica del Paese. A Bruxelles risposi che non avevamo bisogno di maestri, legittimando tutti. Ora, tanto tempo dopo, si è fatto un buon tratto di strada verso una totale civilizzazione della nostra vita politica. Si tratta di confermarla con comportamenti concreti».

La vittoria di Alemanno a Roma allarma più di qualcuno, che parla di «marea nera». Dopo l’anticomunismo millenarista di Berlusconi nel ’94 («se vincono i rossi sarà terrore, miseria e morte») rischiamo un antifascismo altrettanto millenarista?
«La metafora del cammino percorso, che ho utilizzato, non può essere a senso unico. Se vogliamo metterci su un piano di collaborazione nell’interesse generale, servono buona volontà e spirito dialogante. Ciò che ha dimostrato Veltroni nei mesi scorsi, con un linguaggio rispettoso verso tutti anche quando è stato sottoposto ad attacchi duri e ingiusti. Da quei gesti viene un’indicazione di reciproco riconoscimento, da non disperdere. Come il messaggio di Berlusconi sul 25 Aprile, nel quale una volta tanto, accanto alle ragioni dei "ragazzi di Salò", è stato reso onore pure ai martiri per la libertà. E’ questo che intendo, quando sostengo che bisogna mettere al bando ogni esasperazione. Abbiamo davanti un orizzonte pieno di difficoltà, dobbiamo pretendere che cadano le asprezze del passato prossimo ».

Rifondazione comunista chiede a Napolitano di non nominare ministro Umberto Bossi.
«Ci vogliono ragioni molto serie per negare la firma a una nomina del genere. Certo, se il leader della Lega pronunciasse frasi gravi contro la Costituzione, si potrebbe porre un problema... Ma è bene non fare pressioni sul presidente della Repubblica, che finora si è mosso con misura e saggezza. Lasciamolo tranquillo: ha il metro delle cose, sa come svolgere il suo compito riequilibratore».

Come spiega l’exploit leghista, che ha rafforzato il centrodestra?
«E’ stato un voto dominato da diverse paure su diversi fronti (la sicurezza, il lavoro, l’economia, ecc.) e la vicenda Alitalia le ha riassunte tutte. Sulla Lega, che ha intercettato una sfera di interessi malmenati, specie al Nord, credo si possa ormai essere fiduciosi. Ricordo ad esempio che Maroni, quand’era ministro dell’Interni, diede prova di equilibrio e di tutela degli interessi generali.

E il centrosinistra, che cosa deve fare adesso?
«Un’autocritica severa e serena, non necessariamente fatta in piazza e, spero, non mirata a massacrare Veltroni. Il quale ha fatto ciò che ha potuto, dopo due rissosissimi anni di governo di una coalizione che si è impegnata soprattutto a litigare e che ha poi pensato di cavarsela addossando agli altri le colpe di ogni guaio. Atteggiamenti che, onestamente, non potevano essere capiti dalla gente. Ecco, è a partire da qui che dovrebbe cominciare la riflessione. Parlando a se stessi e agli italiani con calma, un po’ come ha fatto il Papa quando ha denunciato lo scandalo dei preti pedofili negli Usa: si è preso le sue responsabilità e ha spiegato l’impegno della Chiesa a chiudere la partita. Insomma, si ricomincia sempre a partire dalla chiarezza».

Marzio Breda
01 maggio 2008

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