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Autore Discussione: Se il patriottismo diventa una politica industriale. (IL CASO ALITALIA).  (Letto 3604 volte)
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« inserito:: Aprile 22, 2008, 12:18:00 pm »

IL CASO ALITALIA

Se il patriottismo diventa una politica industriale

Tre questioni da porsi dopo il ritiro di Air France


Per quanto la cosa possa apparire contraddittoria con l'autorappresentazione liberale e liberista del Pdl, Silvio Berlusconi ha fatto della difesa dell'italianità di Alitalia contro l'annessione francese un argomento vincente con gli elettori. E l'ha fatto sul terreno più scivoloso.

La compagnia nazionale è considerata da almeno 15 anni un carrozzone romano sgovernato da una perversa triangolazione tra manager imbelli, sindacati corporativi e partiti clientelari. Fino a ieri, il suo fallimento non avrebbe tolto il sonno ai piccoli imprenditori della pedemontana lombardo-veneta, ai quali premeva soltanto di poter volare al minor costo e con le maggiori puntualità e comodità possibili, non importa sotto quale bandiera e da quale aeroporto. Ma nel primo scorcio del 2008, l'eventualità che il verde del tricolore italiano fosse sostituito dal blu francese sulle insegne dei «nostri» aerei ha riconvertito i pareri del pubblico. E il salvataggio di uno scalo come Malpensa, nato vecchio, meno redditizio di Fiumicino, poco collegato e perciò assai poco amato dagli stessi milanesi, è diventato il simbolo dell'identità lombarda. Quali che siano gli esiti per Alitalia dopo il ritiro di Air-France-Klm (ci sarà la cordata italiana o arriverà l'Aeroflot dell'amico Putin o sarà tutto mestamente commissariato?), tanto basta a porre tre questioni.

La prima delle quali si può formulare così: il patriottismo economico continuerà a ispirare il nuovo governo nei rapporti con le imprese o verrà dismesso una volta esaurita la sua funzione elettorale? La storia di Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti fa ritenere che il patriottismo dovrebbe continuare. Nell'estate del 2005, Berlusconi sostenne l'allora Governatore Antonio Fazio nella difesa dell'italianità della Bnl e dell'Antonveneta anche se poi, di fronte all'insuccesso, diede il suo consenso alla nomina di Mario Draghi alla testa della Banca d'Italia. E magari adesso constaterà come il ritorno di Antonveneta in mani italiane, quelle del Monte dei Paschi, avvenga con un saldo netto di 3 miliardi in uscita verso l'estero. Giulio Tremonti è il padre della nuova Cassa depositi e prestiti, dove ha fatto trasferire quote strategiche di Eni, Enel, Terna, StMicroelectronics per consentire al governo di incassare senza privatizzare proprio perché, in questi casi, a comprare sarebbe alla fine una potenza economica estera. E oggi Tremonti è tra quelli che guardano con sospetto all'attivismo dei fondi sovrani di governi non democratici, quelli di Cina, Russia, Singapore e Paesi Opec, sui mercati finanziari occidentali.

La seconda questione posta dal rilancio del patriottismo economico riguarda il Pd: al di là dei casi concreti sui quali si può sempre discutere, sul piano generale sarà d'accordo Walter Veltroni? La storia del nuovo leader del centrosinistra non offre punti di riferimento solidi. Ma quella dei precedenti governi Prodi, D'Alema e Amato sì. Nel quinquennio dell'Ulivo, Finmeccanica è stata consegnata al Tesoro per statuto e a protezione di Telecom, Eni ed Enel si è introdotta la golden share. Il secondo governo Prodi, lungi dal toccare la Cassa depositi e prestiti, l'ha addirittura affiancata con il fondo d'investimento infrastrutturale F2i, dove lo Stato, pur avendo solo il 14%, ha giocato il ruolo del promotore con l'aiuto delle fondazioni bancarie secondo lo schema tremontiano della Cdp. Prodi, inoltre, ha fatto fallire la fusione tra Autostrade e Abertis per trattenere in Italia il controllo di una grande impresa, e il relativo cash flow, e ha fatto balenare lo scorporo della rete Telecom per difendere la radice nazionale e aumentare la propensione all'investimento dell'azienda abbassando, attraverso l'ultima Finanziaria, l'onere fiscale dell'eventuale ristrutturazione.

La terza questione è di merito: posto che la classe politica, di governo e d'opposizione, sia in prevalenza patriottica, tutto si ridurrà alla difesa degli assetti azionari di alcune imprese o si arriverà a una politica industriale che, in mancanza di iniziative private spontanee, crei la convenienza a investire nella modernizzazione del Paese? La storia dei leader e la campagna elettorale non forniscono grandi lumi, ma le evidenze quotidiane suggeriscono pragmatismo. Lo Stato dà contributi a fondo perduto di miliardi per la costruzione di un'autostrada a opera di un concessionario privato, e nessuno solleva obiezioni di principio perché tutti sanno che, altrimenti, i conti non tornerebbero. Perché mai lo stesso Stato non dovrebbe trovare il modo di accelerare lo sviluppo di altre infrastrutture più intelligenti, per esempio le reti di telecomunicazioni di nuova generazione che generano molto Pil aggiuntivo? La finanza pubblica e la regolazione antitrust possono essere considerate dei vincoli insuperabili oppure delle condizioni di contesto entro le quali unire la promozione della concorrenza e la difesa dell'interesse nazionale: tutto dipende dalla qualità del patriottismo.

Massimo Mucchetti
22 aprile 2008

da corriere.it
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« Risposta #1 inserito:: Aprile 23, 2008, 11:04:55 am »

ECONOMIA

Il capo del Pdl: bene il governo, anche se non poteva fare altro

Dubbi della Ue: motivazione per giustificare i fondi senza precedenti in Europa

Alitalia, la Lega per la liquidazione ma ora il Cavaliere prende tempo
 
di CLAUDIO TITO e LUCA IEZZI


ROMA -"Solo senso di responsabilità". Lo ripetono tutti ministri subito dopo i consiglio in cui si è consumato uno strano "miracolo" targato Silvio Berlusconi. Il premier in pectore ottiene esattamente quello che chiede: 300 milioni per dare qualche mese ad Alitalia e ai suoi uomini alla ricerca della sua soluzione. La richiesta, arrivata durante il consiglio dei ministri attraverso il canale Gianni Letta-Enrico Letta, solo qualche ora prima era considerata irricevibile. "Prodi si è comportato bene. Quel decreto per noi adesso è positivo. Ma era il minimo che potessero fare", ha poi confidato ai suoi il Cavaliere. A suo giudizio, infatti, si tratta del primo passo "per fare una due diligence e quindi realizzare un piano industriale. Abbiamo 6 mesi di tempo. E le alternative per dare una nuova guida ci sono. Lo vedrete".

Il decreto portato a Palazzo Chigi dal ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa prevedeva soli 100 milioni di euro e rispondeva ad una logica precisa, dare alla nuova maggioranza il tempo necessario ad assumere il potere, non di più. Un modo per costringere il Cavaliere a mostrare subito l'eventuale piano alternativo ad Air France. Anche perché la "diplomazia" del Pdl aveva prospettato persino una soluzione drastica: procedere immediatamente al commissariamento della società. Berlusconi ha sperato persino di potersi così trovare tra due settimane con le mani libere e offrendo agli eventuali "compratori" una azienda alleggerita sul versante del personale. Il tutto facendo ricadere la responsabilità del commissariamento su Prodi.

Non solo. La "grana" Alitalia sta rapidamente trasformando nel primo scontro all'interno della nuova maggioranza. E già, perché la Lega l'altro ieri ha fatto pervenire a Berlusconi un messaggio piuttosto netto: "A questo punto non vale più la pena salvare la compagnia di bandiera. Su Malpensa ce la caveremo da soli, meglio lasciare che Alitalia fallisca". La parola "fallimento", però, fa drizzare i capelli al Cavaliere. Che non vuole presentarsi in Parlamento con un primo clamoroso insuccesso. Conscio che il decreto di ieri entro due mesi dovrà essere la sua maggioranza ad approvarlo. Senza il commissariamento, allora, a Via del Plebiscito hanno chiesto tempo per organizzare una cordata che per ora non si è costituita.

"Daremo una cifra limitata - spiegava invece prima della riunione il ministro per lo Sviluppo Economico Pierluigi Bersani - quello che è necessario a finanziare in modo tale da non portare l'ex compagnia di bandiera al di fuori delle regole europee". E quella posizione era a sua volta una mediazione tra chi come, il ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro era contrario anche a questa ultima iniezione di fondi: "Non si devono prendere i soldi dalle tasche degli italiani". I due ministri tra l'altro concordano sul fatto che persa Air France, chiunque arriverà dopo metterà meno denaro e chiederà più sacrifici. "Nessun prestito-ponte" era la linea, ma finanziamento straordinario concesso attraverso un decreto o del ministero dell'Interno e della presidenza del Consiglio per sottolineare l'eccezionalità della situazione. Un ruolo nella scelta dell'abbandono della via dell'intrasigenza per quella della responsabilità l'ha avuta anche Walter Veltroni, preoccupato pure del prossimo ballottaggio tra Rutelli e Alemanno: "Mi auguro che il governo possa fare un prestito ponte per evitare la crisi, ne ho parlato anche con Prodi" ha dichiarato a Cdm in corso.

Ma dire che la richiesta di Berlusconi sia stata accolta in un clima di piena collaborazione bipartisan sarebbe assolutamente sbagliato. Chi lo ha sentito descriveva Prodi furibondo: "Hanno messo nel cestino l'unica cosa buona che avevamo", si è sfogato il presidente del consiglio uscente. E lo stesso ministro dell'Economia parla del Cavaliere senza citarlo: "La persona che probabilmente presiederà il governo, ha contribuito a far sì che la soluzione Air France tramontasse, perché convinto di poterne proporre una migliore. Con questo prestito abbiano dato una possibilità alla soluzione che autorevolissimamente è stata data come sicura". Ironia della sorte sarà proprio il ministero di uno dei più scettici, Bersani, a concedere quei 300 milioni dal fondo rotativo per la ricerca e l'innovazione nelle imprese.

Da adesso l'ostacolo si chiama Bruxelles che informalmente ha già fatto sapere che "I fondi non potranno essere sbloccati comunque prima del nostro via libera. Ci vorrà qualche settimana". Inoltre fonti Ue annunciano "uno scrutinio severo, visto che la motivazione dell'ordine pubblico per giustificare un finanziamento non ha precedenti in Europa".

Ma subito dopo, il nodo si ripresenterà in ogni caso sul tavolo del nuovo governo. Berlusconi, insieme a Bruno Ermolli, stanno provando a mettere insieme un gruppo di imprenditori per rilevare la compagnia. E nel frattempo ha riallacciato i contatti con il vertice di Banca Intesa. Nelle ultime ore, infatti, il premier in pectore ha di nuovo accennato ai buoni rapporti con l'Ad, Corrado Passera, e alla disponibilità del gruppo bancario di concedere un prestito - con i tassi di interesse di mercato - ben più ampio di quello approvato ieri dal consiglio dei ministri.

(23 aprile 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #2 inserito:: Aprile 23, 2008, 11:12:07 am »

Il retroscena

Cavaliere-Lega: gelo sul commissariamento

Caso Alitalia: Berlusconi non può accettare la linea del Carroccio che punta a salvare solo Malpensa


Alitalia non deve fallire. Già immagino cosa potrebbe accadere quel giorno: gli aeroporti paralizzati, la gente infuriata, i lavoratori davanti a Palazzo Chigi», e la luna di miele con il Paese interrotta ancor prima di iniziare.

Ecco cosa teme Berlusconi, ecco perché sulle sorti della compagnia di bandiera ha scelto un profilo diverso da quello tenuto nei giorni di campagna elettorale. Come sull'emergenza rifiuti, è consapevole che «dopo un mese quei sacchetti di immondizia non raccolti saranno colpa mia». Stessa sorte gli toccherebbe con la chiusura di Alitalia. Perciò non può accettare la linea della Lega, favorevole al commissariamento e convinta così di rilanciare Malpensa. La strategia dei dirigenti del Carroccio punterebbe infatti a liberare completamente lo scalo lombardo da «Az», in modo da garantire quegli slot ad altre compagnie di bandiera, in vista di Expo 2015. Il «caso Malpensa» brucia, non c'è dubbio. Confalonieri una settimana fa ha confidato a un amico che «lo schiaffo per noi lombardi è insopportabile. E non si tratta solo di orgoglio», ha proseguito il presidente di Mediaset: «Giorni fa, per andare a Pechino sono dovuto passare dalla Germania... Così si perde tempo. E il tempo è danaro».

Sarà, ma per quanto gli possa stare a cuore il destino di Malpensa, il Cavaliere non intende firmare il commissariamento di Alitalia. È pronto a cedere posti nell'esecutivo con la Lega, offrendo a Castelli il ruolo di vice ministro per le Infrastrutture e la delega per l'Expo. È disposto persino a mettersi in contrasto con l'area ciellina che milita dentro Forza Italia, e che puntava a quel ruolo governativo per la gestione dell'evento internazionale. Ma su Alitalia non ci sente. Ormai il dossier è suo. Prodi ieri gliel'ha lasciato sulla scrivania di palazzo Chigi, non prima di averlo additato — insieme ai sindacati — come responsabile del fallimento della trattativa con Air France. Di più, il Professore ha rilevato con malizia che la cordata prospettata da Berlusconi al momento non c'è, e ha ipotizzato un triste finale: «Temo si vada verso il commissariamento ». Berlusconi confida di smentirlo, sebbene Ermolli — l'uomo a cui ha affidato la missione — abbia fatto presente come già l'avvio dell'operazione evidenzi tratti «molto complessi» per la difficoltà di acquisire notizie sui conti di Alitalia. Sembrerà paradossale, ma uno degli esperti chiamati da Ermolli a collaborare per la costituzione della cordata, raccontava ieri che «le informazioni più puntuali le abbiamo ottenute da Parigi». Se fosse vero, vorrebbe dire che Air France avrebbe offerto un supporto tecnico maggiore dei dirigenti di «Az».

Tutto è possibile in questa partita dove nessuno ha svelato le proprie carte. Raccontano, per esempio, che Berlusconi nel suo colloquio in Sardegna con Putin avrebbe sollecitato la presa di posizione di Aeroflot per garantirsi un po' di tempo in più e consentire al governo in carica di varare il prestito ponte per Alitalia. Di più. La compagnia russa — secondo fonti molto autorevoli — farebbe al momento solo da schermo a un gruppo di investitori moscoviti, pronti a entrare nella «compagine» a momento debito. Nel frattempo Ermolli tenta di mettere insieme il puzzle, e si è dato una scadenza: la prima settimana di maggio, in coincidenza con l'avvento di Berlusconi a palazzo Chigi. Ma il tempo scarseggia, scandito dai soldi del prestito ponte. È vero che il Cavaliere ha ottenuto 300 milioni, invece dei 100 ipotizzati in un primo momento, ma è altrettanto vero che Ermolli è stato chiamato all'opera solo di recente. Fino all'altra settimana, infatti, non c'era nulla di concreto. Lo fece capire Gianni Letta a un interlocutore: «Diciamo che per ora Berlusconi sta affrontando la questione sotto l'aspetto politico». Un modo elegante per spiegare che era concentrato sulla campagna elettorale. Ora che le urne si sono chiuse, il Cavaliere non vorrebbe chiudere «Az». A rischio c'è più della sua luna di miele con il Paese. Il leader Pdl «Già immagino cosa potrebbe accadere quel giorno: aeroporti paralizzati, gente inferocita, i lavoratori a Palazzo Chigi».

Francesco Verderami
23 aprile 2008

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