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Autore Discussione: Il 25 aprile che ancora divide  (Letto 4037 volte)
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« inserito:: Aprile 22, 2008, 12:09:32 pm »

Ad Alghero Forza Italia vieta Bella Ciao

Davide Madeddu



Bella ciao? Ad Alghero è cancellata dalle canzoni previste per il 25 aprile. La banda musicale, infatti, non suonerà la canzone simbolo della festa della Liberazione perché il sindaco del centro catalano «non vuole». È la nuova polemica che contrappone il centro sinistra al centro destra in occasione della festa della liberazione d'Italia. In compenso la banda musicale potrà suonare solamente l'Inno di Mameli. Per ascoltare o cantare Bella Ciao si dovrà attendere il corteo "laico" che seguirà la manifestazione.

A far scoppiare il caso le dichiarazioni del sindaco di Forza Italia Marco Tedde. «Nel nostro Comune la canzone Bella Ciao non èprevista nel cerimoniale della Festa della Liberazione da qualche anno: da quando, cioé, l'Amministrazione ha deciso di attribuire solennità alla celebrazione, sulla scorta dell'insegnamento del Presidente Ciampi che, dal 25 aprile 2003, decise di tenere la cerimonia nel cortile del Quirinale, dando alla ricorrenza valore nazionale e lasciando fuori dalla porta dispute e contrasti. Ebbene al Quirinale, in questo come in altri contesti, non si suona Bella Ciao ma solo l'Inno di Mameli».

Una decisione non nuova, come spiega anche Francesco Carboni, ex parlamentare diessino. «Purtroppo non è una novità - dice - meno male che dietro il corteo istituzionale c'è quello "laico" che, benché senza musica canta Bella Ciao». E mentre il primo cittadino di Forza Italia spiega che «la Liberazione, il ricordo del 25 aprile, deve essere una festa unitaria non un momento di contrapposizione e polemiche. Una data che unisce, non che divide», arriva la replica del centro sinistra. Elias Vacca, avvocato di Alghero e parlamentare sino al 29 aprile spiega che «è una festa che appartiene a tutta l'Italia, non solo ai comunisti». Quanto alle divisioni ventilate dal sindaco aggiunge: «Divide gli antifascisti dai fascisti».

Dopo le esternazioni pubbliche del primo cittadino arriva una vera e propria pioggia di reazioni. Dall'associazione Articolo 21, al Partito Democratico. «L'unico a provocare una divisione, con il suo comportamento, è il sindaco di Alghero. Non è certo vietando alla banda musicale l'esecuzione della canzone Bella ciao che si può pensare di poter risolvere risolvere i problemi legati alla discussione e al dialogo politico».

Questa la presa di posizione del segretario regionale del Partito Democratico Antonello Cabras sulle dichiarazioni del sindaco di Alghero che citando la canzone popolare Bella ciao, parla di elemento destinato a provocare divisioni. E contrapposizioni tra le persone. E per questo motivo da non eseguire durante il corteo del 25 aprile. «Non è vietando una canzone che fa parte del patrimonio culturale, popolare e musicale di tutta l'Italia che si risolvono i problemi. Bella Ciao, la canzone che viene musicata e cantata durante i festeggiamenti per la liberazione dell'Italia non appartiene a una sola parte politica ma a tutta l'Italia. Con il suo comportamento il sindaco di Alghero, anziché invitare al dialogo non fa altro che creare divisioni e contrapposizioni tra le forze politiche e tra le persone». Intanto il Cantiere sociale di Alghero ha deciso di organizzare una manifestazione al canto di "Bella ciao".

Pubblicato il: 21.04.08
Modificato il: 21.04.08 alle ore 20.57   
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« Risposta #1 inserito:: Aprile 23, 2008, 11:08:04 am »

Le priorità della destra al potere: «Negare la festa del 25 aprile»

Il Giornale contro la Liberazione

Eduardo Di Blasi


Titolo: «Il 25 aprile che divide». Primo svolgimento, a cura di Giordano Bruno Guerri: «Un italiano su due non la considera una festa nazionale» (articolo a commento di un sondaggio somministrato a mille persone). Seguono intervista al sindaco di Alghero «che ha vietato Bella Ciao», e non da ora (e per questo si appunta una medaglia sul petto), un altro pezzo sul sindaco di Milano che quest'anno diserta il corteo («e anche il primo maggio» perché non sarà in città, ma, assicura, ci sarà una rappresentanza della giunta), e due articoli contro l'Anpi, l'associazione dei partigiani.

Nel primo l'attacco è al manifesto unitario delle associazioni combattentistiche e partigiane, reo di contenere l'appello: «A sessant'anni dal 1° gennaio 1948, da quando essa entrò in vigore, l'Italia sta correndo nuovi pericoli. Emergono sempre più i rischi per la tenuta del sistema democratico, come evidenti si manifestano le difficoltà per il suo indispensabile rinnovamento. Permangono, d'altro canto, i tentativi di sminuire e infangare la storia della Resistenza, cercando di equiparare i "repubblichini", sostenitori dei nazisti, ai partigiani e ai combattenti degli eserciti alleati». Il secondo descrive i circoli dell'Anpi come «circoli ricreativi, veri e propri dopolavori con annessi ristoranti, club sportivi, scuole di arti orientali», e annota, mentre spiega il tesseramento dei ragazzi che tengano alta la memoria della Resistenza una volta che i partigiani non ci saranno più: «Salvare l'Anpi significa salvare i fiumi di euro che arrivano dalle casse pubbliche».

Sono due pagine de «Il Giornale», il quotidiano di Paolo Berlusconi (il fratello del primo ministro che mai si è visto ai festeggiamenti del 25 aprile), andato in edicola ieri. Due pagine che andavano sotto l'ambiguo titoletto: «L'Italia degli irriducibili». Dove non si comprendeva se fossero «irriducibili» (termine terroristico-curvaiolo) coloro che si ostinano a festeggiare la Liberazione o il sindaco di Alghero che alla domanda: «E se qualcuno nel corteo intona Bella Ciao?», risponde: «Non succede assolutamente nulla, a meno che non ci sia qualche estremista di sinistra che cominci ad alzare i pugni al cielo. Ma non sono io a giudicare, se ci sono gli estremi della provocazione interverranno le forze dell'ordine». Intanto Gustavo Selva, senatore uscente del Pdl (quello che ha adoperato un'ambulanza per presenziare in una trasmissione tv in un giorno di blocco del traffico), propone «l'abolizione della festa nazionale del 25 aprile» in quanto, dal suo punto di osservazione "privilegiato" («ho vissuto dal 1943 al 1945 a Riolo Terme in provincia di Ravenna dove è finita la seconda guerra mondiale») osserva: «L'attività dei partigiani è emersa solo dopo il 25, ma sul piano militare hanno fatto solo dei danni. Per esempio l'uccisione di un soldato tedesco che stava magari pascolando qualche animale, ucciso da quelli che dopo il 25 aprile sono stati definiti eroi della Resistenza, a cominciare da Arrigo Boldrini che io ho conosciuto nella sua attività».

È la stessa riscrittura della storia di cui parla l'appello dell'Anpi. Confondere la Liberazione con qualcosa di diverso dalla fine della guerra mondiale e del giogo fascista sull'Italia. Lo afferma chiaro il segretario del Pd Walter Veltroni: «Il 25 Aprile è la festa di tutti gli italiani, per ricordare il giorno in cui è stata restituita la libertà di dire ciò che si pensa, la libertà di votare, la libertà di stare in un partito, di fare un sindacato e di essere ebrei senza finire in un campo di sterminio. Non ci deve essere nessun italiano che considera questo giorno altro che una festa di tutti gli italiani, la festa della Liberazione».


Pubblicato il: 23.04.08
Modificato il: 23.04.08 alle ore 10.20   
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« Risposta #2 inserito:: Aprile 24, 2008, 09:20:20 am »

25 Aprile: vendetta annunciata

Bruno Gravagnuolo


E sul 25 Aprile rieccoli. Del resto c’era da aspettarselo, dopo le sortite di Dell’Utri sui manuali di storia, gli attacchi a Napolitano di Libero come «capo della Casta» figlio della prima Repubblica, e l’«ipotesi di scuola» di Berlusconi, per liberare il Quirinale dall’ inquilino che sta «di là».

Rieccoli all’attacco su un loro classico cavallo di battaglia: la delegittimazione di Resistenza e Liberazione. Degradata la prima a faida civile con crimini rimossi, non del nazifascismo ma della sinistra. E la seconda a «festa qualsiasi», ignorata dagli italiani, non condivisa, e come tale degna di sparizione.

Così dopo i primi assaggi di cui sopra, alla vigilia del 25, il Giornale apre i fuochi. Contro il «mito dell’antifascismo»: «fascisti e antifascisti? Tutti fascisti in fondo». E contro il «senso» che la festa non ha più, sostenuta com’è solo dalle oltranze violente antifasciste, eredità di un passato che non muore. Ma a sostegno della tesi, due bufale plateali ora. Visibili a occhio nudo. La prima è un ridicolo sondaggio del Giornale, pomposamente presentato come attendibile da Giordano Bruno Guerri. Sondaggio con un campione di mille unità, e domande «imbeccate» del tipo: «Il 25 aprile non lo sento tanto come festa nazionale italiana. È d’accordo con questa frase?». Oppure: «La festa del 2 giugno unisce gli italiani più del 25 aprile. È d’accordo». Ovvio che le risposte, per più della metà, combacino esattamente con la domanda. Il che fa esultare di gioia Guerri e i titolisti: «Il 25 Aprile che divide». Come pure scoperta è la manipolazione che sempre il quotidiano del Biscione compie sul comunicato unitario dell’Anpi e di varie sigle partigiane, incluse quelle sindacali. Dove, nell’annunciare la manifestazioine nazionale a Milano sulla Liberazione, si legge della Costituzione «attuale e vitale» frutto della Resistenza, e «difesa dalla stragrande maggioranza degli italiani». Del pericolo di smarrirne la sostanza e i valori, sventato dall’ultimo Referendum. E dei «rischi per la tenuta del sistema democratico», in una con le evidenti difficoltà «per il suo indispensabile rinnovamento». Parole normali, da inquadrare in un contesto pacifico e civile più ampio, e che non si riferiscono affatto al responso elettorale di dieci giorni fa. Come invece il Giornale suggerisce goffamente: l’Anpi vuole fare appello ai partigiani e alla piazza violenta contro la destra! Bensì al dato innegabile, registrato da tutti i comentatori, che l’Italia è in una stretta delicata. Finanziaria, istituzionale e politica. Dove il bipolarismo resta selvatico, il debito incalza e le risorse scarseggiano. Mentre i rischi della disunità d’Italia sono grandi. Visto che il sistema paese è diviso, tra aree in recessione e rivolta dei territori del nord. E con la Lega che chiede di destinare il 38% dell’Irpef alla Padania.

Dunque appello strumentale, con demonizzazione preventiva delle celebrazioni del 25 aprile e assalto al cuore simbolico dell’eredità antifascista. Per spiantarla dal codice genetico di questa Repubblica, la prima veramente democratica della nostra storia. E in virtù del suo assetto parlamentare, universalistico, fondato sull’intreccio tra diritti civili e diritti sociali.

Il copione è già visto, e ben presto a destra torneranno anche le litanie ufficiali sull’esigenza di abolire il 25 aprile, dopo l’anticipo mediatico. Conviene però tornare a domandarsi perché a destra insistano con tanto furore su questo tasto. Perché ricomincino sempre daccapo. E perché guarda caso Silvio Berlusconi, non abbia ancora mai partecipato ad una festa della Liberazione. La risposta la conosciamo già. La destra, per la terza volta al governo e senza l’argine dei post-democristiani moderati, si sente estranea e ostile all’eredità della Resistenza e della Costituzione. Reputa «comunista» la prima, e «sovietica» la seconda (parole di Silvio). Nel caso migliore ritiene che Resistenza e Costituzione vadano depurate dai germi di sinistra o di centrosinistra. Eliminando contenuti e forma del lascito in questione. Quanto alla forma, viene fatta valere l’idea che è stata l’«egemonia comunista» a conferire centralità storica alla stagione ciellenista e costituente. Occupando lo spazio della memoria e ipotecando tutta la vicenda del dopoguerra, inclusi «consociativismo» e rimozione di crimini. Sui contenuti invece, la destra ha di mira esattamente l’impianto parlamentare da un lato, e quello sociale e «gius-lavoristico» dall’altro. Insomma l’obiettivo resta spazzare via le Repubblica dei partiti e la Repubblica fondata sul lavoro, con garanzie e diritti annessi. Naturale che per conseguire tutto questo la destra di governo debba condurre una battaglia senza tregua, per «sbattezzare» la nostra democrazia dai suoi crismi originari. E «battezzare» con altro «rito» lo stato democratico. Come? In chiave liberal-liberista, decisionista e federal-corporativa. Con al centro un dominus imprenditore privato, che imprima allo stato uno «stigma» proprietario e aziendale. E che sia personalmente garante delle spinte centrifughe e corporative, territoriali e non solo. Ecco quel che può diventare «regime» e che minaccia di rovesciare tutto il suo peso sugli ordinamenti, in virtù di una forza parlamentare mai conseguita fino ad oggi. La novità, lo si accennava prima, sta nel fatto che il centro moderato di una volta si è molto indebolito. E non fa più da contrappeso interno, a una destra radicalizzata e verosimilmente senza freni. Si spiega dunque così l’impennata preventiva sul 25 aprile, irragionevole e smodata a prima vista. In fondo, dal loro punto di vista, potrebbero anche lasciar decantare la questione, se sul serio mirassero a intese bipartisan. Di contro scelgono l’attacco, con l’artiglieria mediatica, per spianare il terreno alla (loro) politica. Bene, è necessario rilanciare e in modo giusto. Prima di tutto sull’eredità della Resistenza, valorizzandone a pieno il significato di «matrice democratica» e unitaria del nostro stato. Ma al contempo occorre contrastare in simultanea populismo e localismo. «Premierato» e presidenzialismo. E a difesa dei diritti del lavoro, e delle regole democratiche in economia. Si gioca qui la partita del 25 Aprile, che non è una banale riccorrenza, né un mero trastullo storiografico. Ma è, e resta, la nostra lotta, il bandolo della nostra libertà, ieri come oggi. E a cominciare da domani, riconquistando Roma al centrosinistra, con la nostra storia. Contro quella sia pur «revisionata» di Alemanno.

Pubblicato il: 23.04.08
Modificato il: 23.04.08 alle ore 8.15   
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« Risposta #3 inserito:: Aprile 25, 2008, 12:14:09 am »

Politica
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Ricevendo con il ministro della Difesa Parisi i rappresentanti delle associazioni combattentistiche e d'arma e della confederazione delle associazioni combattenti partigiane

25 aprile, Napolitano: ''Contrastare nuovi autoritarismi e integralismi''

Il presidente della Repubblica: ''I nostri padri hanno realizzato il sogno dell'Italia unita''.

E sottolinea: ''I valori consegnati dalla Resistenza e dalla Liberazione vanno vissuti e coltivati ogni giorno''



Roma, 24 apr. - (Adnkronos)

- "La Storia sembra assegnare a ogni generazione una missione". Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano(nella foto) esterna questa sua riflessione ricevendo al Quirinale, alla vigilia della celebrazione del 25 aprile, festa della Liberazione, i rappresentanti delle associazioni nazionali combattentistiche e d'arma della confederazione delle associazioni combattenti partigiane, con il ministro della Difesa Arturo Parisi.

Ricorda a tal proposito il capo dello Stato: "I nostri padri hanno realizzato il sogno dell'Italia unita. La nostra generazione ha sconfitto il nazifascismo e ha gettato le bassi dell'Europa unita, fino al superamento della lunga stagione della 'guerra fredda' con l'abbattimento del muro di Berlino. I giovani di oggi sono chiamati a contrastare i nuovi autoritarismi e integralismi, che rappresentano -sottolinea significativamente Napolitano- la negazione dei principi e dei valori che ispirarono la lotta per la Liberazione".

"E' importante che gli italiani mantengano costantemente viva la memoria e consapevole la coscienza delle diverse tappe e componenti del processo di maturazione e di lotta, che ha condotto il nostro Paese alla Liberazione", ha poi sottolineato Napolitano ricordando "il significato solenne di questa data".

I valori consegnati dalla Resistenza e dalla Liberazione, contenuti nella Costituzione repubblicana, vanno vissuti e coltivati ogni giorno. "La Liberazione - sottolinea - non fu soltanto il coronamento di una luminosa rinascita, lungamente sognata durante tutto l'oscuro periodo del nazifascismo e della guerra, ma fu anche e, forse, soprattutto una promessa: la promessa di un'Italia nuova, di una vera Costituzione dei cittadini, di una democrazia reale; una promessa di sviluppo economico e sociale per tutto il Paese".

Proprio ora che ricorre il 60° anniversario dell'entrata in vigore della Carta costituzionale, per Napolitano "siamo spronati a un impegno maggiore per mantenere quella promessa, per tenere alti i principi e i valori hanno ispirato la stesura del documento fondante della nostra vita democratica. Quei principi - esorta il presidente della Repubblica - vanno vissuti quotidianamente; i valori, anche e innanzitutto morali, si esprimono nei diritti e nei doveri sanciti nella Costituzione, vanno apprezzati e coltivati".

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« Risposta #4 inserito:: Aprile 25, 2008, 12:17:47 am »

24/4/2008
 
Il 25 aprile che ancora divide
 
GIOVANNI DE LUNA

 
Sono in molti a ricordare ancora il 25 aprile del 1994: un milione di persone in piazza, a Milano, sotto la pioggia, la Lega che tenta di sfilare insieme con gli antifascisti, lo smarrimento di ritrovarsi al governo il partito di Fini appena nato da una costola del Msi. Per lunghi anni le celebrazioni del 25 Aprile si ripetevano stancamente e monotonamente, come smarrite in una dimensione retorica e celebrativa.

La vittoria della destra alle elezioni politiche del marzo 1994 fu come un sussulto di consapevolezza e di entusiasmo. Oggi, il tempo che è passato ha profondamente inciso sullo spirito del 25 Aprile e sul modo in cui l’antifascismo viene vissuto in questo Paese. Per la prima volta nell’Italia repubblicana, a parte alcuni «episodi» (Ciarrapico, Dell’Utri), l’esperienza totalitaria che ha segnato il Novecento italiano è stata come rimossa dai temi della campagna elettorale e anzi i partiti di sinistra che esplicitamente richiamavano l’antifascismo nella loro tavola dei valori sono stati brutalmente esclusi dal Parlamento.

Mentre sembra affievolirsi il suo ruolo nell’arena delle battaglie politiche, il 25 Aprile è invece sempre più presente nella riflessione degli storici. Più che soffermarsi sull’«evento» (insurrezione delle città del Nord, regolamento dei conti con i fascisti in fuga, uccisione di Mussolini) la ricerca tende oggi a inserire quella data nel contesto più ampio della crisi italiana apertasi con il crollo dello Stato nazionale, l’8 settembre 1943, e conclusasi con le elezioni politiche del 18 aprile 1948. Fu un percorso segnato da lutti e rovine, ma che oggi può essere letto come il travaglio di un popolo che nella sofferenza si congeda dalla dittatura e da un regime tirannico per riscoprire la gioia profonda della libertà e della democrazia.

L’8 settembre 1943 la sconfitta militare travolse il fascismo, l’esercito, le istituzioni del vecchio Stato nato dal Risorgimento; il 25 aprile 1945 ritornò la libertà e finì la guerra; il 2 giugno 1946, con una esaltante prova di maturità, gli italiani votarono per la Costituente e scelsero la Repubblica; il 18 aprile 1948 le elezioni sancirono la fine della crisi. Con la vittoria della Dc e la sconfitta rovinosa delle sinistre il nostro sistema politico trovò un suo assetto stabile e duraturo, nel segno della restaurazione più che del rinnovamento, della continuità più che della rottura; e tuttavia quell’esito non sarebbe stato possibile senza il 25 Aprile, non avrebbe avuto quei caratteri di libertà di scelta e di pluralismo politico senza la Resistenza e il ruolo assunto dai partiti nei venti mesi di guerra civile e di lotta armata contro i tedeschi.

A questo punto, sta al governo di centrodestra scegliere se riferirsi o no a questi significati del 25 Aprile, se riconoscersi quindi in un’identità repubblicana affermatasi per la prima volta in quella lontana primavera, se accettarlo come una tappa fondamentale nella costruzione della nostra democrazia. Non si tratta di una scelta rituale. Tanto per essere chiari: la questione della sicurezza, quali che siano le proposte concrete con cui verrà affrontata, cambia di segno se inserita in un contesto di rabbiosa xenofobia o se ispirata a principi di accettazione e di inclusione. Certo che il governo Berlusconi ha anche altre opzioni; esclusa quella dei fascisti che approfittano del 25 Aprile per commemorare Mussolini o il «Natale di Roma», credo che ci sia una forte tentazione a replicare le scelte «afasciste» della Dc ai tempi della guerra fredda: in occasione del primo decennale della Liberazione, nel 1955, una circolare dell’allora ministro della Pubblica Istruzione, il democristiano Ermini, invitava tutte le scuole superiori d’Italia a celebrare, quel giorno, la nascita di Guglielmo Marconi. Silenzio sul 25 Aprile e sulla Liberazione.
 
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