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Autore Discussione: A cavallo di un bisonte per 350 chilometri  (Letto 2739 volte)
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« inserito:: Aprile 21, 2008, 11:40:23 pm »

A cavallo di un bisonte per 350 chilometri

Salvatore Maria Righi


«Fila per cappaemme due, due e mezzo al massimo. Si va, si va collega. Kappa ti ringrazio, buon trabajo». Sul canale cinque, l´agorà radiofonica dei camionisti italiani, la preoccupazione è sempre la stessa: quei maledetti venti chilometri adagiati da un capo all´altro di Firenze. È lì, nel tappo di code che intasa e che spezza tutti i giorni in due l´Italia, il mal di pancia più forte di chi vive e lavora sopra un Tir. Quello che guida Stefano, 38 anni, da dodici col volante in mano, è una delle tanti cattedrali su dodici ruote. Iveco rosso Ferrari: 480 cavalli, 12mila di cilindrata, 300 quintali, che diventano 440 a pieno carico. Ma quando la colonna di auto e di mezzi pesanti rallenta fino a diventare un blocco di acciaio e di plastica, con le luci accese e i tubi di scappamento che ti sputano addosso, tutta quella potenza diventa inutile. E frustrata, come la faccia di Stefano che racconta di un mestiere diventato via via una guerra. O, se preferite, stillicidio quotidiano di chilometri e nervi tesi. In dicembre c´era anche lui allo sciopero che ha bloccato il paese, tra falò e lunghe file di container e telonati. «Come no, ero alla Pioppa, a Borgo Panigale. Però mi che sa gli italiani non hanno mica capito come stanno le cose».

IL NODO LOGISTICA Tolti i blocchi, è ripartita la giostra. Oggi, come decine di volte, Stefano torna da Roma dove ha portato latticini e formaggi per conto della Cta, cooperativa emiliana di trasporti. A volte consegna anche in Vaticano, al suo Iveco si spalancano le porte di San Pietro: potere delle forme di parmigiano, sorride. Partenza all´alba da Anzola, Fiumicino, poi Ariccia, poi il ritorno verso Bologna. Tutto liscio, fino ad ora. Sole, aria frizzante, traffico costante. Con l´enorme bilico vuoto, tra motrice e rimorchio 16 metri e 180mila euro, il tir fila verso l´Appennino con la spada di Damocle della Firenze-Bologna. Cioè gli Scilla e Cariddi dell´Autosole, per questi moderni marinai che per bussola hanno sofisticati congegni elettronici e col satellite si proteggono perfino dai ladri.

«Premessa: il grande business è la preparazione e la movimentazione dei bancali, tutti ruotiamo intorno a quello. Perché il problema non sono i trasporti, è la grande distribuzione che è organizzata in modo pessimo. Il punto è che la logistica funziona malissimo e ci fa lavorare in condizioni disastrose» spiega Stefano, guardando ogni tanto nell´enorme specchietto retrovisore. «Siamo costretti a lunghe ore in fila per scaricare nei centri commerciali e nei magazzini. Nonostante ci siano tante ribalte, le buche dove si lascia la merce, ne funzionano sempre pochissime. Perdiamo ore e ore, a volte giornate intere, e quando finalmente è il nostro turno capita che non ci fanno nemmeno entrare, così torniamo indietro carichi».

Prende fiato, poi riprende: è il lato B del problema, quello che la tv non mostra. «A catena, poi, succedono tutte le cose che vedete anche voi. Siccome stiamo fermi tanto tempo, siamo costretti a mettere in strada più camion per le altre consegne, e poi con questo sistema si parte e si torna tutti nello stesso momento, è in questo modo che si intasano le autostrade e si formano le code, per non parlare degli incidenti».

AUTISTI E BANDITI Dalla cabina dell´Iveco le corsie dell´A1 sono pettinate da un traffico ordinato, il peggio arriverà più avanti dopo lo snodo fiorentino, ma Stefano e chissà quanti come lui raccontano un altro pezzo di questo paese che non va. Senza vivere nel mondo delle favole: «Intendiamoci, tra quelli che fanno questo mestiere ci sono persone per bene, ma anche tante canaglie e tipi poco raccomandabili». Racconta di certi posti nel Mezzogiorno dove non si passa senza danni, se non ci sono «certe scritte sulla fiancata del camion, diciamo i lasciapassare, perché se non paghi la tangente, sì proprio il pizzo, sono guai», e di colleghi che tengono la pistola sotto al sedile e a volte devono tirarla fuori per salvare la pelle e il carico. O di luoghi che sono terra di nessuno, per una sosta a mangiare o riposare: «Quando si va a sud, due su tre si fermano a dormire nelle piazzole a Roma nord, perché col buio non si entra a Napoli, non è il caso. Stesso discorso dall´altra parte, sull´A-14: l´ultimo posto sicuro è Vasto, dopo si possono trovare parecchi problemi per furti, rapine e assalti». Centoventimila chilometri l´anno sul bestione rosso, sei camion e altrettanti autisti da amministrare, la ditta di Stefano è il prototipo di una delle migliaia di micro-aziende del trasporto: artigiani su gomma. «È un momento difficile, si lavora per fare patta con le spese che sono sempre di più alte: bisogna guadagnare almeno un euro a chilometro, sennò è dura starci dentro».

PER UN PUGNO DI EURO Già, i costi. Mentre comincia l´arrampicata sulle colline di Firenze, Incisa dopo Valdarno, via via che si infittiscono i cartelli dei lavori in corso e i mezzi dell´Anas, Stefano fa la lista della spesa di quello che serve per tenere in piedi la baracca. «Prima di tutto il gasolio, che è il costo principale. Non ci stiamo dentro se continua così». Come molti colleghi, si rifornisce alle pompe della cooperativa per cui lavora, da 0,87 a 0,92 al litro. A fine anno fa circa 250mila euro solo per il combustibile. Poi i camion: «Ne compro uno all´anno, tutti in leasing, un costo mensile di cinquemila euro circa. Diciamo che un milione di chilometri è il limite per cambiarli, quindi con una macchina ci faccio sette-otto anni».

Poi l´assicurazione dei mezzi, la manutenzione, il pedaggio autostradale, più di mille euro al mese ogni tir. E gli stipendi dei suoi autisti: «Tutti in regola, eh. Settimana di cinque giorni, al venerdì sera parcheggiano il camion e vanno a casa. Hanno la tredicesima, la quattordicesima, le ferie. Duemila euro al mese in busta».

GIUNGLA AL VOLANTE Ci tiene a precisarlo Stefano, mettendo il dito nella piaga di una giungla chiamata trasporto su strada: «Non ci sono regole, succede di tutto. C´è gente che fa più di dieci ore filate al volante, stanno una settimana, dieci giorni filati senza scendere dal camion. Molti sono dell´est, sloveni soprattutto. Ci sono ditte che si fanno pagare l´affitto del camion, perché ci vivono sopra: gli scalano alcune centinaia di euro dalla busta come fosse un appartamento». La regola prevederebbe quattro ore al volante, una di riposo, altre quattro di lavoro, altre due di riposo, e dopo dieci ore di lavoro devi fermarti per dodici, ma Stefano fa capire che ben poche ditte la fanno rispettare. Certo, non tutte sono come la Cta, una flotta di trecento camion, 400 autisti e perfino un accordo su misura con Unipol per la copertura assicurativa: «Noi le regole le rispettiamo, forse perfino troppo».

Il tir intanto ha dovuto rallentare la marcia dei suoi cinque assi, è cominciata la gimkana che da Firenze corre fino a Casalecchio, 90 chilometri di lentezze e paure. Dal primo cantiere, diciotto chilometri dalla città, fino a Sasso Marconi è un incessante susseguirsi di lampeggianti, pale, ruspe, giubbotti fosforescenti e paletti segnalatori. I lavori per la variante di valico, adesso, e prima un´infinita serie di toppe allo stesso vestito malridotto.

SENZA CONTROLLO La prima e unica pattuglia della stradale l´abbiamo lasciata parecchio indietro, poco dopo Fabro. Mano a mano che ci si avvicina all´area urbana, Firenze sud, Certosa, Scandicci, sull´altra corsia il serpentone di camion rallenta fino a fermarsi: «Tutti i giorni è cosi, dalle cinque alle sette di sera non si cammina. Per quindici chilometri di autostrada bloccano tutta l´Italia, qualche volta la fila va avanti fino Barberino, fa impressione. È quello che dicevo prima, sono tutti colleghi che hanno scaricato e sono ripartiti insieme». Un tappo di mezzi pesanti, quasi tutti vuoti, tra le corsie dove al calar della sera ci sono ancora operai al lavoro, birilli umani scansati da auto e mezzi pesanti tra un cambio di corsia e un restringimento della carreggiata. Col tratto appenninico, quando l´asfalto comincia a salire, scatta anche il divieto di sorpasso per i tir, ma è un puro esercizio accademico. Un bilico Mercedes piomba alle spalle dell´Iveco, lo affianca e rientra a filo di cassone. Poi, verso il valico, con i camion in fila indiana zavorrati dai loro carichi, un tir sloveno fa la stessa manovra, solo che la conclude ancora più stretta, ancora più pericolosamente. Prima di Pian del Voglio c´è tempo per vedere un doppio sorpasso di due camion frigorifero, le auto devono pazientare e la fila si allunga. «Ho calcolato che negli ultimi dodici anni ho fatto cinquecento chilometri al giorno» riattacca Stefano «quasi sempre trasportando derrate alimentari, per fortuna. Perché certi carichi come il bestiame vivo, o i quarti di carne appesi, si spostano e in frenata possono sbilanciare il mezzo. Sono molto pericolosi».

Col limite degli ottanta per i tir, c´è chi corre a briglia sciolta. Un camion olandese, enorme cisterna verde, ci sorpassa oltre i cento all´ora: «Ha anche il simbolo dei materiali infiammabili, vede» nota Stefano, allegria. Lo imita un bilico col telone, poi un altro articolato, tutti a correre come forsennati. Di auto della polizia nessuna notizia, da un bel pezzo e chissà ancora per quanto. Meno male che il viaggio è finito. La sbarra del casello di Bologna si spalanca alle 19 e venti, 350 chilometri dopo la barriera di Roma nord, ma per gli ultimi ottanta ci sono volute quasi due ore. «Ho una figlia, ma se fosse stato maschio non gli avrei fatto fare questo mestiere. Non vale più la pena» stacca Stefano, prima di pigiare per l´ultima volta il gas: verso casa, però.


Pubblicato il: 21.04.08
Modificato il: 21.04.08 alle ore 14.57   
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