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Autore Discussione: Il Cavaliere tranquillizza i vescovi con il richiamo ai valori cattolici  (Letto 11020 volte)
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« inserito:: Luglio 07, 2007, 05:26:45 pm »

Il Cavaliere sulla Lady di Ferro: se fosse stata una gnocca me la ricorderei

Silvio e la Thatcher, Independent: «Volgare»

L'ennesima battutaccia di Berlusconi scatena la reazione dei giornali britannici 
 

MILANO— How do you say «nyokka»? Che poi, nella traslitterazione inglese, sarebbe l’italianissimo e non molto raffinato «gnocca»: il termine evocato da Silvio Berlusconi a proposito di Margaret Thatcher e ripreso ieri dall’incredulo quotidiano The Independent.

Titolo: «Il volgare Berlusconi rende omaggio al sex appeal della Lady di ferro». Il Cavaliere, in realtà, non le aveva fatto esattamente un complimento («Se fosse stata una bella gnocca me ne ricorderei»), ma il giornale inglese pare non accorgersene, riprende l’«elogio alla sua eroina ideologica» e si cimenta in una traduzione ottimistica («A great piece of pussy»), salvo spiegare che la famosa «gnocca», da pronunciarsi «nyokka», è «un termine volgare dal significato di "vulva", la definizione standard utilizzata da operai edili, camionisti e primi ministri di lungo corso nei confronti di qualsiasi donna attraente che incroci il loro cammino».

The Independent ricorda come Mitterrand dicesse che la Thatcher aveva «gli occhi di Caligola e la bocca di Marilyn Monroe» e osserva sarcastico: «Evidentemente l’attenzione di Berlusconi era focalizzata altrove».

06 luglio 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #1 inserito:: Agosto 02, 2007, 12:06:16 am »

DIETRO LE QUINTE

Berlusconi non vota: Cesare, un perseguitato

Il Cavaliere non era presente a Montecitorio 

 
ROMA — «Esprimo la mia sincera solidarietà a Cesare Previti che come ogni altro cittadino aveva diritto a un processo più giusto e più rispettoso delle prerogative della difesa. Sono convinto della sua innocenza e sono certo che i giudici autenticamente imparziali lo riconosceranno, in forma piena, già nel successivo grado di giudizio».
Qualche anno fa Berlusconi, in una delle rare dichiarazioni pubbliche sulla vicenda giudiziaria di Cesare Previti, si espresse in questo modo. Era la prima condanna per la vicenda Sme. Il giudizio non è ovviamente cambiato negli anni, e la storia dell'ex avvocato del Cavaliere, dell'ex ministro della Difesa, e da ieri anche dell'ex deputato azzurro, è stata sempre ritenuta dal leader di Forza Italia come un simbolo di «accanimento e persecuzione giudiziaria».

Quello che è cambiato, negli anni, è forse il rapporto personale fra Berlusconi e Previti. Un rapporto saldo, ma anche messo a dura prova dalle inchieste, dall'enorme massa di dati e informazioni che vi hanno fatto capolino, da alcune dinamiche che a Montecitorio nel tempo sono state vissute ora come indiscrezioni, ora come leggende, ora come naturale evoluzione di un'amicizia che non può che incrinarsi se caricata di troppi risvolti politici.

Di certo due sere fa l'ex premier aveva già in mano la lettera di dimissioni di Previti, che Elio Vito ha letto ieri pomeriggio nell'aula della Camera. L'ha fatta vedere ai leghisti che lo sono andati a trovare ad Arcore, ha commentato la vicenda dicendo che «Cesare ha fatto bene, il suo è un gesto nobile». E di certo ieri ha chiamato al telefono l'interessato, per sentirne lo stato d'animo, ribadire solidarietà, ripetere che la scelta delle dimissioni — per evitare il precedente della decadenza dall'incarico di un parlamentare — è stata quella giusta.

Nel corso degli anni, soprattutto di governo, Berlusconi ha fatto tutto quello che doveva — e forse anche qualcosa di più secondo la sinistra, soprattutto in termini legislativi — per cercare di aiutare il suo ex ministro della Difesa. Si sussurra che tanto sia stato fatto controvoglia, così come controvoglia è stato il voto dei deputati azzurri che ieri si trovavano disorientati a votare e approvare le dimissioni di un proprio collega. Alcuni — da Guido Crosetto ad Angelino Alfano — non ce l'hanno fatta, hanno mandato all'aria la disciplina di partito e hanno votato no.
Tanti altri hanno ascoltato il consiglio di Donato Bruno, o quello di Elio Vito, che ripetevano tra i banchi che quella era la volontà di Previti e che dunque occorreva dire di sì alle dimissioni. Una parte di Forza Italia si è adeguata, con tristezza, un'altra no.

Marco Galluzzo
01 agosto 2007
 
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« Risposta #2 inserito:: Agosto 02, 2007, 12:18:57 am »

Cesare Previti non è più deputato... ma è ancora avvocato


Da martedì Cesare Previti non è più deputato. Ma - nonostante il 13 luglio scorso la Corte di Cassazione ha reso definitiva la condanna nel processo per corruzione del lodo Mondadori - Cesare Previti risulta tuttora iscritto nell'albo degli avvocati di Roma. Basta fare una semplice ricerca all'interno degli elenchi dell'Ordine, consultando il sito www.ordineavvocati.roma.it.

Alla voce "Previti" - nella ricerca fatta avvocato per avvocato - corrispondono tre risultati, di cui uno porta alla scheda dell'iscritto Cesare Previti (basta entrare nelle pagine del "Consiglio dell'Ordine" e consultare l'Albo e gli elenchi).

Stando a quanto si apprende, inoltre, dall'articolo 38 della legge professionale forense, «gli avvocati che si rendano colpevoli di abusi o mancanze nell'esercizio della loro professione o comunque di fatti non conformi alla dignità e al decoro professionale - si può leggere nella legge professionale - sono sottoposti a procedimento disciplinare».

L'avvocato Cesare Previti, da martedì, non è più dunque deputato, ma risulta regolarmente registrato nell'albo degli avvocati di Roma. Nonostante la sentenza di condanna passata in giudicato.


Pubblicato il: 31.07.07
Modificato il: 31.07.07 alle ore 20.03   
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« Risposta #3 inserito:: Agosto 02, 2007, 05:54:08 pm »

2/8/2007 (7:27) - IL PERSONAGGIO

Previti, il cattivo più amato

Tutti lo chiamano, a partire da Silvio: la nuova vita da ex onorevole agli arresti

UGO MAGRI


ROMA
Come dopo un incidente della vita, quando non si ha neppure il tempo di pensare, così è andata ieri per Cesare Previti. Il primo giorno da ex deputato l’ha speso interamente al telefono. E’ stato un incessante susseguirsi di squilli, rispondeva da una parte e arrivava un sms dall’altra, poi un altro, e un altro ancora, finché nel pomeriggio ha spento almeno il telefonino concentrandosi sull’apparecchio nel soggiorno di casa, dove ha continuato a fare il centralinista di se stesso. L’hanno chiamato dallo studio per avvertire che lì in via Cicerone era già arrivato «qualche centinaio» tra e-mail e fax. Politici da Berlusconi in giù, clienti, amici vicini e lontani, colleghi avvocati: tutti quanti solidali con l’uomo che s’è dimesso dal Parlamento un picosecondo prima di esserne espulso, tutti appassionatamente dalla sua parte e ansiosi di farglielo sapere, di dargli un metaforico abbraccio, di confortarlo nell’ora della sconfitta.

Colpisce che un eroe alla rovescia, un personaggio elevato in questi anni a paradigma del peggio, trasformato dall’anti-berlusconismo in mostro sputafuoco, un simbolo negativo insomma, risulti così amato nella sua cerchia. La moglie Silvana azzanna chiunque le sfiori il consorte, donna volitiva e leonina. I figli, due di prime nozze e due di seconde, sono talmente legati a papà, così disposti a sacrificare svaghi e weekend pur di stargli accanto, che molti padri senza vicende penali farebbero volentieri a cambio. I collaboratori, poi: dire devoti è poco. E gli amici, pronti pure loro a farsi tagliare una mano. L’estate scorsa sono andati in vacanza a turno pur di tenergli compagnia mentre era agli arresti domiciliari... E quest’anno daccapo.

Il Previti pluricondannato (sei anni per la vicenda Imi-Sir, un anno e sei mesi per il Lodo Mondadori), il Previti corruttore di giudici (ma proprio ieri il Tribunale civile di Milano ha condannato un quotidiano che l’aveva definito «delinquente»), il Previti novello Trimalcione (mitica, ancorché del tutto inventata, la storia delle aragoste allevate nella vasca del suo terrazzo) sono la faccia nota della medaglia. Come celebrate sono le sue doti di capotribù, la maschera gladiatoria, la leggenda del Grande Antipatico che Cesarone medesimo coltiva. Vedere, per credere, il ritratto di sé pubblicato sul sito www.previti.it. Ma sotto la scorza del combattente c’è un uomo affabile, battutista, perfino «simpatico», come assicura Marcello Dell’Utri.

Chi lo conosce giura che è molto giù di corda, umanamente provato dagli ultimi accadimenti, che soffre nel profondo. Si considera vittima d’una persecuzione contro la quale ha fatto ricorso davanti alla Corte europea di giustizia, di magistrati i quali non gli hanno dato la possibilità di spiegare, argomentare, difendersi insomma. Un plotone d’esecuzione giudiziario cui da ultimo s’è aggiunto quello dei politici, «maramaldi» capitanati da Fausto Bertinotti che ha impedito all’imputato di essere presente in aula, condannato in contumacia quando «la Camera avrebbe potuto tranquillamente discutere le dimissioni a settembre», s’indigna Donato Bruno, deputato azzurro.

Non che Previti stia conducendo una vita grama. E’ agli arresti, ma avendo passato i settanta (classe 1933) può starsene a casa. E che casa. Si affaccia beato lui su Piazza Farnese, la sala da pranzo è grande da sola come un appartamento, arredata in uno stile un po’ cardinalizio, mobili francesi del Settecento. Per sei ore ogni giorno ha il permesso di uscire, e neppure questo è un privilegio perché lo stabilisce la legge. Va in studio per ricevere visite, al campo sportivo per seguire gli allenamenti del figlio Umberto, promessa della Lazio, oppure al circolo per assestare lui stesso quattro calci al pallone («Una volta mi smarcavo», è il rimpianto, «ora al massimo passaggio e tiro in porta»). La sua affollata solitudine prevede inviti a cena di amici disposti a tollerare un regime alimentare dal quale sono cancellati grassi e lipidi. La visita del carabiniere, per accertare che il detenuto non sia in fuga, è l’unico vincolo carcerario. A fine giugno cesserà pure quello poiché Previti tornerà all’affidamento in prova, come prima dell’ultima condanna: tre-quattro volte a settimana dovrà recarsi alla comunità di don Picchi, dietro la Fiera di Roma, per colloquiare con alcolisti, tossicodipendenti, malati di gioco e di shopping. Per il resto, libero di muoversi dalle 7 alle 23.

Certo, gli manca il mare. La barca, il Barbarossa, è stata venduta otto anni fa, aveva portato male. Ma la vera privazione, quella che più gli pesa e alla quale non sa rassegnarsi, è la politica. Che a lui, avvocato di successo ma noto nel giro del generone romano, aveva fatto assaporare il gusto del prestigio, del potere con la maiuscola: ministro della Difesa, parlamentare influente, contraltare di Luciano Violante sulla Giustizia. Addio a tutto questo, perlomeno fino all’ottobre 2009, quando Previti avrà finito di saldare il conto con la legge. La pena quotidiana per uno come lui, confida chi gli vuole bene, non è far quadrare i conti senza stipendio da deputato. La vera condanna è l’ansia di tornare nel grande giro, la voglia di esserci, di poter dire la sua (Cesarone segue tutto, sa tutto, sbalordisce gli interlocutori per quanto è aggiornato) unita alla frustrazione di starsene mani in mano. E al timore che l’ultimo treno sia già passato.

da lastampa.it
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« Risposta #4 inserito:: Agosto 19, 2007, 03:18:51 pm »

Amici e vicini Ana Bettz, Silvio e quelle feste sarde «Galante pure con le settantenni Il genio di famiglia è mamma Rosa»

DAL NOSTRO INVIATO


PORTO ROTONDO — Fare i vicini di casa può diventare impegnativo, a volte. Specie se al di là del muro di cinta abita uno come Silvio Berlusconi. Anna Di Cesare, imprenditrice immobiliare che ha abbandonato il mattone per il canto, e si è scelta il nome d’arte di Ana Bettz, sembra però aver imparato a convivere egregiamente con l’ingombrante presenza di Villa Certosa. Forse perché anche lei come il Cavaliere adora stupire con gli eccessi: è tanto bionda, con gli occhi tanto luminosi, il seno tanto prorompente, il sorriso tanto smagliante. Bella e opulenta, una specie di Villa Certosa in carne e ossa. Un’amicizia, quella con il leader di Forza Italia, nata proprio qui fra Punta Lada e Marinella, e cresciuta soprattutto grazie al rapporto con la madre di Silvio, mamma Rosa.

«È una donna straordinaria, intelligentissima, dolcissima. Una donna che rappresenta la classica mamma italiana. Mi ricorda tanto lamia nonna paterna. Credo che sia stata l’unica vera donna amata da Silvio. Ha un’umanità incredibile, e penso che sia lei il vero genio della famiglia». Adesso mamma Rosa sta poco bene, ma fino all’anno scorso, assicura la signora, «era in grado di ballare e di restare sveglia anche fino alle due di notte ». La leggendaria vitalità del figlio insomma viene proprio da lì: «Ha preso dalla mamma, sicuro: lei è geniale, intelligente parla che sembra un libro. E io la sento come una di famiglia: quando qualche anno fa miomarito ha avuto problemi di salute seri, io mi sono trovata a Milano da sola, e lei mi ha fatto da mamma. Ci sentiamo quasi tutti i giorni, l’ho sentita anche ieri sera».

Ma che si fa, nelle ville di Porto Rotondo? «Non siamo mica marziani. La Sardegna non è Ibiza, è un posto di mare, di bambini... Io ho due figli, una di 15 anni e una di 13. E sto con loro. Insomma, sono vacanze famigliari, si esce in barca, si vede un po’ di gente. Quando hai case abbastanza grandi si finisce per rimanerci, e ricevere gli amici. A pranzo e a cena ogni giorno ci sono minimo 20 persone». Ma il clou delle estati di casa Bettz è la cena del 14 agosto, alla quale mezza Costa sogna di partecipare. Perché c’è il Cavaliere, soprattutto. «È la mia festa di compleanno, in realtà. Il giorno vero sarebbe il 27 luglio, ma pian piano abbiamo cominciato a festeggiarlo il 14 agosto. Prima con una festa per venti persone, poi per trenta, poi per quaranta. E poi cento, centocinquanta... Quest’anno avevamo distribuito 230 inviti, ma alla fine eravamo 300. Tutti seduti. Siamo riusciti a farli entrare tutti, ma con un po’ di nervosismo e di tensione. Abbiamo dovuto mandar via un sacco di gente. Ma così è un lavoro, non è più divertente...».
Però c’è il vicino di casa. Che stavolta ha stupito la platea con la sua giacca bianca e l’ormai mitica croce di smeraldi. «Che in realtà era una minuscola croce con un piccolo smeraldo e una collana fatta di perline nere cilindriche. Una cosa piccola piccola...». Ma croce a parte, com’è Silvio Berlusconi come amico? «Io lo vedo come una persona normale, anche se normale per certi versi non è: ha un talento nato per intrattenere la gente, e soprattutto un’energia inesauribile. Se arriva un ospite gli fa fare il giro di Villa Certosa, gli mostra tutto, gli spiega tutto. Ed è un giro lungo e faticoso. Poi arriva un altro e ricomincia daccapo, e rispiega tutto un’altra volta. E così di nuovo se ne arriva un altro».
Dicono che si rifiuti ostinatamente di invecchiare, che non accetti gli anni che passano. «È uno che ancora pensa "che farò da grande", ha la stessa carica vitale di sua madre. È un esempio per quelli che ad un certo punto si arrendono, che pensano che la vita sia finita». E le donne? Ci sono favole audaci e decine di leggende metropolitane che riguardano questo capitolo. Ma Ana Bettz glissa con consumata eleganza: «Vorrei sfatare imiti: lui è galante, con tutte le donne. L’anno scorso ad esempio lo era con una signora della sua età, vedova di un personaggio importante. Qualcuno può interpretare male, ma è solo un suo modo di fare».

Giuliano Gallo
19 agosto 2007
 
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« Risposta #5 inserito:: Agosto 19, 2007, 03:28:18 pm »

IL CAVALIERE E LE MODE

Il ciondolo del Cavaliere e gli «ingioiellati moderati»

Il ciondolo misterioso beffa i maschi italiani (con braccialetto) 

 
Prima tycoon, poi premier, poi caricatura estrema ed estremista degli stessi italiani che per anni lo hanno ammirato, Silvio Berlusconi con il suo ciondolo e i suoi smeraldi (dettaglio smentito allo stadio) rischia oramai di danneggiare i suoi molti fans. E non quelli che— direbbe Harry Potter— sono dediti alle Arti Oscure, l’evasione fiscale, i falsi in bilancio, i sospetti rapporti finanziari con organizzazioni poco legali, e altro. Quelli che, spesso onesti, spessissimo simpatici, coltivano qualche vezzo che i più malmostosi trovano burino. La vacanza rumorosa con feste casino e scherzi, per dire; un po’ di buffo gallismo; e ora, notizia più recente, la passione nazionale maschile per la bigiotteria. Che, negli anni, era stata lentamente sdoganata: un braccialetto qua, una catenina là, una collanina per i più giovani, un cerchietto per i calciatori.

Le italiane— anche quelle malmostose—avevano imparato ad accettarli, a trovarli innocui, a ignorarli per benaltrismo (ben altri, suvvia, possono essere i difetti dei nostri ragazzi). Ma dall’altro ieri è tutto più difficile. Insomma, di braccialetti-collanine-ecc. se ne vedevano talmente tante da non farci più caso. Ora no, dopo le foto della festa di Anna Betz (che i romani ricordano con affetto per i cartelloni “Bettazzi Anna-gli immobili firmati” con foto di lei fatale, diffusissimi negli anni Novanta) qualunque uomo con monile fa immediatamente pensare al Berlusca con laccio impreziosito al collo.

E non è giusto. Non si può fare di ogni erba un fascio. Ornarsi di lacci e bracciali (possibilmente non insieme) è diverso dall’intrattenere gli ospiti con finte eruzioni vulcaniche, finte pizzerie e gelaterie in villa durante feste che distruggono anche Emilio Fede, annunci ferragostani di acquisto della Dc. Per impossibilità economica, o per scelta. A pensarci, era meno dannosa la bandana di due anni fa, caso strumentale (per mascherare il fresco trapianto di capelli) e isolato, che causa ridicolaggine non ha fatto moda. Stavolta è successo il contrario. Silvio B. ha preso una moda radicata, l’ha esagerata, e ora per colpa sua si rischia il ridicolo.

Val la pena di essere solidali con gli ingioiellati moderati, non c’è che dire (ma Boldi? Cosa accidenti si dovranno inventare adesso Massimo Boldi e tutti quelli che fanno i film di Natale, se Berlusconi ogni agosto e non solo ad agosto supera qualunque loro idea? C’è da essere solidali anche con loro, stavolta)

Maria Laura Rodotà
19 agosto 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #6 inserito:: Agosto 19, 2007, 03:32:36 pm »

Lo rivela il quotidiano La Provincia di Como

Berlusconi acquista una villa a Cernobbio

Si tratta di una dimora ottocentesca che fu del conte Giulio Belinzaghi.

In passato ci abitarono molti calciatori interisti   
 
 
COMO - Silvio Berlusconi avrebbe acquistato, attraverso una delle sue società, villa Belinzaghi, dimora ottocentesca di Cernobbio, sul lago di Como, accanto all'hotel a cinque stelle di Villa d'Este. La notizia è riportata dal quotidiano La Provincia di Como, secondo il quale è già stato siglato il compromesso per il passaggio di proprietà tra la società dell'ex presidente del consiglio e l'ultimo proprietario della villa, l'imprenditore tessile comasco Giorgio Fasana. Il prezzo sarebbe compreso tra i 10 e i 12 milioni di euro.

VILLA BELINZAGHI - Nei mesi scorsi Silvio Berlusconi, spesso accompagnato dalla figlia Marina, aveva più volte visitato varie ville sul lago di Como per valutare le possibilità di acquisto. Alla fine l'attenzione si è concentrata su villa Belinzaghi, realizzata nel 1860 dal conte Giulio Belinzaghi, banchiere nonché sindaco di Milano e Cernobbio. Villa che, ironia della sorte, spesso era stata affittata a giocatori dell'Inter: da Totò Schillaci ad Aaron Winter, fino a Clarence Seedorf, che vi ha abitato sino ad un paio di anni fa, anche dopo il suo passaggio al Milan. Tra l'altro, proprio l'abbandono della dimora da parte del calciatore olandese è al centro di una causa penale per presunti danneggiamenti tra il proprietario e lo stesso Seedorf. Attualmente la villa è divisa in cinque appartamenti, ma l'intento sarebbe quello di ristrutturarla completamente. Tramite dell'operazione sarebbe stato il sindaco di Cernobbio Simona Saladini, diventata nel giugno scorso assessore provinciale di Forza Italia. A far propendere il cavaliere su villa Belinzaghi, dimora splendida ma di non particolare interesse storico e artistico, sarebbe stata soprattutto la sua posizione, accanto a Villa d'Este e al suo eliporto. Allo stesso tempo, la villa costruita proprio sul lago in mezzo a un notevole parco, è in grado di garantire ai suoi ospiti la necessaria privacy, lontano da occhi curiosi.

19 agosto 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #7 inserito:: Settembre 26, 2007, 09:57:34 am »

Quando Silvio aveva le ali

di Francesco Bonazzi e Gianluca Di Feo

Il primato di Berlusconi: 220 milioni di spese.

La stretta di Prodi: jet solo per impegni istituzionali.

E solo quando non siano disponibili voli di linea.

Regole che Mastella e Rutelli non hanno rispettato


AAA offresi due jet Falcon perfetti per voli vip. La prima mossa concreta per prendere le distanze dall'abuso di aerei di Stato arriverà nei prossimi giorni. La presidenza del Consiglio ha deciso di vendere due dei velivoli executive della flotta dei Servizi segreti. Da Palazzo Chigi è arrivato l'ordine di farla finita con le escursioni sugli aeroplani della Cai, la riservatissima compagnia degli 007 italiani che con i suoi Falcon ha segnato la storia parallela degli ultimi vent'anni: dalle missioni veramente segrete in Medio Oriente ai viaggi di piacere sotto copertura.

L'uso della flotta d'ora in poi sarà riservato al Sismi e al Sisde: vietato l'ingresso a bordo di ministri e sottosegretari in cerca di un passaggio dell'ultima ora. I politici avevano ipotecato più dell'80 per cento delle partenze top secret: per questo adesso due dei cinque jet sono stati dichiarati superflui e messi sul mercato. Il beneficio per le casse pubbliche sarà limitato: i bireattori prodotti dalla Dassault, anzianotti ma ancora ambiti come status symbol, permetteranno di raggranellare al massimo una decina di milioni.

Ma i risparmi per i mancati decolli a sbafo saranno consistenti. E soprattutto sarà significativo il segnale di austerity per i privilegiati del volo blu. Dopo la vicenda della gita al Gran Premio di Monza sull'Airbus presidenziale dei ministri Mastella e Rutelli, rivelata da "L'espresso", il governo Prodi ha deciso di rendere ancora più severe le regole per l'imbarco dei politici sugli aerei di Stato. La squadriglia dei turboelica Piaggio P180, le "Ferrari dei cieli", è stata restituita integralmente all'attività dell'Aeronautica militare: nel 2004 un quarto dei decolli erano destinati ad accontentare le pretese dell'esecutivo berlusconiano, con un andazzo proseguito fino alle elezioni.

Quanto alla flotta della presidenza del Consiglio, poi, i criteri per autorizzare le missioni sono diventati molto rigidi. Perché, ribadiscono da Palazzo Chigi smentendo molte delle argomentazioni invocate in questi giorni, non esistono "voli di sicurezza": una cosa è la scorta garantita alle personalità a rischio, che viene fornita anche sugli aerei di linea o sui treni, altro sono le "ragioni istituzionali" che giustificano l'impiego degli Airbus o dei Falcon. Solo viaggi di alta rappresentanza, diretti verso sedi disagiate o condizionati da particolari appuntamenti di governo. Insomma, un'eccezione. Per tutto il resto bisogna muoversi come i normali cittadini.

Già il 13 settembre 2006, pochi mesi dopo l'insediamento del centrosinistra, la presidenza del Consiglio diffuse una dettagliata circolare. Con una premessa inequivocabile: "Il monitoraggio sistematico degli impieghi dei velivoli di Stato evidenzia il sostenuto andamento delle richieste di voli per le esigenze di ministri, viceministri e sottosegretari. Il fenomeno ha dimensioni tali da indurre, in assenza di correttivi urgenti e incisivi, a una grave crisi... L'andamento, se confermato, richiederebbe un consistente aumento della dotazione finanziaria incoerente con l'attuale quadro di finanza pubblica".

Il documento esaminato da "L'espresso" parla poi degli "aggravi non di rado determinati da ritardi, ripensamenti o cambiamenti di programma" che mettono a dura prova l'Aeronautica "determinando un avvertibile stato di disagio degli operatori" alle prese con i capricci del politico di turno. Ed ecco le regole. Anzitutto chi ha diritto a salire: capo dello Stato, i presidenti delle Camere, il presidente della Consulta e gli ex presidenti della Repubblica. Ministri e delegazioni ufficiali possono farlo "ma solo in presenza di determinate condizioni". Quali?"Inderogabili esigenze in connessione con l'esercizio di funzioni istituzionali". Per le trasferte in Italia, però, bisogna documentare "l'indisponibilità di mezzi alternativi e di voli di linea compatibili anche se non strettamente coincidenti". Criteri ancora più vincolanti sono previsti poi per i sottosegretari.

Il 30 maggio 2007 Palazzo Chigi ha diramato una seconda circolare, ribadendo la necessità di fornire documentazione che dimostri "inderogabilità, urgenza, presenza di motivazioni istituzionali, mancanza di mezzi di trasporto alternativi". Tutti devono presentare una relazione, chiamata con disprezzo "il compitino", che in caso di contenzioso poi finisce sul tavolo del sottosegretario Enrico Micheli. Che, ironia della sorte, dopo la laurea fu assunto dall'Alitalia per fare il controllo di qualità sui primissimi aerei a reazione. I "compitini" bocciati non mancano: negli ultimi mesi sarebbero stati il 15 per cento. E ormai nessuno tenterebbe più di prenotare un Falcon sulla rotta Roma-Bruxelles o un Roma-Milano: il no sarebbe sicuro.

Alla luce di tanti scrupoli, viene da chiedersi quanto fosse legittima la gita domenicale al Gran Premio di Monza. Una questione che verrà esaminata anche dalla Corte dei conti, che ha aperto un'istruttoria sulla vicenda. Sia Clemente Mastella che Francesco Rutelli avevano domandato un volo di Stato. Il primo aveva ipotizzato un gruppo di cinque persone: assieme a lui il figlio, un collaboratore e due agenti di scorta. Sulla lista del vicepremier 12 nomi: tra loro la moglie Barbara Palombelli, almeno quattro uomini dello staff, tre agenti di scorta. Entrambi avevano indicato la partenza dall'aeroporto di Salerno-Pontecagnano, con arrivo a Linate. Entrambi si trovavano in Campania per motivi non istituzionali. Rutelli chiudeva la festa della Margherita; Mastella era a casa per "motivi di famiglia".

Stando alla versione ufficiale, Palazzo Chigi avrebbe riconosciuto come istituzionale solo l'impegno del vicepremier, chiamato a premiare il vincitore della gara di Formula Uno, assegnandogli un aereo. Poiché la pista di Salerno-Pontecagnano è chiusa al traffico da mesi, la partenza è stata dirottata su Napoli. A quel punto, però, invece di destinare al compito un Falcon 900 - capienza di 14 posti, quindi sufficiente per la comitiva Rutelli - si è fatto partire da Ciampino il lussuoso Airbus 319 CJ presidenziale da 48 posti: quanto bastava per dare uno strappo in tutta comodità anche a Mastella & friends.

Al ritorno, poi, il Guardasigilli è rimasto in Lombardia mentre il figlio e il misterioso collaboratore sono stati fotografati da "L'espresso" mentre salivano a bordo. E al gruppo Rutelli si è aggiunto il coordinatore della Margherita Renzo Lusetti con il figlio, l'adolescente di spalle nelle foto: Lusetti ha spiegato di avere rinunciato ai biglietti già acquistati da Alitalia perché il ragazzo si era sentito male durante il Gran Premio. Anche nel suo caso, "solo un passaggio". E i "voli di linea compatibili" invocati dalla circolare della presidenza del Consiglio? Air One e Alitalia li offrivano negli identici orari dell'Airbus presidenziale con prezzi da low cost. Ma l'alternativa non è stata presa in considerazione.

Nonostante questo, la gita domenicale del vicepremier e del guardasigilli è stata criticata da pochi esponenti della maggioranza (tra gli altri Diliberto, Brutti, Mussi) e da pochissimi dell'opposizione (Fini e Mussolini). Nelle stesse ore in cui Prodi usava l'Eurostar per il weekend, l'esecutivo è intervenuto con un comunicato in cui si qualificava come ufficiale il volo di Rutelli e si definiva "un passaggio" quello di Mastella. Compatta invece la difesa dei vertici delle Camere: una solidarietà che non sorprende, visto l'uso frequente dei Falcon ministeriali da parte di Bertinotti e Marini evidenziato anche nella "Casta" di Gianantonio Stella e Sergio Rizzo. Non sorprende nemmeno la telefonata affettuosa di Silvio Berlusconi a Mastella, sia per l'interesse politico, sia per la passione del Cavaliere per i voli blu.

Gli anni del centrodestra per le squadriglie di Stato sono stati logoranti. "Le limitate risorse di velivoli e di personale sono sottoposte ormai da lungo tempo a un carico di lavoro che non è ulteriormente sopportabile", recita il documento di Palazzo Chigi del settembre 2006. Nel corso dei due anni precedenti 11 tra Falcon e Airbus più una decina di Piaggio 180 dell'Aeronautica hanno consumato i motori. C'erano poi i viaggi con i cinque Falcon della Cai, la compagnia degli 007. E come se non bastassero le flotte di Stato, si sono noleggiati pacchetti viaggio da Eurofly e dalla squadriglia vip dell'Eni.
Infine si è persino ricorso eccezionalmente ai Piaggio in dotazione a Esercito, Protezione civile e Finanza.

La campagna elettorale del 2006 sarà ricordata come un incubo negli hangar di Ciampino, con tripli turni di piloti e tecnici per far fronte alle telefonate di Palazzo Chigi. Gettonatissima la rotta Roma-Olbia, per i frequenti soggiorni sardi del premier. È durante questi spostamenti che il Cavaliere ha apprezzato le comodità dell'Airbus presidenziale, con salottini e zona letto silenziata. Un lusso di cui ha sentito la mancanza dopo la sconfitta elettorale, correndo subito ai ripari: ha acquistato un Airbus 319 CJ personale. Non uno a caso, ma lo stesso di Eurofly che veniva affittato a spese del contribuente negli anni del governo.

Di sicuro, la bolletta finale dei voli di Stato è scioccante. Nel quinquennio del Cavaliere d'alta quota sono stati bruciati oltre 200 milioni solo per i jet dell'Aeronautica. A questi vanno aggiunti 4 milioni per il noleggio degli aerei di Eni ed Eurofly, una quindicina di milioni per quelli dei servizi segreti e qualche manciata di milioni per le "Ferrari dei cieli" della Piaggio destinate alle escursioni dei sottosegretari. Nell'epoca Prodi si sostiene di avere frenato i decolli nel secondo semestre 2006 e tagliato ancora quest'anno: il conto del 2007 dovrebbe essere di "soli" 28 milioni. Poco, rispetto ai 52 di tre anni fa. Ma alla fine in sette anni dalle tasche degli italiani voleranno via 300 milioni. "Nel blu dipinto di blu, felici di stare lassù".

(20 settembre 2007)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #8 inserito:: Ottobre 11, 2007, 04:37:26 pm »

POLITICA

Mogli e amici a bordo di un aereo del corpo, e poi di un elicottero per una gara di sci sulle Dolomiti.

Una trasferta filmata...

Gite in montagna e pesce fresco in baita così Speciale usava l'Atr della Finanza

di CARLO BONINI

 
ROBERTO Speciale con coppola e montone. Le signore in pelliccia. Tutti a Passo Rolle. Per la festa sulla neve. A bordo dell'Atr 42 della Guardia di Finanza. E a cena pesce freschissimo. In casse caricate all'aeroporto di Pratica di Mare e spedite con volo militare. L'ex comandante della Guardia di Finanza ha chiesto al Paese cinque milioni di euro perché il suo onore di "uomo delle Istituzioni" e di "ufficiale" con la schiena dritta trovi giusto ristoro al "massacro" che ne avrebbero fatto in Parlamento il ministro dell'Economia Padoa-Schioppa e il suo vice Vincenzo Visco.

Un giudice amministrativo deciderà di qui a tre settimane del risarcimento. E' un fatto che, liberi dalla sua ombra, gli archivi della Guardia di Finanza cominciano a restituire qualche documento che racconta chi è Roberto Speciale. Come ha interpretato il suo comando. Quale uso abbia fatto delle risorse destinate al lavoro di un Corpo che, spesso, a fine anno, non ha risorse per mettere la benzina nelle sue macchine.

Parliamo di un filmato ufficiale girato in una fredda mattina del febbraio 2005. A passo Rolle (Trentino Alto Adige) si apre la 55esima edizione delle "gare invernali di sci" del Corpo. Un operatore delle Fiamme Gialle rivolge l'obiettivo della telecamera sull'orizzonte cobalto della pista di atterraggio dell'aeroporto di Bolzano. Nell'assolo trionfale e lancinante di una chitarra elettrica che fa da colonna sonora alle immagini, un Atr 42 turboelica del Corpo (aereo destinato, secondo le informazioni diffuse dal sito istituzionale della Finanza, al "contrasto del contrabbando", alla "sorveglianza delle coste", alle "missioni umanitarie", giocattolo da 3.500 euro l'ora, escluso il costo dell'equipaggio) si posa a terra. Il bestione rulla, avvicinandosi lentamente all'aerostazione e la musica cresce. Cresce nell'enfasi compiaciuta della regia.

Un drappello di infreddoliti ufficiali si avvicina al portellone posteriore, guidato dal generale Giulio Abati (allora comandante regionale del Trentino Alto Adige). Attesa. Poi, ecco il primo passeggero. Una signora avvolta in una pelliccia di volpe. La moglie di Roberto Speciale. Ecco il secondo. Un'altra pelliccia di volpe. La signora D'Amato, moglie del generale Salvatore D'Amato (all'epoca comandante interregionale di Napoli). Ora, la terza pelliccia. Volpe come sopra, ma rovesciata. Una giovane donna che nessuno dei presenti sembra conoscere o riconoscere, salvo l'autista del comandante generale che aspetta sottobordo e con cui scambia un affettuoso bacio.

Quindi tocca agli uomini. Un ragazzone dall'abito sportivo con una sporta di carta; un uomo di mezza età che sembra accompagni la più giovane delle signore; il generale D'Amato, in giacca a vento e quindi lui, il Comandante. Immagini di vederlo fare capolino in alta uniforme. E invece il generale si è "messo" da montagna. Coppola, giacca di montone con bottoni in osso, morbidi pantaloni in velluto verde petrolio. Lo salutano militarmente. Lui risponde allungando morbidamente la mano nel gesto dell'omaggio.

Da Bolzano a Passo Rolle sono 50 minuti di auto. La giornata è serena. In fondovalle non c'è neve. Ma la comitiva, visibilmente compiaciuta, non si nega lo spettacolo delle cime. Si accomoda su un elicottero Ab 412 del Corpo che attende a bordo pista. La chitarra elettrica della colonna sonora pesta in un ennesimo assolo, mentre l'obiettivo stringe sulle signore in pelliccia issate a bordo, su un comandante chino ad allacciare le cinture di sicurezza a chi non sa neppure da dove si cominci. Su Speciale, che ora ha tolto la coppola e inforcato dei "Rayban" a goccia con cui osserva compiaciuto il lavoro agiografico del cine-operatore.

Di nuovo in aria. Il Cimon della Pala è magnifico. I tre generali che attendono a Malga Fossa (Nino Di Paolo, generale di corpo d'armata, comandante a Firenze; Luciano Pezzi, generale di divisione, Lucio Macchia, generale di corpo d'armata) sono tre deferenti statue di ghiaccio. Alla malga, ai piedi dell'elicottero appena atterrato in una nuvola di neve farinosa, il cerimoniale si ripete nella sua sequenza grottesca. Nessuno sa bene chi salutare. Anche perché alcuni di quelle signore e signori non li conosce nessuno. Finche una Land Rover blu notte tirata a lucido se ne va con gli ospiti.

Non sembra questa la sola pagina umiliante scritta a Passo Rolle. Di storie, nel Corpo, se ne raccontano di tutti i colori. E almeno una ha lasciato tracce documentali e testimoniali. Speciale ama il pesce fresco. E, si sa, le malghe non ne offrono. In un'occasione, dunque, dall'aeroporto di Pratica di Mare viene fatto sollevare un Atr 42 con a bordo un metro cubo di pesce. Il piano di volo prevede l'atterraggio a Bolzano, quindi il disimbarco e la consegna del prezioso carico in montagna.

Il pilota è il maggiore Aldo Venditti. Ma il poveretto non ha fortuna. Le condizioni meteo su Bolzano lo obbligano ad atterrare a Verona, dove nessuno aspetta pesce. Tantomeno un drappello di sconcertati "baschi verdi" che rifiutano di farsi facchini. Tocca al pilota. E la storia smette di essere un segreto.


(11 ottobre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #9 inserito:: Novembre 19, 2007, 11:53:12 am »

POLITICA

Il Cavaliere a Milano: "Forza Italia si scioglierà nella nuova formazione"

Scettici Udc e Lega, Umberto Bossi: "Ho paura che sia solo un favore a Prodi"

Berlusconi lancia una nuova sfida "Nasce il Partito del popolo delle libertà"

Prima cauta apertura sulle riforme: "Disponibili a soluzioni utili per il Paese"

Veltroni: "La nuova forza politica è il riconoscimento di una sconfitta"

 
MILANO - Pressato dalle critiche degli alleati, Silvio Berlusconi scende in piazza nella sua città, Milano, fa una prima cauta apertura sul tema riforme, e lancia una nuova sfida: "Oggi nasce ufficialmente qui il grande partito del popolo italiano, un partito aperto che è contro i parrucconi della vecchia politica. Invito tutti ad entrare senza remore e a venire con noi, questo è quello che la gente vuole: Forza Italia si scioglierà nella nuova formazione", che si chiamerà, appunto, "Partito del popolo italiano delle libertà". Un'iniziativa che non pare, almeno dai primi commenti, suscitare grande entusiasmo nelle altre componenti della Cdl. E che per il segretario del Pd Walter Veltroni rappresenta "il riconoscimento di una sconfitta".

Per l'annuncio il Cavaliere sceglie il gazebo di piazza San Babila per la raccolta di firme contro il governo Prodi: "Sono sette milioni", sottolinea con orgoglio. Un vero e proprio show, il suo. Che lo vede attorniato da cori da stadio e urla, da una grande bolgia in cui si distingue Michela Vittoria Brambilla ("siamo stati l'avanguardia del nuovo partito, in cui adesso confluiremo", dichiara). Intanto, il leader di Fi arringa la folla con un megafono, per poi improvvisare un comizio in mezzo alla piazza. Quindi, sul nuovo partito, il leader dà appuntamento a domani, quando "presenteremo la nuova iniziativa". "Invitiamo tutti - dice - a venire con noi contro i parrucconi della politica in un nuovo grande partito del popolo. Chiediamo a tutti di mettere da parte ogni timore e ogni remora: questo è quello che la gente vuole".

Poco dopo, a chiarire meglio le modalità organizzative del nuovo partito, ci pensa il coordinatore di Forza Italia, Sandro Bondi: "Vi annuncio - dichiara - che la prossima settimana ci sarà una nuova mobilitazione con i gazebo in tutta Italia per le adesioni al nuovo partito".

Ma Berlusconi, nel suo intervento milanese, parla anche d'altro. Ad esempio, riguardo agli italiani che hanno firmato la sua petizione contro il governo Prodi, sostiene che "la metà" non sono elettori del centrodestra. Lo scopo, ribadisce, è "avere nuove elezioni, ed eleggere un nuovo governo. Un governo che sia in armonia con i suoi cittadini, un governo che sappia governare".

Sul tema al primo posto dell'agenda politica, l'eventuale apertura di un dialogo tra i poli sulle riforme (sollecitato anche da Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini) da Berlusconi arriva invece una prima seppure parziale apertura: "Se l'altra parte avanzerà delle proposte o dirà di sì a nostra proposte saremo i primi ad essere lieti di trovare, per il nostro Paese, una direzione di svolta che assicuri la democrazia, lo sviluppo e la libertà".

Le reazioni al nuovo partito.
A tenere banco, però, resta la novità del nuovo partito berlusconiano. Umberto Bossi teme "che sia solo un favore a Prodi". "La forza di Berlusconi - dice il leader della Lega - è sempre stata la sua capacità di coordinamento. Il suo saper tenere uniti. Con il nuovo partito andrebbe quindi in una direzione differente rispetto a quando ha fatto fino ad ora. Se perde questa forza, se ci rinuncia, secondo me si sbaglia". Prima che parlasse Bossi era stato Roberto Maroni a chiarire che il Carroccio non è interessato a questo nuovo partito del centrodestra: la Lega è orientata soprattutto alle riforme e nei prossimi giorni lo stesso Maroni incontrerà Veltroni.

La prima reazione dell'Udc è affidata al vice presidente del gruppo alla Camera, Maurizio Ronconi: "Un partito non può nascere né in provetta né dalle alchimie di un pur attento marketing politico. L'Udc vuole concorrere al partito popolare in Italia che non nasce però da un atto di intelligente fantasia ma da un confronto serio e meditato; non nasce dalla pancia ma dal cervello". E in serata fonti vicine a Casini commentano l'annuncio di Berlusconi ribadendo quanto detto dal leader del partito nel pomeriggio e cioé che per il Cavaliere c'è anche il momento della propaganda. Positivo invece il giudizio all'apertura sul dialogo per le riforme.

Dal centrosinistra arriva la reazione di Veltroni: "Forse è il riconoscimento di una sconfitta" dopo l'annunciata spallata, poi non verificatasi, nei confronti del governo. "E comunque il riconoscimento che si è conclusa una "stagione politica", dice il segretario del Pd. "Un tempo era il centrosinistra che inseguiva modalità di comunicazione. Ora è Berlusconi che ci insegue...Noi facciamo i gazebo e li fa anche lui, noi facciamo un nuovo partito e lo annuncia anche lui" ha aggiunto ancora Veltroni, parlando in collegamento telefonico con la trasmissione di Maurizio Crozza, su La7.

(18 novembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #10 inserito:: Novembre 23, 2007, 06:36:19 pm »

Dal gollismo al gallismo

Roberto Cotroneo


Siamo passati dal gollismo al gallismo. Perché quello che sta accadendo in queste ore e negli ultimi giorni tra Fini e Berlusconi ha tutta l’aria di uno scontro che non è politico, ma innanzi tutto caratteriale e persino emotivo: sfoghi, battute, frecciate, sbotti, ire funeste schermate da porte chiuse, dichiarazioni ad agenzie di stampa filtrate ma non troppo, apparizioni televisive dove più che le parole contano il tono della voce e la tensione dei muscoli facciali. La lite Fini-Berlusconi sta tutta qui, nell’idea che la politica sia quanto di più maschio possa esserci, sia volontà di potere e di potenza, e disfida a braccio di ferro.

Contano poco i progetti di una nuova casa dei moderati, contano niente gli elettori, i sostenitori, i tesserati, i simpatizzanti. Contano ancora meno i vecchi distinguo e i vecchi bizantismi dell’antica politica. Quella dei partiti di un tempo, dove il confronto duro era tutto tra una parentesi di un discorso e un punto e virgola.

Nel tempo in cui i programmi televisivi di satira erano innocui e di faccende private nella politica non si parlava; nel tempo in cui Roberto D’Agostino portava ancora i calzoni corti e stava al Piper con Patty Pravo, il massimo dello scontro che si ricordi è quella frase di Nino Andreatta, che nel 1982 definì l’allora ministro socialista Rino Formica: «un commercialista di Bari». Con risposta di Formica: «Andreatta? Una comare».

Altri tempi, erano liti condominiali quelle di allora, per quanto il condominio fosse il prestigioso Palazzo Chigi e le stanze dei consigli dei ministri. Oggi è tutto diverso. Da qualche parte, nelle periferie delle città, devono essere sopravvissuti gli ingialliti manifesti dell’ultima campagna elettorale, con le tre foto di Fini, Casini e Berlusconi, denominati “le tre punte”, con metafora calcistica. Peccato che le punte siano diventati dei punteruoli, e gli agguati all’ordine del giorno.

Ma per quanto gli agguati personali non siano mai mancati nella lunga storia politica e parlamentare del dopoguerra, questa volta ci sono tutta una serie di elementi nuovi. Primo fra tutti quella frase, che dice molto, pronunciata da Fini a proposito di Berlusconi: «ho vent’anni di meno, e poi lui mica sarà eterno». Dietro quel vent’anni di meno ci sono tutta una serie di cose che vanno oltre la politica e che portano a una rivoluzione nel linguaggio del potere e della politica. Altro che il medico miracoloso Scapagnini, altro che trapianti di capelli, altro che total lifting, tintura di capelli e footing alle Bahamas. Ora il potere si misura dalla resistenza. Fini si sente come uno scalpitante giovane calciatore che dice al vecchio campione Berlusconi: quella maglia numero 10 prima o poi te la tolgo, prima o poi il fiato ti mancherà, e finirai in panchina. Come una vecchia gloria.

In questa politica tutta fisico e poco tecnica, Fini ha detto anche un’altra cosa, che è sottointesa: per quanto mi abbiate teso un agguato per interposto Antonio Ricci, io sono comunque nel pieno delle mie facoltà, pronto ad aspettare il novantesimo minuto e giocare tutta la mia partita.

La metafora calcistica è utile a capire. Ma non basta a spiegare tutto. Non rende l’idea, ad esempio, di questo neo-gallismo, che in politica sempre c’è stato, ma non come ora: io sono più giovane di te, io non cambio idea, e soprattutto “con te ho chiuso”, che è frase che in politica non si dice mai, se non altro per scaramanzia. Ne abbiamo visti di liti e sguardi tesi che in breve tempo, complice una nuova strategia di potere, sono diventati sorrisi e pacche sulle spalle. E come diceva James Bond, vale sempre quel “mai dire mai”, che in Aula e in Transatlantico andrebbe scolpito nel marmo come monito per leader, deputati e peones di tutte le legislature. Con te ho chiuso è frase da lite estemporanea, poco prudente, assai poco strategica. Ma è soprattutto un mostrare i muscoli, uno stabilire chi è più macho, chi c’è la fa a mettere sulla bilancia tutto il suo potere. E se Berlusconi alla conferenza stampa evita di nominare Fini arrivando a utilizzare la parola “competitor”. Usando uno stile da Ceo di una multinazionale che non nomina mai la concorrenza. Fini usa invece espressioni più affini alla retorica delle bonifiche pontine: ruvido e netto come non mai. Pronto a dimostrare che quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare, specie se si è più giovani di vent’anni.

Sono saltati tutti i filtri, tutte le prudenze, tutti i sofismi. L’altro ieri è stato Alfredo Biondi, dopo lo sfogo di Fini, a telefonare al cavaliere: «guarda che Fini ha detto che ha vent’anni di meno di te, e davanti a tutti». An che smentisce, certo, ma serve a poco, tutti sanno che era vero.

L’agitazione attorno a tutte le parole dette. I pettegolezzi e le rabbie in primo piano, la politica sullo sfondo, anzi neanche, la politica questa volta è solo un “cromachi”, uno sfondo di quelli che si usano in televisione, e che non sono veri, ma virtuali. Dietro questo scontro c’è una legge elettorale, ci sono le riforme e c’è l’assetto politico di questo paese per il futuro. C’è anche il futuro di molta gente che ha votato Fini e Berlusconi e che assiste stupita a una lite improvvisa, ma che covava da tempo, tra due ex amici che hanno molte cose da rimproverarsi. E che non si risparmiano nulla. Visto che nessuno dei due ha voglia di rinunciare a mostrarsi virile e potente. A battersi il petto come i gorilla nella foresta. Finché non si ristabiliscono nuovi equilibri e nuove gerarchie, e tutto torna come sempre.

roberto@robertocotroneo.it

Pubblicato il: 23.11.07
Modificato il: 23.11.07 alle ore 13.04   
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« Risposta #11 inserito:: Novembre 29, 2007, 11:53:45 pm »

POLITICA

Il Cavaliere traccia la road map del nuovo partito che va avanti "senza ripensamenti"

Diecimila gazebo nel fine settimana per scegliere nome e simbolo

Berlusconi: Pdl, nessun ripensamento "Un sogno? Come me nessuno mai"

Fini ha le mani libere? "Solo io le ho avute legate".

Primarie per costruire il partito

"Non ho mai fallito. C'è qualcuno in Italia che può paragonare la propria storia di successi alla mia?"

di CLAUDIA FUSANI

 
ROMA - Nessun "passo indietro". E neppure "ripensamenti". Tutto quello che si legge oggi sui giornali sul nuovo soggetto politico lanciato da Silvio Berlusconi è solo "interessata disinformazione". Già ieri sera il Cavaliere aveva voluto mandare una dichiarazione scritta alle agenzie di stampa per correggere il tiro di battute, ironie e sarcasmi, soprattutto dei suoi ex alleati Fini e Casini. Stamani ha fatto impazzire i suoi collaboratori e ha convocato una conferenza stampa a Montecitorio - nel palazzo dei gruppi in via Uffici del Vicario - mezz'ora prima per mezz'ora dopo. Dovevano parlare Fabrizio Cicchitto e Paolo Bonaiuti. Ma ha preferito fare tutto da solo, pochi fogli in mano, per dire che il progetto del Pdl va avanti "senza indugi nè ripensamenti", solo con i necessari passaggi graduali necessari quando nasce una cosa che prende il posto di un'altra.

"Ogni volta che ho lanciato un'idea ci sono sempre state reazioni scettiche ma poi ho sempre avuto ragione io: città, calcio, televisioni. E così via. Non ho mai fallito nessuno obiettivo e non succederà neppure questa volta. Chi c'è in Italia che può paragonare il proprio successo a quello di Silvio Berlusconi?". La citazione di De Gaulle arriva a fagiolo: "L'intendenza seguirà. Contenta di aderire a un grande sogno".

Grandeur a parte, la road map verso l'ennesimo grande sogno ha tappe serrate. L'obiettivo è chiaro: "Riunire tutti i moderati italiani. Il nuovo partito tiene le porte aperte e spalancate per tutti gli elettori, ai circoli, ai movimenti della società civile, è un nuovo partito che si fonda sugli elettori e avrà le solide fondamenta di Forza Italia". La quale, ribadisce, non sarà sciolta ("sarebbe come buttare all'aria quattordici anni di storia italiana") ma sarà "superata" dal nuovo soggetto. In questo momento, va da sé, ci sono anche certe operazioni di contabilità, pratiche burocratiche, riscossioni e pagamenti, gestione del patrimonio immobiliare, che devono essere rispettate.

"Il modello che ho in mente è quello del più grande partito europeo, l'European people party (il Ppe) dove confluiscono vari soggetti politici". Settimana prossima appuntamento dal notaio per la firma della costituzione del nuovo partito. Ma soprattutto c'è questo week end in cui il Cavaliere richiama in piazza il popolo dei gazebo - ma non era un'invenzione delle primarie dell'Unione? - per fare due cose fondamentali: scegliere il nome e contarsi. La scelta del nome ha due opzioni: "Partito della Libertà" e "Partito del popolo della libertà". Il simbolo è già pronto, il Cavaliere lo mostra soddisfatto: non c'è molta differenza, l'acronimo è sempre quello - Pdl - lo sfondo in campo azzurro anche così come la striscia tricolore che dal basso sale in diagonale verso l 'alto. La meccanica assomiglia a quella del supermercato: paghi uno e prendi tre, nome, simbolo e preiscrizione. Nel senso che con un clic via internet - sul sito si trova la specifica scheda - si sceglie appunto nome, simbolo correlato e si registra la propria prescrizione lasciando tanto di recapiti e documento di identità. Idem come sopra se uno andrà in uno dei diecimila gazebo sparsi nel fine settimana in tutta Italia - indirizzi sempre sul sito di Forza Italia - e metterà una crocetta sul nome prescelto. "Finora - assicura - sono già arrivate 83.600 domande di prescrizione via web e 500 in quattro ore via telefono".

Sarà un partito costruito "dal basso con regole trasparenti, all'americana". Il metodo è unico, quello delle primarie ("Ci stiamo già informando per fare una cosa seria e trasparente") a livello comunale, provinciale, regionale e nazionale. "Io sarò uno dei candidati alla leadership - sorride sornione - anche se penso in cuore mio di essere prescelto". In fondo, Forza Italia è sempre stata "monarchica e anarchica", "nessuno mi ha mai messo in discussione ma tutti hanno sempre fatto come hanno voluto".

Il Cavaliere non lo ammetterà mai ma in questa fase si è ispirato per filo e per segno al percorso di nascita del Pd: il meccanismo delle primarie, i gazebo e l'utilizzo di internet. Dario Franceschini, n.2 del Pd, aveva offerto in prestito alla Cdl strutture e gazebo. Se li sono comprati nuovi ma sono la stessa cosa. Cambiano i tempi: una appassionata gestione di tredici anni per il Pd; tre-quattro mesi, a voler stare larghi, per il Pdl.

C'è poco spazio, e non c'è voglia di parlare di alleati anche se sono ex. Berlusconi si augura sempre che "sia An che Udc possano aderire al nuovo soggetto politico". Del resto "tutti avevano aderito a questo partito. Poi qualcuno ha cominciato a pensare alla Cosa Bianca ma all'inizio era il sogno di tutti". E a Fini che dice di avere "le mani libere" risponde: "Finora l'unico che le avute legate sono io". Ancora una bordata sull'ex alleato a cui ne segue un'altra: "Almeno la metà dei cittadini che sono venuti ai gazebo a firmare per mandare a casa Prodi non sono di Forza Italia ... ma tutti di tradizione liberale".

(29 novembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #12 inserito:: Gennaio 06, 2008, 11:45:57 pm »

6/1/2008 (7:35) - LA STORIA

Berlusconi s'inventa "Antigua 2"
 
Sette ville da sogno, in un unico complesso, comprate «per i parenti e i tanti amici».

E' dovuto accorrere, il giardiniere aveva sbagliato le piante

MARIA GRAZIA BRUZZONE
ROMA


E’ partito col suo aereo privato direttamente dalla Sardegna, insieme all’amico e vecchio sodale Gianni Gamondi, l’architetto paesaggista specializzato in complessi turistici, resort e ville da vip sparse per il mondo che lo ha introdotto in Costa Smeralda, ha realizzato per lui La Certosa e lo consiglia su tutto quel che riguarda le case: dagli investimenti alle piante da sistemare qua e là nei numerosi giardini.

Loro due, senza Veronica né altri che una pattuglia di scorta ridotta a tre uomini. Destinazione, le Piccole Antille, quella scia di isolette da sogno che corrono a Sud di Miami fin quasi al Venezuela. E’ andato a dare gli ultimi ritocchi alla sua villa di Antigua, l’ultima nata della serie, è stato detto. Il giardiniere avrebbe sbagliato appunto a scegliere certe piante, e lui voleva controllare di persona, si è addirittura precisato. Magari è andata proprio così. Ma l’impellente necessità di Silvio Berlusconi di correre fin laggiù, scavalcando l’oceano, per soli quattro giorni, potrebbe nascondere anche altri interessi, più corposi. Perché in realtà in quel meraviglioso Eden caraibico il Cav possiede non una ma ben sette ville.

Un numero ragguardevole che fa praticamente raddoppiare la sue residenze, ormai arrivate praticamente a 14. Le sei originarie, Macherio, Arcore, Portofino, La Certosa, unica sopravvissuta al patrimonio di 7-8 case vendute ad americani e russi negli anni scorsi. Più le due ville alle Bermuda, sempre lì nel Caribe, una delle quali per la figlia. Più la villona lacustre a Cernobbio, comprata di recente, che sta ristrutturando. Più queste sette di Antigua. E se il Cav dicesse di sì alla proposta dell’amico Vladimir Putin di acquistare una villa nel nuovo compound che sta sorgendo sul Mar Baltico, non lontano da San Pietroburgo (ci sta pensando) si arriverebbe a 15.

Perché sette ville ad Antigua? «Per i parenti e i tanti amici» è la spiegazione che dà uno che lo conosce bene e lo frequenta spesso, lì non è ancora stato ma assicura che si tratta di costruzioni basse, ben mimetizzate nella rigogliosa vegetazione di palme, mangrovie, buganvillee: nessun pugno nell’occhio (e ci mancherebbe). Certo, bisogna tener conto sia della famiglia che si va espandendo, tra figli e nipoti, sia della propensione del Cav per le ospitate, meglio se grandiose. Infatti, quando qualche anno fa aveva cominciato a guardarsi intorno ad Antigua, Berlusconi avrebbe messo gli occhi su una villona faraonica bella e pronta, ma nel gioco al rialzo (pare che la cifra si avvicinasse a 40 milioni di dollari) avrebbe poi avuto la meglio un gruppo americano.

Di qui la scelta di costruire ville multiple. Che è anche un bell’investimento nel comprensorio di superlusso che Gamondi - già autore ad Antigua di un resort per Krizia che oggi la stilista starebbe vendendo, e di un altra casa di un famoso calciatore - sta lanciando nel luogo più affascinante dell’isola: la Nonsuch bay di Emerald Cove. Una baia color smeraldo ad anfiteatro che si apre fra promontori, insenature, cale e calette. «Duemilaottocento chilometri di coste da sogno, una penisola collinare protesa verso il reef», la barriera corallina, recita il sito che reclamizza questa nuova Costa Smeralda dei Caraibi. Un sogno che Gamondi, il settantenne architetto dai baffetti candidi e dall’occhio sornione, coltiva dai primi Anni Novanta.

Lui che la Costa Smeralda contribuì a costruirla (Porto Rotondo è una sua invenzione) era attratto da qualcosa di nuovo e ancor più internazionale. Un luogo superappartato ed esclusivo, dove i ricchi del pianeta possono venire a svernare, a ritirarsi alle soglie della pensione sottraendosi alle sempre più invivibili metropoli o semplicemente a godersi il sole, la brezza dell’oceano e il mare di cristallo. Senza neppure le odiose tasse sul lusso care al governatore sardo Renato Soru. Anzi, Antigua è da sempre uno dei tanti paradisi fiscali segnalati dall’Ocse.

Il «paradiso nel pieno rispetto della terra», comprende naturalmente campo da golf con clubhouse con vista da urlo sulla baia, «Sailing Club» cioè club velico, Tennis Club, Club bar con piscina galattica. Le case immerse nel verde sono ariose, articolate da terrazze aperte sul mare, pareti mobili, patii interni, e usano molto i materiali autoctoni come il legno dei tetti a capanna coperti di shingles, tavole di sequoia disposte a doppio strato, come vuole la tradizione caraibica, che Gamondi alleggerisce usando molto il bianco, tessuti locali e arredi italiani. O schiarendo i preziosi legni locali sul bordo delle piscine a sfioro.

da lastampa.it
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« Risposta #13 inserito:: Febbraio 12, 2008, 09:31:56 pm »

POLITICA

Il Cavaliere cerca di tranquillizzare i vescovi con il richiamo ai valori cattolici

"Abolire l'Ici e dopo il voto larghe intese sulle riforme istituzionali"

Aborto, Berlusconi per la moratoria

"E l'Udc scelga, basta giochetti"

Cesa: gelosi dell'autonomia. Storace: mi candido a Roma


di GIANLUCA LUZI

 
ROMA - Un sì convinto alla moratoria sull'aborto, la conferma che dopo il voto si aprirà il dialogo con Veltroni sulle riforme e un duro ultimatum a Casini: "L'Udc scelga. Basta giochetti". La campagna elettorale di Berlusconi è cominciata. Martellante e trionfalista: "un bookmaker inglese dà la mia vittoria a 1,25 e quella di Veltroni a 3,50. - rivela al settimanale Tempi - Quindi io ho il triplo delle possibilità di vittoria rispetto al Pd". E per rassicurare i vescovi che corrono in soccorso di Casini in difficoltà, Berlusconi sposa un argomento a cui la Chiesa è estremamente sensibile.

Sulla scia della campagna cominciata da Giuliano Ferrara, anche Berlusconi fa propria la richiesta della moratoria all'Onu, come per la pena di morte. "Su queste materie la regola del nostro schieramento politico è la libertà di coscienza", premette il leader del Popolo della Libertà. Tuttavia "credo che riconoscere il diritto alla vita, dal concepimento alla morte naturale, sia un principio che l'Onu potrebbe fare proprio, così come ha fatto sulla moratoria per la pena di morte pur dopo un lungo e non facile dibattito".

Con questa presa di posizione Berlusconi cerca di tranquillizzare i vescovi preoccupati all'idea che l'Udc, partito che si richiama esplicitamente ai valori cattolici, abbia un ruolo marginale nel futuro Parlamento se non dovesse raggiungere un accordo con Berlusconi. Quella di Berlusconi vuole essere quindi una specie di garanzia avallata anche dal fatto che il Pdl, così come l'Udc, è nel Partito popolare europeo. A Berlusconi farebbe molto comodo avere il partito di Casini nel Pdl, ma naturalmente senza il simbolo dell'Udc. Altrimenti ognuno per conto proprio.

Ieri Berlusconi ha dato a Casini l'ultima chance: "La scelta spetta a loro. Conoscono quanto noi il sistema elettorale in vigore. Come noi fanno parte della famiglia europea del Ppe, così come anche l'Udeur che potrebbe rientrare nello schieramento moderato, così che oggi tutti i partiti italiani che sono nel Ppe stanno dalla stessa parte politica. La gente - avverte il Cavaliere rivolgendosi all'Udc - è stanca delle divisioni e dei giochetti politici di Palazzo. E le indicazioni unitarie che ci ha dato il nostro popolo negli ultimi due anni sono chiare, pressanti. Noi le rispetteremo e andremo avanti su questa strada, senza tentennamenti".

Immediata la risposta dell'Udc con il suo segretario Cesa: "Concordo pienamente con Berlusconi: è ora di finirla con i giochetti. L'Udc - prosegue Cesa - è disponibile ad una alleanza vincolante e programmatica con il centrodestra, nel rispetto della propria autonomia e identità. Ci dispiacerebbe - conclude - se questa convergenza non si realizzasse, ma non sarà certo per colpa nostra". In concreto sembra di capire che le posizioni non si avvicinano: l'Udc non è disposto a rinunciare al simbolo, come invece ha fatto Fini con An.

Casini è a un bivio. Se va da solo alle elezioni rischia l'esplosione di quella metà del partito che teme il flop elettorale. Se entra nel Pdl - ipotesi che però sembra molto improbabile - perderebbe per strada la cassaforte elettorale della Sicilia perché Cuffaro resta "ma solo con il simbolo dell'Udc". Giovedì si riunisce la Direzione del partito e sarà il momento di prendere una decisione definitiva. Ma l'altra partita senza esclusione di colpi che si gioca nel centrodestra è quella con Storace.

La Destra vorrebbe entrare ma con il simbolo e la cena di Arcore non ha avvicinato le posizioni. Storace - se dovesse andare da solo - minaccia una campagna elettorale contro Berlusconi e Fini a colpi di slogan del tipo: "Attenti a quei due". E i toni contro il Pdl ieri si sono inaspriti: "E' una lista cinica, che punta al potere. Ma se non si fidano di noi non possono chiedere i nostri voti. No Martini, no party. No simbolo, no voti...". Perfino Daniela Santanché mette da parte la sua grande amicizia con il Cavaliere per bollare il Pdl: "Berlusconi e Fini sono la chimica della politica, noi siamo la passione".

(12 febbraio 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #14 inserito:: Febbraio 16, 2008, 11:25:56 pm »

«Mi battei perchè rimanesse, Ma lui e Santoro fecero uso indebito della televisione»

Berlusconi: Biagi lasciò per liquidazione

Le figlie: «Ignominia. Lasci stare i morti»

La versione del Cavaliere: «Prevalse il suo desiderio di poter essere liquidato con un compenso molto elevato».

Polemiche


MILANO - «Mi sono battuto perchè Enzo Biagi non lasciasse la televisione, ma alla fine prevalse in Biagi il desiderio di poter essere liquidato con un compenso molto elevato». Lo ha detto Silvio Berlusconi, 
Silvio Berlusconi durante la registrazione di Tv7 (Ansa)
nel corso di Tv7. Il leader del Pdl, Silvio Berlusconi, è tornato o a parlare del cosiddetto «editto bulgaro». «Io non ho detto "cacciate Biagi e Santoro" - ha aggiunto - ma mi sono sempre scagliato contro l’uso improprio della tv. Se le forze dell’ordine hanno delle armi, queste servono per garantire l’ordine, se poi si spara alla gente è farne un uso improprio».

«LASCI STARE I MORTI» - Una «ignominia», una «falsità» contraddetta da carte che possono documentare tutto: così Bice e Paola Biagi, le figlie di Enzo, hanno commentato le dichiarazioni di Silvio Berlusconi, dicendosi «letteralmente indignate» «La moralità di nostro padre non si può discutere - dicono all'unisono Bice e Paola - è documentata. È stato un partigiano che ha avuto la schiena dritta dal '45, e non solo con il signor Berlusconi, e per questo ha pagato. Berlusconi deve farla finita, deve stare zitto e non strumentalizzare un morto che non può rispondere per la sua campagna elettorale». Le due figlie di Biagi, che proprio stasera festeggiano i vent'anni di due loro nipoti, («e a tutto pensiamo - dicono - tranne che a Berlusconi, grazie a Dio»), aggiungono poi di voler «seguire il consiglio del presidente Napolitano, che era amico di nostro padre, e che invita a smorzare i toni. Continueremo con la stessa discrezione che abbiamo avuto finora ma Berlusconi deve smetterla di dire falsità. Piuttosto dovrebbe istruirsi un pò e leggere per esempio "Le mie prigioni" così da capire che ad attaccare un morto si fa un danno soprattutto a se stessi». Proprio Paola in queste settimane sta curando il carteggio del padre: «quando sarà pubblico - conclude - si vedrà chi ha ragione e chi si è sempre comportato con dignità e moralità».

GIULIETTI: «PROFANA MEMORIA DI UN GRANDE» - «Il leader della destra Berlusconi ha di nuovo profanato la memoria di un grande del giornalismo libero italiano, Enzo Biagi. Fu proprio lui, da presidente del Consiglio, a Sofia, a decretarne la cacciata dalla Rai, e ora vorrebbe accreditare una versione degna del più incallito negazionista e revisionista storico». Lo afferma Giuseppe Giulietti, deputato del Pd. «No, onorevole Berlusconi! Biagi non si fece comprare l'anima e il silenzio per una manciata di soldi nè fece mai un uso criminoso della Rai, insieme a Santoro, Freccero e Luttazzi».

«VERGOGNA INAUDITA» - «Le parole di Berlusconi su Enzo Biagi sono una vergogna inaudita». Lo afferma Gianni Montesano, responsabile comunicazione del Pdci. «Un'offesa alla memoria di uno dei più grandi giornalisti del nostro tempo - aggiunge - che fu estromesso dalla Rai quando il Cavaliere era il re sole della tv». «La sua volgare aggressività dovrebbe far riflettere il Pd sul conflitto di interessi e il sistema delle tv in Italia. Ma chi pensa già a inciuci bipartisan - conclude Montesano - non può certo avere queste priorità».


15 febbraio 2008

da corriere.it
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