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Autore Discussione: PARTITO DEMOCRATICO (dopo il voto).  (Letto 22049 volte)
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« inserito:: Aprile 18, 2008, 02:18:38 pm »

POLITICA

IL VOTO DEGLI ITALIANI.

Walter Veltroni, segretario del Partito Democratico

"Non ho alcuna difficoltà a parlare di sconfitta, ma la mia missione era difficilissima"

"Dal Pd opposizione senza sconti non daremo tregua a Berlusconi"

"Abbiamo perso per l'eredità negativa del governo Prodi"

di MASSIMO GIANNINI

 

ROMA - Segretario, in questo amaro day-after elettorale c'è una parola chiave che lei non ha ancora pronunciato.
"Qual è?"

È la parola "sconfitta".
"Io non ho alcuna difficoltà a parlare di sconfitta. Ma attenzione. La sconfitta c'è stata nella sfida per il governo: ero il primo a sapere che questa era una missione difficilissima, che non era certo facile vincere in soli quattro mesi invertendo una tendenza negativa consolidata in due anni. Ma se guardiamo alla costruzione di una grande forza riformista, allora non si può proprio parlare di sconfitta: è stato un miracolo, perché oggi quella forza ha recuperato più di 10 punti, esiste ed è finalmente una realtà del Paese".

Ma è una "realtà" che Berlusconi ha oscurato, nonostante l'ottima campagna elettorale che ha fatto lei. Si ricorda la lezione di Nenni sulle "piazze piene e le urne vuote"?
"Piazze piene ne ho avute, eccome. Ma ho avuto piene anche le urne: ora il Pd ha una forza impensabile fino a sei mesi fa...".

Ma il Pdl ha ottenuto alla Camera oltre 17 milioni di voti, circa 3,5 milioni in più del Pd e dell'Idv.
"Dal voto è confermata la forza della destra, con un radicamento in molti strati dell'opinione pubblica. Ma mi faccia dire che è emerso anche il Pd, che ha ottenuto oltre 12 milioni di voti, il livello più alto dal '96, e una percentuale che per un partito del centrosinistra è la più alta nella storia repubblicana".

D'accordo. Ma non si può accontentare di aver ottenuto 160 mila voti in più. Il Nord si conferma off limits, e anche al Sud voi guadagnate solo 1 punto, e il Pdl ne guadagna 15. Come mai?
"Il Pd è andato molto bene nelle zone urbane e nei capoluoghi di provincia. A Torino siamo cresciuti del 6,6%, a Milano del 9,1%, a Venezia del 6,9, a Genova del 6,3%, a Bologna del 6,8%, nelle aree del Nord-Est siamo il primo partito. Anche al Sud a Napoli il Pd è cresciuto del 5,4%, a Palermo del 7%. Al contrario, abbiamo sofferto nelle aree più diffuse e periferiche, e qui pesano fattori sociali e politici".

Dica la verità: non hanno pesato anche le candidature imposte da Roma? Non è stata un'illusione pensare che con Calearo si risolveva la Questione Settentrionale?
"No, sulle candidature non abbiamo proprio nulla da rimproverarci. Finalmente competenze ed esperienze sociali, e abbiamo raddoppiato il numero delle donne e dei giovani".

Allora perché, da questo voto, il centrosinistra esce di nuovo minoranza in Italia?
"Abbiamo perso per due ragioni di fondo. La prima ragione riguarda il Paese. La società italiana è fortemente attraversata da un sentimento di insicurezza, per esempio rispetto al fenomeno dell'immigrazione, e di paura per un possibile peggioramento delle condizioni di vita. Il voto riflette questo bisogno di protezione, che non a caso ha premiato soprattutto la Lega. Noi, in quattro mesi di campagna elettorale, abbiamo capovolto i ruoli, presentandoci come una grande forza di modernizzazione. Ma nel Paese, evidentemente, ha prevalso un istinto di difesa e di conservazione, di cui la destra si è fatta interprete. Dobbiamo aprire una grande riflessione sui mutamenti della società italiana, chiamando a raccolta le energie e le competenze migliori. È uno dei nostri primi impegni".

Vuol dire che non avete sbagliato voi, ma hanno sbagliato gli elettori?
"Non ho detto questo. Ma certo non posso nascondere una certa inquietudine per il fatto che un candidato premier che attacca il Capo dello Stato, sostiene che i magistrati devono fare un test di sanità mentale, dice che Mangano è un eroe, definisce grulli tutti quelli che non votano per lui, ottiene un consenso così vasto. Ci sono alcuni punti fermi, senza i quali una democrazia non è più tale. E allora mi chiedo: dov'erano i liberali, quando Berlusconi diceva che Mangano è un eroe? Dov'erano tutti i pensatori illuminati, che continuano giustamente ad occuparsi del '56, quando Berlusconi strappava il programma del Pd?".

Toccava a voi convincerli. Come toccava a voi convincere i moderati, senza rinnegare i valori della laicità.
"Su questo, con tutto il rispetto, vorrei dire una parola anche sulla Chiesa: mi sta benissimo che si intervenga con passione su temi come il testamento biologico, ma forse la battaglia su certi valori fondanti della democrazia andrebbe fatta con la stessa intensità con la quale si combatte quella per i temi etici. Noi, ora, quella battaglia vogliamo farla fino in fondo, anche a costo di ritrovarci al nostro fianco solo un terzo del Paese".

Mi permetta di dirglielo: lei così non ripete l'errore del vecchio Pci berlingueriano, rinchiuso nel mito della diversità come valore in sé? Invece che la critica sul voto, non è più utile l'autocritica?
"No, guardi, semmai noi ormai abbiamo il vizio opposto, che è quello di dare sempre e prima di tutto la colpa a noi stessi. Dovremmo, solo su questo, prendere esempio da Berlusconi, che ha già perso due volte, senza mai fare lo straccio di un'autocritica, ed è sempre andato avanti per la sua strada".

Mi spieghi la seconda ragione per la quale avete perso.
"La seconda ragione riguarda noi stessi. Il nuovo centrosinistra, che noi abbiamo rilanciato con un atto fondativo senza ritorno, la creazione di un grande partito riformista che ha rotto con le vecchie alleanze e si è presentato da solo agli elettori, ha dovuto combattere con l'immagine negativa del vecchio centrosinistra. Negli strati profondi della popolazione i lasciti della vecchia maggioranza hanno finito per essere solo due: troppe tasse, troppi veti incrociati. Questo pregiudizio, alimentato ad arte dalla tv e appesantito dal disastro dei rifiuti e dalla crisi dell'Alitalia, ci ha impedito di coronare con successo la rimonta. In campagna elettorale abbiamo fatto scelte dirompenti, e pronunciato parole di innovazione mai ascoltate prima a sinistra: sul fisco, sulla sicurezza, sulla certezza della pena, sulla fine della cultura dei veti. Ma in soli quattro mesi, evidentemente, i nostri messaggi non hanno prodotto un accumulo sufficiente presso l'elettorato. Avremmo avuto bisogno di più tempo...".

Lei sta dicendo quindi che avete perso per colpa dell'eredità del governo Prodi?
"Io su Prodi continuo a distinguere. C'è un Prodi uomo di Stato, uno dei più grandi che la storia repubblicana abbia conosciuto. E c'è la vecchia maggioranza, che in questi due anni ha scontato, suo malgrado, una caduta oggettiva di consensi, dall'indulto alla prima Legge Finanziaria.
Prodi, e noi con lui, abbiamo pagato una conflittualità permanente dentro una coalizione paralizzata dalla cultura dei no. Ecco perché i partiti della ex Unione hanno ottenuto risultati pessimi. Ma guarda caso, tutti tranne uno: il Pd. È questo, oggi, che mi fa dire che la nostra scelta di discontinuità è stata giusta, e che il nostro coraggio è stato premiato. Se domenica scorsa ci fossimo ripresentati agli elettori con l'assetto del 2006, oggi saremmo stati travolti da uno tsunami dal quale il centrosinistra non si sarebbe mai più ripreso".

Giusto. Ma uno tsunami c'è stato lo stesso. La Sinistra Arcobaleno non esiste più. Colpa vostra, dicono da quelle parti.
"La tragedia elettorale che ha portato la Sinistra Arcobaleno fuori dal Parlamento non è una buona cosa per la nostra democrazia. Ma loro scontano due errori, e fingere di non vederli mi sembra quasi altrettanto grave che addossare al Pd le colpe per la loro scomparsa. Il primo errore è stato quello di aver bombardato fin dal primo giorno il governo Prodi: la prova sta già in quegli oltre 100 tra ministri e sottosegretari con i quali è nato quell'esecutivo. Il secondo errore è riassunto nelle parole di Bertinotti al suo giornale, quando il 4 dicembre 2007 dichiarò testualmente "è fallito il progetto del governo" e definì Prodi, con le parole di Flaiano su Cardarelli, "il più grande poeta morente"...".

Solo questo? La Sinistra Arcobaleno non ha pagato anche la campagna sul voto utile, la cannibalizzazione del Pd?
"Ma quale cannibalizzazione? La Sinistra Arcobaleno non ha capito la società moderna. Vuole una prova? Quando lanciai la mia campagna sulla sicurezza, e dissi che non è né di destra né di sinistra, l'estremismo di "Liberazione" li portò ad accusarmi di fascismo. Ecco cosa hanno pagato. Il non aver capito che soprattutto negli strati più popolari c'era un bisogno crescente di protezione. Il non aver capito che occorrevano decisioni forti sul Welfare, sui rifiuti, sulla Tav, e che la cultura del no ci avrebbe portati alla rovina".

E adesso che succede? Riaprirete il dialogo con la sinistra ormai extraparlamentare?
"Al dialogo siamo sempre pronti. Le dirò di più: in Parlamento, come forza riformista, cercheremo di rappresentare anche le culture presenti alla nostra sinistra. Ma indietro non si torna. Discuteremo con loro, ma non saremo mai loro".

Che mi dice di Casini? Ieri vi siete visti: farete l'opposizione a Berlusconi insieme?
"La rottura dell'Udc con Berlusconi è stata tardiva, purtroppo. Se dopo la caduta di Prodi avessero detto sì a un governo Marini per le riforme, oggi la storia sarebbe diversa. Anche loro portano una grande responsabilità, per quello che è accaduto. Nonostante questo, il dialogo con Casini sarà molto serrato. Dovrà essere un nostro sforzo nei prossimi mesi, a partire dalla condivisione dell'opposizione".

Ancora una volta vi aspetta la lunga traversata nel deserto. Siete preparati?
"Faremo un'opposizione molto forte. Berlusconi non si illuda: non gli faremo sconti, e il nostro fair play in campagna elettorale non ci impedirà di alzare la voce, ogni volta che vedremo violati o messi a rischio i valori costituzionali che ho indicato nella lettera-appello lanciata prima del voto. Faremo un'opposizione riformista, dura ma non ideologica. Vigileremo sul rispetto delle regole. Incalzeremo il futuro premier sulla montagna di promesse che ha seminato in campagna elettorale, dall'abolizione dell'Ici a quella dell'Irap. E stavolta non finirà come ai tempi del contratto con gli italiani, che il Cavaliere ha disatteso all'85%. Il governo-ombra servirà anche a questo. Non so quanto durerà Berlusconi, ma so che la crisi economica morderà in modo drammatico, e vedo già che le prime crepe stanno uscendo fuori. Faremo in modo di far esplodere le contraddizioni, che ci saranno, su questo non ho dubbi. La Lega avanza già pretese esorbitanti. Questo creerà grandi tensioni, anche a Nord".

Insomma, il Veltrusconi è morto e sepolto?
"Non è mai esistito. Faremo una battaglia senza quartiere, sui valori e sulle politiche, La nostra idea di società resta radicalmente diversa dalla loro".

In questo clima che fine fanno le riforme? Per ora il Cavaliere sembra disponibile al dialogo...
"Finora non l'ho visto né sentito. Se il futuro premier ritiene utile e opportuno parlare con il leader dell'opposizione, la linea del mio telefono è sempre libera. Ma se invece fa eleggere Schifani presidente del Senato, Fini presidente della Camera e Tajani commissario Ue, allora comincerà un altro film. L'Italia ha bisogno di ritrovare equilibrio istituzionale e serenità".

La sfida di Rutelli a Roma può essere la prima occasione di rivincita, secondo lei?
"Roma è cambiata enormemente in questi 15 anni. E' una città che cresce in economia e occupazione molto più del resto del Paese. È una città che ha in corso una trasformazione paragonabile a quella delle altre metropoli europee. È un bene che questa ispirazione continui. Ed è un bene che ci sia un sindaco, come era capitato a me, di un colore politico diverso da quello del premier, perché questo è utile alla dialettica democratica del Paese".


(18 aprile 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #1 inserito:: Aprile 18, 2008, 05:52:02 pm »

Caro Walter continua a lottare

Giovanni Bollea


Caro Walter,

oggi dopo la sconfitta, io sono tranquillo, se penso che il Partito Democratico chiude un secolo di storia molto discutibile.

Un secolo pieno di difficoltà, che iniziava con la caduta della destra - sconfitta nel 1905/1910 con Giolitti, mai più ricostruita come forza vera moralmente accettabile, chiusa più che mai nel suo impegno neo-industriale e priva ormai del vero spirito morale di una destra-guida - per continuare con la lotta di Aldo Moro e della sua corrente, nella difficile marcia tra Vaticano e sinistra social-comunista.

Io ho vissuto tutto il dramma, ma ad latere, chiuso in forma ossessiva nella mia Neuropsichiatria infantile, che dal 1945 non ho mai abbandonato. Ma, sul piano politico, potevo liberamente pensare, attendere, soffrire, e sperare.

Il tuo partito per me risolve dunque un’epoca e raggiungerà quella sintesi in cui speravo, ma che mi sembrava troppo coraggiosa in un’Italia che trattiene ancora in sé due anime positive controverse e una destra vera.

Ecco perché ha vinto una destra che non è una destra! E ha perso una sinistra che non è una sinistra armonica; intelligente sì, ma a cui i propri ideali non sono del tutto chiari.

Conclusione: il Pd per la nazione Italia, che ha in sé due grandi verità in contrapposizione politica più che ideale, doveva ancora progredire. Il Pd è il vero partito che vince e porta alla vittoria quella ricchezza contraddittoria italiana, rispetto agli altri Paesi, stretta tra Vaticano e mondo del lavoro. Vaticano e spirito di attività e di volontà di dare, che è proprio del mondo impiegatizio-operaio. Ma che la destra italiana non ha mai saputo capire nel suo lato positivo.

Bisogna riflettere molto su questo punto, su ciò che è stato il dramma stesso della mia vita, che ho saputo sublimare solo nel dare al mondo scientifico della Neuropsichiatria infantile.

Dai miei 95 anni vedo una prossima vittoria tua e del tuo partito, se sarà capace di comprendere meglio il dramma positivo e negativo del secolo passato.

La morale, per me, è nelle parole di mio padre che, portandomi a vedere a 8 anni la casa del Lavoro di Torino, che i fascisti avevano bruciato, mi chiedeva di non dimenticare. Da quel tragico fuoco è nata tutta la mia lotta psicologica e politica.

Tu, invece, che sei così giovane, lotta e non rinunciare. Sei riuscito a ridurre l’enorme frammentazione a 2-3 partiti. Hai fatto un lavoro straordinario e stupendo.

Ricordo ancora il tuo discorso nei giorni in cui eri diventato Sindaco di Roma: «...Ma io rimarrò in questo settore», quando ti risposi: «Sei troppo giovane per decidere della tua vita». La frase che forse ti sembrò molto sibillina voleva dire: vai avanti e credi in quello che fai cocciutamente, ogni volta che decidi qualcosa.

Sono sicuro che le tue idee, come supporto al tuo coraggio di costruire e prendere la guida del Partito Democratico, saranno la tua grande vittoria: un irrinunciabile plus valore per il nostro Paese.

Un giorno, scherzando, ho detto a Fassino che volevo essere il numero 12 del Partito, perché lasciavo il posto agli altri undici molto più importanti di me! Ed ora, a parte le battute, mantengo in forma ideale questo mio desiderio. E avendo avuto la grande fortuna di captare le verità essenziali dei tuoi discorsi, ti dico: continua.

Il Pd, come inizio di un’armonica costruzione fra le necessità e gli ideali italiani in una visione europea, deve continuare perché l’Italia è la nazione più ricca di contrasti, ma è depositaria di un vastissimo bacino di insospettabili, costruttive qualità caratteriali e culturali.

La sconfitta deve quindi insegnare a capire molto di più di quanto è giusto, per discutere, costruire e proporre il giusto all’Italia che tutt’ora si interroga.

Buon lavoro.


Pubblicato il: 18.04.08
Modificato il: 18.04.08 alle ore 14.43   
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« Risposta #2 inserito:: Aprile 19, 2008, 04:36:19 pm »

Il partito democratico dopo il voto

Pd del Nord, «modello Cofferati»

No di Veltroni a due partiti autonomi. Cacciari: «Sergio capo? Una barzelletta»

 
 
ROMA — Un Pd del Nord, quasi una Lega «democrat» che copra l'area della Padania e aiuti Veltroni a risalire la china. È la nuova frontiera del Loft, la questione che appassiona e divide le varie anime del partito dopo la sconfitta. Una discussione bifronte, con un lato «cofferatiano » che non dispiace al segretario e un altro che invece lo allarma. Il progetto di Sergio Cofferati è una «macroarea» che unisca Emilia Romagna, Triveneto, Lombardia, Piemonte e Liguria. Non un partito federato col Pd, ma un Pd federale. E qui sta la differenza con l'altra proposta, l'«atto di coraggio» chiesto a Veltroni da Ezio Mauro su Repubblica: «Andare da un notaio e firmare l'atto di nascita del Pd del Nord, federato al partito nazionale, con il sindaco di una grande città come segretario».

Nel Pd se ne parla, ma Veltroni non è in sintonia con l'idea di due partiti autonomi, da cui conseguirebbe una doppia leadership e il relativo dimezzamento della sua segreteria. Piuttosto, è la linea del Loft, urge lavorare al radicamento sul territorio e per cominciare lunedì Veltroni riunirà a Milano i segretari regionali. Il modello che Enrico Morando indica è quello del Carroccio: «Le camicie verdi sanno offrire soluzioni ai problemi sollevati dai loro elettori ».

Massimo Cacciari rivendica la paternità dell'idea, «sono 15 anni che predico il Partito del Nord...», ma a sentire il sindaco di Venezia il problema è del Lombardo-Veneto quindi l'Emilia Romagna non c'entra niente. E Cofferati leader? «Una barzelletta ». La battuta non proprio affettuosa di Cacciari rivela le tensioni innescate nel Pd dalla questione nordista. Sul Riformista il professore dalemiano Roberto Gualtieri ammonisce il segretario. Lo invita a cimentarsi con una «seria analisi» del voto e sottolinea «la fragilità del risultato del Pd».

Dalla Puglia il sindaco Michele Emiliano respinge come «eresia» un Pd del Nord mentre Pierluigi Bersani, che a detta di alcuni avrebbe le carte in regola per guidarlo, vede con favore un partito «federale, popolare e presente nel territorio».

Veltroni intanto lavora agli organigrammi, incontra Arturo Parisi e Rosy Bindi e medita di ridisegnare l'esecutivo: fuori qualche giovane leva e dentro i big nazionali. A Viterbo un siparietto tra Beppe Fioroni e Massimo D'Alema fa luce sullo scontro in atto per i ruoli chiave. La presidenza del Pd? «Se Marini si candida io lo voto», butta lì il vicepremier uscente. E Fioroni, che forse fiuta la trappola: «Non sono io che lo propongo, basta chiederglielo».

Monica Guerzoni
19 aprile 2008

da corriere.it
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« Risposta #3 inserito:: Aprile 21, 2008, 05:27:20 pm »

Veltroni: Pd è nazionale. No al modello leghista


Il Pd deve radicarsi sul territorio senza perdere la sua vocazione nazionale e ripartire dal Nord per rilanciare una proposta politica nuova, ma senza cedere alle lusinghe delle "sirene" autonomiste. Sono queste le posizioni con cui dovrà fare i conti Walter Veltroni, nell'incontro che avrà a Milano con tutti i segretari regionali per fare un primo bilancio del voto e decidere le strategie per proseguire con la costruzione del partito.

Nessun Pd "in salsa leghista", insomma, anche se gli amministratori del Nord continuano a chiedere maggiore attenzione e più autonomia nei loro territori. Sono queste le posizioni con cui dovrà fare i conti Veltroni. A Milano, la "capitale" del Nord, (scelta «simbolica», come spiega Ermete Realacci) la questione settentrionale sarà uno dei temi caldi sia per l'analisi dei risultati elettorali, sia per le prospettive future del partito. In attesa dei tre seminari al Nord, al Centro e al Sud, che sta mettendo a punto Goffredo Bettini, per approfondire i risultati regione per regione, i "nordisti" del Pd intanto insistono sul fatto che proprio da lì si debba ripartire.

La proposta di Sergio Cofferati di un partito federale, basato sulle macroregioni, pur bocciata dallo stato maggiore del Pd, continua a far riflettere. Sono scesi in campo i piemontesi, l'ex segretario dei Ds Piero Fassino e il sindaco di Torino Sergio Chiamaparino. Entrambi a sottolineare la necessità che il cambiamento passi prima di tutto attraverso il «rinnovo della classe dirigente» che, dice Fassino, deve essere «capace di rappresentare davvero» quell'area del Paese e allo stesso tempo «deve pesare in modo forte anche sul piano nazionale». Fassino però chiarisce che al Nord il Pd ha tenuto, e che si deve fare attenzione a non darne un'immagine «di terra straniera dove il Pd è estraneo».

Nessuno tuttavia (compreso Cofferati), sembra volersi autocandidare alla guida di un'eventuale struttura del partito per il Settentrione. Disponibili a offrire il proprio contributo, «se sarà necessario» è la formula. Il partito del Nord, comunque, non piace a chi, come Pierluigi Bersani, era stato indicato come il suo leader naturale: «Quando un partito è del territorio, è del Nord al Nord, del Centro al Centro e del Sud al Sud - spiega il ministro uscente dello Sviluppo Economico - non c'è bisogno di inventarsi tante altre cose». Anche perché, avverte Marco Follini, a parlare di Pd del Nord si rischia la «sudditanza culturale verso il leghismo imperante».

Decentrare, insomma, può essere utile, ma a patto che non si cada nella «lottizzazione geografica del partito». Meglio allora, come suggerisce Massimo Calearo, eletto nel Pd proprio come rappresentante di quella parte del Paese, «ascoltare di più i problemi della gente», perché, spiega, «dove lo abbiamo fatto il Pd è cresciuto».

Pubblicato il: 21.04.08
Modificato il: 21.04.08 alle ore 10.38   
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« Risposta #4 inserito:: Aprile 22, 2008, 12:29:35 pm »

Veltroni: « Il Pd avrà un doppio coordinamento, sia al Nord che al Sud»
 

Il Partito democratico ha deciso di organizzare un coordinamento del Nord e uno del Sud tra i segretari regionali, i sindaci delle città principali e i presidenti delle Regioni e delle Province. È stato Walter Veltroni ad annunciarlo dopo la riunione tenutasi a Milano di tutti i segretari regionali del Pd.
«Ci sarà un coordinamento - ha spiegato il segretario - che promuova le iniziative politiche al Nord su temi programmatici». Proprio al Nord, soprattutto nelle metropoli, Veltroni ha parlato di un risultato elettorale positivo da cui partire.

«C' è bisogno di strutturarsi meglio, ma non è una questione organizzativa - ha sottolineato - non spezzetteremo il partito». Ci sarà dunque un coordinamento che inizierà a lavorare già nelle prossime settimane.

Veltroni ha precisato che un analogo coordinamento dovrà realizzarsi anche per il Sud.

«Più che ad una soluzione di tipo organizzativo che riproducesse un apparato, un ulteriore elemento di pesantezza - ha aggiunto Goffredo Bettini - come partito federalista abbiamo ritenuto più utile mettere in rapporto tra di loro le realtà regionali di volta in volta.

Veltroni apre ai centristi: «Partiamo da una grande forza che se farà opposizione in maniera intelligente, se costruirà i rapporti con altre forze, e penso all'Udc, ci sarà la possibilità di far ripartire la sfida riformista».

Quanto al tema il segretario Pd lancia un affondo al primo cittadino di Milano, dopo che Letizia Moratti aveva espresso critiche su questo terreno. «Mi ha colpito la mancanza di stile del sindaco Moratti. Sulla sicurezza abbiamo fatto grandi passi avanti. Il partito della Moratti - ha ricordato Veltroni - ha votato a favore dell'indulto e ha dato l'autorizzazione a centinaia di persone di entrare nel nostro Paese senza alcun controllo». Le polemiche innescate da due recenti episodi di violenza sessuale fanno dire a Veltroni: «non capisco perchè se un caso di violenza sessuale avviene a Roma è colpa dell'amministrazione locale mentre se avviene in qualsiasi altra città è colpa del Governo».

Secondo il leader del centrosinistra molte responsabilità vanno individuate nella legge Bossi-Fini. E il vero problema, considera, è quello di «riuscire a garantire l'accoglienza e la legalità». Veltroni si dice colpito da questo uso politico di «bruttì fatti di cronaca, nei quali alla fine nessuno più parla delle donne violentate. Si sta attenuando l'attenzione».

 
da ilsole24ore.com
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« Risposta #5 inserito:: Maggio 07, 2008, 01:14:08 am »

6/5/2008
 
Il Pd e il Sud che cambia casacca
 
FRANCESCO RAMELLA

 
Non ha tutti i torti Veltroni quando ricorda che per il Pd esiste anche una questione meridionale oltre a quella settentrionale. Bastano pochi dati per rendersene conto. Nel 2006 alla Camera l’Unione aveva ottenuto la maggioranza relativa dei voti in 22 province del Sud su 41. Nelle elezioni di due settimane fa, invece, la mini-coalizione guidata da Veltroni ha prevalso solo in 9. In tutte le altre si è affermata quella guidata da Berlusconi. La forbice tra i due schieramenti si è notevolmente ampliata. Nelle province già in mano al centro-destra il vantaggio è salito, in media, a 18 punti percentuali (era di Fico. In quelle che sono «passate di mano» lo scarto si aggira intorno all’8%. Parte di queste variazioni sono da attribuire alle scelte di coalizione compiute da Veltroni. Parte ad un risultato tutt’altro che brillante dello stesso Pd. Mentre a livello nazionale il nuovo partito registra un leggero aumento, nel Sud ciò avviene solamente in tre regioni su otto (Basilicata, Puglia e Sardegna). La geografia del voto mostra un andamento piuttosto diversificato: in 23 province i democratici perdono consensi (i voti validi in media calano del 2,5%), nelle altre 18 li aumentano (in media dell’1,3%).

Una lettura in chiave socio-territoriale aiuta a capire qualcosa di più. Nel Mezzogiorno il Pd ottiene performance migliori nelle province più prospere e relativamente industrializzate. Per converso, il Popolo delle libertà penetra facilmente nelle aree meno sviluppate e con elevati tassi di disoccupazione. È qui che lo scarto tra le due coalizioni si allarga. Aggiungiamo altri due elementi: 1) ben due terzi delle 13 province che sono passate al centro-destra si collocano in territori economicamente deboli; 2) il Pd registra flessioni maggiori nelle province che negli ultimi anni hanno perso posizioni nella graduatoria del reddito pro-capite.

Naturalmente sarebbe sbagliato trarre da queste indicazioni deduzioni troppo stringenti. E tuttavia i dati suggeriscono alcune congetture. La prima riguarda la persistente fluidità politica del Mezzogiorno. Dagli Anni 90 le regioni meridionali sono state le più aperte sotto il profilo della competizione elettorale, facendo registrare non pochi cambiamenti da un’elezione all’altra. Nel 1996 il centro-sinistra deteneva la maggioranza in 6 regioni su 8 (considerando i risultati all’uninominale della Camera). Nel 2001 solamente in 2. Nel 2006, con un sistema elettorale diverso, aveva riconquistato la maggioranza in ben 6 regioni. Oggi il pallottoliere ne conta nuovamente due. La reversibilità delle vittorie e delle sconfitte appare dunque uno dei tratti ricorrenti della Seconda Repubblica-vista-dal-Sud. Va anche tenuto presente che oggi, nella stragrande maggioranza delle province del Mezzogiorno (30 su 41), la consistenza dei «voti marginali» (dati ai terzi partiti) oltrepassa ampiamente lo scarto esistente tra le due coalizioni maggiori. Questa apertura competitiva segnala che in molte zone non si è ancora prodotta un’«elezione critica»: cioè un riallineamento fondamentale delle opzioni elettorali che decide per vari anni i rapporti di forza tra i partiti.

Come abbiamo visto sono soprattutto i territori più deboli ad avere cambiato «casacca politica». Evidentemente il centro-destra è risultato più abile (in un certo senso più credibile) nell’intercettare le domande di protezione e di assistenza che vengono dalle aree e dai ceti sociali in difficoltà. E tuttavia sarebbe sbagliato liquidare la questione in maniera così riduttiva. La volatilità elettorale di queste zone ci racconta una storia più complessa. Ci dice che i vari schieramenti che si sono fronteggiati negli ultimi quindici anni non sono riusciti a consolidare una maggioranza politica intorno a un credibile progetto di sviluppo per il Sud. Se è vero che la questione settentrionale ha spesso rubato la scena a quella meridionale, è anche vero che le due questioni hanno finito per confondersi una nell’altra. La ricetta che le risolverebbe entrambe è la stessa: una forte strategia nazionale di sviluppo, capace di radicamento locale e regionale. Perché è dai territori, dalla loro energia e dalla loro varietà, che l’Italia trae le sue risorse migliori.
 
da lastampa.it
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« Risposta #6 inserito:: Maggio 13, 2008, 08:20:38 am »

11/5/2008
 
I desideri delle due Italie
 
LUCA RICOLFI

 
Il Partito democratico è alla ricerca di un’identità. Brutto guaio, per un soggetto nuovo, perché non avere un’identità precisa fa sì che tutti si sentano autorizzati a suggerirgliene una. C’è chi lo vorrebbe più laico, e a tale deficit di laicità attribuisce la sconfitta. C’è chi lo vorrebbe più socialista, e invoca l’adesione al Partito socialista europeo. C’è chi lo vorrebbe più liberale, e teme che un partito figlio di due genitori illiberali come il Pci e la Dc sia destinato a restare per sempre un «legno storto». C’è chi lo vorrebbe più antiberlusconiano e meno populista, e registra mestamente l’inesorabile berlusconizzazione di Veltroni. C’è chi si accontenterebbe che il Pd si ricordasse, ogni tanto, di essere un partito di sinistra, o quantomeno di centro-sinistra. C’è, infine, chi sembra pensare che l’identità di un partito si definisce attraverso le sue future alleanze, e così fa infuriare l’ex ministro Di Pietro: «È come se uno si mettesse a cercare moglie prima di aver capito se è un maschio o una femmina».
Forse Di Pietro non ha tutti i torti. Il Pd può darsi l’identità che vuole, progettare le alleanze che preferisce, sognare le politiche che desidera, ma nel frattempo non sarebbe male cercare di capire quali sono i gruppi sociali che di fatto guardano al Pd, e confrontarli con i gruppi sociali che gli preferiscono il Pdl.

Questa operazione non è ovviamente in grado di suggerire una nuova identità al Pd, ma almeno permette in dire qualcosa sulla sua identità attuale.
Ebbene, se si compie questa analisi si scopre che i gruppi che preferiscono la coalizione di Veltroni (Pd + Idv) sono i pensionati, i dipendenti pubblici, i dipendenti privati con contratto a tempo indeterminato, i laureati e diplomati, gli studenti. I gruppi che preferiscono la coalizione di Berlusconi (Pdl + Lega) sono invece le casalinghe, gli autonomi, i giovani che lavorano, i precari, i disoccupati, le persone con meno anni di studio. Che cosa distingue queste due Italie?

La frattura sociale fondamentale, come aveva intuito già trent’anni fa Asor Rosa, non è tanto fra alto e basso, ma essenzialmente fra garantiti e non garantiti. Chi è dentro la società delle garanzie guarda al Pd, chi nuota nella società del rischio guarda al Pdl. Questa non è una novità assoluta, perché in parte era già così nel 2001, ma oggi la frattura fra queste due Italie si è fatta particolarmente profonda. Gli autonomi hanno sempre votato a destra, e sono ormai molti anni che i laureati guardano a sinistra. Ma solo oggi è così netta la sfiducia dei ceti deboli nella sinistra: chi ha già un salvagente di qualche tipo (reddito sicuro, famiglia che mantiene agli studi) si aggrappa al Pd, chi è esposto alle intemperie del mercato spera che la nave governativa gli lanci una cima di salvataggio. Né si può dire che il calcolo sia del tutto infondato: in questi anni la sinistra e i sindacati hanno sempre preferito usare le risorse pubbliche per aumentare le garanzie dei già garantiti (contratto degli statali, controriforma delle pensioni), mentre hanno condotto una vera e propria guerra ai danni dei non garantiti (più adempimenti, più tasse, mancato completamento della legge Biagi). Per non parlare del tema della sicurezza, dove la sinistra incredibilmente non ha capito che i veri deboli sono i cittadini comuni e non i delinquenti, e che il buonismo non è apertura al diverso ma indulgenza verso il prepotente.

È per questo che tanti italiani hanno votato a destra. È per questo che il pensiero di Tremonti spopola. Ed è per questo che la cultura liberale - da sempre minoritaria nel Paese - annaspa nel velleitarismo e nell’impotenza. La realtà è che sia il popolo di sinistra sia quello di destra alla politica chiedono innanzitutto più protezione. Con un’importante differenza, però: la sinistra, per ora, attira soprattutto chi vuole mantenere (o accrescere) le tutele che già possiede, la destra attira chi - per i motivi più diversi - si sente troppo esposto al rischio. Di qui il doppio paradosso che è sotto gli occhi di tutti: la sinistra appare più conservatrice della destra, i ceti deboli guardano più a destra che a sinistra.

Se riflettiamo su questo paradosso, forse riusciamo a intravedere meglio i dilemmi che Pd e Pdl dovranno affrontare nei prossimi anni. Entrambi dovranno decidere se contrastare o assecondare le domande che provengono dalle loro basi sociali attuali. Per il Pd il problema è che più accentuerà il suo profilo riformista più entrerà in collisione con il conservatorismo dei suoi elettori, mentre più cercherà di assecondare questi ultimi più finirà per somigliare alla vecchia Unione. Per il Pdl il problema è che il vecchio tran-tran del 2001-2006, fatto di poche riforme e modesti risultati, non potrà bastare a un elettorato che esige meno criminalità, più libertà economica, più ammortizzatori sociali. Insomma, il popolo di sinistra è troppo conservatore per il riformismo radicale di Veltroni, il popolo di destra è troppo radicale per il riformismo prudente di Berlusconi. Di qui il doppio dilemma dei due leader: il guaio di Veltroni è che deve voltare le spalle ai suoi elettori se vuole continuare a sognare, quello di Berlusconi è che deve ricominciare a sognare se non vuole deludere i propri sostenitori.

da lastampa.it
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« Risposta #7 inserito:: Maggio 24, 2008, 12:52:02 am »

POLITICA

Prima riunione milanese per il governo ombra e incontro con Formigoni

Il leader del Pd: "Il taglio dell'Ici non basta, c'è anche chi la casa non la possiede"

Povertà, Veltroni attacca il governo

"Questione che non viene toccata"

Tra le critiche dell'opposizione anche la vicenda Rete 4 e il reato di "clandestinità"

 

MILANO - Il dialogo sulle riforme "non è in pericolo", ma di certo la luna di miele tra Walter Veltroni e il governo sembra essere agli sgoccioli. Il leader del Pd ha snocciolato oggi l'elenco dei provvedimenti sui quali l'opposizione intende dare battaglia. "C'è una grande questione che non è stata messa all'ordine del giorno ed è la lotta al rischio di impoverimento di una grande parte della società italiana", ha osservato Veltroni aprendo la conferenza stampa al termine dei lavori del governo ombra tenuta a Milano.

Un rischio sottovalutato. "Fino ad oggi - ha detto Veltroni - sono stati fatti molti annunci dal governo ma è mancato quello che noi riteniamo prioritario: il rischio di impoverimento della società, gli interventi sui salari, sulle pensioni. Di questo non si sente ancora parlare". Veltroni, a proposito della defiscalizzazione degli straordinari ha affermato che, rispetto al tema generale del rischio impoverimento della società, "non è sufficiente".

Il taglio Ici non basta. Lo stesso provvedimento per il taglio dell'Ici, seppure apprezzabile, secondo il segretario dei Democratici non va in questa direzione. "Va bene l'intervento sull'Ici, d'altra parte il governo Prodi era già intervenuto per il 40 per cento - ha ricordato - Ora però è necessario un intervento a favore di coloro che la casa non possono acquistarla", come, per esempio, la doppia defiscalizzazione "per aprire il mercato degli affitti" e la vendita dei patrimoni comunali o statali "per la costruzione delle case popolari".

Il nodo Rete 4. In cima alle contestazioni di Veltroni c'è naturalmente anche la questione dell'emittenza e in particolare l'emendamento che permette di salvare ancora una volta Rete 4 dallo spostamento sul satellite. "Mi chiedo perché ci sia stato bisogno di introdurre surretiziamente un tema di questo genere quando, a mio parere, sull'argomento occorre aprire un dibattito parlamentare. Non si capisce tutta questa precipitazione", ha osservato il leader del Pd.

Maroni come Amato. Quanto al pacchetto sicurezza, Veltroni ha chiarito che su una parte delle norme introdotte esiste l'approvazione dell'opposizione per il semplice fatto che "gran parte degli articoli sono copiati dal decreto Amato per cui non può non esserci il nostro consenso". Fa eccezione quindi "il reato sulla clandestinità, che invece non lo trova".

Il silenzio su Alitalia. La ritrovata verve polemica ha poi spinto Veltroni ad incalzare Berlusconi anche sulla vicenda Alitalia. "Su Alitalia - ha ricordato - è sceso il silenzio e ci chiediamo a che punto è la famosa cordata italiana". "Il tempo passa - ha aggiunto - e le soluzioni non si vedono. Con Air France sappiamo come è andata e ci chiediamo, ora, a che punto è la famosa cordata italiana. Ma, mentre attendiamo il destino di Alitalia che coinvolge migliaia di lavoratori, dobbiamo pensare a Malpensa. Ne ho parlato oggi anche nell'incontro che ho avuto con Formigoni. Dobbiamo cercare dei provvedimenti che permettano di attirare in maggior quota compagnie straniere".

Il ruolo del governo ombra. Con il presidente della Regione Lombardia il segretario del Pd ha parlato però soprattutto di federalismo fiscale, chiarendo di condividere con lui l'idea di un federalismo solidale. "Ringrazio - ha detto ancora Veltroni - il presidente Formigoni per l'incontro che abbiamo avuto questa mattina. E' la dimostrazione che il governo ombra è un soggetto istituzionale come lo è in tanti altri paesi, dove è codificato il rapporto tra il governo ufficiale e quello ombra".

(23 maggio 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #8 inserito:: Maggio 24, 2008, 10:23:39 pm »

Pd, Veltroni: «L'Unione del 2006 non ci sarà più»


Un partito federale e radicato sul territorio, che ha come metodo le primarie per la scelta dei candidati per ogni tipo di elezione e che è disposto ad alleanze solo sulla base di un programma riformista condiviso. È l'identikit che Walter Veltroni ha tracciato al teatro Strehler di Milano del partito che è convinto che tra cinque anni tornerà a governare. «Il dialogo sulle riforme istituzionali - ha ribadito - si farà e ciò non esclude un'opposizione intransigente. Noi volevamo cambiare le regole se avessimo vinto ma le vogliamo cambiare anche adesso che siamo all'opposizione. Tra cinque anni governeremo noi e dobbiamo avere un Paese che consenta un'azione riformista».

Lo aveva detto quando decise che il Pd sarebbe andato da solo alle elezioni e Veltroni ha voluto ribadire che una coalizione come quella dell'Unione del 2006 «non ci sarà più» anche se non ha escluso alleanze future. «Penso - ha detto - sia un problema per la democrazia italiana la mancanza di rappresentanza in Parlamento della sinistra radicale, alla quale però dico che, oltre a prendersela con noi farebbe bene a fare autocritica e a ragionare su una lettura ideologica della società italiana che ha impedito di capire, per esempio, il tema della sicurezza». Basta, insomma, con alleanze che coagulano tutti contro qualcuno: «Noi pensiamo solo ad un' alleanza dove al centro c'è il programma e per questo guardiamo a tutti, compresa una parte della Sinistra Arcobaleno. Quando però alle manifestazioni sento slogan come "10-100-1000 Nassiriya", penso che siamo agli antipodi di ciò che bisogna fare».

Ha parlato chiaro agli ex alleati ma è stato altrettanto diretto con il suo partito e, soprattutto, con coloro che pensano alle correnti: «Smettiamola di prendere il gruppo sanguigno di ciascuno. Siamo un partito nuovo e la domanda non è da dove si viene ma dove si va. Basta con le riunioni degli ex che, come quelle della scuola, fanno tanta tristezza». Un partito nuovo a vocazione maggioritaria in grado di stare tra la gente per intercettare le domande, le paure e gli stati d'animo, proprio come ha fatto la Lega che in Emilia Romagna «ha preso l'8% dei voti pur non esistendo».

Interpretare le esigenze della gente come, per esempio, sul tema della sicurezza senza però perdere la propria cultura o, peggio, imitare la destra: «Le ronde padane non si fanno. Dobbiamo mantenere la nostra cultura anche se il vento spira contrario, altrimenti rischiamo il pensiero unico e come ben sapete le imitazioni sono sempre peggiori dell'originale». Passate le elezioni, l'obiettivo del Pd è di radicarsi sul territorio «magari aprendo uno sportello in ogni realtà anche piccola dove i nostri consiglieri comunali, provinciali, regionali e i nostri deputati potranno essere al servizio del cittadino». Una cosa però è certa: l'esperienza delle primarie proseguirà: «Alle prossime elezioni provinciali le candidature saranno scelte attraverso le primarie che faremo per tutti gli appuntamenti elettorali». Subito dopo le elezioni si era aperto il dibattito sul partito del Nord, sostenuto principalmente dal sindaco di Venezia, Massimo Cacciari. L'idea non è passata ma Veltroni ha assicurato che il partito sarà federale. «Lo sarà - ha spiegato - dentro un'idea federale dello Stato. Deve essere un partito che non si fa fare l'agenda politica dagli altri. Noi dobbiamo pensare alla scuola, alla cultura e alle politiche per i giovani. Ai giovani dobbiamo restituire il senso dei valori condivisi e dobbiamo farlo magari anche navigando contro corrente».

Pubblicato il: 24.05.08
Modificato il: 24.05.08 alle ore 21.07   
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« Ultima modifica: Maggio 28, 2008, 07:19:56 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #9 inserito:: Maggio 24, 2008, 10:24:36 pm »

Sui rifiuti: "Scontri a Napoli frutto di politica dei veti"

Veltroni: "Sinistra radicale faccia autocritica"

Il leader del Pd apre uno spiraglio al dialogo a sinistra: "Arcobaleno voglia rimettersi in una logica di governo, mai più alleanze contro qualcuno".

E annuncia: "Tutte le candidature si faranno con le primarie".

Ottimista per il futuro: "Tra 5 anni governeremo"



Milano, 24 mag. - (Adnkronos/Ign) - Riflessioni e spunti per il futuro del Pd. Walter Veltroni nel suo intervento al primo forum dei circoli lombardi del Pd, oggi a Milano, parla di una nuova fase del Partito Democratico che apre anche un piccolo spiraglio sulle alleanze a sinistra. "Un partito nuovo", sottolinea Veltroni, che deve puntare sul "radicamento sul territorio. Dobbiamo essere un partito federale dentro un'idea federale dello Stato. Dobbiamo recuperare un alfabeto ricco, farci da soli la nostra agenda e recuperare il tema dei giovani".

"Basta con le riunioni degli ex e basta con il guardare al gruppo sanguigno di ognuno", dice il leader del Pd aggiungendo che "d'ora in poi tutte le nuove candidature si sceglieranno attraverso le primarie, in modo da dare la parola ai cittadini".

L'ex sindaco non perde l'ottimismo annunciando che "tra cinque anni governeremo". Ma per questo bisogna preparare il terreno. "Stiamo cercando di europeizzare la vita politica italiana -spiega-. Il dialogo sulle riforme istituzionali si farà, ma questo non esclude un'opposizione intransigente". E precisa: "Noi volevamo cambiare le regole del gioco se avessimo vinto, ma le vogliamo cambiare anche ora che siamo all'opposizione. Siccome tra cinque anni governeremo dovremo avere un Paese che consenta un'azione riformista".

Parlando poi della alleanze, il pensiero va alla sinistra radicale e Veltroni si augura "che la Sinistra Arcobaleno voglia rimettersi in una logica di governo" sottolineando che "non si faranno più alleanze contro qualcuno, neanche a livello locale. Non basta mettersi insieme per vincere le elezioni, bisogna governare per vincere anche quelle successive". Comunque la sinistra radicale "farebbe bene - afferma- a fare autocritica sull'inadeguatezza della riflessione ideologica sulla società italiana che ha impedito di analizzare temi centrali come quello della sicurezza".

Critico poi nei confronti della vecchia maggioranza, Veltroni dice che "il governo Prodi ha fatto bene, ma la sua maggioranza ha fatto male e questo ha creato una situazione difficile". Mentre affrontando il 'capitolo Lega', secondo lui, "ha vinto perché ha saputo interpretare uno stato d'animo, una domanda a cui anche noi dobbiamo guardare ma con la necessaria autonomia".

Non mancano i temi di attualità, sicurezza, rifiuti e ponte sullo Stretto, su cui il leader del Pd si sofferma. "Quello della sicurezza è un tema da affrontare con severità, ma senza travalicare i limiti propri della democrazia", dice Veltroni che contesta il centrodestra sul pacchetto sicurezza riguardo all'immigrazione clandestina come reato. "Che reato è -si è chiesto Veltroni- un reato che prevede l'espulsione? Cosa facciamo dei 650mila immigrati italiani? Li mettiamo in carcere? L'idea che l'immigrazione sia un crimine è da combattere".

Per il leader del Pd bisogna "distinguere tra il criminale e chi viene in Italia per lavorare e che ormai rappresenta il 6% del nostro prodotto interno lordo. Dobbiamo invece mettere queste persone nelle condizioni di lavorare". Quanto alla proposta di istituire ronde cittadine contro la criminalità, Veltroni ha affermato che "le ronde non si devono fare. In nessun paese europeo esistono cose del genere".

Poi sui rifiuti sottolinea che gli scontri degli ultimi giorni in Campania "ci raccontano che sono l'effetto di una politica del veto e di un atteggiamento ideologico presenti sia nel centrodestra che nel centrosinistra. Non siamo riusciti a sbloccare opere a cui una parte continuava ad opporsi".

Ed è "sbagliato" il ponte di Messina secondo il leader del Partito democratico che rivolgendosi ai rappresentanti dei circoli li invita ad anadare "nei bar, nei ristoranti e nei mercati a chiedere ai dirigenti della Lega perché il ponte era sbagliato prima del 14 aprile, mentre ora è diventato una priorità".

da adnkronos.com
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« Risposta #10 inserito:: Maggio 24, 2008, 10:25:20 pm »

Politica
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PD: VELTRONI, SIAMO PARTITO NUOVO BASTA CON RIUNIONI DEGLI EX


Milano, 24 mag. - (Adnkronos) - "Siamo un partito nuovo. Basta con le riunioni degli ex e basta con il guardare al gruppo sanguigno di ognuno".

Lo ha detto Walter Veltroni, leader del Partito democratico, nel suo intervento al primo forum dei circoli lombardi del Pd, tenutosi oggi a Milano.

Veltroni ha sottolineato che il Pd deve puntare sul "radicamento sul territorio.

Dobbiamo essere un partito federale dentro un'idea federale dello Stato.

Dobbiamo recuperare un alfabeto ricco, farci da soli la nostra agenda e recuperare il tema dei giovani
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« Risposta #11 inserito:: Maggio 28, 2008, 07:16:55 pm »

Il PD Messinese chiede ufficilamente aiuto al Segretario Nazionale

(contributo inviato da Soufiya il 27 maggio 2008)

OMICIDIO DEL PARTITO DEMOCRATICO IN PROVINCIA DI MESSINA



Segnalo un fatto gravissimo avvenuto in Sicilia, nella provincia di Messina in occasione delle elezioni provinciali: la lista del Presidente collegata al candidato presidente della Provincia Paolo Siracusano, non è stata presentata dalla segreteria provinciale di Messina per la partecipazione alla competizione elettorale, adducendo motivazioni poco chiare che non rispondono al vero, come ad esempio la non correttezza della documentazione esibita, quando fino a poche ore prima le persone che si erano incaricate della raccolta ed autentica delle firme erano state rassicurate sulla bontà degli aspetti burocratici.

Inoltre i suddetti incaricati per la consegna delle firme e dei documenti, hanno riscontrato grosse difficoltà ed ostruzionismo nel ricevere la firma, indispensabile , di un consigliere provinciale, infatti pur essendo presenti in quella sede 4 consiglieri provinciali, si sono tutti rifiutati di apporre la firma per futili motivi, solo dopo alcune ore di attesa un quinto Consigliere Provinciale ha apposto la firma necessaria.

Di queste liste si era fatto garante il deputato regionale, on. Filippo Panarello, poiché erano composte nella quasi totale maggioranza da persone provenienti dall’ex DS, mentre le persone provenienti dall’ex Margherita sono andate a comporre la lista ufficiale del PD a cura del segretario provinciale on. Franco Rinaldi. La scelta di inserire tutti i candidati ex- Margherita nella lista ufficiale Pd e tutti gli ex- DS candidati nella lista del Presidente, era stata voluta dal Segretario Provinciale, nonostante i pareri contrari di tutti i rappresentanti dei circoli locali, le condizioni sono state irremovibili. Misteriosamente poche ore prima della consegna delle liste, il consigliere provinciale uscente, ex DS, Filippo Isaja, ha fatto il passaggio dalla Lista del Presidente alla lista ufficiale del PD. Tutti gli altri ex diessini sono rimasti tagliati fuori, perché chi era incaricato di consegnare la Lista del Presidente non si è presentato agli appuntamenti.

Ora sarebbe da stupidi pensare che le liste non siano state presentate per un errore o una mancanza e sarebbe ancora più da stupidi considerarci talmente scemi da non pensare che è stata una precisa scelta politica, che ha danneggiato enormemente una parte di appartenenti al PD che avevano investito nella candidatura, prendendo anche degli impegni economici con tipografie, giornali e tv per la pubblicità e soprattutto si stavano già impegnando con gli elettori. Hanno perso tutto, cosa più importante la faccia e dietro loro anche i circoli ed i loro rappresentanti che li sostenevano.

Guarda caso da questa faccenda ci guadagnano i due consiglieri provinciali uscenti, che sono gli unici due candidati forti della Lista ufficiale del PD e sono accompagnati, da giovani o semisconosciuti, provenienti da realtà piccolissime, che non rappresentano, per quanto ci riguarda, il Collegio elettorale di Taormina e che hanno possibilità di essere eletti pressoché pari allo zero.

Risultato raggiunto: caos totale nei circoli locali con, in casi estremi dimissioni e fuori uscite dal partito (Circolo Letojanni), in quelli meno estremi, ma forse molto più gravi la scelta dell’astensionismo o di votare altri candidati che non appartengano al PD. LO SCHIFO TOTALE! Secondo voi questa è una buona partenza per radicare il PD nel territorio? Secondo voi questo PD siciliano e della Provincia di Messina ha qualcosa a che vedere con quelli che sono i principi del PD…a questo punto se esistono? Secondo voi questo è un buon metodo per iniziare il ricambio della classe dirigente? Lo sapete quante sono le donne candidate nella lista ufficiale del PD del Collegio di Taormina? ZERO!!!!

Qualcuno ha la bontà di illuminarmi con qualche risposta? Perché quaggiù è buio pesto e di democratico in questo Partito Democratico c’è veramente poco.

Io sono una componente dimissionaria del Coordinamento Cittadino del PD del Circolo di Letojanni, al momento rimango semplice iscritta al partito, ma se le risposte che cerco non arrivano, allora valuterò questo silenzio come assenso ad una situazione vergognosa e di conseguenza lascerò il Partito e… non sarò l’unica.

Signori qualcuno si svegli e ci dia una risposta, perché nella provincia di Messina si sta perpretando l’omicidio del Partito Democratico, e se non ci date una mano voi allora a chi ci dobbiamo rivolgere, visto che gli organi provinciali e regionali hanno generato tutto questo caos e malcontento?

Grazie.
Soufiya – Circolo PD Letojanni


da partitodemocratico.gruppi.ilcannocchiale.it
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« Risposta #12 inserito:: Maggio 28, 2008, 07:20:50 pm »

L'intervista

«Governo, solo fuochi d'artificio La Chiesa ha diritto di parlare»

Veltroni: mi piacerebbe una donna alla guida dell'«Unità»



ROMA — Onorevole Veltroni, l'opposizione è accusata di essere troppo morbida, accondiscendente. Come se ci fossero le larghe intese, anche se non avete pareggiato ma perso. «No. È come se ci fossero due mondi separati, uno virtuale e uno reale. Nel mondo virtuale, lettori e scrittori di giornali di varie dimensioni se la cantano e se la suonano. Nel mondo reale, è successo che alla prima prova parlamentare il governo sia andato sotto proprio grazie alla nostra opposizione che qualcuno giudica fin troppo dura; ed è il primo provvedimento che arriva. Purtroppo, il nostro è un Paese di politici d'antan. Un Paese politicamente di pasticcioni e furbacchioni, che si divertono a confondere dialogo e opposizione. Nel mondo reale, la questione è semplice: si dialoga sulle riforme, ci si oppone sui contenuti».

Questo significa che terrete duro anche sulle questioni care al premier, tipo il sistema tv? E lui è d'accordo? «Sono sempre più affascinato dai nostri padri costituenti. Uomini come Calamandrei, cui il Pd dedicherà un convegno in autunno. Uomini che non litigavano su Rete4 ma su democrazia e totalitarismo, su Usa e Urss; però scrivevano le regole insieme. Dopo è cominciata un'altra stagione, di melassa, gelatina, marmellata, confusione. Quella stagione è finita: ci si può opporre con fermezza su Rete4 e denunciare la scomparsa della cordata Alitalia, senza che per questo il dialogo sulle riforme debba interrompersi. Così come è finito il clima di scannatoio durato quindici anni. Io ho cominciato a usare toni nuovi già in campagna elettorale; il leader dello schieramento a noi avverso l'ha fatto soltanto dopo la vittoria».

Da Bassolino in giù, è un fiorire di laudatori: Berlusconi, rappresentato come malvagio, è ora definito statista. Non siete passati da un eccesso all'altro? «Io non ho mai detto nessuna di queste cose. Se il Paese è così malridotto, buona parte della responsabilità grava su Berlusconi, che è stato per quattro volte presidente del Consiglio. E che rappresenta un sistema di valori, una visione del mondo cui bisogna opporsi con sempre maggior forza ed energia, contro cui si deve dare una solare battaglia culturale e ideale». Lei si è appena seduto al suo tavolo. «Sì. E appena ci siamo seduti, per prima cosa gli ho detto: "Capiamoci bene. Se questo dialogo è un esercizio di buone maniere, mi interessa poco, per quanto le buone maniere siano preferibili a quelle cattive. Se invece è un dialogo per scrivere insieme le regole del gioco democratico, allora sarò un interlocutore leale. Ripartiamo dal pacchetto Violante. Riformiamo la legge elettorale per le Europee, ma senza tagliare fuori le altre forze: non voterò mai uno sbarramento che superi il 3%". Attendo segni che corrispondano alle parole. Altrimenti, sarò il primo a riconoscere che è stato inutile».

I segni riguarderanno anche la Rai? La sua proposta dell'amministratore unico non è già stata respinta? «Vedremo. Aspettiamo risposte. Eleggere un altro Consiglio d'amministrazione pieno di ex parlamentari sarebbe un gravissimo errore. Preferisco un amministratore delegato nominato dal governo e approvato dal Parlamento all'assurdo sistema attuale. Un manager al di sopra delle parti. Un aspetto cruciale, in un Paese dove l'informazione è egemonizzata dal capo del governo ». Alla vigilanza Rai andrà Leoluca Orlando? «Siamo favorevoli alla sua candidatura. La sosterremo. E ricordo che, quand'eravamo maggioranza, votammo il candidato proposto dal centrodestra, Storace. La maggioranza non può sindacare sul nome indicato dall'opposizione».

Non teme si saldi, tra tv e politica, una forza avversa al Pd, di grande appeal elettorale? Magari attorno a quella che Santoro definisce ironicamente la banda dei quattro: lui, Travaglio, Beppe Grillo, Di Pietro? «Da tempo ho rotto con la logica del " pas d'ennemis a gauche", nessun nemico a sinistra. Non vivo con questo incubo; altrimenti non potremmo assolvere al compito che spetta a una grande forza riformista del 34%. Non possiamo tornare indietro. È fisiologico che si creino aree di critica più radicale, da rispettare, con cui dialogare. Magari assumendo talora posizioni più radicali delle loro. Noto che Di Pietro è favorevole al reato di immigrazione clandestina. Noi no». Il governo è in luna di miele, l'opposizione sembra nell'angolo. «La luna di miele si interromperà molto presto, anche prima di quanto pensiamo. La destra ha vinto le elezioni sulla linea della paura: paura degli immigrati, dei rom, dell'impoverimento. E la paura rende più facile vincere, ma molto più difficile governare. Ora siamo alla fase dei fuochi d'artificio. Quando il fumo dei fuochi si sarà diradato, quando vedremo che i fatti di violenza proseguono, i campi rom ci sono ancora, l'impoverimento continua, allora ci sarà un effetto boomerang. Mai come oggi sono preoccupato: l'insicurezza sociale, e anche personale, è stata incanalata sulla linea dell'egoismo sociale. Ma questo fa saltare il principio solidale. È la dilatazione del Nimby: fate tutto, ma non da me. È la logica delle ronde, del blocco stradale, del "mi faccio giustizia da solo". Poi non c'è da stupirsi se qualche energumeno con svastica va a spaccare le vetrine degli immigrati».

Il sindaco Pd di Marano, Salvatore Perrotta, è molto Nimby. Guida la rivolta sulle barricate. «Da lontano è facile decidere ogni cosa. Un sindaco vive in mezzo alla sua comunità, non può non sentirne gli umori. Ma gli uomini pubblici devono trovare la forza di non fare le cose più ovvie, quelle che piacciono a tutti». Cosa pensa delle critiche del governo Zapatero al nostro? «I giudizi di un governo su un altro governo sono sempre spiacevoli, e non andrebbero formulati. Ma dobbiamo essere consci che c'è lo sguardo dell'Europa su di noi. Un governo che dichiara fuorilegge 650 mila immigrati, compresi 300 mila badanti e moltissimi altri lavoratori, è un governo che viene tenuto d'occhio. Che facciamo? Arrestiamo 650 mila persone in un Paese che non costruisce un carcere da anni? Apriamo 650 mila procedimenti in tribunali che impiegano dieci anni per chiudere un processo? Ecco perché dico che il risveglio dalla notte dei fuochi d'artificio sarà doloroso, e pericoloso».

Ma sull'economia Tremonti vi ha messo in difficoltà. Paghino banche e petrolieri, dice. Lei cosa risponde? «Paghino banche e petrolieri, sono d'accordo. Il problema è che fare con quei soldi. Detassare gli straordinari va bene, anche se l'esclusione dei dipendenti pubblici è ingiusta e crea problemi di incostituzionalità. Ma sarebbe meglio intervenire sulla contrattazione di secondo livello. I benefici di Tremonti escludono precari, anziani, donne: le categorie più esposte al rischio di impoverimento. Quanto ai mutui, non è difficile prevedere un'altra delusione. Già i consumatori fanno notare che si tratta di una dilazione, non di una rinegoziazione. Il fatto stesso che le banche abbiano subito detto sì desta un legittimo sospetto ». Sul federalismo fiscale lei ha aperto un dialogo con Formigoni. Ma Chiamparino la pensa diversamente. «Io la penso come Chiamparino: federalismo solidale differenziato. Avvicinare il fisco alla vita dei cittadini, senza spezzare il vincolo di solidarietà tra regioni diverse: altrimenti avremo al Nord una California e al Sud un paese povero».

L'impressione è che lei punti a dividere la Sinistra Arcobaleno e ad allearsi con una sua parte. «Non si tratta di dividerli. Certo l'Unione non tornerà. Mentre è possibile costruire un nuovo centrosinistra, avendo un interlocutore su posizioni più radicali delle nostre, ma senza prendere più nulla a scatola chiusa. Non contano i buoni sentimenti. Contano i programmi condivisi». D'Alema dice che il leader giusto per Rifondazione è Vendola. «Non interferisco con quanto accade in un altro partito, con la loro discussione. Mi limito ad augurarmi che sia una discussione vera. Finora ho visto una reazione autoassolutoria. Come se la loro sconfitta fosse colpa mia, e non di chi ha messo fine al centrosinistra; ostacolando le cose migliori del governo Prodi, dalla riforma del welfare alle missioni all'estero». D'Alema è molto attivo. «Ognuno dice la sua opinione, ed è legittimo che lo faccia. D'Alema ha detto di voler fondare una fondazione culturale, non un partito nel partito. Sono portato a prendere sul serio le parole delle persone serie. Il lavoro della fondazione culturale di D'Alema sarà molto utile al Pd». Ma dell'opinione di D'Alema sulla tentazione della Chiesa per il potere e il patto con la destra, lei che pensa? «Non c'è nessun patto. L'Italia è un Paese particolare; ma l'influenza della Chiesa non mi spaventa certo. La Chiesa ha diritto di esprimere la sua opinione; non possiamo applaudirla se difende gli immigrati, e zittirla se critica la fecondazione assistita. Sta a noi difendere la laicità della politica ».

Non negherà che il Pd abbia perso voti cattolici, a vantaggio dell'Udc e della destra. «Certo, l'Udc in mezzo prima non c'era; quando l'offerta politica si arricchisce, i voti si diversificano. Ma chissà se questi flussi sono reali. In Italia non si prende il 34% senza intercettare una parte rilevante del voto cattolico. Il referendum sulla fecondazione assistita l'avevamo perso 75 a 25. Piuttosto, noto che dal governo Berlusconi sono scomparse le personalità di cultura cattolica, comprese quelle d'indubbio spessore come Pisanu e Formigoni. Hanno prevalso personalità di cultura berlusconiana». Le toccherà occuparsi anche di giornali. Il Pd ne ha due, «Europa» e «l'Unità», molto diversi. La linea di Menichini non è la stessa di Padellaro. «È una divisione che viene da altri tempi storici. Ora per l'Unità si è trovata una soluzione splendida. Sono stato direttore di quel giornale quando andava bene. Da segretario ds ho avuto il coraggio di fermare l'emorragia, e grazie al lavoro di Folena l'Unità rinacque subito. Ora Soru, uno degli uomini più convinti del progetto del Pd, definirà un'idea nuova del giornale coerente con l'obiettivo di parlare a pubblici nuovi e raccontare in profondità la società italiana. E Gentiloni lavora a rafforzare la nostra presenza nel web e nel sistema tv».

Quale direttore vorrebbe per «l'Unità»? «Non sta a me decidere. Certo, in un mondo di giornali che fanno prediche femministe ma hanno ai vertici pochissime donne, mi piacerebbe proseguire la rivoluzione che abbiamo avviato portando — dopo le molte che abbiamo fatto eleggere in Parlamento — una donna alla direzione dell'Unità». È giusto o no che Roma dedichi una via ad Almirante? «Ho preferito fare una scelta più limpida: mandare un messaggio di riconciliazione alla città dedicando strade ai caduti degli anni di piombo, di destra e di sinistra. Persone innocenti vittime della violenza. Una violenza che, come dimostrano i fatti dell'università, può rinascere specie se in una comunità si crea un clima di tensione e contrapposizione ».

di Aldo Cazzullo
28 maggio 2008

da corriere.it
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« Risposta #13 inserito:: Giugno 21, 2008, 11:26:59 pm »

POLITICA

Eletta la Direzione nazionale, 120 persone dalle varie anime del partito

Bindi ritira la mozione. D'Alema e Rutelli non intervengono. Prodi apprezza tratto ulivista

Pd, tregua armata tra le correnti

di CLAUDIA FUSANI

 

ROMA - Nel Pd è tregua balneare ma armata fino ai denti. Non conviene a nessuno adesso tentare la mossa da scacco matto, nessun regolamento di conti. Tutti però, e s'intendono le correnti (sette o otto) che in modo più o meno organizzato si muovono nel partito, tengono la loro posizione e stanno pronti. Veltroni è e resta il segretario di tutti, non avrebbe senso contarsi proprio adesso che Berlusconi è tornato Caimano e ragala un po' di colla all'opposizione. Il congresso, quindi, può attendere. E il segretario guadagna tempo utilissimo per far crescere e radicare la creatura Pd.

Con queste premesse, decise nei giorni scorsi tra caminetti e riunioni, i lavori dell'Assemblea nazionale del Partito democratico, la prima dopo l'uno-due elettorale, non potevano che essere la fotografia della tregua decisa a tavolino e la certificazione dei due obiettivi principali: costruire il partito ("il tesseramento parte a luglio, non abbiamo mai creduto al partito liquido bensi a uno radicato nel territorio" ha detto Veltroni) e puntare alle Europee del 2009 costruendo prima la casa europea.

Parisi e i prodiani fuori dall'Assemblea nazionale. Ma i lavori - un solo giorno anzichè due - sono stati anche la fotografia dello scontento che si muove nella base del partito e tra i prodiani. Nella Direzione nazionale eletta oggi - 120 persone anima e motore del partito e organo che andrà piano piano a sostituire i 2.800 dell'Assemblea costituente - alla fine entrano tutti, da Massimo D'Alema a Rosy Bindi. Tutti tranne Parisi e i prodiani che hanno lasciato l'assemblea con buon anticipo e in ordine sparso.

Il malcontento prende corpo subito dopo l'intervento di Veltroni. Anna Finocchiaro elenca l'ordine dei lavori e informa l'assemblea che dovrà essere votata la Direzione nazionale (120 persone), che il segretario ha un suo listone "composto su base proporzionale rispetto ai risultati delle primarie" e che "tra le 14 e le 17 sarà possibile presentare altre liste purchè abbianmo almeno 280 firme di delegati". Il fatto è che non ci sono e non ci saranno altre liste alternative a quella di Veltroni perchè, dice con sarcasmo l'onorevole Mario Barbi con polo e zainetto sulle spalle, "nessuno conosceva le condizioni per presentare altre liste. Lo sappaimo adesso, così come abbiamo saputo l'ordine del giorno dell'assemblea due giorni fa dai giornali".

Botta e risposta. Se Barbi parla da sotto il palco, Parisi - da sempre il più convinto oppositore della riproposizione del meccanismo delle correnti nel Pd - si fionda al microfono. La relazione, dice, "è una comprensibile difesa di quello che è stato fatto. Purtroppo, però, l'unico giudizio sul nostro operato e sulla dirigenza resta quello degli elettori a livello nazionale, a Roma e nella Sicilia". Sul fatto, poi, che "il Pd è l'Ulivo che si è fatto partito" come sostiene Veltroni, Parisi taglia corto: "Allora vuol dire che si è fatto male...(il Pd ndr)". Ma poi arriva al dunque. E il dunque è che "questa assemblea non ha il numero legale" e quindi "non può votare la Direzione nazionale". Nel padiglione, tra i delegati cala il gelo. I numeri confermano quello che dice il professore ulivista: in sala ci sono solo 1225 seggiole, alcune sono vuote, altre sono occupate da giornalisti, agli stand si sarebbero accreditati solo 800 delegati anzichè i 2.800 previsti. Il numero legale scatta a quota 1400 voti.

Quante assenze nell'assemblea. L'incognita del numero legale imbarazza e aleggia per tutto il giorno nel padiglione n.8 della Fiera di Roma. Quello che è certo è che ci sarà una sola lista per la direzione nazionale. "Ma la direzione del partito è il suo Dna - attacca l'ex ministro della Difesa - e noi la stiamo facendo nascere da un equilibrio di correnti". Ecco perchè "si fa fatica a definire democratica questa assemblea". Parisi scende dal palco. Prende la parola il n.2 Dario Franceschini per calmare le acque e difendere il criterio proporzionale con cui sarà composta la lista unica dei componenti della Direzione. "Non solleviamo questioni formali inutili che nascondono invece altre questioni sostanziali...". Parisi, che ascolta in piedi a pochi metri, serra la mascella, alza l'indice e va verso il palco, sotto Franceschini: "Non ti permettere di fare queste insinuazioni...". Mario Barbi resta in platea e organizza la clac. "Qui non c'è il numero legale - grida - la verità è che non ci hanno permesso di presentare una nostra lista...". Anche l'ex sottosegretario Mario Lettieri sale sul palco e chiede la verifica del numero legale. Parisi poi spiega che non lascerà il partito. Ma non entrerà in direzione. Romano Prodi, rigorosamente assente e impegnato in conferenze universitarie in Francia e in Spagna, apprezza gli applausi e "il tratto ulivista dato all'assemblea". Ma resta il grande freddo con il partito e con Veltroni. Le dimissioni restano lì. E la Presidenza un problema di domani, rinviabile.

La rivincita di Rosy? Cosa che invece fa Rosy Bindi, l'altra pasionaria ulivista, che rinuncia all'annunciata mozione per chiedere a Prodi di ritirare le dimissioni da presidente del Pd. E' soddisfatta per il riferimento di Veltroni all'Ulivo ("radice più profonda e importante del Pd") e ancora di più per la standing ovation di oltre un minuto ("il vero riconoscimento a Prodi") che la platea riserva al Professore. "In questi mesi passati - spiega Bindi dal palco - non si era percepito con chiarezza che il Pd è la prosecuzione dell'Ulivo e che la vocazione maggioritaria non è la rinuncia a costruire un nuovo centrosinistra, ma far maturare le forze della sinistra in una prospettiva di governo. Oggi invece il messaggio è stato chiaro".

D'Alema e Rutelli non intervengono. Restano ai margini Francesco Rutelli, leader dei Coraggiosi, e Massimo D'Alema che ha fatto della Fondazioni Italiani-Europei la sua privata cabina di regia, luogo dove discutere e dibattere e stringere alleanze. Entrambi scelgono di non intervenire. D'Alema si limita a definire "equilibrata e serena" una relazione che "aiuta a ripartire". Ma allo stop di Veltroni alle correnti seppure travestite da Fondazioni (come la dalemiana Italianieuropei), l'ex ministro degli Esteri replica: "Il pluralismo va considerato come una ricchezza per il confronto delle idee". Infatti martedì fa nascere Red, gruppo di parlamentari riformatori e democratici.

Marini: "In Europa una federazione col Pse". Sembrano "pacificati" i Popolari legati a Veltroni con un patto di ferro che passa attraverso incarichi e nomine come quella di Gentiloni, diventato responsabile della Comunicazione, e Fioroni (responsabile dell'Organizzazione del partito). Le teorie di Famiglia Cristiana ("Il Pd ha scaricato i cattolici") sono acqua passata. Sul palco sale Franco Marini, presidente in pectore una volta risolto il nodo Prodi. "Questa assemblea - dice - mi è piaciuta perchè non s'è parlato di congresso anticipato, non c'è stato alcun rovesciamento di linea e a Veltroni è stato riconosciuto lo sforzo che ha fatto nonostante la sconfitta elettorale". Adesso c'è da costruire il partito "e questo lo si fa andando sul territorio e battendo l'Italia". Poi Marini apre improvvisamente all'Europa, l'altra spina nel fianco del Pd e di Veltroni, e dice sì "ad una forma federata con il Pse".

Fin qui le anime del partito in stato, si diceva, di tregua armata e che si rispecchiano perfettamente nelle quote della neo-eletta Direzione nazionale: 55% ex ds, 45 per cento ex dl tra cui 20% i popolari, bindiani e rutelliani al 10, più o meno come i lettiani. Veltroni tiene per sè una quota di circa venti nomi "giovani ed espressione della società civile". Tra questi Luca Sofri, Miriam Mafai, la regista Cristina Comencini e l'economista Nicola Rossi.

Ci sarebbe poi da parlare della base del partito, quella che è salita sul palco e ha preso la parola davanti a una sala mezza vuota. C'è molta delusione ("E' già finito tutto?) e un po' di rabbia ("da mesi cerco di avere qualcuno nel mio circolo ma non mi rispondono neppure"). Ma continuano a crederci. Nel Pd e in Veltroni.

(20 giugno 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #14 inserito:: Giugno 23, 2008, 11:50:36 pm »

Pd, tutti contro Arturo Parisi: «Veltroni resterà segretario»


«Veltroni conduce tra gli applausi di tutti una campagna elettorale difficilissima ma dopo il voto comincia il logoramento. Con una differenza profonda. Negli altri casi i leader erano i candidati di una coalizione alle politiche, in questo caso logorare Veltroni significa indebolire il partito che sta ancora nascendo». Dario Franceschini osserva con dispiacere che «è ricominciato lo sport nazionale dei gruppi dirigenti del centrosinistra: logorare il leader». Il vicesegretario Pd aggiunge che «questa disciplina va abolita» e rilancia sulla conferma della premiership di Veltroni anche per le prossime Politiche: «Penso che questo sia il mandato che ha ricevuto. A meno che qualcuno, in modo disonesto, pensi che il suo compito fosse costruire il Pd e vincere contro il centrodestra in tre mesi e in quelle condizioni».

Franceschini rileva che leader europei come Cameron, Aznar, Merkel, Zapatero e Blair hanno o hanno avuto un orizzonte ampio per impostare un percorso politico: «Possiamo fare così anche noi? Anche perchè è del tutto chiaro - avverte - che il giorno in cui al posto di Veltroni ci fosse un altro, il gioco del logoramento ricomincerebbe daccapo». Parole severe per Arturo Parisi e le sue altrettanto ruvide critiche a Veltroni: «E dov'è la notizia? Parisi fa così da 15 anni. Pensa che ogni momento positivo sia merito suo e ogni difficoltà sia figlia invece della tragica colpa di non aver seguito i suoi preziosi consigli. Parisi approva, Parisi collabora: quella - chiosa - sarebbe stata la novità da titolo».

Stesso parare da Goffredo Bettini, coordinatore del Pd. «Siamo amareggiati dall'attacco così violento e fuori misura a Veltroni» di Arturo Parisi.. Bettini fa il punto sul futuro del partito e all'ex ministro della Difesa dice che «discutere è necessario come il pane, ma farlo a colpi di piccone è inesistente». Bettini difende totalmente il segretario del Pd: «Ma cosa vuole Parisi? Veltroni è stato chiamato da tutti in un momento di sbandamento e di lotta e ha costruito il partito». È facile, aggiunge, «dare lezioni quando si è sempre "trasportati" da chi fa la fatica e ha il coraggio di mettere la faccia in prima persona».

Per il braccio destro di Veltroni il partito deve affrontare «un cammino con modestia e con tenacia». Certo sarebbe stato utile il congresso, ma la maggioranza del partito era contraria e «insistere avrebbe rafforzato in alcuni la sensazione di avere di fronte un imperatore buono in lotta contro gli oligarchi». Ma «l'urgenza», ora che «la luna di miele del governo Berlusconi si sta rapidamente consumando», è quella di «guardare avanti», perché si «incominciano a intravedere tutti gli elementi di una grande mobilitazione di massa».

Anche Rosy Bindi prende le distanze da Arturo Parisi. «Il problema non è mandare a casa il segretario» ma costruire il partito e smettere di portare avanti il dialogo se «rischia di legittimare» un governo a cui invece il Pd si deve proporre come «alternativa». Bindi invita Veltroni «a cominciare a lavorare collegialmente, rispettando, e direi persino valorizzando, anche il dissenso».

«Credo che ci sia una distinzione tra me e Parisi - dice - non sono stata meno dura di lui nel registrare la scarsa democrazia interna, ma penso che le idee mie e quelle di molti possano essere utili se vengono offerte a chi ha la responsabilità del partito». Per superare la «principale difficoltà» che è la «sconfitta elettorale pesante, confermata a Roma e in Sicilia», Bindi suggerisce al segretario che «radicarsi non vuol dire solo fare le tessere ma ricreare un rapporto con la società italiana». Bisogna poi «chiarire bene che la vocazione maggioritaria non è l'autosufficienza», e «farsi carico fin d'ora di ricostruire un nuovo centrosinistra».

Pubblicato il: 23.06.08
Modificato il: 23.06.08 alle ore 11.52   
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