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Autore Discussione: La sicurezza non ha colore (ma la sinistra era scolorita in materia ndr).  (Letto 4352 volte)
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« inserito:: Aprile 16, 2008, 06:16:50 pm »

Turco: «Non abbiamo capito gli umori profondi del Paese»

Maria Zegarelli


«Certo avremmo potuto ottenere un risultato migliore, ma il 33,2 alla Camera e il 33,7% al Senato non erano scontati considerando l’attuale fase economico-politico-sociale che attraversa il Paese. Sarebbe bastato un altro anno di governo Prodi per sconfiggere il berlusconismo e restituire fiducia ai cittadini». Livia Turco ha davanti i dati definiti delle elezioni, regione per regione ed è sulle percentuali della Lega che più si interroga.

Il 33% può davvero ritenersi un buon risultato?
«Penso che sia un risultato importante, anche se è ovvio che ci aspettavamo di più, ma non scontato. Il Pd è un nuovo partito, sei mesi di vita, con un nuovo simbolo che è comunque riuscito ad affermarsi al Senato con un 1.439.000 voti in più rispetto a Ds e Margherita insieme nel 2006 e alla Camera con 164636 voti in più. Sono convinta che se fosse proseguita la legislatura si sarebbero ottenuti i risultati dell’azione del governo Prodi in termini redistributivi. C’è un evidente disagio sociale, che noi avevamo percepito esattamente. A cui avrebbero dato una risposta i provvedimenti della Finanziaria Prodi se il governo avesse tenuto».

Che idea si è fatta del paese durante questa campagna elettorale?
«Di un Paese angosciato dal potere d’acquisto, dal reddito inadeguato rispetto al costo della vita».

Lei parla di un Pd giovane, con un nuovo simbolo. C’è chi fa notare che anche il pdl in fondo è un nuovo partito con un nuovo simbolo. Eppure ha vinto...
«Il Pdl è un cartello elettorale, non una forza politica giovane. È nato da una scelta solitaria durante un viaggio del Cavaliere. Casini si è ribellato al diktat mentre Fini si è adeguato tanto che An ha preferito dare i propri voti alla Lega. Il Pd ha avuto un percorso diverso, ha coinvolto 3,5 milioni di elettori per decidere il segretario, è passato attraverso i congressi Ds e Margherita, si è dato Statuto, Manifesto dei valori e codice Etico attraverso un ampio percorso partecipativo. E poi, guardiamoli i risultati: il Pdl rispetto al 2006 al Senato guadagna 73mila voti, alla Camera ne perde 123 mila. Il risultato strepitoso si chiama Lega Nord».

Lo sfondamento del Pd al centro non c’è stato, né si è fatto il pieno di voti da sinistra. Come va interpretato questo dato?
«L’elettorato che ha scelto Pd è composito: di sinistra, della Margherita, giovane, cattolico. Milioni di persone che guardano a noi con fiducia, anche se non abbiamo raggiunto il 35 o il 40% è comunque una forte affermazione. Non stiamo dicendo che abbiamo vinto le elezioni, le abbiamo perse visto che non governeremo il paese. Ma in questa sconfitta c’è una grande novità: un nuovo progetto politico che non finisce con le elezioni e che ha già svolto una funzione importante, la funzione di innovare la politica. Oggi non c’è soltanto una semplificazione della politica in parlamento, fortemente voluta dagli italiani, c’è un grande partito riformista, con il 33,7% al Senato e il 33,2% alla Camera. Il Pd si presenta come un robusto soggetto collettivo».

Come si creano le condizioni per diventare non solo un grande partito riformista ma anche un partito maggioritario alle prossime elezioni?
«Proseguendo sulla strada dell’innovazione programmatica, conquistando un maggior pezzo di società italiana. Per fare questo dobbiamo partire dal dato che arriva dalle urne: noi dobbiamo capire gli umori profondi della società. La vittoria della Lega, la riconferma di Berlusconi, mettono questa tema al centro delle nostre riflessioni. Il Pd dovrà lavorare per essere molto più in contatto con la vita delle persone, dovrà essere un partito fortemente strutturato, radicato, con una grande robustezza culturale e la capacità di condurre forti battaglie culturali. Non basta capire la società italiana, bisogna anche combattere le spinte più retrive che ci sono».

La Lega ha spopolato. Altro che boomerang la storia dei fucili...
«Conosco bene il Nord. La Lega è un partito popolare, che fa il porta a porta, parla alla gente, va ai mercati, Durante questa campagna elettorale ha fatto leva sul disagio sociale ed ha interpretato meglio di Sa il disagio degli operai, dei precari. ovviamente cavalcandolo, perché adesso voglio vedere come faranno, dovranno tirare fuori la bacchetta magica. Ma la presenza della Lega ci dice anche che dovremo essere più forti e combattivi sul piano culturale, non può passare l’idea che gli immigrati vanno bruciati e cacciati, che il Paese va diviso. Non c’è bisogno soltanto di un’azione riformista, ma di una vera azione culturale».

La Lega più forte e la Sinistra Arcobaleno che non è più in parlamento. Questo cosa implica per la politica del Pd?
«Intanto diciamo che il Pd è la sinistra. Poi, per quanto mi riguarda, sono d’accordo con Veltroni: il fatto che non sia rappresentata Sa in parlamento è una perdita per la democrazia. Per questo sarà necessario un rapporto costante con questa sinistra che rappresenta valori e persone preziose per il Paese. È necessario anche costruire un lavoro comune partendo da una convinzione: deve esserci l’unità di tutte le componenti della sinistra nel governo del paese. Non si può essere di governo e di opposizione nello stesso tempo. Quello è stato un errore e le urne lo hanno detto con chiarezza».

Pubblicato il: 16.04.08
Modificato il: 16.04.08 alle ore 8.18   
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« Risposta #1 inserito:: Aprile 22, 2008, 12:25:06 pm »

22/4/2008
 
La sicurezza non ha colore
 
 
 
CARLO FEDERICO GROSSO
 
Le elezioni sono state vinte da chi offriva, fra le altre cose, maggiori garanzie di interventi in materia di sicurezza. Un tema avvertito come prioritario dalla gente, soprattutto dalle fasce deboli della popolazione e dai ceti meno abbienti, più esposti alla violenza di strada. In questa prospettiva si spiega la grande vittoria ottenuta dalla Lega, che da tempo aveva posto al centro della sua azione politica seri problemi.

Per esempio il controllo dei clandestini, il dilagare della prostituzione, il contenimento della criminalità di strada, lo spaccio, l’esigenza di pene certe.

Il centrosinistra al governo, in alcune sue articolazioni, aveva nei mesi passati avvertito l’importanza di tale problema e chiesto che fosse affrontato con determinazione. Se ne erano resi interpreti, principalmente, alcuni sindaci particolarmente avveduti, in grado di avvertire meglio di altri politici il disagio crescente della gente comune. Nell’ambito delle loro competenze essi avevano assunto iniziative coraggiose: talvolta provocatorie, talvolta addirittura al limite della legalità. Soprattutto, essi avevano chiesto con insistenza al governo interventi appropriati: maggiori investimenti, più organizzazione, coordinamento fra le diverse competenze, modifiche legislative in materia di poteri di polizia e di statuto degli stranieri, più poteri di intervento ai sindaci anche in materia di sicurezza e di ordine pubblico.

Il governo nazionale ad un certo punto si era mosso. Sia pure con difficoltà, con l’opposizione e le resistenze di una parte della stessa compagine governativa, era riuscito a varare un disegno di legge che bene o male affrontava il problema sicurezza. Sulla spinta di un fatto terribile di cronaca nera, la violenza e l’uccisione di una donna da parte di un balordo di nazionalità rumena nella periferia di Roma, aveva cercato addirittura di anticipare l’entrata in vigore di talune delle norme previste emanando un decreto legge abbastanza incisivo in tema di espulsione degli stranieri.

Le divergenze esistenti all’interno della maggioranza parlamentare hanno tuttavia impedito che il disegno di legge venisse anche soltanto messo all’ordine del giorno dei lavori parlamentari e che il decreto legge fosse approvato dal Parlamento nei sessanta giorni previsti. Un fallimento che non poteva non pesare sul giudizio della gente e sulle conseguenti sue valutazioni al momento del voto.

Nuovi, ripetuti, gravi episodi di violenza nelle strade ripropongono in questi giorni con prepotenza il tema della sicurezza nelle città. Purtroppo il dibattito sembra essere inquinato dalla propaganda. Sono ancora aperte alcune importanti tornate elettorali e la destra cerca di sfruttare l’occasione per accusare la sinistra di avere sottovalutato il problema e lasciato il Paese nell’emergenza. La posta in gioco, in particolare a Roma, è troppo importante perché la situazione non venga in qualche modo sfruttata inasprendo la polemica a scapito di una discussione pacata sui modi per affrontarla. «Moratti-Veltroni, scontro sulla sicurezza», «Ancora polemiche tra Alemanno e Rutelli», erano soltanto alcuni dei titoli dei giornali di ieri.

Eppure occorrerà che si affronti il tema della sicurezza con rigore, ma con l’indispensabile equilibrio. In questa prospettiva mi sembra essenziale il contributo positivo di tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento. Sarebbe pericoloso se la destra, oggi trionfante, pretendesse di considerare i temi della violenza e della criminalità una sua specifica competenza e si negasse ad un confronto con l’opposizione. Sarebbe ancora più pericoloso se il centro sinistra si chiudesse negli steccati e non cercasse di dialogare con il governo per una soluzione ragionevole dei problemi. La sicurezza dei cittadini è una esigenza imprescindibile e non ha colore politico.

Può avere colore politico, invece, il modo con il quale essa viene specificamente garantita, con quali sacrifici e per chi, con quali equilibri sul terreno della salvaguardia dei diritti. Ma proprio su questo terreno, per realizzare l’obbiettivo di una società sicura ma nello stesso tempo garante dei diritti di tutti coloro che lavorano onestamente nel Paese, sarebbe importante che, superata l’emergenza elettorale, le forze politiche si aprissero al confronto ed a misure bipartisan condivise.

 
da lastampa.it
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« Risposta #2 inserito:: Aprile 22, 2008, 12:26:15 pm »

Politica       

Il segretario di Pavia Mura: «Non siamo giustizieri del Ku Klux Klan ma vigilanti attivi»

Il fattore «campi Rom» e la Lega

Il sindaco di Opera Ettore Fusco: «La sinistra ha pagato per il suo buonismo che poi era lassismo»

 
Non ci sono fucili, asce, tomawak nella riserva indiana tra l'Olona e il Lambro, ma solo inferriate aguzze intorno alle villette e qualche cane sul cancello che digrigna i denti; sono spariti i manifesti degli Sioux e tra Landriano, Vidigulfo e Torrevecchia oggi sui muri sorride il poster di Berlusconi, «Grazie, un successo straordinario», ma in piazza c'è il gazebo della Lega.

«Non mollate», urla un pensionato: l'altra notte hanno rubato in una casa e si è sparsa la voce, sono entrati di notte, la famiglia era a letto, hanno anche aperto una bottiglia di vino. Rom, romeni, clandestini: sempre loro. La paura gonfia l'urna leghista, raddoppia e triplica i consensi nei paesi di frontiera dove il piccolo benessere è infranto da incursioni e ruberie: l'impunità fa rabbia, la gente non si fida più. «E noi siamo ancora qui», dice Roberto Mura, segretario provinciale a Pavia, seimila chilometri di campagna elettorale, quasi quattromila voti per il Senato, «non molliamo, perché questo è il nostro compito. Siamo gli unici a parlare di sicurezza, senza imbarazzi».

Dove c'è una baraccopoli, un'occupazione irregolare, un campo nomadi abusivo, i leghisti scandiscono slogan, organizzano proteste, indossano il fazzoletto verde e accendono i lampeggianti per le ronde padane, «le ho fatte anch'io— racconta Mura— ce le chiede la gente, anche qualche imprenditore. Non siamo giustizieri del Ku Klux Klan, facciamo solo capire che esiste un presidio, una vigilanza attiva. La polizia non ce la fa, gli organici non bastano». San Genesio, appena più avanti, è un avamposto dove senti forte la voglia di dire basta. Nel Duemila volevano mettere i cancelli antirapina: 47 assalti nelle case in meno di tre mesi. Mura fa anche il sindaco. «Questa provocazione dei cancelli ce la portiamo dietro, come i luoghi comuni del leghista un po' rozzo, qualunquista e razzista. Io faccio l'imprenditore, ho la maturità scientifica, ritengo di non puzzare. Ho amici bosniaci, prendo il caffè con loro, so che bisogna convivere con l'immigrazione ma rispettando le regole. La Lega lo ripete da quindici anni, oggi viene premiata la coerenza e la chiarezza di un progetto che difende il territorio». Al bar sulla strada principale, il titolare Rocco Cua si scalda: «Che siano razzisti o marziani io li ho votati perché sulla sicurezza dicono quello che vogliamo sentirci dire: dentro chi lavora, fuori i mascalzoni ». Il bar ha le grate di una prigione, le saracinesche blindate, un antifurto satellitare. Coprifuoco di sera: alle 20 tutti a casa. Non c'è più il popolo dello scopone dopocena. «A una certa ora si fermano solo zingari e clandestini, preferisco chiudere».

La linea del malessere finito nell'urna porta verso Rozzano, Opera, Pieve Emanuele, verso le baraccopoli milanesi dove si accumulano le vite di scarto dei rom, i campi profughi per disperati, sudici depositi di merce rubata, gomme, parafanghi e materassi. Anche qui è un marcia trionfale: la battaglia contro il campo nomadi a Opera ha portato la Lega dal 4,75 al 12,4 per cento. Ettore Fusco, 38 anni, è il sindaco del paese, protagonista di una battaglia finita nel rogo della tendopoli che doveva ospitare i rom. L'hanno accusato di istigazione a delinquere per quella sera, aveva detto in consiglio «andiamo tutti e resistiamo, gli interessi dei cittadini non sono quelli della solidarietà ai nomadi». Pentito? «Sono stato prosciolto, in certe situazioni c'è sempre qualche scalmanato. Ma senza reagire finisce che i clandestini entrano nelle nostre case, è sempre peggio. E se ti opponi rischi la galera...». La gente non ce la fa più, spiega Fusco, «e ce lo viene a dire. La sinistra ci ha marciato con questi poveracci, con il buonismo che poi era lassismo. Li volevano iscrivere ai sindacati, pensavano di farli votare: chi si occupa di campi nomadi è sempre della sinistra radicale. Noi abbiamo fatto una sommossa contro i rom , loro li volevano in casa. E così a Opera il centrosinistra è sceso dal 63 al 43 per cento». I rom ci hanno fatto una propaganda incredibile, spiega il sindaco. «Hanno rilanciato il nostro progetto, non la solita protesta: il federalismo. Così il cittadino vede se ti dai da fare per lui oppure no. Oggi non si capisce mai di chi è la colpa...».

La periferia milanese soffre. Ci sono asili assediati, ospedali che denunciano un boom di furti, cittadini che chiamano ogni giorno polizia e carabinieri. Matteo Salvini, neoeletto in Parlamento, è dappertutto con il suo megafono, come un cane da polpaccio: «Ci votano per questo, non perché siamo chic. E andremo fino in fondo in Parlamento con il nostro progetto». A Milano, in via Dudovich, zona Gratosoglio, c'è una nuova favela, vecchi e bambini vivono tra topi e scarafaggi. Don Virginio Colmegna, presidente della Casa della carità, è in trincea da anni, cerca di conciliare accoglienza e legalità. «Sui campi rom diciamo come la Lega che non ci devono essere. Sono disumani. Ma è diversa la strategia sul che fare. Gli sgomberi non bastano, spostano solo il problema più in là. Serve un rigoroso progetto di accoglienza e bisogna disinnescare il clima elettorale». Diecimila nomadi intorno a Milano sono troppi, «vanno oltre le nostre possibilità», spiega il presidente della Provincia Penati, partito democratico: da sindaco di Sesto sui rom aveva avuto una linea simile a quella della Lega. Allora era isolato nel Pci. Adesso è un'avanguardia del partito del Nord. Ma la Lega ha già portato via i voti.

Giangiacomo Schiavi
21 aprile 2008


da corriere.it
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« Risposta #3 inserito:: Aprile 22, 2008, 12:31:25 pm »

Apertura all'udc: «dialogo con loro per l'opposizione»

Veltroni: «La Moratti? Mancanza di stile»

Polemiche sulla sicurezza, il leader Pd attacca il sindaco di Milano: «Il suo partito votò l'indulto»

 
 
MILANO - «Mi ha colpito la mancanza di stile del sindaco Moratti». Walter Veltroni replica duramente al sindaco di Milano dopo le polemiche sulla sicurezza (e le accuse lanciate dal primo cittadino del capoluogo lombardo sulla «scarsa attenzione» alla questione prima della campagna elettorale). «Il partito della Moratti - ricorda il leader del Pd dopo la prima riunione dei segretari regionali di tutto il partito avvenuta a Milano - ha votato a favore dell'indulto e ha dato l'autorizzazione a centinaia di persone di entrare nel nostro Paese senza alcun controllo». «Non capisco perché - aggiunge Veltroni. riferendosi ai recenti casi di cronaca - se un caso di violenza sessuale avviene a Roma è colpa dell'amministrazione locale mentre se avviene in qualsiasi altra città è colpa del governo». Secondo l'ex sindaco della capitale, molte responsabilità vanno individuate proprio nella legge Bossi-Fini. E il vero problema è quello di «riuscire a garantire l'accoglienza e la legalità». Veltroni si dice colpito da questo uso politico di «brutti fatti di cronaca» nei quali alla fine «nessuno più parla delle donne violentate. Si sta attenuando l'attenzione».

UDC - Ma non c'è solo il tema della sicurezza nell'agenda politica di Veltroni. Ad una settimana dal voto, davanti allo stato maggiore del partito, il numero uno serra i ranghi e lancia l'idea di un Partito Democratico che sia strutturato in un coordinamento del Nord ed uno del Sud. E poi prepara l'opposizione partendo anche da quelli che potrebbero essere 'utili' alleati in Parlamento. E lo fa aprendo ai centristi. «Partiamo da una grande forza che se farà opposizione in maniera intelligente, se costruirà i rapporti con altre forze, e penso all'Udc, avrà la possibilità di far ripartire la sfida riformista», dice Veltroni. Per il leader Pd, inoltre, «si profila una compagine di governo che ricalca quella del '94, come avevamo previsto. Da parte nostra, daremo vita a un governo ombra che sarà costantemente pungolo e critica secondo uno schema europeo. Nel Nord c'è la possibilità di riaprire un confronto e un dialogo, le nostre proposte sono quelle che il Nord produttivo vuole sentirsi dire, come dimostrato dal fatto che in tante città del Veneto e della Lombardia il Pd è il primo partito. Partiamo da una grande forza che farà l'opposizione in maniera intelligente con le altre forze politiche escluse dalla maggioranza, in particolare l'Udc. E invito tutti a non fare valutazioni sulla durata dei governi che non dipendono solo dai numeri ma anche dalle capacità strutturali di realizzare il programma».

RIVOLUZIONE DOLCE - Analizzando il risultato elettorale, Veltroni spiega: «In quattro mesi abbiamo fatto una rivoluzione dolce, più grande di quanto sia apparsa». Il leader Pd punta l'accento soprattutto sulla «discontinuità culturale e programmatica con il vecchio centrosinistra. Più importante di correre da soli - sostiene Veltroni - è stato utilizzare un lunguaggio nuovo nel rapporto con la parte più attiva e produttiva del Paese». Con questa discontinuità, insiste il segretario del Pd, «abbiamo fatto un gigantesco recupero, avendo cura di entrare in relazione con quella parte del Paese che si è distaccata dal centrosinistra». Un rapporto, afferma Veltroni, che si è «incrinato e lacerato a partire dall'indulto e poi con la finanziaria tra il Paese e il vecchio centrosinistra». Il numero uno del Partito democratico ci tiene però a precisare che queste parole non sono un attacco al governo precedente: «Faccio un distinguo tra Prodi e la sua maggioranza che aveva linguaggi molto diversi dalla nostra idea di riformismo. Finalmente adesso si può fare questa distinzione».


21 aprile 2008

da corriere.it
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