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Autore Discussione: LEGGERE per capire... non solo la politica.  (Letto 150749 volte)
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« Risposta #90 inserito:: Giugno 02, 2008, 11:44:05 am »

Il nemico non è l’immigrato

Rula Jebreal


Il mix è esplosivo. E si fa ormai fatica a capire che parte hanno l’intolleranza, il razzismo, l’odio politico, la giustizia fai-da-te nell’esplosione di violenza che da qualche giorno scuote il Paese dalle fondamenta. L’unico elemento comune che si trova all’origine di tutte le analisi che tentano di dipanare l’intricata matassa è il fallimento dello Stato, delle politiche che ha adottato, della Politica con la P maiuscola che ne ha guidato l’azione.

Vengono al pettine i nodi di tutte le contraddizioni prodotte dai continui compromessi che la politica ha accettato negli ultimi anni per governare fenomeni sociali molto complessi che avevano invece bisogno di essere affrontati con il massimo di trasparenza e di linearità. Quando il Capo della Polizia Manganelli dichiara l’impotenza delle forze dell’ordine e vede nell’azione della Magistratura un elemento di freno che vanifica gran parte del lavoro svolto; quando la Magistratura chiamata in causa risponde che non può sottrarsi all’applicazione letterale della legge e che non saremmo in uno Stato di diritto se l’azione giudiziaria si facesse strumento di una strategia operativa del governo, dobbiamo allora riconoscere che il Parlamento della Repubblica ha dato un colpo al cerchio ed uno alla botte e che ne è venuta fuori una situazione di stallo. Una condizione di immobilismo che gioca tutta a favore di chi, italiano o immigrato, è interessato a delinquere. In passato ho spesso denunciato l’incapacità degli uffici amministrativi a fare una selezione tra gli immigrati in base alla cultura, alla professionalità, alla condotta di vita, e mi sono lamentata di un livellamento verso il basso che produceva umiliazione e malessere nelle tante persone oneste e perbene che sono approdate in Italia da altri Paesi. Ora mi rendo conto di un secondo effetto, forse persino più grave, di questo atteggiamento: nel novero indistinto degli immigrati non c’è solo il mancato riconoscimento per i giusti; c’è anche un comodo rifugio per i delinquenti. Sono sinceramente dispiaciuta che la stampa non colga questa macroscopica anomalia e si faccia invece amplificatore di un giudizio che rischia di sovrapporre il fenomeno immigrazione al fenomeno delinquenza, senza capire che solo il riconoscimento di piena cittadinanza per gli immigrati, intesa nel senso di una comune condivisione dei diritti civili, può portare ad enucleare gli aspetti di degenerazione illegale o addirittura criminale che fisiologicamente accompagnano le migrazioni di massa. In Italia il confronto tra il buonismo e l’ostracismo ha soppiantato ogni serio dibattito sul funzionamento delle strutture che devono separare le mele marce da quelle sane e garantire ai cittadini la necessaria e dovuta serenità. Tutto è stato ricondotto ad una equazione tanto semplice quanto antistorica: per fermare la delinquenza bisogna fermare l’immigrazione. E ciò a dispetto delle statistiche che ci ricordano che ancora oggi oltre i due terzi di tutti i delitti sono commessi in Italia da italiani.

C’è da augurarsi che il nuovo governo sappia trarre le giuste indicazioni dalle esperienze e che coordinando le politiche della sicurezza, della giustizia e delle carceri possa restituire serenità alla popolazione, ritrovando anche il giusto ruolo dello Stato che ha il monopolio della forza e non deve aver bisogno di alcuna surroga. Su un diverso fronte mi aspetto l’avvio di una rigorosa politica di integrazione per gli immigrati che ponga anche requisiti severi ma che offra la possibilità a chi merita di sedersi a pieno titolo tra i cittadini degni di questo nome. Non ho dimenticato lo sforzo che fece il Ministro Pisanu con il suo progetto di Consulta e spero che questa strada venga ripresa con maggior vigore e porti ad attribuire responsabilità se non politiche almeno amministrative ad immigrati che lo hanno meritato. Nessun segnale è oggi più importante per riportare sulla giusta rotta un’opinione pubblica che si è troppo sbilanciata verso l’adozione di un giudizio sommario sul fenomeno immigrazione, sollecitata da troppe frasi irresponsabili pronunciate nei palazzi della politica e, purtroppo, dal risalto asimmetrico e poco oggettivo che i media danno agli avvenimenti.

Dobbiamo insieme puntare l’indice contro la diffusa illegalità che in questo paese regna sovrana e ricostruire un sistema di regole che valgano per tutti senza privilegi e senza eccezioni di razza, di censo o di potere. Sta qui il punto debole del sistema, un peso insopportabile che esaspera la cittadinanza e che si trasforma invece nella condizione più favorevole per i malintenzionati. La ragione per cui il numero degli extra-comunitari che delinquono è in Italia superiore alla media europea.

Pubblicato il: 01.06.08
Modificato il: 01.06.08 alle ore 6.54   
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« Risposta #91 inserito:: Giugno 03, 2008, 11:55:49 am »

2008-06-02 21:03

CLANDESTINI, CRITICHE ALL'ITALIA
 (di Chiara Scalise)



Italia nel mirino di Vaticano e Onu.

L'intenzione di introdurre il reato di clandestinità si scontra con un doppio altolà: quello del ministero dell'Immigrazione della Santa Sede e quello dell'Alto commissario per i diritti umani, Louise Arbour, che bocciano la nuova misura varata dal governo e a breve all'esame del Parlamento. Nonostante la critica sia identica nei contenuti, l'Esecutivo sceglie di replicare in modo diretto esclusivamente al Palazzo di Vetro: qualsiasi giudizio è prematuro, fa sapere la Farnesina, perché il testo non ha ancora iniziato il suo iter nelle Aule di Camera e Senato.

L'occasione è però 'ghiotta' e innesca una nuova polemica tra i due schieramenti. Giorgio Napolitano si astiene ovviamente dall'entrare nel merito, ma osserva solo che ora la palla è nelle mani dei deputati e dei senatori. Il disegno di legge "é davanti al Parlamento", replica a margine della Festa della Repubblica ai Giardini del Quirinale. E non interviene direttamente neanche il premier Silvio Berlusconi. La reazione ufficiale firmata Farnesina sarebbe però arrivata dopo un colloquio telefonico tra il Cavaliere e il ministro degli Esteri Franco Frattini. Una risposta che ha il proprio nocciolo in quelle poche righe in cui si fa sapere che i giudizi arrivati non condizioneranno "il dibattito politico nazionale, che sarà come sempre trasparente ed aperto al contributo di maggioranza ed opposizione".

La Farnesina precisa anche che la norma 'incriminata' nulla ha a che vedere con "la xenofobia o con la discriminazione su base razziale";al contrario, "affronta il fenomeno dell'immigrazione illegale - si legge in una nota diffusa a sera - e degli strumenti legislativi per ridurlo, nell'ambito, beninteso, delle garanzie previste dall'ordinamento giudiziario e nel pieno rispetto delle direttive dell'Unione Europea". Il giro di vite sull'immigrazione viene difeso dalla maggioranza, che invita a non strumentalizzare i moniti arrivati oggi. Quello dell'immigrazione "é sempre e solo un problema di equilibrio tra la solidarietà e la legalità", ha rammentato il presidente della Camera Gianfranco Fini, prima ancora che scoppiasse il nuovo caso. Su tutto, afferma il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi, "é importante non piegare a proprio favore i richiami del Vaticano o dell'Onu". Ma c'é anche chi azzarda posizioni più nette: "Sono cattolico, apostolico e romano - afferma il capogruppo del Pdl al Senato Maurizio Gasparri - e non ritengo sia incompatibile con la religione cattolica una posizione di severità". Determinatissima anche la Lega, partito al quale appartiene il ministro dell'Interno Roberto Maroni (padre del disegno di legge sull'immigrazione): il reato di clandestinità non si tocca, dice il numero uno alla Camera Roberto Cota; perché mai, si chiede il ministro Roberto Calderoli, l'Onu se la prende solo con l'Italia? In modo simmetrico, il centrosinistra approfitta delle critiche che piovono da oltretevere e dall'Onu. Il presidente dei senatori del Pd Anna Finocchiaro ribadisce la disponibilità del suo partito a fare la propria "parte nell'affrontare la discussione sul pacchetto sicurezza che il governo ci presentera", ma allo stesso tempo invita gli avversari a compiere una "riflessione profonda" sulla correttezza del reato di clandestinità. Più che essere pregiudizialmente contraria, l'Italia dei Valori è convinta che sia 'una norma inefficace'', e durissimi sono gli esponenti, ormai extraparlamentari, del Prc che accusano il governo di aver varato norme "incostituzionali". Un invito alla cautela arriva invece dall'Udc: "Le elezioni sono lontane - commenta il segretario del partito Lorenzo Cesa - e la demagogia dovrebbe lasciare il posto al buonsenso e alla cultura di governo. Palazzo Chigi ascolti il Vaticano e la comunità internazionale". 

da ansa.it
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« Risposta #92 inserito:: Giugno 03, 2008, 11:58:11 am »

A Venezia

Blitz della Lega contro il campo nomadi

E' finanziato dal Comune con 2.8 milioni di euro.

Esponenti e simpatizzanti bloccano i lavori di costruzione



VENEZIA - Blitz di esponenti e simpatizzanti della Lega Nord, poco dopo l'alba, a Mestre (Venezia) per bloccare i lavori di costruzione di un campo nomadi finanziato dal Comune con 2,8 mln di euro. Alla manifestazione - hanno riferito gli organizzatori - partecipano alcune decine di persone; alcuni di loro si stanno incatenando per impedire l'avvio dei lavori che, già previsti per i giorni scorsi, stanno subendo dei rinvii.

Oltre agli esponenti del Carroccio, sono presenti i rappresentati del comitato di cittadini contrario alla costruzione del campo, che è destinato a una comunità sinti che da decenni vive a Mestre. Sono previste piccole casette con annessa, a ciascuna, lo spazio per parcheggiare una roulotte. «Il sindaco di Venezia, Massimo Cacciari - ha detto il capogruppo della Lega in consiglio comunale, Alberto Mazzonetto - con questa iniziativa ha tradito i veneziani. I costi del campo incideranno sulla finanza locale e impediranno altre opere che sono prioritarie. A Venezia c'è una emergenza abitativa per almeno 2000 persone, sfrattate o prive di casa: i soldi per il campo dovevano andare a loro. Per Cacciari vengono prima i nomadi che i veneziani indigenti».


03 giugno 2008

da corriere.it
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« Risposta #93 inserito:: Giugno 04, 2008, 12:09:39 am »

La Spagna: sull'immigrazione sbagliate iniziative unilaterali


Toni Fontana


Diego Lopez Garrido, già portavoce del Psoe alla Camera (corrisponde a capogruppo in Italia) è stato nominato, con il nuovo governo, segretario di Stato per l’Unione Europea. Dopo le polemiche sull’immigrazione ha incontrato a Madrid l’omologo italiano Ronchi. Il presidente del governo Zapatero, oggi a Roma per il vertice Fao, lo ha incaricato di rappresentare le posizioni di Madrid sul tema dell’immigrazione. «La Spagna - dice - è legata all’Italia da una solida amicizia, anche se sull’immigrazione le posizioni non coincidono sempre. Anche noi vogliamo combattere l’immigrazione illegale; se si stabilisce il rimpatrio lo facciamo nel rispetto dei diritti e delle garanzie. Noi lavoriamo assieme all’Italia anche nel controllo delle nostre frontiere, ma iniziative unilaterali contro l’immigrazione illegale possono comportare conseguenze non desiderate tutto attorno e occorre scongiurare il rischio che si producano flussi migratori in Spagna».

Sui giornali italiani è apparsa la foto che ritrae lei ed il ministro italiano Ronchi sorridenti. Sono dunque archiviate le polemiche tra Roma e Madrid?
«Italia e Spagna mantengono sempre aperta una via di dialogo, la visita del ministro Ronchi nè è una prova. Questo atteggiamento di interesse reciproco non è venuto meno e noi siamo convinti che occorre predisporre una politica comune europea per affrontare il tema dell’immigrazione. Come tutti sappiamo si tratta di una questione molto delicata e importante e non sempre le nostre opinioni coincidono. Continueremo a cercare questo consenso e sono convinto che quello che si vede nelle foto non sarà l’ultimo sorriso tra noi».

Resta tuttavia una diversità di vedute sul reato di immigrazione clandestina che il governo italiano vuole introdurre..
«Non sempre le nostre posizioni coincidono con quelle dell’Italia sulla questione dell’immigrazione, tuttavia sia il vostro paese che la Spagna intendono combattere l’immigrazione clandestina e dare un segnale chiaro e fermo della nostra opposizione. Noi siamo convinti che la situazione di ciascun paese è differente, però, in fin dei conti, il problema dell’immigrazione clandestina riguarda tutti i membri dell’Unione e dunque occorre definire una strategia a livello europeo. Questo è quanto abbiamo detto al governo italiano con augurio di continuare a lavorare per una politica comune».

La Spagna teme che se l’Italia innalza barriere contro l’immigrazione, aumenterà l’afflusso verso le vostre coste?
«Vivere in un Europa senza frontiere offre molti vantaggi e molte opportunità, occorre però essere coscienti della responsabilità che ciò comporta per ciascun governo. Un intervento unilaterale contro l’immigrazione illegale può provocare una reazione non desiderata tutt’attorno e determinare il rischio che si producano flussi migratori, ciò va evitato. L’Italia è comunque uno dei principali nostri “soci” nella protezione delle coste (finanzieri italiani partecipano al pattugliamento delle acque in Senegal deciso dopo gli sbarchi nelle Isole Canarie spagnole Ndr). I nostri due paesi hanno collaborato per molto tempo attraverso l’agenzia Frontex (agenzia europea per il controllo delle frontiere Ndr). Questo è senza dubbio un esempio di come affrontiamo assieme i problemi, e di come concretamente collaboriamo mettendo in comune mezzi e personale»

Anche il vostro ministro del Lavoro Corbacho prospetta un inasprimento delle politiche della Spagna verso l’immigrazione
«In nessun momento abbiamo stabilito un inasprimento della nostra politica e la Spagna non ha cambiato il suo atteggiamento nei confronti dell’immigrazione illegale. Manteniamo la nostra posizione che comprende ad esempio il fatto che vengono accettati gli immigrati che posseggono un contratto di lavoro. A coloro che sono entrati illegalmente in Spagna e devono dunque essere rimpatriati noi garantiamo il rispetto dei diritti e delle garanzie che sono state stabilite nel nostro paese. Abbiamo inoltre rafforzato la collaborazione con alcuni paesi di origine affinché il ritorno venga effettuato nelle migliori condizioni possibili».

Molti giornali italiani hanno scritto che la Spagna ha espulso molti immigrati ed hanno ricordato i fatti accaduti a Ceuta e Melilla alla fine del 2005..
«L'immigrazione legale è uno dei motori dei quali la Spagna non può fare a meno, però non è un mistero il fatto che il nostro governo intende lottare contro l’ingresso illegale di immigrati. Gli incidenti ai quali si riferisce hanno avuto per protagonisti persone che cercavano di penetrare illegalmente. Quando accadono fatti come questo noi cerchiamo di analizzare caso per caso se si tratta di disporre il rimpatrio di queste persone e, in tal caso, cerchiamo di raggiungere un accordo con il paese di origine. Su questo noi possiamo già vantare un’esperienza ed abbiamo inaugurato una strada per risolvere i problemi. Per questa ragione la «direttiva del ritorno» è molto importante perché stabilirà condizioni minime eguali per tutti gli stati membri dell’Unione Europea che si debbono misurare con problemi come questo».

Alcuni osservatori della destra sostengono sulla stampa italiana che è la Spagna ed essere isolata. Oggi il presidente del governo sarà a Roma al vertice della Fao e potremo vedere se ciò corrisponde al vero...
«La Spagna è un paese tradizionalmente europeista, la società spagnola esprime una forte spinta verso l’Europa e dunque per noi è davvero impensabile sentirsi isolati anche perché le nostre proposte vengono regolarmente accolte dagli altri paesi membri. Noi ci identifichiamo molto con i valori che sono alla base del patto tra gli europei e ciò si può verificare analizzando i nostri rapporti con i paesi soci della Ue. Può capitare, un giorno o un altro, di esprimere posizioni differenti, però la politica europea si fa guardando avanti, al futuro, cercando benefici per tutti i cittadini del continente. Su questo la pensiamo tutti allo stesso modo».

Pubblicato il: 03.06.08
Modificato il: 03.06.08 alle ore 12.52   
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« Risposta #94 inserito:: Giugno 05, 2008, 10:33:38 am »

Il Volto Cattivo

Dijana Pavlovic




La scelta del Comune di Venezia di offrire una vera opportunità di integrazione ai rom che vi risiedono regolarmente, lavorano e mandano i figli a scuola avrebbe dovuto avere il plauso di chi invoca legalità e sicurezza. Ma per i leghisti veneti non è così. È forse meglio il rogo dei campi a Napoli, le molotov di Pavia, le accuse mai provate di rubare bambini, le ronde che percorrono le città d’Italia? La feroce campagna della «Lega contro zingari e immigrati» continua alimentando l'insofferenza diffusa contro il diverso, l’immigrato, lo zingaro che assume i connotati espliciti della xenofobia e del razzismo.

Ma proprio chi invoca sicurezza sa che quanto più una comunità è in condizioni di stabilità, ha un minimo di sicurezza sociale, più è garantita sicurezza per tutti.

Ma quello che io ho visto è che questo non interessa. I 65 sgomberi di cui si vanta il vicesindaco di Milano non hanno risolto il problema dei campi abusivi - si sono solo spostati altrove - in compenso hanno distrutto quel poco di integrazione che si era realizzato con gli uomini che lavoravano, anche se spesso in nero perché ricattati, e i bambini che frequentavano le scuole. È forse più sicuro rendere queste persone più disperate, costringerle a disperdersi sul territorio e arrangiarsi come possono per sopravvivere?

I dati delle Nazioni unite classificano l’Italia come uno dei paesi industrializzati più sicuri al mondo: solo in Austria e Giappone ci sono meno omicidi che in Italia e per quanto riguarda scippi e borseggi - i reati che più si attribuiscono ai rom - l’Italia e al 14° posto sui 18 paesi esaminati, e così via.

La paura agitata dai leghisti è il frutto di una logica senza prospettiva: chi può pensare di invertire i fenomeni migratori che ovunque stanno cambiando il mondo? È la scelta di un consenso ottenuto all’insegna di una insicurezza costruita gridando a un lupo senza denti. Scarica sul più debole il malessere di una società che ha un disagio sociale e morale profondo, grande responsabilità del quale tocca a una politica che rinuncia al compito di educazione civile per seguire gli istinti peggiori in un perverso circuito: la politica, con il coro condiscendente dei media, alimenta la paura dei cittadini che premiano con il voto questa politica.

Questa nuova Italia che criminalizza per decreto la povertà, della violenza contro gli ultimi, del pregiudizio elevato a verità, della giustizia fai da te dovrebbe invece riflettere sul lungo decorso della malattia che l’affligge e sulle preoccupanti prospettive del suo futuro. Non si può non legare i Maso, le Eriche e gli Omar, che uccidono i genitori per denaro, ai ragazzini che violentano e uccidono una coetanea, al branco che uccide un diverso da loro a Verona, al bullismo nelle scuole, alla violenza praticata nelle famiglie.

Coloro che aizzano i cani, lanciano molotov e sassi, percorrono in ronde minacciose le città, i sindaci che annunciano nei cartelloni che «i clandestini possono stuprare i tuoi figli» sono il volto vigliacco di chi non guarda al male che porta dentro di sé, di chi rifiuta di affrontare la camorra che a Napoli controlla i rifiuti e organizza i roghi dei campi rom, la mafia padrona della vita e del voto dei siciliani, l’andrangheta non solo padrona del territorio calabrese ma di interi quartieri di città come Milano.

Di fronte a tutto questo io, rom e cittadina italiana, che so bene quanto il rispetto della legge protegga me e il mio popolo, dico alla Lega quanto mi pesa che sappia mostrarmi solo il volto vile del paese che amo.

dijana.pavlovic@fastwebnet.it


Pubblicato il: 04.06.08
Modificato il: 04.06.08 alle ore 13.00   
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« Risposta #95 inserito:: Giugno 05, 2008, 12:56:16 pm »

Muscoli di Carta

Gianni Marsilli


Qua e là risuona da Roma una parola assai inabituale nel gergo politico italiano: sovranità. La brandiscono Calderoli (Lega) e Bocchino (An), per rivendicare autonomia rispetto ad istanze sovranazionali come l’Unione europea e l’Onu, preoccupate per la piega che prende in Italia la questione della sicurezza e dell’immigrazione.

È una parola carica di storia ma oggi anche di ambiguità. Nel resto d’Europa serve da lustri ad identificare i «sovranisti», euroscettici o eurocontro, fautori delle prerogative dello Stato nazionale contro l’invadenza comunitaria. Da noi non si capisce ancora, anche perché i «sovranisti», in genere, sono i primi a presenziare alle parate militari e ad inchinarsi davanti al vessillo nazionale. La Lega ha invece disertato la Festa della Repubblica, e del tricolore sappiamo bene quale uso vorrebbe fare, sotto lo sguardo benevolo dei patrioti Bocchino, Gasparri e La Russa. Ma lasciamo a Pontida quel che è di Pontida, e vediamo di ragionare un po’. Non c’è dubbio che la questione dell’immigrazione e della sicurezza abbia carattere d’urgenza, e che sia bisognosa di risposte rapide. Il governo italiano pensava di aver trovato il punto critico e il modo più efficace per aggredirlo: rendere reato l’immigrazione clandestina. Lo prevedono altri codici penali europei, è vero. Ma è altrettanto vero che in nessun paese la norma è risultata dissuasiva. Nel frattempo in Italia, sul terreno, dirigenti e militanti veneti della Lega si sentono autorizzati, dal vento che tira, a bloccare la costruzione di un villaggio per nomadi Scinti, votata dal Comune di Venezia, confermando che Mario Borghezio non è un solitario e pittoresco esaltato, ma la punta gassosa dell’iceberg dell’intolleranza e dell’ottusità. Qualcosa di tutto ciò dev’essere arrivato all’orecchio di Berlusconi, se ieri ha deciso di affondare il rigore esibito dai suoi portavoce: per lui, fatte salve future smentite, l’immigrazione illegale può essere al massimo un’aggravante, ma non un reato. Essendo il capo del governo, si presume che la benvenuta virata di bordo avrà qualche conseguenza concreta sulla discussione in Parlamento. La turbolenza, chiamiamola così, non investe solo l’Italia. Sul piano della sicurezza in Gran Bretagna Gordon Brown, mentre tocca il fondo degli indici di popolarità, pensa di riguadagnare qualche punto proponendo, la settimana prossima in Parlamento, di allungare la detenzione provvisoria per i «sospetti» di terrorismo. È già di 28 giorni, la vorrebbe di 42 giorni, record mondiale. In Francia, per intendersi, è di sei giorni. Mai, inoltre, un magistrato ha sentito la necessità di superare i 28 giorni per incolpare l’arrestato. Il Labour è in rivolta e minaccia di votargli contro. Ma Gordon Brown ha semplicemente un problema di consenso d’opinione, che rincorre con i mezzucci di bordo facendo la voce grossa. Inutile dire che ai conservatori riesce meglio. In Francia Sarkozy continua a fissare quote di espulsione, che ministri e prefetti sono tenuti a rispettare: 30mila per l’anno in corso. Ogni tanto qualche «irregolare» cade da un cornicione, tentando di sfuggire ai gendarmi. Ogni tanto i gendarmi compiono irruzioni maldestre, anche nelle scuole elementari. Ma accade anche che i «clandestini» lavorino e ad un certo punto escano allo scoperto: per cortesia, mi chiamo Yousouf, sgobbo qui da dieci anni, mettetemi in regola. È successo in diversi ristoranti parigini, sotto l’occhio delle telecamere convocate in cucina, e quasi tutti sono stati messi in regola. Le cose, nei fatti, vanno come possono, con buona pace del «reato» di clandestinità. Forse consapevole dell’insufficienza decretizia di un apparato normativo anti-immigrati, è da tempo che Sarkozy ha annunciato la volontà di stringere con i partner un «patto per l’immigrazione» europeo, che dovrebbe essere il fiore all’occhiello della presidenza francese dell’Ue che comincerà tra quattro settimane. Non è ancora chiaro in che cosa dovrebbe consistere, a parte il conclamato rifiuto di sanatorie di massa, ma perlomeno colloca il problema nella sua giusta dimensione, che non è nazionale ma europea, anzi euro-africana. Sembra banale, ma evidentemente non lo era per il governo italiano, convinto che una «linea dura» fatta in casa come la pasta fresca, e nutrita da muscolari dichiarazioni televisive, si dimostrerà pagante. Di cosa l’Italia proponga ai partner europei, invece, non è ancora dato di sapere. Almeno fino a ieri però Sarkozy era contento di Berlusconi. Sapete cosa si diceva ufficiosamente all’Eliseo? «Con la posizione dura di Berlusconi, quella della Francia appare moderata». Forse è qui, nel sano timore di apparire ancora una volta i più mascelluti e stupidamente teatrali della compagnia europea, che trova spiegazione l’abbondante dose di acqua che ieri Berlusconi ha voluto mettere nel suo vino. È la miglior risposta a tutti quelli che dicono che di Europa non c’è bisogno, e che invocano una sovranità del piffero.

Pubblicato il: 04.06.08
Modificato il: 04.06.08 alle ore 12.59   
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« Risposta #96 inserito:: Giugno 06, 2008, 01:59:10 pm »

I casalesi volevano gli appalti per il litorale domitio

Le «bussatine» dei clan denunciate dai Coppola

Il padre della vice di Confindustria contro la camorra


ROMA — La «bussatina» arrivò la sera del 15 ottobre 2003 con un signore chiamato Scoppietta, pensionato di 73 anni che si presentò alla clinica del dottor Vincenzo Schiavone a Castelvolturno, in compagnia di un'altra persona, ben più giovane e prestante. La quale disse al medico, socio in affari del costruttore Cristoforo Coppola: «Parlo a nome e per conto di Cicciotto 'e mezzanotte, solo per farvi... una bussatina per quanto riguarda questi lavori di questo ospedale che si deve fare... Parlando con Coppola... così... fa capire che il 50 per cento è vostro e il 50 è suo... Non si riesce a capire come questi lavori vengono gestiti, allora noi eravamo venuti qua perché vi volevamo raccomandare una grossa impresa fuori».

Discorso intercettato dalla polizia e fin troppo chiaro, visto che Cicciotto 'e mezzanotte altri non è che Francesco Bidognetti, il capoclan dei Casalesi che in quella zona fanno valere la legge della camorra. Allora come oggi. E gli omicidi e le sparatorie delle scorse settimane ai danni di testimoni e familiari di pentiti si possono forse spiegare rileggendo le più recenti indagini della Procura antimafia di Napoli. Come quella che due mesi fa ha prodotto 52 ordini di arresto di uomini affiliati al clan; 16 evitarono le manette, e tra questi i quattro o cinque latitanti sospettati per gli ultimi delitti. Nelle carte di quell'inchiesta c'è pure la storia della tentata estorsione ai danni del consorzio «Rinascita» che Schiavone — già pressato da Scoppietta per altre vicende riguardanti le sue cliniche — ha costituito con Cristoforo Coppola, «per la realizzazione di un piano di risanamento, riqualificazione ambientale e rilancio socio-economico del Litorale D omitio». Lavori da centinaia di milioni di euro che i Casalesi non potevano lasciarsi sfuggire. Dopo la «bussatina» ci fu una sorta di «pausa di riflessione», ma il rappresentante dei Casalesi tornò alla carica in primavera. Fu piuttosto esplicito, accennando alle collusioni dei camorristi negli enti locali: «Coppola Cristoforo dicono che tiene un sacco di cose da fare... Questi tengono i Comuni a disposizione, che gli dicono tutti i peli...».

I Casalesi volevano un contatto diretto Coppola che (avvisato da Schiavone) rifiutò. L'«ambasciatore » Scoppietta, secondo la definizione del giudice che ne ordinò l'arresto, prese atto: «Va bene... ci vediamo...». Nel giro di due settimane ci fu un'irruzione nei cantieri del Centro direzionale a Caserta della «Mirabella spa» di Coppola, un'esplosione vicino al cancello d'ingresso della villa del costruttore e un'incursione notturna negli uffici della «Mirabella » e del consorzio «Rinascita ».

Qualche mese più tardi Cristoforo Coppola — padre di Cristiana, attuale vicepresidente della Confindustria con delega per il Mezzogiorno — spiegò al magistrato: «Il dottor Schiavone mi ha comunicato di essere stato avvicinato da vari personaggi legati alla criminalità camorristica locale, che volevano mettere le mani sui lavori che intendevamo svolgere nell'ambito dell'attività del consorzio. In particolare ricordo di un certo "Scoppietta"... Questi criminali intendevano ottenere i subappalti delle opere di risanamento del Litorale Domitio... Voglio farle comprendere che si tratta di opere che la "Mirabella", e quindi il consorzio, fa a proprie spese... Devo dirle che, se ci aiuteranno le autorità, il progetto è destinato ad avere successo in quanto è possibile trasformare quella zona degradata in una dove potrà arrivare turismo di qualità... La mia famiglia ha compreso che, perché ciò avvenga, non bisogna venire a patti in nessun modo con la camorra che, invece, degrada e impoverisce il territorio. Al fine di rispettare questo impegno abbiamo anche sospeso i lavori dalla fine di settembre agli inizi di dicembre 2003, in attesa che venisse stipulato il contratto di legalità con la Regione».

Un mese più tardi fu convocato Schiavone che esordì: «Mi viene chiesto se ho ricevuto richieste estorsive nella mia qualità di imprenditore operante in zona Domitia. Rispondo che non ho mai pagato tangenti a chicchessia ». Il magistrato gli svelò l'esito delle indagini svolte fino a quel momento, e Schiavone dettò a verbale: «Mi si rappresenta che è emerso il nome di tale "Scoppietta" e vengo invitato a dire tutta la verità in proposito. Mi vengono rappresentati i doveri di lealtà che incombono su chi rende dichiarazioni all'autorità giudiziaria. Rispondo che, effettivamente, a partire dal settembre 2003 attività estorsive vi sono state, ma io sono riuscito ad oppormi. Non ho mai pagato e non ho mai ceduto alle richieste. Tuttavia, a questo punto, vi dirò come stanno le cose». Anche dal successivo racconto di Schiavone, che oggi vive sotto scorta, sono scaturiti gli ordini d'arresto di aprile. Si può intuire che i killer dei Casalesi non l'abbiano gradito e abbiano deciso di sparare per tentare di tamponarne altri.


Giovanni Bianconi
06 giugno 2008

da corriere.it
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« Risposta #97 inserito:: Giugno 06, 2008, 10:42:06 pm »

6/6/2008
 
Precari da favola
 
 
Questa è la storia più avvincente del mondo. Dieci ricercatori italiani hanno realizzato un telescopio rivoluzionario che la Nasa manderà in orbita mercoledì prossimo da Cape Canaveral. A Houston lo chiamano Tiger Team, Squadra della Tigre: ragazze e ragazzi intorno ai 30 anni, laureati a Pisa in Fisica nucleare. Giovani, ottimisti, consapevoli di aver scelto un mestiere stupendo e di esportare la faccia sorridente dell’Italia. Il loro stipendio? 950 euro al mese.

Questa è la storia più avvilente del mondo. Un mondo dove un fisico nucleare che realizza telescopi per la Nasa guadagna 950 euro al mese, mentre quel manager telefonico che parlava per frasi fatte confondendo Waterloo con Austerlitz ne prende cento volte tanto. Il problema contro cui si sta inchiodando il liberismo è che non collega il salario al talento e all’impegno del lavoratore, ma alla commerciabilità del prodotto. E’ giusto che i compensi li faccia il mercato. Ma in questo mercato senza regole prevalgono sempre le pulsioni più basse: sesso, calcio, tv, cellulari. Il fisico dei telescopi guadagna cento volte meno del manager dei telefonini o del centravanti della Nazionale perché voi e io usiamo i telefonini e guardiamo le partite della Nazionale, mentre dei telescopi non sappiamo che farcene. Il giorno in cui quegli aggeggi servissero a scovare petrolio nel sistema solare o a rintracciare terzini sperduti nelle galassie, immediatamente il loro valore di mercato si impennerebbe, trascinando al rialzo anche lo stipendio del Tiger Team.

Torno a leggere le notizie di calciomercato sul telefonino, ma mi sento un verme.

 
da lastampa.it
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« Risposta #98 inserito:: Giugno 07, 2008, 10:31:06 am »

LETTERA D'INTENTI.


Siamo i partecipanti del gruppo di studio formatosi in forumista.net, forum politico nell'area del pd.

Alcuni di noi partecipano attivamente al dibattito politico da molti anni, altri vi sono approdati (o riapprodati) attratti dall’intento,  dichiarato dal partito democratico, di apertura alle molte anime del centro sinistra.

Le discussioni e i confronti , anche serrati , che abbiamo sviluppato in questi ultimi mesi e l'andamento delle ultime elezioni,  hanno prodotto in noi queste minime ma solide convinzioni.

C'è l'esigenza di ricercare un percorso e una direzione comuni che, ispirandosi all'esperienza dell'Ulivo, permettano a persone con matrici culturali e politiche diverse, ma tutte ugualmente legittime, di divenire interlocutori della più ampia rete di confronto e condivisione possibili.

Abbiamo compreso che il possibile ostacolo al ritrovarci in questo percorso comune, non sono le diverse identità o matrici politiche, ma il supporre che sia indispensabile e irrinunciabile una fusione tra esse  affinché tale iniziativa divenga portatrice di analisi, documenti e iniziative.

Abbiamo compreso che solo mantenendo le diverse identità politiche (e la memoria storica sottesa ad ognuna di esse) si potrà convergere su  sviluppi concreti e autentici, sviluppi che radunino tutte le persone che hanno ancora voglia di lottare per un mondo migliore.

Sì, parliamo di mondo migliore. Sappiamo che il "mondo migliore" non parte sempre e comunque dai massimi sistemi, spesso invece si sviluppa nelle conquiste sul territorio, dai piccoli gruppi o addirittura dalle singole volontà che riescono a incidere positivamente sulla qualità di vita propria e degli altri, dalla pratica politica delle relazioni di solidarietà e di condivisione delle risorse.

Ma non ripudiamo la capacità e la forza di immaginare che il mondo e le sue regole potrebbero davvero essere diversi in un contesto più generale.

Per questi motivi non innalzeremo bandiere personali nel corso di tale iniziativa, che speriamo abbia vita lunga e proficua, ma ognuno di noi riverserà in essa quanto ha appreso dal suo vissuto politico personale e collettivo.

Vogliamo divenire un soggetto capace di interloquire con il pd e con i circoli del partito, con le forze presenti sul territorio, associazioni, volontariato, gruppi, persone ed esperienze che vorranno vedere in noi un piccolo ma deciso contributo a un mondo migliore.

Soprattutto vogliamo realizzare proposte coraggiose e modalità di lavoro in cui la partecipazione libera e operosa venga riconosciuta.
Non riusciamo infatti più a credere in una adesione passiva alla politica, ma riteniamo più utile per la comunità poterci confrontare, elaborare prospettive e giungere così a definire nuovi percorsi.

C'è bisogno di spalancare le porte perché idee dirompenti dal punto di vista della partecipazione portino a prassi politiche derivate dalla conoscenza che ognuno di noi ha delle cose e della vita.

Non escluderemo quindi nessuna tematica del vivere che possa essere inquadrata politicamente in questo tentativo.

Il momento è troppo importante per trascurare uno qualsiasi degli aspetti della nostra vita quotidiana: è in atto un'emergenza che non è sintetizzabile banalmente in poche parole d'ordine. E' in atto una drastica svolta che, giustificandosi e avvalorandosi attraverso i numerosi disagi palpabili  nel paese, tende a mettere a repentaglio la stessa democrazia. 

Dalla gente, dalla strada, emergono continue istanze che non possono e non devono essere interpretate attraverso una lente deformante, ma alla luce (cancellato…) della nostra migliore eredità.

I nostri padri e le nostre madri lottarono e misero in gioco la loro vita per acquisire diritti civili e sociali basilari. Ed i diritti acquisiti sono testimonianza di civiltà.

A questo punto la lotta non deve fermarsi, ma rivolgersi verso più elevati diritti, come testimoniato dalla  rogatoria sulla pena di morte e dalla messa al bando delle cluster bombs.

Mentre oggi ci ritroviamo nella inquietante condizione di vedere in pericolo ciò che avevamo acquisito, e di dover ricominciare a batterci per la sua difesa. E, secondo noi,  non sarà possibile giustificarsi in seguito, dicendo che non ce ne eravamo accorti.

Così pure i temi della libertà nelle grandi scelte di vita di donne e uomini, della ricerca scientifica, della illegittimità dello sfruttamento degli uni sugli altri, dell'elaborazione culturale e dell'informazione devono essere al centro di questa società, per renderla moderna, dinamica e centrata sulla dignità di ognuno.


E' per meriti, non godendo di  privilegi, che vorremmo essere riconosciuti, senza che restino frapposti muri invalicabili ad impedirci una vita degna di essere vissuta in sé ed in quanto partecipe alla politica.


Il Gruppo di Lavoro de www.forumista.net
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« Risposta #99 inserito:: Giugno 07, 2008, 10:56:29 am »

7/6/2008
 
Dov'è la vera laicità
 
 
 
GIAN ENRICO RUSCONI
 
Non poteva Berlusconi risparmiarsi la frase che suona infelice in bocca ad uno statista: «Il mio governo non può che compiacere il pontefice e la Chiesa»? No. Non poteva.

È il suo modo di essere schietto e popolare presso i suoi elettori. In questo caso non vuole lasciare dubbi sul fatto che il governo si atterrà zelantemente alle indicazioni della Chiesa in tutte le questioni sul tappeto, anche su quelle che dividono profondamente i cittadini italiani.

Ma evidentemente per Berlusconi i cittadini che dissentono (con rispetto) dalle indicazioni della Chiesa su alcuni importanti problemi, non contano. Non sono rappresentati dal suo governo. Il suo è un governo che «sta dalla parte della Chiesa», non laicamente dalla parte della intera comunità dei cittadini. Come se i valori della giustizia, della tolleranza, dell’attenzione per i più deboli fossero prerogativa dei credenti. Come se i discorsi sui diritti umani o sul rispetto della vita fossero monopolio esclusivo degli uomini di Chiesa.

È questa la scelta della «vera laicità», predicata da tempo dai clericali e fatta propria dal centrodestra?

In effetti nelle parole del presidente del Consiglio la separazione tra Chiesa e Stato è evocata in modo paradossale, quando dice «lo Stato laico ha tutto il diritto di seguire la propria impostazione nell’azione di governo». La scelta appunto di stare con una parte dei cittadini, di quelli che l’hanno votato.

Tutto questo non ha nulla a che vedere con la soddisfazione condivisa da tutti circa il «nuovo clima che si è instaurato in Italia», purché si riconosca che non è merito esclusivo della coalizione di centro-destra.

Ma lasciamo da parte le dichiarazioni di principio e chiediamoci se ci saranno delle conseguenze pratiche della visita di Berlusconi in Vaticano. Dalla riservatezza delle dichiarazioni ufficiali, emesse dopo la visita, non è dato capire se ci saranno iniziative particolari. Forse lo può dire soltanto chi sa leggere tra le righe del documento e sa interpretare i sussurri dei sacri palazzi.

Verosimilmente gli uomini di Chiesa non hanno alcun interesse a turbare l’idillio con il governo sollevando con clamore, frontalmente, le due questioni che più stanno loro a cuore: il finanziamento della (loro) scuola privata e la modifica della legge 194. Sui punti caldi della passata legislatura - coppie di fatto, normative sulla fecondazione assistita o sulle malattie terminali - possono stare tranquilli: non se ne farà nulla. Circa le perplessità sulla questione del finanziamento delle strutture ecclesiastiche tramite l’otto per mille continuerà l’efficace congiura del silenzio stampa e mediatico.

Per il resto adotteranno una strategia di pressione indiretta. Magari attraverso l’uso spregiudicato delle regioni (si veda l’atteggiamento anticipatore del governatore della Lombardia, Formigoni). E soprattutto terranno sotto tiro le velleità laiche del Partito democratico.

Il partito veltroniano rimane sostanzialmente sprovveduto e impreparato ad affrontare la nuova situazione. Si lascia ricattare dalle ridicole accuse di «laicismo». Si lascia intimidire dalla proclamazione della «non negoziabilità dei valori». Non osa spostare i termini della laicità dai problemi del credere/non credere alla questione centrale della democrazia che riguarda la piena legittimità di tutte le visioni morali della vita, razionalmente e pubblicamente argomentabili.

Si tratta ovviamente di problemi impegnativi e difficili, che sono affrontabili soltanto con un soprassalto culturale e politico che in questo momento non si vede da nessuna parte. Tanto meno in una cultura di centro-destra che nasconde la sua povertà e le sue contraddizioni dietro lo zelo verso la dottrina della Chiesa. È il tempo del «compiacere» berlusconiano.

da lastampa.it
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« Risposta #100 inserito:: Giugno 21, 2008, 04:44:42 pm »

Ossequio e ingiustizia: la verità finisce sotto «fuoco amico»

Vincenzo Vasile


Niente processo in Italia per il soldato Usa Mario Lozano. Se è così, (i giudici) ne risponderanno alla loro coscienza. Così aveva detto Rosa Calipari, rivolgendosi ieri mattina al Procuratore generale della Cassazione, che aveva appena illustrato nell’aula della Corte la nuova, impasticciata posizione della giustizia italiana sull’assassinio di suo marito, Nicola, cui il collegio giudicante, alla fine, ieri sera si è associato. Secondo il rappresentante della Procura generale della Suprema Corte il “marine” statunitense, quando uccise il funzionario del Sismi, infatti, era coperto da «immunità funzionale», perché agiva eseguendo gli ordini del suo governo.

Tradotto in italiano corrente, ciò significa una pietra tombale. E significa che se lo Stato di appartenenza di un qualunque imputato gli rilascia una licenza di uccidere, o di delinquere in mille altri modi - corrompere, stuprare, rubare - non c'è verso di giudicarlo qui, in Italia. Dove siamo molto rispettosi, moltissimo ossequiosi di competenze e immunità altolocate. Soprattutto nei confronti del nostro principale alleato.

Tanto deferenti da non perseguire un crimine di guerra? Così era stato qualificato, anzi come un «delitto politico che lede le istituzioni dello Stato italiano», dalla Procura di Roma l'assassinio del nostro agente, solo due anni fa. Quando - ancora, e nonostante una campagna di stampa insistente quanto trasversale tesa ad attribuire a pretese «imprudenze» della vittima l'origine del delitto, ovvero dell'«incidente» - l'Italia, le sue istituzioni, la sua gente, si stringevano attorno alla bara del nostro «eroe» caduto nel compimento della più classica «missione di pace». Cioè il salvataggio di un ostaggio - la giornalista del Manifesto, Giuliana Sgrena - caduta in preda di una banda di sequestratori. E su incarico del governo (in quel caso si trattava di un governo presieduto da Berlusconi, e la cura del caso era affidata a Gianni Letta) aveva trattato per il riscatto, s'era districato nel dedalo di ipocrisie e avventurismi della folle spedizione militare voluta e pilotata dagli Stati uniti, aveva liberato la prigioniera, e la stava portando a casa. Le fece scudo con il suo corpo quando all'improvviso a un posto di blocco - il fantomatico check point 541 - non segnalato, e chissà se allestito proprio per quell'agguato, erano piovuti sull'auto i colpi del «fuoco amico» di una pattuglia statunitense.

È passato il tempo, anni. Abbiamo scritto fin troppe volte che la missione di Calipari era malvista e osteggiata dai comandi militari Usa, e dall'intelligence alleata (oltre che da una parte dei nostri stessi servizi), che volevano risolvere i sequestri a colpi di blitz; e tante volta abbiamo parlato di quella commissione d'inchiesta bilaterale Italia Usa che si concluse con il rifiuto della firma da parte dei nostri ufficiali in calce a un documento menzognero: la macchina italiana era con i fari spenti, macché erano accesi; arrivò a ridosso del drappello, macché s'è fermata dopo gli spari a 5 metri; sparò solo un caporale stressato, macché Calipari fu colpito da un tiro incrociato; e così via finché i nomi «oscurati» nella versione ufficiale, saltarono fuori, la giustizia italiana chiese l'estradizione per l'assassino dell'«eroe» Calipari, non l'ottenne. E la Terza Corte d'assise di Roma - era l'ottobre scorso - decretò il non luogo a procedere per difetto di giurisdizione: non tocca a noi giudicare gli assassini se portano una divisa amica, anche perché potrebbero difendersi svelando i retroscena della catena di comando.

La Procura romana si era opposta, aveva portato il caso davanti alla Cassazione. Così i familiari, così l'avvocato dello Stato. Che ieri, però, s'è improvvisamente dichiarato «agnostico» - ha detto proprio così - come folgorato dal nuovo cavillo della Procura generale della Cassazione, per ribaltare la precedente battaglia giudiziaria, condotta fino all'altro ieri su mandato del governo di centrosinistra. Il mandato del nuovo governo è evidentemente cambiato: «Abbiamo seguito le indicazioni di palazzo Chigi», ha detto il legale, più chiaro di così... Il difensore di Lozano, poi, ha girato il coltello nella piaga, rivelando che il suo assistito è tuttora in servizio. Adesso c'è finita la verità sotto il «fuoco amico» e incrociato della giustizia e del governo italiani. Per una volta concordi in cose attinenti alla giurisdizione. E anche - ci sembra - quest'ultima raffica ha sforacchiato qualche brandello della nostra dignità nazionale.

Pubblicato il: 20.06.08
Modificato il: 20.06.08 alle ore 8.38   
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« Risposta #101 inserito:: Giugno 22, 2008, 04:51:01 pm »

2008-06-21 13:53

Ft: Berlusconi fa bene a 'frenare' i giudici


ROMA - "L'Italia fa bene a porre un freno ai suoi giudici". E' il titolo di un editoriale pubblicato oggi dal Financial Times sulla 'guerra' scoppiata di nuovo tra Silvio Berlusconi e parte della magistratura italiana dopo le ultime affermazioni del premier e le leggi messe in cantiere dalla maggioranza sulla giustizia. Nel commento dell'Ft, firmato da Cristopher Caldeweill, si prende in esame il lodo Schifani (che garantirebbe l'immunità per le cinque più alte cariche dello Stato) e si sottolinea come Spagna, Francia, Germania e la stessa Unione europea abbiano già "una qualche forma di immunità" in questo senso.
Così come l'Italia aveva l'immunità parlamentare prima che fosse spazzata via dal ciclone di Tangentopoli: un periodo, scrive il quotidiano britannico, che ha aperto un quindicennio dove in Italia "i giudici hanno raggiunto un livello di potere unico in Occidente", esercitando una sorta di "reggenza giudiziaria" sugli eletti dal popolo. Un potere che, secondo l'Ft, è "a lungo andare, dannoso per la democrazia" e che costituisce tra l'altro "uno dei motivi per i quali gli italiani non hanno più fiducia nella magistratura".

Insomma, a volte si può "abusare" delle leggi sull'immunità, ma "lo scopo dell'immunità non è dare 'mano libera' agli eletti, bensì proteggere il diritto degli elettori di essere governati dalle persone che scelgono democraticamente". E poi, si chiede il quotidiano, "le accuse contro Berlusconi nascono da una disinteressata richiesta di giustizia, oppure dal desiderio di una certa parte dell'elite italiana di rovesciare una scelta popolare che non gli piace?". In questo senso, "l'immunità potrebbe essere il modo migliore per proteggere gli elementi democratici di un governo democraticamente eletto, specialmente in un Paese dove la magistratura è altamente politicizzata" come l'Italia. Con l'effetto di rendere i politici "meno litigiosi e più democratici".

Ed anche per quanto riguarda l'emendamento 'blocca-processi', ribattezzato dall'opposizione 'salva-premier', il Financial Times osserva che potrebbe essere un modo per velocizzare i tempi lunghissimi della giustizia italiana, così "dilatori" che "contrastano con l'articolo sei della Convenzione europea sui diritti umani".

Insomma, "le acrobazie giudiziarie di Berlusconi sono invariabilmente a suo vantaggio, ma nello stesso tempo non sono solo a suo vantaggio", perché riescono a cogliere "problemi veri", "gravi abbastanza" da intercettare il consenso degli elettori.

E qui, conclude l'Ft, sta "il genio politico" del Cavaliere. 

da ansa.it
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« Risposta #102 inserito:: Giugno 23, 2008, 10:42:43 am »

Ustica, riaperte le indagini dopo le parole di Cossiga


Le dichiarazioni ai magistrati della procura della Repubblica di Roma di un testimone eccellente come il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga potrebbero dopo 28 anni ridare slancio alla ricerca della verità sulla strage di Ustica. La procura di Roma ha, infatti, riaperto l'inchiesta sull'abbattimento del Dc 9 dell'Itavia in cui morirono 81 persone, dopo aver convocato e sentito come testimoni due dei protagonisti del tempo: il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga e Giuliano Amato, ai tempi sottosegretario alla presidenza del Consiglio.

L'iniziativa dei pm Maria Monteleone e Erminio Amelio fa seguito alle dichiarazioni dell'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga secondo il quale ad abbattere il DC 9 dell'Itavia il 27 giugno del 1980 sarebbe stato un missile «a risonanza e non ad impatto» lanciato da un aereo della Marina militare francese. L´apertura della nuova indagine, dopo l'archiviazione disposta del giudice istruttore Rosario Priore, verificherà anche attraverso una rogatoria con la Francia, fatta anche per identificare i responsabili militari transalpini, le dichiarazioni di Cossiga. Quest'ultimo nel febbraio dello scorso anno spiegò a vari emittenti, radiofoniche e televisive che «furono i nostri servizi segreti che, quando io ero Presidente della Repubblica, informarono l'allora Sottosegretario Giuliano Amato e me che erano stati i francesi, con un aereo della Marina, a lanciare un missile non ad impatto, ma a risonanza. Se fosse stato ad impatto non ci sarebbe nulla dell'aereo».

Cossiga spiegò ai media che «i francesi sapevano che sarebbe passato l'aereo di Gheddafi. La verità è che Gheddafi si salvò perché il Sismi, il generale Santovito, appresa l'informazione, lo informò quando lui era appena decollato e decise di tornare indietro. I francesi questo lo sapevano e videro un aereo dall'altra parte di quello italiano e si nascose dietro per non farsi prendere dal radar».

Nel gennaio dello scorso anno la prima sezione penale della Cassazione chiuse definitivamente una vicenda giudiziaria parallela a quella della strage, ovvero il processo ai generali dell'aeronautica sui cosiddetti depistaggi. La suprema corte dichiarò inammissibile il ricorso avanzato del Procuratore generale della Corte d'Appello di Roma che aveva chiesto una riformulazione della sentenza d'assoluzione, che avrebbe lasciato uno spiraglio per il risarcimento. I generali dell'Aeronautica Lamberto Bartolucci e Franco Ferri, accusati di aver omesso al governo informazioni sul disastro avvenuto 26 anni fa, furono assolti, in maniera definitiva «perchè il fatto non sussiste».

Pubblicato il: 22.06.08
Modificato il: 22.06.08 alle ore 19.16   
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« Risposta #103 inserito:: Giugno 23, 2008, 04:36:45 pm »

LA NOTA

A rischio la sfida di stabilizzare il sistema Paese

Dopo l'offensiva del Cavaliere sui magistrati, il Pd incalzato da Di Pietro


Il contrasto non è più solo fra Silvio Berlusconi e il Pd. Lo scontro che sta lievitando riguarda i rapporti fra presidente del Consiglio e magistratura; e, sullo sfondo, può arrivare a lambire quelli fra il premier ed il capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Forse, c'è qualcuno che spera in un fossato tra palazzo Chigi e Quirinale. Le modifiche alle misure sulla sicurezza, che bloccherebbero anche un processo a Berlusconi, stanno sbriciolando la tregua parlamentare; e producendo potenziali conflitti istituzionali. Ma dietro il colloquio di ieri pomeriggio fra Napolitano, il Cavaliere, il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, ed il sottosegretario Gianni Letta, si indovina il tentativo di circoscrivere i contrasti.

Ufficialmente, al Quirinale si è discusso per due ore di manovra economica. Il fronte aperto con la magistratura, tuttavia, si è imposto nell'agenda del colloquio. L'ipotesi che il presidente del Consiglio faccia marcia indietro ieri appariva poco verosimile. Di fronte ad una misura definita dagli avversari «salvapremier», vengono esaltate le posizioni più estreme su entrambi i fronti. L'annuncio di una conferenza stampa dell'Anm per oggi suona come ultimatum a palazzo Chigi, dopo la sua ricusazione del presidente del tribunale di Milano che dovrà processarlo, Nicoletta Gandus.

Ed il Csm si prepara a tutelare i giudici del processo Mills, contestati da Berlusconi. Il contraccolpo politico immediato è, come si prevedeva, la fine della stagione del confronto col partito di Walter Veltroni, prima vittima dello scarto del Cavaliere. «Berlusconi ha strappato la tela del dialogo possibile», certifica il segretario del Pd: conclusione inevitabile, figlia dell'offensiva del premier e dell'ostilità serpeggiante nel centrosinistra alle aperture di credito a palazzo Chigi. Anche se c'è da chiedersi come sarà possibile, nel futuro prossimo, distinguersi da un alleato come Antonio Di Pietro, che addita la «scelta criminale » del premier; ed accoglie con sarcasmo il Pd «nel club degli occhi aperti», pretendendo un antiberlusconismo pregiudiziale mai sufficiente, ai suoi occhi.

Ma l'offensiva del presidente del Consiglio sfida anche le capacità di mediazione del Quirinale. La «tela strappata» a cui allude Veltroni è anche quella sulla quale il capo dello Stato spera di stabilizzare il Paese. Per Napolitano, il ritorno al muro contro muro significa l'ennesima guerra fra potere politico e giudiziario; ed un Parlamento lacerato ad appena due mesi dalle ultime elezioni. Il panorama di macerie evoca un ritorno al passato dal quale il sistema sperava di essersi emancipato: sebbene forse sia un déjà vu apparente, perché Berlusconi oggi si sente rafforzato dal voto politico.

Agli alleati ha detto di sentire che gli italiani sono con lui. Ed ha liquidato un po' troppo sbrigativamente le reazioni dell'opposizione come una conseguenza della leadership contrastata di Veltroni. Insomma, gli indizi fanno pensare che voglia sottoporre lo scontro con le procure al giudizio dell'opinione pubblica; e che sia convinto di vincerlo. D'altronde, ritiene di avere alle spalle una coalizione compatta: basta registrare il modo precipitoso col quale il leghista Roberto Castelli ha negato di aver definito «incostituzionale» l'emendamento «salvapremier». Rimane da capire se sia stato messo nel conto un rinvio della legge alle Camere da parte del Quirinale: anche se probabilmente nessuno vuole rischia

Massimo Franco

da corriere.it
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« Risposta #104 inserito:: Giugno 24, 2008, 04:21:35 pm »

24/6/2008
 
Ma certi processi si possono sospendere
 
 
 
 
 
BRUNO TINTI
 
Il problema è che siamo abituati a dare un giudizio negativo sulle leggi di questa maggioranza; e così si finisce col disapprovare quasi aprioristicamente anche quanto di (quasi) buono essa fa. Mi riferisco al noto emendamento «salva premier» in base al quale i processi per reati puniti con pene fino a 10 anni e commessi entro il 30/6/92 vanno sospesi; tra questi, quello per corruzione in atti giudiziari pendente a Milano contro lo stesso Berlusconi.

Il pregiudizio non è proprio gratuito: leggi ad personam per evitare a Berlusconi condanne penali, più o meno certe in base alla legislazione vigente al momento in cui il processo veniva celebrato, sono state fatte, tante e con successo; e questa pare l'ultima della specie (fino ad ora). Però, forse, in questo caso va superato. La fine del processo contro Berlusconi è segnata, se non in primo grado nel secondo: salvo il caso di una assoluzione nel merito che pare improbabile, la sentenza sarà di estinzione del reato per prescrizione; e dunque Berlusconi non ha bisogno di questo emendamento per raggiungere un risultato che, sostanzialmente, ha già in tasca. Quanto alla riapertura dei termini per il patteggiamento (solo per i processi sospesi), anche in questo caso non credo possa pensarsi a una norma di favore: mi pare improbabile che Berlusconi intenda risolvere i suoi problemi giudiziari con un patteggiamento.

E, per finire, è la stessa dichiarata volontà di emanare una nuova legge che riproponga il cosiddetto lodo Schifani, già dichiarato incostituzionale dalla Corte (sono curioso di vedere cosa si inventeranno per reintrodurre un istituto che sembra fatto apposta per fare a pugni con la Costituzione italiana) che dimostra come la soluzione dei suoi guai giudiziari Berlusconi non la veda nella sospensione dei processi. È anche vero che si potrebbe pensare che il nostro agisca in previsione di guai giudiziari futuri; ma insomma mi pare evidente che l'emendamento in questione non «serva» al premier.

Così, sebbene i «precedenti» di questa maggioranza rendano arduo immaginare che il Governo agisca per rendere efficiente l'amministrazione della giustizia, si può anche immaginare che questo emendamento sia stato costruito effettivamente al fine di far uscire il sistema giudiziario penale dal buco in cui è stato cacciato. In sintesi, la filosofia pare essere questa: svuotiamo il magazzino, composto di merce vecchia e avariata e anche non tanto di pregio, e gestiamo utilmente la merce nuova e comunque quella vecchia, ma di particolare qualità. Il che ha almeno il merito di affrontare il problema giustizia in un'ottica di organizzazione concreta.

Mettiamo che sia così; solo che la tecnica scelta è del tutto inidonea allo scopo. Fra un anno i processi sospesi dovranno ricominciare; la sospensione non avrà comportato il decorso della prescrizione (che potrebbe avere il merito di «uccidere» processi già cadaveri) perché, come è noto, viene interrotta; inoltre avrà richiesto un costo organizzativo micidiale (notifiche, contronotifiche, disfacimento dei ruoli di udienza ecc. ); la ripresa richiederà un ulteriore terribile sforzo organizzativo; e, tutto sommato, non è che nell'anno di respiro che in questo modo si sarà guadagnato si sarà fatto granché di processi gravi e importanti. Sicché, come diceva Bartali, «è tutto da rifare».

Un modo razionale per affrontare il problema potrebbe essere questo: 1. ammettere una buona volta che la celebrazione di processi destinati alla prescrizione prima che il sistema giudiziario riesca a produrre una sentenza definitiva è inutile spreco di risorse.

2. prendere atto del fatto che il processo penale dura mediamente tra 6 e 8 anni, così suddivisi: da 1 a 2 anni per le indagini preliminari; 1 anno (ma spesso 2) prima che cominci il processo di primo grado; circa 2 anni (ma spesso 3) dal momento in cui viene emessa la sentenza del Tribunale fino alla prima udienza del processo in Appello; circa 1 anno 6 mesi fino alla sentenza di Corte di Cassazione.

3. prendere atto del fatto che non sempre la data di commissione del reato coincide con la data in cui cominciano le indagini e che spesso (sempre, nel caso dei reati tipici della classe dirigente: corruzione, frode fiscale, falso in bilancio, aggiotaggio, insider trading e compagnia cantando) questo è stato commesso 2, 3 o anche 4 anni prima che si comincino le indagini.

4. calcolare quindi, per ogni processo - operando si capisce una media -, quanti anni si hanno davanti prima che intervenga la prescrizione. 5. sospendere il processo ogni volta che gli anni necessari per arrivare alla sentenza definitiva siano più di quelli che mancano alla prescrizione.

In questo modo si potrebbe, ad esempio, non sperperare tempo e risorse in una indagine avviata oggi (giugno 2008) su un reato di falso in bilancio (o di frode fiscale, o di corruzione o qualsiasi altro che si prescriva in 7 anni e mezzo, dunque quasi tutti) risalente al 2005 e che si prescriverà nel 2013; perché, evidentemente, 5 anni non bastano per arrivare alla sentenza di Cassazione che, se tutto va bene, arriverà nel 2015. Tenendo conto che molti processi pendenti oggi in primo grado riguardano fatti che risalgono al 2004-2005 e che si prescriveranno certamente prima della sentenza definitiva, diventa ovvio che insistere nella loro celebrazione è del tutto inutile.

Allora la norma potrebbe essere scritta in questo modo: debbono essere sospesi a. tutti i processi che si trovano nella fase delle indagini preliminari e per i quali la prescrizione maturerà entro 4 anni. b. tutti i processi che si trovano nella fase del processo avanti al Tribunale e per i quali la prescrizione maturerà entro 3 anni. c. tutti i processi che si trovano nella fase del processo in Corte d'Appello e per i quali la prescrizione maturerà entro 1 anno e 6 mesi. Il vantaggio di una norma di questo tipo consiste nel fatto che essa è destinata a operare da qui in avanti e per tutti i processi; e quindi non ci sarà quel ritorno drammatico dei processi sospesi che ammazzerà definitivamente il sistema giudiziario penale; semplicemente un ufficio apposito emanerà provvedimenti di routine con cui si dichiara la prescrizione.

Insomma, si tratterebbe di una semplice applicazione di criteri di priorità, sistema che, con il processo penale che ci ritroviamo, è l'unico in grado di dare razionalità alla gestione dei processi. E ciò, con buona pace dell'Avvocatura che ha sempre sostenuto che i criteri di priorità violano il principio di obbligatorietà dell'azione penale. Un criterio di priorità fondato sulla imminenza della prescrizione non comporta una scelta insindacabile del Procuratore della Repubblica, assunta senza controllo né responsabilità (argomento abituale dell'Avvocatura); ma significa destinare le risorse del sistema giudiziario a quei processi che possono utilmente essere celebrati, rinunciando a semplici riti formali privi di significato, come appunto avviene quando si celebra un processo destinato alla prescrizione. A meno che, dietro queste critiche, non si nasconda la preoccupazione di vedere che, per una sostanziosa fetta di processi, non sarà possibile emettere adeguate parcelle... Insomma, per una volta, non mi pare che la produzione legislativa della maggioranza sia insensata; forse bisognerebbe solo aggiustarla un po'.

Procuratore aggiunto della Repubblica di Torino


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