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« inserito:: Aprile 15, 2008, 04:03:19 pm » |
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15/4/2008 (11:3) - INTERVISTA A PAOLO VILLAGGIO
"Torino è morta con l’Avvocato"
«Ha perso orgoglio e allegria rispetto agli Anni 60».
Il comico genovese in città da stasera recita all’Erba
SILVIA FRANCIA TORINO
Ma che gusto, intervistare Paolo Villaggio. Se gli attori, 99 su 100, amano dilungarsi solo sul loro ultimo spettacolo, lui praticamente parla di tutto meno che di quello.
«E' che non me lo ricordo bene, meno male che mi fa delle domande, così ripasso almeno la scaletta: per il resto improvviso, come ho imparato da giovane alla scuola del cabaret, prima a Roma e poi al Derby di Milano». Ma è un ripasso distratto, come quello di certi ragazzini discoli a cui basta «dare il la» per vederli divagare beatamente. E allora andiamo a braccio, saltando dal «pubblico delle vedove» a Porta Palazzo, dal suo recente successo editoriale «Storia delle libertà di pensiero» a Obama contro Hillary «che è insopportabile e gronda falso buonismo».
Per approdare alla battutona, lasciata scivolare là con noncuranza, che suona, più o meno: Torino? E' una città morta ma nessuno l'ha avvisata. Meno male che ci sono i maghrebini a salvarla. Et voilà, il Villaggio pensiero, esposto in maniera tutt'altro che fantozziana. A Torino, l'attore genovese è arrivato per recitare, da questa sera sino al 20, all'Erba, «Paolo Villaggio: Vita, morte e miracoli», spettacolo firmato, diretto e interpretato dall'ex Giandomenico Fracchia.
Villaggio, il pubblico apprezza queste sue rimembranze? «Mah, non so cosa rispondere. Io lo dico sempre, a inizio spettacolo: “Siete tutti abbonati. Poveracci: una trappola mortale!” Per fortuna ci sono le vedove».
Le vedove? «Certo, i teatri pullulano di vedove. Signore che, finalmente liberate dai consorti rompiballe, vanno in crociera, in gita a Firenze oppure a teatro. Le vedove sono un pubblico incredibile: quelle che restano sveglie, perlomeno. Alcune si portano dietro il futuro cadavere. Il marito, intendo. Tutta gente che nella vita si lamenta di soffrire d'insonnia. In platea, tempo tre minuti e si addormentano con una violenza estrema. A chi non si assopisce subito consiglio uno spettacolo di Ronconi».
E i giovani? «Ce n'è qualcuno. Abbonati, ovviamente. Se non ci fossero gli abbonati i teatri potrebbero chiudere e questo anche perché manca la drammaturgia contemporanea. Ma le vedove restano quelle che apprezzano di più alcuni di questi miei racconti autobiografici, abbastanza immaginari e un po' inventati. A loro piace tanto quando parlo dei miei genitori, della guerra, della liberazione».
E dal pubblico torinese cosa si aspetta? «Me la ricordo come una città generosa, con la platea piena. A Torino ci sono vedove dalla tempra eccezionale».
Spettatrici a parte, apprezza anche la città? «Mi piace molto Porta Palazzo, con i suoi odori, ci vado tutti i giorni e giro per il mercato, acquisto salsicce arabe e tè alla menta, che poi lascio nelle dispense dell’albergo al Lingotto, anche perché girare con delle salsicce in valigia risulta imbarazzante. E non le mangio neppure, visto che pranzo tutti i giorni al “Cambio”. Oltre che per il cibo e gli odori, mi piace Porta Palazzo per gli immigrati, arabi o neri. I torinesi dovrebbero apprezzarli di più, ma non riescono perché sono vecchi».
Ovvero refrattari? «Come tutti i vecchi non apprezzano la novità, la scambiano per deterioramento. Intendiamoci, Torino è una città architettonicamente bellissima, con un'impronta regale nei palazzi, da ex capitale. Ci sono anche negozi sontuosi, specie certe gastronomie. Però la parte più allegra e vitale della città è la zona a popolazione araba che, tra l'altro, rappresenta la salvezza di questa città, così vecchia, con tanto passato e poco futuro». Eppure, molti suoi colleghi, in tournée sotto la Mole, dicono il contrario: meglio oggi che un tempo.
«Pura piaggeria, si sa che l'attore vuole essere amato. Torino è la città degli Agnelli, la vera famiglia regnante d'Italia, che per tanto tempo ha imperversato con la sua erre moscia e la sua mancanza d'accento piemontese. Venuta a mancare questa supremazia e quella automobilistica, si è perso un orgoglio. Vede, persino la Juventus è andata in B. La sensazione è questa, su Torino: una città che ha perso fiducia e allegria rispetto agli Anni 50 e 60».
Cancellato in una frase il famoso «effetto olimpico». «Ma quello era solo un travestimento. L'essenza vera della città si è persa il giorno dei funerali dell’Avvocato. Come a Milano quando è cominciata Tangentopoli. A Genova, poi, credo che l'età media sia ormai sui 60 anni...».
da lastampa.it
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