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Autore Discussione: ROBERTO SAVIANO  (Letto 92214 volte)
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« Risposta #75 inserito:: Giugno 12, 2010, 05:43:32 pm »

DDL INTERCETTAZIONI

Ecco perché bisogna fermarla

di ROBERTO SAVIANO

La Legge bavaglio non è una legge che difende la privacy del cittadino, al contrario, è una legge che difende la privacy del potere. Non intesa come privacy degli uomini di potere, ma dei loro affari, anzi malaffari. Quando si discute di intercettazioni bisogna sempre affidarsi ad una premessa naturale quanto necessaria. La privacy è sacra, è uno dei pilastri del diritto e della convivenza civile.
Ma qui non siamo di fronte a una legge che difende la riservatezza delle persone, i loro dialoghi, il loro intimo comunicare. Questa legge risponde al meccanismo mediatico che conosce come funziona l'informazione e soprattutto l'informazione in Italia. Pubblicare le intercettazioni soltanto quando c'è il rinvio a giudizio genera un enorme vuoto che riguarda proprio quel segmento di informazioni che non può essere reso di dominio pubblico. Questo sembra essere il vero obiettivo: impedire alla stampa, nell'immediato, di usare quei dati che poi, a distanza di tempo, non avrebbe più senso pubblicare. In questo modo le informazioni veicolate rimarranno sempre monche, smozzicate, incomprensibili. L'obiettivo è impedire il racconto di ciò che accade, mascherando questo con l'interesse di tutelare la privacy dei cittadini.

Chiunque ha una esperienza anche minima nei meccanismi di intercettazione nel mondo della criminalità organizzata sa che vengono registrati centinaia di dettagli, storie di tradimenti, inutili al fine dell'inchiesta e nulle per la pubblicazione. Il terrore che ha il potere politico e imprenditoriale è quello di vedere pubblicati invece elementi che in poche battute permettono di dimostrare come si costruisce il meccanismo del potere. Non solo come si configura un reato. Per esempio l'inchiesta del dicembre 2007 che portò alla famosa intercettazione di Berlusconi con Saccà ha visto una quantità infinita di intercettazioni di dettagli privati, di cui in molti erano a conoscenza ma nessuna di queste è stata pubblicata oltre quelle necessarie per definire il contesto di uno scambio di favori tra politica e Rai.

La stessa maggioranza che approva un decreto che tronca la libertà di informazione in nome della difesa della privacy decide attraverso la Vigilanza Rai di pubblicare nei titoli di coda il compenso degli ospiti e dei conduttori. Sembra un gesto cristallino. E' il contrario. E non solo perché in una economia di mercato il compenso è determinato dal mercato e non da un calcolo etico. In questo modo i concorrenti della Rai sapranno quanto la Rai paga, quindi il meccanismo avvantaggerà le tv non di Stato. Mediaset potrà conoscere i compensi e regolarsi di conseguenza. Ma la straordinaria notizia che viene a controbilanciare quella assai tragica dell'approvazione della legge sulle intercettazioni è che il lettore, lo spettatore, quando comprende cosa sta accadendo diviene cittadino, ossia pretende di essere informato. Migliaia di persone sono indignate e impegnate a mostrare il loro dissenso, la volontà e la speranza di poter impedire che questa legge mutili per sempre il rapporto che c'è tra i giornali e i suoi lettori: la voglia di capire, conoscere, farsi un'opinione. Non vogliamo essere privati di ciò. Mandare messaggi ai giornali, mostrarsi imbavagliati, non sono gesti facili, scontati. Non sono gesti che permettono di sentirsi impegnati. Sono la premessa dell'impegno. L'intento d'azione è spesso l'azione stessa. Il dichiararsi non solo contrari in nome della possibilità di critica ma preoccupati che quello che sta accadendo distrugga uno strumento fondamentale per conoscere i fatti. La legge che imbavaglia, viene contrastata da migliaia di voci. Voci che dimostrano che non tutto è concluso, non tutto è determinabile dal palinsesto che viene dato agli italiani quotidianamente. Ogni persona che in questo momento prende parte a questa battaglia civile, sta permettendo di salvare il racconto del paese, di dare possibilità al giornalismo - e non agli sciacalli del ricatto - di resistere. In una parola sta difendendo la democrazia.

©2010 Roberto Saviano/ Agenzia Santachiara

(12 giugno 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/06/12/news/saviano_intercettazioni-4778643/?ref=HREA-1
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« Risposta #76 inserito:: Giugno 14, 2010, 03:46:39 pm »

Cultura

14/06/2010 - L'INTERVENTO AD "ANTEPRIME" "Mi accusano in nome dell'omertà"

Saviano e Vargas Llosa a confronto sulla letteratura come impegno

MARIO BAUDINO

PIETRASANTA (Lucca)

Io continuerò a scrivere, dice Roberto Saviano al pubblico che affolla piazza del Duomo, perché è il vero modo di amare il proprio Paese. E, alla fine di un lungo dialogo con Mario Vargas Llosa, risponde ai suoi critici più recenti, dal calciatore Marco Borriello al senatore GaEteano Quagliariello, senza dimenticarE le accuse che gli sono venute da sinistra. «Mi ha molto spaventato essere confuso con quello che racconto; perché questo significa confondere me con quel che scrivo», ed è un modo per nascondere, ignorare, occultare la realtà di Gomorra, dell'illegalità. «Ma la legalità non è né di destra né di sinistra, non è ideologica. Ci sono persone per bene che votano a sinistra, e persone per bene che votano a destra. E naturalmente esiste anche il contrario. Io voglio parlare a tutti, non agli elettori Di questo o di quello; non si tratta di dividere il Paese, ma di parlare a tutte le persone per bene».

La lunga serata di Saviano in dialogo con il grande autore peruviano sui temi della letteratura e dell'impegno si conclude, dopo un sorta di excursus sui classici e il valore di testimonianza della grande letteratura, con una serie di risposte anche molto nette su temi che la polemica politica e culturale ha agitato con particolare virulenza. A Saviano interessano meno i «centravanti del calcio che all'improvviso si scoprono… qualcos'altro», o quelli che gli rimproverano di andare «contro l'interesse nazionale», gli preme ribadire che chi dà l'allarme per l'incendio non può essere scambiato con l'incendiario, e che, al fondo, queste accuse gli vengono gettate in faccia in nome dell'omertà, cioè «del non voler sapere, del non voler conoscere».

Certo, sottolinea con amarezza e sarcasmo, quando su giornali si leggono accuse simile a quella «dei camorristi», allora è dura. «Però, se fossi libero di muovermi come voglio, farei come i Testimoni di Geova: andrei porta dopo porta a parlare con tutti, a bussare da tutti». È un fiume in piena, mentre il pubblico, cinquemila persone, sottolinea le sue frasi con lunghi applausi. «Tutti i caduti dell'antimafia sono stati a un certo punto accusati di diffamare il proprio Paese». Ma, aggiunge, non si può far altro, o almeno lui non può far altro che continuare a raccontare. «Raccontare va oltre il mondo. Persino oltre quello che ti può accadere. Al di là di queste accuse, e dei silenzi che vogliono imporci, continuerò a scrivere pensando che sia il solo modo di agire possibile». Prima, sempre discutendo con Vargas Llosa, cui aveva dedicato un sorridente ricordo (quando seppe che lo aveva recensito sul quotidiano spagnolo El País fu, dice, come se uno dei suoi autori più amati fosse uscito dalla libreria e si fosse messo a parlare di lui), aveva evocato nomi molto importanti per la sua formazione, come Varlam Shalamov, il narratore del Gulag siberiano, o Reinaldo Arenas, incarcerato a Cuba perché omosessuale, o molto vicini alla sua esperienza, uno per tutto Anna Politkovskaja , la giornalista e scrittrice russa uccisa per i suoi reportage e i suoi libri sulla Cecenia.

Se l'autore peruviano aveva insistito sul fatto che la letteratura, la grande letteratura, è sempre stata invisa ai poteri autoritari, siano essi religiosi, economici o ideologici, Saviano si è chiesto: ma che paura poteva fare Shalamov al potere sovietico, o la Politkovskaja a quello russo? La risposta, già data altre volte e qui ribadita, è che le loro storie erano diventate storie di tutti, e non si potevano più fermare. La serata di ieri, però, meritava un corollario: questi «giusti» (nel senso dato alla parola dagli ebrei) più che «eroi» (eroe è un termine che piace a Saviano, implica qualcosa di eccezionale, isolato, in fondo lontano) avevano in mente, come obiettivo, come modello, come scopo la democrazia nel senso in cui la intendiamo noi, e di cui erano privi. «Se pensi a loro, capisci quanto sia sacra la libertà d'espressione, e che dobbiamo difenderla a tutti i costi».

Il pubblico capisce a sua volta il contesto in cui inserire la frase, applaude a lungo. E Saviano chiude imperioso sul senso ultimo delle sue risposte, sulla conclusione ovvia della sua idea di impegno civile, che vale oggi, qui, nel nostro mondo: «Non è pensabile che la democrazia si lasci lentamente compromettere».

http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/243642/
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« Risposta #77 inserito:: Giugno 16, 2010, 02:37:20 pm »

LA LETTERA

Sandokan pentiti, il tuo potere è finito

di ROBERTO SAVIANO


ORA che ti hanno arrestato anche il primo figlio, è giunto il tempo di collaborare con la giustizia, Francesco Schiavone. Sandokan ti chiama ormai la stampa, Cicciò o' barbone i paesani, Schiavone Francesco di Nicola, ti presentano i tuoi avvocati. E Nicola, come tuo padre, hai chiamato tuo figlio a cui hai dato lo stesso destino. Destino di killer. Accusato di aver ucciso tre persone, tre affiliati che avevano deciso di passare con l'altra famiglia, con i Bidognetti. Nessuno si sente sicuro nella tua famiglia, il tuo gruppo ormai non dà sicurezza. Non ti resta che pentirti. Questa mia lettera si apre così, non può iniziare diversamente, non può cominciare con un "caro". Perché caro non mi sei per nulla. Neanche riesco a porgertelo per formale cortesia, perché la cortesia rischia già di divenire una concessione che va oltre la forma. Scrivendo non userò né il "voi" che considereresti doveroso e di rispetto, né il "lei". Chi usa il "lei", lo so bene, per voi camorristi si difende dietro una forma perché non ha sostanza. Allora userò il tu, perché è soltanto a tu per tu che posso parlarti.

Sei in galera da più di dieci anni. Prima ti eri rinchiuso a Casal di Principe in una casa bunker sotterranea. È lì che ti hanno scovato e arrestato. Oggi hanno catturato tuo figlio in un buco analogo, solo più piccolo: stesso luogo, stessi arredi, simboli di un potere sterile  -  il televisore a cristalli liquidi  - , divenuti più dozzinali con il trascorrere degli anni.
 
Persino stessa passione per la pittura. Cos'hai pensato quando hai saputo che l'hanno stanato, quando ti hanno riferito che a guidare il blitz identico a quello che ha portato alla tua cattura c'era lo stesso uomo, Guido Longo, allora capo della Dia napoletana, oggi questore di Caserta? Cosa hai pensato quando hai visto l'antimafia di Napoli diretta dal Pm Cafiero de Raho combattere ancora lì, non indebolita nonostante le mille difficoltà? Che sensazione ti ha generato scoprire che "Nic'ò barbone" si è arreso con il tuo stesso gesto, l'identico modo di alzare le mani, quasi si trattasse di un tuo clone, non di tuo figlio? Cosa provi ora che la moglie di Nicola subirà le stesse pene che ha subito tua moglie? I tuoi nipoti vivranno come i tuoi figli senza padre, con i soldi mensili versati da qualche tuo vicario e il destino da camorrista già scritto perché intorno tutti vogliono così, perché tu vuoi così. Cosa provi? È a questo che è valsa la tua scalata alla testa dell'organizzazione, con tutti gli ordini di morte che hai impartito, con tutti gli uomini un tempo tuoi sodali che hai ucciso addirittura letteralmente con le tue stesse mani?

Ogni tuo amico ti è divenuto nemico, hai fatto ammazzare Vincenzo De Falco con cui eri cresciuto, hai fatto ammazzare i parenti di Antonio Bardellino, l'uomo che ti aveva dato fiducia, potere e persino amicizia. Vi tradite l'un l'altro e sapete dal primo momento che questo accadrà anche a voi stessi. Perché questa è la vostra vita, uccidere i vostri più cari amici, distruggere coloro con cui siete cresciuti per non essere distrutti. E sarete distrutti da coloro che oggi vi sono amici, che oggi stanno crescendo nei vostri affari. Come ti sei sentito Francesco Schiavone Sandokan quando in una relazione che hai fatto consegnare ai tuoi legali affermi di vedere fantasmi che ti vengono a trovare nella tua cella? Come ti senti quando piangi, quando ti senti impazzire, quando fai il finto pazzo pur di uscire dalla galera? Quando vieni a sapere che l'altro tuo figlio, Emanuele, è stato arrestato come un qualunque tossico che vende hashish per avere soldi? Lui figlio del capo dell'impero del cemento che si fa beccare come un tossico qualsiasi? Quando il tuo ordine era quello di non far spacciare in paese e invece tuo figlio finisce per farlo a Rimini, come ti senti? L'unica speranza che hai è quella di pentirti, non devi continuare a indossare la maschera della tigre feroce, mentre sei diventato un gatto rinchiuso e castrato.

Castrato come Francesco Bidognetti, tuo alleato e allo stesso tempo rivale, ormai sull'orlo del pentimento, che deve per forza mantenere la pace con uomini che gli hanno ucciso parenti e alleati. Che deve vedere le sue donne tradirlo una alla volta. Un uomo che del comando ormai conserva soltanto il ricordo. Oggi ha difficoltà a mantenere il suo gruppo, i sequestri di beni e gli arresti lo stanno divorando. Eppure i tuoi uomini, quelli che tuo figlio avrebbe ucciso, erano disposti a passare con lui pur di non stare sotto il comando del tuo erede. Hai sempre saputo quale fosse il tuo destino. Fatturate miliardi di euro all'anno, il patrimonio del tuo clan è simile a quello di una manovra finanziaria, ma il vostro non è un destino da uomini. È solo un destino da criminali, coloro che si credono re e si ritrovano prigionieri. Con il wc accanto al tavolo dove mangiate, con un secondino che vi ispeziona, con i vostri figli che hanno vergogna di dire chi siete, e un vetro che vi impedisce di toccare finanche le mani delle vostre mogli.

Come sopporti questa ripetizione di un copione che tu stesso hai scritto sulla pelle della tua discendenza, che a sua volta doveva inciderla nella carne altrui? Sei fiero che il tuo primogenito rischi di finire i suoi giorni in carcere? Costretti a vivere come topi. Per mesi, anni. Condannati, già prima di ogni sentenza, a nascondervi, a mentire, a camuffarvi, a pagare uomini dello Stato per aiutarvi, a comprare politici per difendervi, a mercanteggiare promesse e favori in cambio di protezione e sotterfugi. Ma anche a costringere dei poveri vostri compaesani ad accogliervi sotto minacce, mentre alle vostre famiglie tocca farsi svegliare dalla polizia nel cuore della notte o farsi pedinare per giorni e giorni. È questa la sostanza del vostro impero. Hai avuto e hai ancora molti politici in pugno, condizioni gli appalti di molta parte di questo Paese. Proprio perché stai in galera e porti il peso del tuo potere, ti consideri migliore rispetto a imprenditori e parlamentari vicini che valuti codardi. Eppure di questa superiorità cosa ti rimane? Loro stanno fuori e tu sei dentro. Perché continua a difenderli il tuo silenzio? Cosa mai potrà compensare il tuo ergastolo e la distruzione continua della tua famiglia? Non lo vedi? Francesco Schiavone, che cos'hai ottenuto? L'ergastolo e un futuro sepolto in galera. Non hai più alcuna speranza di uscirne fuori finché sei vivo. E allora, che cosa pensi, che ragioni ti dai della tua vita?

Credo, in realtà, di sapere a cosa stai pensando. Che adesso gli affari fuori sono buoni. La crisi economica aumenta il business del clan la tua galera passa in secondo piano. Pensi che hanno anche promulgato leggi favorevoli. La legge sulle intercettazioni sarà d'ora in avanti il vostro scudo, con questa legge non avrebbero mai potuto arrestare tuo figlio, la legge sul processo breve potrà tornarvi utile. Avete politici alleati nei posti chiave, e (se verrà confermato quanto dichiarano le accuse dell'antimafia di Napoli) il sottosegretario allo sviluppo Nicola Cosentino è in diretto rapporto con la tua famiglia. Non perché tuo parente ma perché in affari con te. Quindi pensi di avere un ministero importante dove passano soldi e favori nelle tue mani.

Ma tu sei e rimani in galera però. Ricordi quello che ha detto Domenico Bidognetti su Nicola Ferraro quando si è pentito? L'ha accusato non perché anche Nicola Ferraro sia tuo parente, ma per gli affari che fa con te e tramite te. Ricordi? Dovresti saperlo. Lui ha dichiarato che "Nicola Ferraro prelevava i rifiuti speciali delle officine meccaniche, anzi fingeva di prelevare i rifiuti ma in realtà faceva delle false certificazioni e venivano smaltiti illegalmente". Lui leader casertano dell'Udeur molto legato a Clemente Mastella è stato arrestato nella retata che azzerò il partito. "Era un imprenditore molto vicino al clan dei casalesi. Prima era più vicino alla famiglia Schiavone, poi deve essersi avvicinato a Antonio Iovine". E poi  -  continua Domenico Bidognetti che conosci bene e tu stesso l'hai in qualche modo allevato  -  "a testimonianza dei buoni rapporti fra il Ferraro ed il clan, un anno fa Cicciariello (Francesco Schiavone, cugino omonimo di Sandokan n. d. r.) mi disse che voleva mandare a dire a Ferraro di intercedere presso il suo 'comparè Clemente Mastella Ministro della Giustizia, per fare revocare, un po' per volta, i 41 bis applicati a noi casalesi. Non so dire se poi Cicciariello attuò questo proposito".

Ecco prima o poi, supponi, qualche politico amico attenuerà la tua pena e tornerai come quando eri giovane a vivere in carcere come in un hotel. Se non toccherà a te stesso, magari a Nicola, tuo figlio. Ti è stato consentito di incontrare un boss di Cosa Nostra, Giuseppe Graviano, mandante dell'uccisione di Don Puglisi, responsabile della morte di Falcone e Borsellino e delle stragi che nel '93 colpirono Firenze, Milano e Roma. Chissà cosa vi siete detti nei vostri colloqui durante l'ora d'aria al carcere di Opera, dove entrambi scontate il regime del 41 bis? Avete stretto alleanze, avete escogitato nuove strategie? Avete messo a punto degli strumenti per rivalervi su coloro che vi hanno punito, nel caso non fossero disposti a venire a patti? Avete vagheggiato di avere in mano, pur dal cortile di un carcere di massima sicurezza, il destino dell'Italia? Pensate che il vostro silenzio o una vostra mezza parola possa delegittimare i vertici del potere politico? Mettergli paura? Ingenuità, Schiavone. Non ti rendi conto che siete divenuti burattini pensando di essere burattinai. Ma non vedi quello che sta accadendo?

Ciclicamente appoggiate politici che vi fanno promesse, vi usano per ottenere ciò che gli torna utile, vi scaricano quando non servite più, quando intravedono delle alternative. Perché in questo Paese in cui il potere è sempre in mano a pochi e soliti, i soli di cui è certo che verranno prima o poi rimpiazzati da qualche rivale emergente siete voi.
La camorra è potente ma la sua forza si basa sul fatto che i camorristi continuamente cambiano, sono interscambiabili. I cimiteri sono pieni di camorristi indispensabili. Non stai vedendo che stanno eliminando il tuo gruppo? E quello di Bidognetti? E i fedeli Iovine e Zagaria? I due latitanti? Ancora liberi. Liberi di fare affari, di dirigerli. I tuoi reggenti diventati re nei fatti, perché non esiste nessuna incoronazione, mentre le detronizzazioni, quelle esistono, e prima o poi vengono scritte con il sangue, se non quello del sovrano decaduto, almeno quello dei suoi ultimi fedeli. È questo ciò che ti attende e lo sai. Loro ti tradiranno (se non lo stanno già facendo) proprio come tu hai tradito Antonio Bardellino e Mario Iovine.

Quattro anni fa feci un invito nella piazza di Casal di Principe. Lo feci alle persone, soprattutto ai ragazzi che erano lì presenti. Li invitai a cacciarvi dai nostri paesi, a disconoscervi la cittadinanza, a togliere il saluto alle vostre famiglie. "Michele Zagaria, Antonio Iovine, Francesco Schiavone, non valete niente". Urlai con lo stomaco e con la volontà di dimostrare che si potevano fare i vostri nomi, in quella piazza. Che non succede proprio nulla se si fanno. Che non sono impronunciabili, neanche quando si chiede non a una, due, o cinque persone, ma a molte, moltissime, di denunciarvi, di spingervi ad andarvene da Casal di Principe, San Cipriano d'Aversa, Casapesenna. A liberare queste terre. Tuo padre mi ha definito un buffone, non è l'unico a pensarla così. Tu stesso hai fatto scrivere dai tuoi avvocati che racconto menzogne. Sulle pareti di Casal di Principe mai è apparso un insulto a te, neanche dopo la strage di Casapesenna che avevi ordinato. Invece decine e decine le scritte contro di me, e appena si pronuncia il mio nome, i giovani delle mie zone mi riempiono di insulti. E quando vedono i tuoi figli, cosa fanno? Che cosa rappresentano questi ragazzi senza madre, senza padre, con gli occhi delle polizie sempre puntati addosso? Ti credi un uomo a far vivere così i tuoi figli? Tua moglie in prigione, i figli mollati ai parenti. È da uomo di onore, questo? Da uomo di rispetto?

Non è un uomo una persona che fa vivere così la propria famiglia. Questo lo sai nel profondo di te stesso. Una vecchia espressione napoletana identifica con un'espressione molto efficace un potere fatto solo di sbruffoneria: "guappi di cartone". Voi la usate per definire un uomo che parla e poi non agisce e ha paura. Io la uso per mostrare quanto sia codardo il vostro potere di morte, corrotto il vostro business, e che il vostro silenzio difende tutti quei colletti bianchi, imprenditori, editori, commercialisti, onorevoli, ingegneri che lavorando per voi pensando soltanto di lavorare per delle imprese di cui non vogliono conoscere l'origine. Guappo di cartone sei perché ordini esecuzioni di persone disarmate, fai sparare alle spalle a innocenti. Guappo di cartone perché temi ogni mossa che possa compromettere le tue entrate di danaro, perché sei disposto a perdere faccia e dignità per un versamento in euro. Guappo di cartone che costringi al silenzio della paura tutti i tuoi paesani se vogliono lavorare nelle tue imprese. Guappo di cartone perché non fai crescere nessuna impresa che con te e con i tuoi non faccia affari. Guappo di cartone perché avveleni la terra dove i tuoi avi avevano piantato le pesche, i meli, e ora la terra avvelenata non produce nulla se non cancro.

Può sembrarti assurdo ma siccome nessuno te lo chiede, te lo ripeto io un'altra volta. Collabora con la giustizia. Prima che tutti i tuoi figli finiscano in galera o ammazzati. Prima che le tue figlie siano costrette a matrimoni combinati per farti ancora contare qualcosa, prima che i tuoi nipoti debbano tutti legarsi attraverso matrimoni agli imprenditori locali per cercare di controllarli, sempre, ovunque, in ogni momento. Invita a pentirsi anche tuo fratello Walter. Fuori dal carcere si sentiva il protagonista di Scarface. Non c'era assessore, sindaco, segretario di partito o imprenditore che non volesse fare patti e affari con lui. E ora? Ora in galera lo divora una malattia, ha perso un figlio, è divenuto uno scheletro che cammina e implora ai giudici clemenza, lui che non l'ha mai data alla sua terra e ai suoi nemici. Per cosa taci ancora? Pensi che ti renda onore tutto questo? Pensi che ti rispettino coloro che il tuo silenzio difende? Tutti coloro che avete reso potenti, sensali con la coscienza pulita perché non sparavano, ma costruivano, smaltivano, votavano, governavano. Tutti questi non sono lì con voi. E andranno con chi comanda. Ieri eravate voi oggi sono altri, e domani altri ancora. Loro saranno amici di chi conta. Come sempre. E voi morirete in carcere.

Tu cosa vuoi, Francesco Schiavone? La tua morte? Rimpiangi di non essere finito ammazzato? Come tuo nipote Mario Schiavone "Menelik"? Facesti uccidere per vendicare la sua morte un carabiniere innocente Salvatore Nuvoletta, aveva vent'anni quando il clan dei casalesi chiese la sua testa, non fu lui ad uccidere in un conflitto a fuoco tuo nipote. E l'hai fatto ammazzare lo stesso. Tu e i tuoi uomini. Uccidendolo mentre era disarmato, mentre giocava con un bambino. Questo è onore?

Io sono cresciuto in terra di camorra e so come ragioni. Consideri smidollato chi ha paura di morire, chi ha paura del carcere. Sai che se vuoi davvero comandare sulla vita delle persone, devi pagarlo questo potere. Tu e i tuoi amici vincete perché sapete sacrificarvi mentre i politici e gli imprenditori di questo paese non sanno farlo. Quante volte ho sentito pronunciare queste parole dai miei conterranei. Ma non per tutti è così.

Prima o poi vi schiacceranno. Prima o poi tutti i vostri affari, il vostro cemento, i vostri voti, i vostri rifiuti tossici, tutto questo sarà destinato a finire. Non è la volontà che muta il destino delle cose, e tu, Schiavone, non sei che l'ennesimo di una catena infinita. Ma forse potresti fare un gesto, una scelta che compensi almeno in parte tutto quanto hai fatto. Mostra tutto. Sollevati dal tuo potere, dal potere dei tuoi affari, sottosegretari, sindaci, presidenti di provincia, sollevati dai veleni, dai morti, dalle dannate famiglie che credono di disporre di cose, persone, e animali come sovrani. Collabora con la giustizia, Schiavone. Invita a consegnarsi Antonio Iovine e Michele Zagaria. Sarebbe un gesto che ridarebbe a te e ai tuoi dignità di uomini. Provate ad essere uomini e non utili bestie feroci da business e accordi. Collabora con la giustizia, mostra che sei ancora un essere umano e non solo un agglomerato di cellule capace solo con rancore e avidità di strisciare di covo in covo, o di cella in cella.
©2010 Roberto Saviano/ Agenzia Santachiara

(16 giugno 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/cronaca/2010/06/16/news/sandokan_pentiti_il_tuo_potere_finito-4876131/?ref=HREC1-4
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« Risposta #78 inserito:: Giugno 29, 2010, 07:02:19 pm »

LA MORTE DI TARICONE

L'addio di Saviano, compagno di scuola al Diaz di Caserta: «Mi mancherai»

L'autore di Gomorra e l'attore hanno frequentato lo stesso liceo scientifico nella città campana

Roberto Saviano


CASERTA - Entrambi casertani, entrambi giovanissimi, entrambi travolti improvvisamente dal successo. Ad uno di loro due, però, il destino ha riservato una tragica fine. Roberto Saviano e Pietro Taricone hanno frequentato, negli stessi anni sebbene in classi diverse, il liceo scientifico Diaz di Caserta. Lo scrittore oggi dà commosso l'addio al compagno di scuola, reso famoso dal Grande Fratello, e ricorda «quando eravamo adolescenti, lui era rappresentante di istituto, un ragazzo carismatico, solare e un po' guascone. Nella Caserta di quegli anni la sua ribalta sconvolse tutti, si sentì aggredito da tanto successo, una luce che la nostra terra non è abituata a ricevere».

TRAVOLTI DAL SUCCESSO - Improvvisamente travolto dal successo, esattamente come, qualche anno più tardi, è capitato al giovane scrittore dopo l'uscita del suo «Gomorra». Ma di Taricone Saviano dice che «sulla soglia del circo mediatico seppe prendersi il suo tempo, scegliere il suo percorso, approfittare dell’opportunità avuta per studiare e migliorarsi. Non farsi ferire dalla bile o dalle accuse per il successo che in certe parti d’Italia è la colpa peggiore». E ancora, sullo sport che all'attore è costato la vita, lo scrittore aggiunge: «Amava volare, perché il cielo non tradisce come ogni paracadutista sa. A tradirlo è stato l’atterraggio, è stata la terra». Infine Saviano ricorda quando Taricone scese in campo al suo fianco: «Soffro per non essere riuscito a ringraziarlo, perchè all’indomani delle critiche rivoltemi da Berlusconi, mi difese pubblicamente, cosa non scontata per chi viene dalla nostra provincia. Mi mancherà riconoscere nei sui sguardi e nel suo atteggiamento l’inconfondibile matrice della mia terra, mi mancherà guardandolo ricordare la nostra adolescenza, le manifestazioni a scuola, le gite. Quella vita che lo attraversava e mi contagiava. Addio Pietro, addio guerriero».

Redazione online
29 giugno 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
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« Risposta #79 inserito:: Agosto 13, 2010, 04:05:26 pm »

IL PERSONAGGIO

Vi racconto Bono lontano dal palco

Dal rock all'impegno sociale, dal successo mondiale alla politica. E poi l'Africa, l'Italia così difficile da capire.

Il leader degli U2 parla di sé con lo scrittore e rivela il suo volto inedito

di ROBERTO SAVIANO


MI SVEGLIO e ricevo un messaggio. In genere sono guai, mi sollecitano per qualche scritto che ancora non ho consegnato, risultati di processi, inchieste, arresti. Ma questa volta si tratta di qualcosa di diverso: "Bono, il leader degli U2, è in Italia e vuole conoscerti". Chiedo spiegazioni. E dopo qualche secondo: "Sì, Bono ha letto il tuo libro le tue interviste, vuole conoscerti". Per qualche strana ragione pensi sempre che certe cose non abbiano carne e sangue ma siano come immateriali. Una di queste è la voce di Bono, la più bella voce maschile del rock mondiale. E quando quella voce ti dice "grazie per aver fatto tutti questi chilometri per me" la senti sovrapporsi all'urlo di "One" ("One love, One life") e hai come l'impressione di essere una groupie che perde ogni contegno dinanzi alla sua rockstar.

Bono mi accoglie in una villa presa in affitto. L'aria è davvero di casa, bambini che corrono ovunque, persino gli scoiattoli che zampettano in giardino, credo di non averne mai visto uno così vicino. Bono mi abbraccia e la sua è una gentilezza disarmante che mi dimostra quello di cui mi raccontavano, ossia la sua qualità di uomo rimasto uomo, senza divismi o posture. Anzi affamato di conoscere, capire, curioso del mondo e per nulla rinchiuso nella sua fortezza di note. Ha i soliti occhiali, ci sediamo a mangiare, e sembra avere una formula per me: "La prima anche se piccola vittoria contro le forze del male che ti circondano, è conservare il senso dell'umorismo. Quindi, devi combattere assolutamente, e lo fai essendo al di sopra di tutto, con il sorriso. Perché ridere - e ridi molto - è veramente la prova conclamata della libertà. Sai, quando ho pensato a questa cosa per la prima volta non ero affatto in pericolo, l'unico pericolo che avevo avvertito era quello di aver visto le mie chiappe nude pubblicate su un giornale. O di essere fotografato ubriaco all'uscita di un bar. Ecco ciò che ho capito, proprio all'inizio della mia popolarità, che questa sensazione di disagio, l'imbarazzo che provavo, poteva rendere brutto anche il viso più bello".

Bono mi racconta come sia fondamentale rimanere se stessi anche se intorno tutti cercano di prendere pezzi di te, di modificarti, di dannarti o esaltarti. Gli chiedo se gli manca vivere normalmente, campare come ogni essere umano occidentale. "Mi dispiace molto non riuscire a portare i miei bambini in giro. Una volta, era all'inizio della mia carriera, ho provato anche a camuffarmi: cappello e baffi da cowboy. Entro in un negozio, volevo comprare una chitarra e con un accento strano mi rivolsi al cassiere. Avevo pagato e stavo per uscire, quando questi si avvicina all'orecchio e mi dice: "Ok ok Bono ho capito, può bastare, tranquillo non lo dico a nessuno che sei tu..."".

Si alza gli occhiali, sorride. Gli occhi sono azzurrissimi e ha un po' di irlandesissime lentiggini. Un viso maturo, ma è proprio lui. Ora lo riconosco proprio come quando da ragazzino vedevo i suoi video in Vhs. Bono ha il profilo del ricercatore, studia il mondo, lo conosce. Fare musica per lui non è solo il più bel modo di stare al mondo, non è solo far divertire, ma il mezzo più straordinario per capire, comunicare, trasformare. "Voglio saperne di più, imparare di più sull'Italia. E questo perché ciò che sento e ciò che vedo non mi sembra combaciare. C'è uno squilibrio: vedo una cosa e ne provo invece un'altra".

A Bono come a molti stranieri è difficile comprendere le contraddizioni italiane; come se gli italiani tutti, di qualunque idea politica ed estrazione sociale, si accontentassero del peggio. I peggiori servizi, i peggiori politicanti, le peggiori istituzioni come se tutto fosse un sopportare. E mentre sopportano, agli italiani è solo dato intravedere grande talento, grandi capacità, ma sempre costretti, isolati, messi in difficoltà. "Ho proprio la sensazione che l'Italia sia come un luogo sacro, adoro i particolari italiani: la famiglia, l'aroma del caffè, il collo di una donna, ad esempio. Questi dettagli e il fuoco che c'è dentro la gente. So, sento che gli italiani potrebbero davvero assumersi un ruolo di preminenza, essere davvero grandi nel prestare aiuto ai poveri del mondo, nella lotta per la creazione di un nuovo capitalismo che sia "inclusivo" e non "esclusivo". Ma ora la politica non riesce a riflettere tutto ciò. Ed è cosi da molto tempo; anche quando c'era Prodi, che mi piaceva moltissimo. Nel 2005 i fondi erogati per gli aiuti umanitari erano lo 0,19% di quanto stabilito, nel 2009 lo 0,15%, quindi ancora meno. L'Inghilterra è passata dallo 0,7 allo 0,51, la Norvegia è all'1%, l'Irlanda allo 0,52%. Incredibile, no? Insomma c'è un vuoto da colmare tra ciò che provo e ciò che vedo. E sono certo che se riusciamo a spiegarlo, a spiegarlo meglio agli italiani, credo che saranno poi loro a dire ai loro leader che cosa fare. Forse non ce l'abbiamo fatta, finora, a spiegare queste cose in maniera chiara, allora c'è bisogno probabilmente di trovare gente che abbia la dote di saper veicolare queste informazioni. Ce la farà l'Italia ad avere un nuovo inizio?".

Difficile rispondere a una domanda così. Cerco di spiegare perché tutto è così ideologico, perché in Italia spesso sembra esserci una battaglia tra contrade, dove bisogna pensarla in serie, e quasi mai c'è un confronto sui fatti. La cappa delle ideologie anestetizza ogni dialogo come se compromettesse il futuro. "Il futuro, certo, quello deve ripartire e si deve ricominciare lasciandosi alle spalle il passato. Ma sembra fin troppo banale dire che c'è bisogno di una nuova politica in Italia, che inizi di nuovo a essere al servizio del Paese e non dell'ideologia. Mi piacerebbe tuttavia che ci fosse un'alternativa che non venisse da destra ma neppure da sinistra. Sono diventato sordo. Non ho più orecchie per la sinistra come non ne ho mai avute neppure per la destra. Ma per quest'ultima ho dovuto farmene crescere uno, però! Ho dovuto imparare ad accettare la compagnia di George Bush che ha fatto cose incredibili per l'Africa. E per questo, il mio giudizio su di lui non può essere completamente negativo. David Cameron, ad esempio, è stato colui che ha fatto i più grossi tagli di bilancio in Inghilterra, senza ridurre i fondi che erano stati devoluti agli aiuti umanitari. Si trovano amici anche nella destra; a volte non te lo aspetti e invece li trovi. Altre volte gente che credi amica non lo è. Prendi l'Africa. Il commercio e le sue regole, ad esempio. Gli africani non vogliono sentir parlare di restrizioni commerciali, vogliono giocare da battitori liberi. Non vogliono sentir parlare di embarghi con le norme delle politiche di aiuto dell'Unione Europea che si basano invece sul rispetto della politica agricola comune o su tariffe e dazi doganali imposti. A loro tutto questo non va giù. E se ne parli con la sinistra e spieghi come la pensano gli africani, ti dicono: "Ehi, ehi, vacci piano, stai calmino!". La sinistra va forte con l'Aids e gli aiuti. Allora, se stai morendo di Aids diamogli questi farmaci e finiamola li. Ma per il resto, nulla. Quindi, si finisce a pagare due dollari di sussidio al giorno per ogni mucca e non riusciamo a dare un dollaro al giorno a chi muore di Aids e ce ne sarebbero di dollari da dare. Ecco perché sono diventato sordo... Quindi via tutti e ripartiamo da capo. Voglio vedere politici in Parlamento che non siano più camuffati, senza più baffi e barbe finte".

Qui proprio non riesco che a rispondere sorridendo. La politica in Italia è una selva intricata, colma di dossier, veleni. Pensare alla politica come a un luogo dove poter trasformare le cose è difficile, quasi impossibile. Ma questo non sono capace di raccontarlo, forse mi fa male. Piuttosto chiedo a Bono della delegittimazione. Il suo impegno spesso viene deriso e attaccato, la rockstar milionaria che interviene a favore dei poveri, come una sorta di postura. Anche lui non è immune dalla macchina della delegittimazione, che i poteri usano sempre utilizzando l'esercito del risentimento, legioni di mediocri pronti ad eseguire l'ordine della maldicenza.

"Quando la gente si rende conto che non c'è via di scampo e che devono ascoltarti, allora devono o farti diventare un personaggio da prendere in giro, appiccicarti addosso favole irreali, farti diventare un personaggio appiattito, una caricatura, disegnata solo con pochi tratti. Senza tridimensionalità, questa è la delegittimazione. Tutti i nemici subiscono la delegittimazione. Lo si fa quando sei un nemico. In realtà penso questo: capisco benissimo il meccanismo e capisco benissimo che possa essere usato in modo offensivo e negativo. Ma pensa a qual era una delle più efficaci forme di protesta contro il nazismo negli anni '30, o contro il fascismo; erano i dadaisti, con il senso dell'umorismo. Che usavano come arma. Sai, i fascisti e i nazisti avevano tutte queste uniformi fantastiche, molto machiste. Come una sfilata di moda. Mentre i dadaisti è come se avessero levato loro i pantaloni e gli avessero messo il pisello all'aria. E mentre i nazisti combattevano tutti con manganelli, galera e repressione, non riuscivano a combattere lo humor. Impossibile, non c'è arma. Quindi alla delegittimazione rispondi con l'humor, ridi".

L'equilibrio che Bono è riuscito a costruire ha qualcosa di miracoloso. Parlare di grandi temi a milioni di persone, mentre saltano, cantano, si divertono. Entrare in una grande festa e cercare di far capire che quella felicità deve essere condivisa. Che combattere la povertà ti riguarda e non pretende che tu debba cadere nella miseria o nella rinuncia. Ma aumenta la tua felicità. È riuscito a coinvolgere milioni di ragazzi di diverse generazioni non temendo la retorica, non avendo paura di sbagliare. Se fai sbagli, meglio che non fare. Tutto questo cercando di essere concreto. Finanziando progetti. Capendo che c'è un modo sano di fare danaro e di usare il danaro. "Soldi significa corruzione e, quindi, se vuoi i soldi devi essere corrotto. Se tu invece dici: "Ok, voglio guadagnare, ma sono uno per bene, non ci credono". "A chi la dai a bere?", ti dicono. In Irlanda c'era in passato, per motivi diversi, lo stesso tipo di mentalità. Aver successo, significava essere colluso con il nemico. Che erano gli Inglesi. E anche dopo l'indipendenza, se avevi successo, significava essere colluso con il nemico. E quindi, c'era un rapporto davvero molto strano con il successo. Gli U2 hanno cercato di far ripartire l'orologio da questo punto di vista. E sono felice di poter affermare, che la maggior parte della gente in Irlanda, ora, ha cambiato idea su di noi. Per lo meno, il fatto che abbiamo avuto successo non è più visto negativamente. Per arrivare a ciò, però, hanno dovuto far ripartire il computer e "riaccendere" un nuovo modo di ragionare. Ed è estremamente positivo che si sia riusciti a far ciò, almeno per noi. Se tu dipingi la Cappella Sistina, il fatto che a qualcuno possa dar fastidio, non sminuisce ciò che hai fatto".

Bono poteva non impegnarsi e non occuparsi della questione africana. Aveva ottenuto tutto quello che un artista può ottenere. E impegnarsi gli ha creato anzi una gran quantità di guai. Ma anche una felicità che la sola carriera non può darti. "Conosci Desmond Tutu vero? Lui ti ha difeso molto... È lui il Capo, il mio Boss, se vieni al mio concerto, te lo presento. È stato lui, con Mandela, ma lui in particolare, a chiedermi di portare avanti il progetto della Cancellazione del debito estero, la Debt Cancellation, che i Paesi Poveri hanno nei confronti di quelli ricchi. Lui ha fondato questa organizzazione che si chiama Truth and Reconciliation (Verità e Riconciliazione) e per me ciò che la sua organizzazione significa rappresenta l'"idea" più importante degli ultimi venticinque anni!".

Passa Edge. Cappellino sulla testa, timido. Bono lo chiama. "Non volevo disturbare... ma grazie per essere venuto". Tutta questa gentilezza reale mi solleva da ogni ansia, ora mi sento tranquillo. Finiamo di mangiare, si è fatto tardi Bono viene ripreso dal suo ufficio stampa, deve andare a provare. Ci salutiamo, e facciamo un po' di foto sceme che promettiamo di tenere solo per noi, come quella mentre, giochiamo a braccio di ferro dove ognuno cerca di far vincere l'altro. È strano ma mi ci voleva il più singolare dei pomeriggi per vivere una giornata tranquilla all'aria aperta e con molte risate. Bono mi abbraccia e dice: "Sei invitato al concerto, mi raccomando". Magari, gli rispondo, la vedo difficile: "No ma non questo tu sei invitato anche ai prossimi". Quali? "Tutti i nostri prossimi concerti, per tutta la vita". Mi è sembrato un augurio bellissimo e non ho trovato altre parole che un semplice thanks. Torno in auto e la mia scorta la ritrovo in macchina a canticchiare "One", la mia preferita. "One Love, one blood, one life. You got to do what you should". E già, proprio così... un amore, un sangue, una vita, devi fare ciò che devi...

©2010 Roberto Saviano Agenzia Santachiara

(06 agosto 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/persone/2010/08/06/news/saviano_bono-6100114/
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« Risposta #80 inserito:: Agosto 16, 2010, 04:27:32 pm »

IL PERSONAGGIO

Vi racconto Bono lontano dal palco

Dal rock all'impegno sociale, dal successo mondiale alla politica. E poi l'Africa, l'Italia così difficile da capire.

Il leader degli U2 parla di sé con lo scrittore e rivela il suo volto inedito

di ROBERTO SAVIANO


MI SVEGLIO e ricevo un messaggio. In genere sono guai, mi sollecitano per qualche scritto che ancora non ho consegnato, risultati di processi, inchieste, arresti. Ma questa volta si tratta di qualcosa di diverso: "Bono, il leader degli U2, è in Italia e vuole conoscerti". Chiedo spiegazioni. E dopo qualche secondo: "Sì, Bono ha letto il tuo libro le tue interviste, vuole conoscerti". Per qualche strana ragione pensi sempre che certe cose non abbiano carne e sangue ma siano come immateriali. Una di queste è la voce di Bono, la più bella voce maschile del rock mondiale. E quando quella voce ti dice "grazie per aver fatto tutti questi chilometri per me" la senti sovrapporsi all'urlo di "One" ("One love, One life") e hai come l'impressione di essere una groupie che perde ogni contegno dinanzi alla sua rockstar.

Bono mi accoglie in una villa presa in affitto. L'aria è davvero di casa, bambini che corrono ovunque, persino gli scoiattoli che zampettano in giardino, credo di non averne mai visto uno così vicino. Bono mi abbraccia e la sua è una gentilezza disarmante che mi dimostra quello di cui mi raccontavano, ossia la sua qualità di uomo rimasto uomo, senza divismi o posture. Anzi affamato di conoscere, capire, curioso del mondo e per nulla rinchiuso nella sua fortezza di note. Ha i soliti occhiali, ci sediamo a mangiare, e sembra avere una formula per me: "La prima anche se piccola vittoria contro le forze del male che ti circondano, è conservare il senso dell'umorismo. Quindi, devi combattere assolutamente, e lo fai essendo al di sopra di tutto, con il sorriso. Perché ridere - e ridi molto - è veramente la prova conclamata della libertà. Sai, quando ho pensato a questa cosa per la prima volta non ero affatto in pericolo, l'unico pericolo che avevo avvertito era quello di aver visto le mie chiappe nude pubblicate su un giornale. O di essere fotografato ubriaco all'uscita di un bar. Ecco ciò che ho capito, proprio all'inizio della mia popolarità, che questa sensazione di disagio, l'imbarazzo che provavo, poteva rendere brutto anche il viso più bello".

Bono mi racconta come sia fondamentale rimanere se stessi anche se intorno tutti cercano di prendere pezzi di te, di modificarti, di dannarti o esaltarti. Gli chiedo se gli manca vivere normalmente, campare come ogni essere umano occidentale. "Mi dispiace molto non riuscire a portare i miei bambini in giro. Una volta, era all'inizio della mia carriera, ho provato anche a camuffarmi: cappello e baffi da cowboy. Entro in un negozio, volevo comprare una chitarra e con un accento strano mi rivolsi al cassiere. Avevo pagato e stavo per uscire, quando questi si avvicina all'orecchio e mi dice: "Ok ok Bono ho capito, può bastare, tranquillo non lo dico a nessuno che sei tu..."".

Si alza gli occhiali, sorride. Gli occhi sono azzurrissimi e ha un po' di irlandesissime lentiggini. Un viso maturo, ma è proprio lui. Ora lo riconosco proprio come quando da ragazzino vedevo i suoi video in Vhs. Bono ha il profilo del ricercatore, studia il mondo, lo conosce. Fare musica per lui non è solo il più bel modo di stare al mondo, non è solo far divertire, ma il mezzo più straordinario per capire, comunicare, trasformare. "Voglio saperne di più, imparare di più sull'Italia. E questo perché ciò che sento e ciò che vedo non mi sembra combaciare. C'è uno squilibrio: vedo una cosa e ne provo invece un'altra".

A Bono come a molti stranieri è difficile comprendere le contraddizioni italiane; come se gli italiani tutti, di qualunque idea politica ed estrazione sociale, si accontentassero del peggio. I peggiori servizi, i peggiori politicanti, le peggiori istituzioni come se tutto fosse un sopportare. E mentre sopportano, agli italiani è solo dato intravedere grande talento, grandi capacità, ma sempre costretti, isolati, messi in difficoltà. "Ho proprio la sensazione che l'Italia sia come un luogo sacro, adoro i particolari italiani: la famiglia, l'aroma del caffè, il collo di una donna, ad esempio. Questi dettagli e il fuoco che c'è dentro la gente. So, sento che gli italiani potrebbero davvero assumersi un ruolo di preminenza, essere davvero grandi nel prestare aiuto ai poveri del mondo, nella lotta per la creazione di un nuovo capitalismo che sia "inclusivo" e non "esclusivo". Ma ora la politica non riesce a riflettere tutto ciò. Ed è cosi da molto tempo; anche quando c'era Prodi, che mi piaceva moltissimo. Nel 2005 i fondi erogati per gli aiuti umanitari erano lo 0,19% di quanto stabilito, nel 2009 lo 0,15%, quindi ancora meno. L'Inghilterra è passata dallo 0,7 allo 0,51, la Norvegia è all'1%, l'Irlanda allo 0,52%. Incredibile, no? Insomma c'è un vuoto da colmare tra ciò che provo e ciò che vedo. E sono certo che se riusciamo a spiegarlo, a spiegarlo meglio agli italiani, credo che saranno poi loro a dire ai loro leader che cosa fare. Forse non ce l'abbiamo fatta, finora, a spiegare queste cose in maniera chiara, allora c'è bisogno probabilmente di trovare gente che abbia la dote di saper veicolare queste informazioni. Ce la farà l'Italia ad avere un nuovo inizio?".

Difficile rispondere a una domanda così. Cerco di spiegare perché tutto è così ideologico, perché in Italia spesso sembra esserci una battaglia tra contrade, dove bisogna pensarla in serie, e quasi mai c'è un confronto sui fatti. La cappa delle ideologie anestetizza ogni dialogo come se compromettesse il futuro. "Il futuro, certo, quello deve ripartire e si deve ricominciare lasciandosi alle spalle il passato. Ma sembra fin troppo banale dire che c'è bisogno di una nuova politica in Italia, che inizi di nuovo a essere al servizio del Paese e non dell'ideologia. Mi piacerebbe tuttavia che ci fosse un'alternativa che non venisse da destra ma neppure da sinistra. Sono diventato sordo. Non ho più orecchie per la sinistra come non ne ho mai avute neppure per la destra. Ma per quest'ultima ho dovuto farmene crescere uno, però! Ho dovuto imparare ad accettare la compagnia di George Bush che ha fatto cose incredibili per l'Africa. E per questo, il mio giudizio su di lui non può essere completamente negativo. David Cameron, ad esempio, è stato colui che ha fatto i più grossi tagli di bilancio in Inghilterra, senza ridurre i fondi che erano stati devoluti agli aiuti umanitari. Si trovano amici anche nella destra; a volte non te lo aspetti e invece li trovi. Altre volte gente che credi amica non lo è. Prendi l'Africa. Il commercio e le sue regole, ad esempio. Gli africani non vogliono sentir parlare di restrizioni commerciali, vogliono giocare da battitori liberi. Non vogliono sentir parlare di embarghi con le norme delle politiche di aiuto dell'Unione Europea che si basano invece sul rispetto della politica agricola comune o su tariffe e dazi doganali imposti. A loro tutto questo non va giù. E se ne parli con la sinistra e spieghi come la pensano gli africani, ti dicono: "Ehi, ehi, vacci piano, stai calmino!". La sinistra va forte con l'Aids e gli aiuti. Allora, se stai morendo di Aids diamogli questi farmaci e finiamola li. Ma per il resto, nulla. Quindi, si finisce a pagare due dollari di sussidio al giorno per ogni mucca e non riusciamo a dare un dollaro al giorno a chi muore di Aids e ce ne sarebbero di dollari da dare. Ecco perché sono diventato sordo... Quindi via tutti e ripartiamo da capo. Voglio vedere politici in Parlamento che non siano più camuffati, senza più baffi e barbe finte".

Qui proprio non riesco che a rispondere sorridendo. La politica in Italia è una selva intricata, colma di dossier, veleni. Pensare alla politica come a un luogo dove poter trasformare le cose è difficile, quasi impossibile. Ma questo non sono capace di raccontarlo, forse mi fa male. Piuttosto chiedo a Bono della delegittimazione. Il suo impegno spesso viene deriso e attaccato, la rockstar milionaria che interviene a favore dei poveri, come una sorta di postura. Anche lui non è immune dalla macchina della delegittimazione, che i poteri usano sempre utilizzando l'esercito del risentimento, legioni di mediocri pronti ad eseguire l'ordine della maldicenza.

"Quando la gente si rende conto che non c'è via di scampo e che devono ascoltarti, allora devono o farti diventare un personaggio da prendere in giro, appiccicarti addosso favole irreali, farti diventare un personaggio appiattito, una caricatura, disegnata solo con pochi tratti. Senza tridimensionalità, questa è la delegittimazione. Tutti i nemici subiscono la delegittimazione. Lo si fa quando sei un nemico. In realtà penso questo: capisco benissimo il meccanismo e capisco benissimo che possa essere usato in modo offensivo e negativo. Ma pensa a qual era una delle più efficaci forme di protesta contro il nazismo negli anni '30, o contro il fascismo; erano i dadaisti, con il senso dell'umorismo. Che usavano come arma. Sai, i fascisti e i nazisti avevano tutte queste uniformi fantastiche, molto machiste. Come una sfilata di moda. Mentre i dadaisti è come se avessero levato loro i pantaloni e gli avessero messo il pisello all'aria. E mentre i nazisti combattevano tutti con manganelli, galera e repressione, non riuscivano a combattere lo humor. Impossibile, non c'è arma. Quindi alla delegittimazione rispondi con l'humor, ridi".

L'equilibrio che Bono è riuscito a costruire ha qualcosa di miracoloso. Parlare di grandi temi a milioni di persone, mentre saltano, cantano, si divertono. Entrare in una grande festa e cercare di far capire che quella felicità deve essere condivisa. Che combattere la povertà ti riguarda e non pretende che tu debba cadere nella miseria o nella rinuncia. Ma aumenta la tua felicità. È riuscito a coinvolgere milioni di ragazzi di diverse generazioni non temendo la retorica, non avendo paura di sbagliare. Se fai sbagli, meglio che non fare. Tutto questo cercando di essere concreto. Finanziando progetti. Capendo che c'è un modo sano di fare danaro e di usare il danaro. "Soldi significa corruzione e, quindi, se vuoi i soldi devi essere corrotto. Se tu invece dici: "Ok, voglio guadagnare, ma sono uno per bene, non ci credono". "A chi la dai a bere?", ti dicono. In Irlanda c'era in passato, per motivi diversi, lo stesso tipo di mentalità. Aver successo, significava essere colluso con il nemico. Che erano gli Inglesi. E anche dopo l'indipendenza, se avevi successo, significava essere colluso con il nemico. E quindi, c'era un rapporto davvero molto strano con il successo. Gli U2 hanno cercato di far ripartire l'orologio da questo punto di vista. E sono felice di poter affermare, che la maggior parte della gente in Irlanda, ora, ha cambiato idea su di noi. Per lo meno, il fatto che abbiamo avuto successo non è più visto negativamente. Per arrivare a ciò, però, hanno dovuto far ripartire il computer e "riaccendere" un nuovo modo di ragionare. Ed è estremamente positivo che si sia riusciti a far ciò, almeno per noi. Se tu dipingi la Cappella Sistina, il fatto che a qualcuno possa dar fastidio, non sminuisce ciò che hai fatto".

Bono poteva non impegnarsi e non occuparsi della questione africana. Aveva ottenuto tutto quello che un artista può ottenere. E impegnarsi gli ha creato anzi una gran quantità di guai. Ma anche una felicità che la sola carriera non può darti. "Conosci Desmond Tutu vero? Lui ti ha difeso molto... È lui il Capo, il mio Boss, se vieni al mio concerto, te lo presento. È stato lui, con Mandela, ma lui in particolare, a chiedermi di portare avanti il progetto della Cancellazione del debito estero, la Debt Cancellation, che i Paesi Poveri hanno nei confronti di quelli ricchi. Lui ha fondato questa organizzazione che si chiama Truth and Reconciliation (Verità e Riconciliazione) e per me ciò che la sua organizzazione significa rappresenta l'"idea" più importante degli ultimi venticinque anni!".

Passa Edge. Cappellino sulla testa, timido. Bono lo chiama. "Non volevo disturbare... ma grazie per essere venuto". Tutta questa gentilezza reale mi solleva da ogni ansia, ora mi sento tranquillo. Finiamo di mangiare, si è fatto tardi Bono viene ripreso dal suo ufficio stampa, deve andare a provare. Ci salutiamo, e facciamo un po' di foto sceme che promettiamo di tenere solo per noi, come quella mentre, giochiamo a braccio di ferro dove ognuno cerca di far vincere l'altro. È strano ma mi ci voleva il più singolare dei pomeriggi per vivere una giornata tranquilla all'aria aperta e con molte risate. Bono mi abbraccia e dice: "Sei invitato al concerto, mi raccomando". Magari, gli rispondo, la vedo difficile: "No ma non questo tu sei invitato anche ai prossimi". Quali? "Tutti i nostri prossimi concerti, per tutta la vita". Mi è sembrato un augurio bellissimo e non ho trovato altre parole che un semplice thanks. Torno in auto e la mia scorta la ritrovo in macchina a canticchiare "One", la mia preferita. "One Love, one blood, one life. You got to do what you should". E già, proprio così... un amore, un sangue, una vita, devi fare ciò che devi...

©2010 Roberto Saviano Agenzia Santachiara

(06 agosto 2010) © Riproduzione riservata
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« Risposta #81 inserito:: Settembre 12, 2010, 09:46:14 am »

L'ANALISI

Lo scandalo della democrazia

di ROBERTO SAVIANO

DUE pistole che sparano, le pallottole che colpiscono al petto, un agguato che sembra essere anche un messaggio. Così uccidono i clan.
Così hanno ucciso Angelo Vassallo, sindaco di Pollica, in provincia di Salerno. Si muore quando si è soli, e lui - alla guida di una lista civica - si opponeva alle licenze edilizie, al cemento che in Cilento dilaga a scapito di una magnifica bellezza. Ma Angelo Vassallo rischia di morire per un giorno soltanto e di essere subito dimenticato.

Come se fosse normale, fisiologico per un sindaco del meridione essere vittima dei clan. E invece è uno scandalo della democrazia. Del resto - si dice - è così che va nel sud, accade da decenni. "Veniamo messi sulla cartina geografica solo quando sparano. O quando si deve scegliere dove andare in vacanza", mi dice un vecchio amico cilentano. In questo caso le cose coincidono. Terra di vacanze, terra di costruzioni, terra di business edilizio che "il sindaco-pescatore" voleva evitare a tutti i costi.

Questa estate è iniziata all'insegna degli slogan del governo sui risultati ottenuti nella lotta contro le mafie. Risultati sbandierati, urlati, commettendo il grave errore di contrapporre l'antimafia delle parole a quella dei fatti. Ma ci si deve rendere conto che non è possibile delegare tutto alle sole manette o al buio delle celle. Senza racconto dei fatti non c'è possibilità di mutare i fatti.

E anche questa storia meritava di essere raccontata assai prima del sangue. Forse il finale sarebbe stato diverso. Ma lo spazio e la luce dati alla terra dei clan sono sempre troppo pochi. I magistrati fanno quello che possono. I clan dell'agro-nocerino in questo momenti sono tutti sotto osservazione: quelli di Scafati capeggiati da Franchino Matrone detto "la belva", o gli uomini di Salvatore Di Paolo detto "il deserto", quelli di Pagani capeggiati da Gioacchino Petrosino detto "spara spara", il clan di Aniello Serino detto "il pope", il clan Viviano di Giffoni, i Mariniello di Nocera inferiore e Prudente di Nocera superiore, i Maiale di Eboli.

Il fatto è che il Cilento, terra magnifica, ha su di sé gli occhi e le mani delle organizzazioni criminali che, quasi fossero la nemesi della nostra classe politica, eternamente in lotta, si scambiano favori, si spartiscono competenze pur di trarre il massimo profitto da una terra che ha tutte le caratteristiche per poter essere definita terra di nessuno e quindi terra loro. I Casalesi sono da sempre interessati all'area portuale, così come i Fabbrocino dell'area vesuviana hanno molti interessi in zona. Giovanni Fabbrocino, nipote del boss Mario Fabbrocino, gestisce a Montecorvino Rovella, un paesino alle soglie del Cilento, la concessionaria della Algida nella provincia più estesa d'Italia, il Salernitano appunto. Il clan Fabbrocino è uno dei più potenti gruppi camorristici attualmente noti e intrattiene legami con i calabresi.

Oggi le 'ndrine nel Salernitano contano molto di più e hanno interessi che vanno oltre lo scambio di favori. Il porto di Salerno, su autorizzazione dei clan di camorra, è sempre stato usato dalle 'ndrine per il traffico di coca, soprattutto da quando il porto di Gioia Tauro è divenuto troppo pericoloso. Il potentissimo boss di Platì Giuseppe Barbaro, per esempio, è stato catturato a dicembre 2008 mentre faceva compere natalizie a Salerno. In tutto questo, il cordone ombelicale che ha legato camorra e 'ndrangheta porta un nome fin troppo evidente: A3, ovvero autostrada Salerno-Reggio Calabria. Nel Salernitano sono impegnate diverse ditte dalla reputazione tutt'altro che specchiata. La "Campania Appalti srl" di Casal di Principe avrebbe dovuto costruire le strade intorno al futuro termovalorizzatore di Cupa Siglia. L'impresa delle famiglie Bianco e Apicella è stata raggiunta da un'interdittiva antimafia dopo le indagini della sezione salernitana della Direzione Investigativa Antimafia. Secondo gli investigatori, l'impresa rientra nel giro economico del clan dei Casalesi ed è nelle mani di uomini vicini a Francesco Schiavone.

È così diverso oggi dagli anni '80 e '90? Di che territorio stiamo raccontando? Di una Regione dove per la gare d'appalto per la raccolta rifiuti bisogna chiamare una impresa ligure perché in Campania non se ne trova una che non abbia legami con la camorra. Nemmeno una. Se da un lato si arresta dall'altro lato non c'è affatto una politica che tenda a interrompere il rapporto con le organizzazioni criminali. L'attuale presidente della provincia di Napoli Luigi Cesaro, soprannominato "Gigino a' purpetta" (Luigino la polpetta), fu arrestato nel 1984 in un'operazione contro la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Nel 1985 il Tribunale di Napoli condannò Cesaro a 5 anni di reclusione "per avere avuto rapporti di affari e amicizia con tutti i dirigenti della camorra napoletana fornendo mezzi, abitazioni per favorire la latitanza di alcuni membri, e dazioni di danaro". Nel 1986 in appello il verdetto fu ribaltato e Cesaro venne assolto per insufficienza di prove. La decisione fu poi confermata dalla Corte di Cassazione presieduta dal noto giudice ammazza sentenze Corrado Carnevale. Ma, come ha raccontato L'Espresso, nonostante Cesaro sia stato scagionato dalle accuse, gli stessi giudici che lo hanno assolto hanno stigmatizzato il preoccupante quadro probatorio a suo carico. Durante il processo, in aula, furono infatti confermati gli stretti rapporti che l'attuale presidente della provincia di Napoli intratteneva con i vertici della Nco (incluso don Raffaele Cutolo). Si parlava di una "raccomandazione" chiesta a Rosetta Cutolo, sorella di Raffaele, per far cessare le richieste estorsive di Pasquale Scotti, personaggio tuttora ricercato ed inserito nell'elenco dei trenta latitanti più pericolosi d'Italia. (Consiglio caldamente di fare una piccola ricerca su youtube per "Luigi Cesaro esilarante", ascolterete un monologo del presidente della provincia che sarà più eloquente delle mie parole).

Tutto questo non si può tacere. E chi lo tace è complice. Mi viene da chiedere a chi in questo momento sta leggendo queste righe se ha mai sentito parlare di Federico Del Prete, sindacalista ucciso nel 2002 a Casal di Principe. Se ha mai sentito parlare di Marcello Torre, sindaco di Pagani ucciso nel 1980 perché cercava di resistere a concedere alla camorra gli appalti per la ricostruzione post terremoto. E di Mimmo Beneventano vi ricordate? Consigliere comunale del Pci, trentadue anni, medico, fu ucciso nel 1980 a Ottaviano per ordine di Raffaele Cutolo perché ostacolava il suo dominio sulla città. E di Pasquale Cappuccio? È stato consigliere comunale del Psi, avvocato, ucciso nel 1978 sempre a Ottaviano. E Simonetta Lamberti, uccisa a Cava dei Tirreni nel 1982. Aveva dieci anni e la sua colpa era essere la figlia del giudice che andava punito. Le scariche del killer raggiunsero lei al posto del loro obiettivo. Qualcuno di questi nomi vi è noto? Temo solo ad addetti ai lavori o militanti di qualche organizzazione antimafia. Questi nomi sono dimenticati. Colpevolmente dimenticati. Come, temo, lo sarà presto quello di Angelo Vassallo. Ai funerali di Antonio Cangiano, vicesindaco di Casal di Principe gambizzato dalla camorra nel giugno 1988 e da allora costretto sulla sedia a rotelle, non c'era nessun dirigente della sinistra. Tutto sembra immobile in territori dove non riusciamo nemmeno a ottenere il minimo, l'anagrafe pubblica degli eletti per sapere esattamente chi ci governa.

Le indagini sull'omicidio di Angelo Vassallo vanno in tutte le direzioni, si sta scavando nel passato e nel presente del sindaco. Perché, come mi è capitato di dire altrove, in queste terre quando si muore si è sottoposti a una legge eterna: si è colpevoli sino a prova contraria. I criteri del diritto sono ribaltati. E quindi già iniziano a sentirsi voci di ogni genere, ma nulla tralascerà la Dda. L'aveva scritto Bruno Arpaia (non a caso nato a Ottaviano) nel suo bel libro Il passato davanti a noi, che mentre i militanti delle varie organizzazioni della sinistra extraparlamentare sognavano Parigi o Pechino per far la rivoluzione e scappavano a Milano a occupare università o fabbriche, non si accorgevano che al loro paese si moriva per un no dato ad un appalto, per aver impedito a un'impresa di camorra di fare strada.

È in quei posti invisibili, apparentemente marginali che si costruisce il percorso di un Paese. Tutto questo non si è visto in tempo e oggi si continua a ignorarlo. La scelta del sindaco in un comune del Sud determina l'equilibrio del nostro Paese più che un Consiglio dei ministri. Al Sud governare è difficile, complicato, rischioso. Amministratori perbene e imprenditori sani ci sono, ma sono pochi e vivono nel pericolo.

In queste ore a Venezia verrà proiettato sul grande schermo "Noi credevamo" di Mario Martone, una storia risorgimentale che parte proprio dal Cilento, dal sud Italia. Forse in queste ore di sgomento che seguono la tragedia del sindaco Angelo Vassallo vale la pena soffermarsi sull'unico risorgimento ancora possibile che è quello contro le organizzazioni criminali. Un risorgimento che non deve declinarsi come una conquista dei sani poteri del Nord verso i barbari meridionali: del resto è una storia che già abbiamo vissuto e che ancora non abbiamo metabolizzato. Ma al contrario deve investire sul Mezzogiorno capace di innovazione, ricerca, pulizia, che forse è nascosto ma esiste. Deve scommettere sulla possibilità che il Paese sappia imporre un cambiamento. E che da qui parta qualcosa che mostri all'intera Italia il percorso da prendere. È la nostra ultima speranza, la nostra sola risorsa. Noi ci crediamo.

©2010 Roberto Saviano/ Agenzia Santachiara
 

(07 settembre 2010) © Riproduzione riservata
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« Risposta #82 inserito:: Settembre 25, 2010, 05:23:20 pm »

LA STORIA

Il fuoco che smaschera il grande bluff del Cavaliere

La monnezza in Campania stava tornando da mesi, ma parlarne era vietato quasi fosse una bestemmia. Ora si scopre che non si era risolto nulla, solamente tamponato: il più delle volte nascosto

di ROBERTO SAVIANO


"Perché gli abbiamo creduto a Berlusconi, e mo' come se ne uscirà?". "Lo sapevo che tornava la monnezza e che Berluscone non aveva risolto niente. Questa è la politica". Sono le prime due frasi che ascolto da una radio locale che lascia sfogare i napoletani, che qui chiamano il primo ministro rendendo al singolare il suo nome: Berluscone, che avevano considerato il risolutore dell'emergenza rifiuti.

Oggi tutto è tornato come prima, ad appena un anno dal decreto legge del 31 dicembre del 2009 che sanciva la fine dello stato di emergenza e del commissariamento straordinario.

In realtà da mesi stava lentamente tornando la spazzatura ovunque ma parlare di nuova emergenza rifiuti sembrava impossibile, era vietato come la peggiore delle bestemmie. Ma il centro di Napoli è tornato a puzzare come una discarica, la provincia di Caserta ha nuovamente le strade foderate di spazzatura, la popolazione è tornata a ribellarsi per l'apertura di nuove discariche, terrorizzata che queste raccolgano non solo i rifiuti leciti ma anche quelli illeciti, come sempre accaduto nelle discariche campane.

Non si era risolto nulla. Solo tamponato. Il più delle volte nascosto. In certi territori lontani dai riflettori, lontani dall'attenzione dei media, la spazzatura non è mai scomparsa dalle strade. Ora il grande bluff si è compiuto e mostra la sua essenza. Ed a pagarne il prezzo, come era prevedibile, è il territorio, la salute delle persone, l'immagine di Napoli nuovamente carica di spazzatura. Chi diffama Napoli, verrebbe da chiedere al primo ministro? Le foto, chi racconta lo scempio? O le strade sommerse di rifiuti? La città torna a sopportare la monnezza con i fazzoletti sui nasi quando l'odore è troppo acre perché il caldo fa marcire i sacchetti. I mercati rionali costruiscono le proprie bancarelle sulla spazzatura non raccolta del giorno prima, e le persone fanno la spesa camminando tra rifiuti. Per lo più le persone ormai fanno finta di niente. Sperano solo che le montagne non arrivino ai primi piani come successo l'ultima volta.

L'alba sul nascente governo Berlusconi si era levata liberando Napoli e la Campania dalle tonnellate di spazzatura; ora il tramonto cala su un governo meno coeso e che molti vedrebbero allo sbando, dietro le piramidi di spazzatura che tornano, identiche. L'emergenza rifiuti si fondava su un problema che sembrava insormontabile. Le discariche campane erano satolle e la magistratura, valutandole illegali, le chiudeva impedendo ulteriori conferimenti. Non c'era più spazio per i rifiuti, e le strade divenivano nuove discariche, che non avevano bisogno di approvazione e che non si poteva per decreto chiudere o riaprire. Le strade, tutte, dai quartieri più popolari del centro storico e delle periferie, a quelli collinari, costituivano le naturali valvole di sfogo. Si bruciava in campagna spazzatura per ridurla in cenere, cenere meno voluminosa e più comoda da smaltire, e così facendo si è avvelenata la terra. L'intervento del governo ha reso territorio militare le discariche: alla magistratura quindi è stato impedito di chiuderle e ai cittadini di avvicinarsi per controllare cosa accadesse a pochi metri dalle loro case. Questo provvedimento, accettato come un male inevitabile, doveva servire a dare ossigeno alle amministrazioni per costruire alternative che però non sono mai partite.

La raccolta differenziata è la vera vergogna della Campania e di Napoli. Non si riesce ad organizzarla al meglio nemmeno nei piccoli centri. Si pensi ai tanti comuni dell'Avellinese e del Beneventano che hanno le campagne invase dalla spazzatura, ma sono troppo periferici per fare notizia. Ad oggi Napoli ha solo poche aree in cui viene svolta la raccolta porta a porta, l'unica davvero efficace perché implica un controllo dal basso del cittadino sul cittadino. Raccolta che per legge avrebbe dovuto raggiungere già il 40% dei rifiuti conferiti mettendo in moto un circolo virtuoso che la città aspetta ormai che arrivi dal cielo, come fosse un miracolo. La stessa Asìa, in un volantino da poco distribuito nell'unico quartiere dove la differenziata porta a porta è attiva da due anni  -  i Colli Aminei  - , si è detta preoccupata perché il quantitativo di rifiuti indifferenziati negli ultimi mesi è aumentato, come se quel quartiere che doveva essere la testa d'ariete, la punta di diamante di un'area devastata, si fosse reso conto che i suoi sforzi e il suo virtuosismo valgono quanto una goccia in un mare di disservizi. E a quel punto a che serve differenziare.

Meglio buttare tutto nella solita montagna di monnezza. Si sa che i termovalorizzatori non sono mai realmente partiti. Non quello di Napoli, non quello di Salerno, non quello di Santa Maria la Fossa e quello di Acerra è partito solo in parte. Anche su questo piano quindi le cose non sono andate come il governo aveva promesso e il risultato è stato il totale fallimento di un processo che non poteva contare solo sul senso civico dei cittadini. Avevano promesso di non aprire più discariche ed invece ne stanno aprendo un'altra nel parco del Vesuvio, in un'area di interesse naturalistico rarissima. L'emergenza rifiuti è stata manna per la politica campana ed è stata utilizzata per costruire un meccanismo di consulenze e appalti emergenziali. Se hai intere provincie sommerse, devi necessariamente stanziare danaro straordinario. E quindi consulenti e imprese sui quali non può esserci controllo serrato.

L'equilibrio su cui si regge il ciclo dei rifiuti in Campania è estremamente fragile. Per mandare in tilt una macchina che è tutt'altro che oleata, basta bloccare il flusso di danaro che arriva nelle casse delle provincie e dei comuni. Basta far finire i soldi in un groviglio di appalti e subappalti. A Napoli l'Asìa, l'azienda che fornisce i servizi di igiene ambientale alla città, ha circa 3000 dipendenti e affida parte dei sevizi a Enerambiente, società veneta dedicata ai servizi ecologico-ambientali e alla gestione integrata dei rifiuti, che di dipendenti ne ha 470. A sua volta Enerambiente attinge per la gestione dei rifiuti alla cooperativa Davideco che ha 120 dipendenti e agli interinali che forniscono almeno altri 150 dipendenti. In questa catena infinita di appalti e subappalti lievitano i costi e le clientele e quest'anno trascorso dal decreto di fine emergenza non è servito a mettere in moto il circolo virtuoso di cui la città aveva bisogno, ma a oliare nuovamente la macchina dello spreco e del ricatto.

Dopo l'inchiesta che ha visto Nicola Cosentino accusato dall'Antimafia di Napoli di essere stato un riferimento politico della camorra attraverso il settore rifiuti, in queste ore, sembrerebbe realizzarsi di nuovo ciò di cui si è scritto: la centralità della monnezza in Campania che arriverebbe persino, attraverso Nicola Cosentino, a configurarsi come una pistola puntata alla tempia del governo. Ovvero, come tramite di ogni rapporto tra Berlusconi e il politico casalese ci sarebbe la gestione del ciclo dei rifiuti. Nel dibattito politico di questi ultimi mesi si è fatto riferimento a come Cosentino, leader indiscusso del Pdl in Campania, avesse dalla sua molti sindaci, i consorzi, la vicinanza di imprenditori e quindi potesse formalmente, se solo lo decidesse, bloccare il meccanismo di raccolta rifiuti. Il voto alla Camera, se si crede all'ipotesi di un Cosentino imperatore nel settore dei rifiuti, con il no all'utilizzo delle intercettazioni sembrerebbe essere un dono fattogli per cercare di riportare la nuova emergenza a una "normalità" di gestione consolidata. Ma questo può saperlo solo Cosentino stesso.

Quanto ai bassoliniani, che nel settore rifiuti hanno fatto incetta di voti e clientele, certamente non risulteranno in questa fase concilianti verso la situazione e anche dal loro versante ci sarà ostruzionismo e voglia di tornare ad avere prebende e potere attraverso la crisi. O si tratta con loro o tutto si ferma. Serve ricordare che l'emergenza rifiuti in Campania è costata 780 milioni di euro l'anno. Questa è la cifra quantificata dalla Commissione bicamerale sul ciclo dei rifiuti nella scorsa legislatura che, moltiplicata per tre lustri (tanto è durata la crisi), equivale a un paio di leggi finanziarie. In tutto questo la camorra naturalmente continua il suo guadagno che cresce ad ogni passaggio. Nei camion che serviranno alla nuova emergenza, nel silenzio caduto sul ciclo rifiuti perché i roghi nelle campagne continuano a gestirli i clan, bruciando rifiuti, sino al business dei terreni dove chissà per quanti decenni verranno depositate le ecoballe ormai mummificate il cui fitto viene pagato direttamente nelle loro mani.

Non mi stancherò mai di dirlo: se i rifiuti illegali gestiti dai clan fossero accorpati, diverrebbero una montagna di 15.600 metri di altezza, con una base di tre ettari, quasi il doppio dell'Everest, alto 8850 metri, quindi questo business ha ancora una lunga vita. Da Napoli parte un nuovo corso, quello che dimostra che per quanto si possa cercare di non mostrare, di negare, di nascondersi dietro proclami, la realtà che abbiamo sotto gli occhi questa volta è talmente schiacciante che nessuna forma di delegittimazione può renderla meno evidente. La spazzatura tornata nelle strade di Napoli sigla definitivamente il fallimento di un progetto, di un percorso, di una politica. Speriamo che queste verità, in grado di svelare definitivamente le tante menzogne spacciate come successi, possano innescare un percorso di cambiamento che se partisse dal Sud potrebbe davvero mutare il destino del paese.

© 2010 Roberto Saviano / Agenzia Santachiara


(25 settembre 2010) © Riproduzione riservata
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« Risposta #83 inserito:: Settembre 28, 2010, 11:57:48 am »

LA DIRETTA

Saviano, videoforum a Repubblica tv "Così funziona la macchina del fango"

Lo scrittore con i lettori: quella linea che congiunge il caso Caldoro alle calunnie a Boffo, agli attacchi a Fini: "Vogliono dimostrare che tanto sono tutti uguali per coprire i veri scandali, farli passare per normalità. E chi dissente deve temere"


ROMA - Caldoro in Campania, il caso Boffo, e ora l'attacco a Fini. Ecco, la macchina del fango è in piena attività. Roberto Saviano riflette a Repubblica Tv sugli avvenimenti di questi giorni , in diretta con i lettori collegati in un forum, nella prima giornata di trasmissioni (sul web e sul digitale terrestre) nella fascia serale dell'emittente di Republica.

E il caso Fini viene usato dallo scrittore come un paradigma del meccanismo di minaccia e ricatto che rischia di paralizzare la società italiana. La macchina del fango va avanti a meraviglia. Roberto Saviano unisce tutti gli elementi e traccia la linea dello stesso Paese che racconta, ogni giorno, appena possibile. "La macchina del fango è un sistema di estorsione e costituisce ormai una minaccia per la democrazia perché ormai tutti hanno paura. Anch'io, che sento di vivere in un clima di grande ostilità. E' una macchina mortale".

Per lo scrittore è un meccanismo perfetto, funziona sempre, puntuale, è "un congegno fatto di giornali e cronisti che funziona così: tu scrivi o dici quello che vuoi ma poi la paghi. Le storie di Boffo e di Caldoro e Cosentino ne sono un'altra testimonianza", spiega.
E' un meccanismo che unisce dossier e intercettazioni, il lettore viene attratto, spinto, la sua attenzione deviata.

Solo il cittadino, solo il lettore ha l'antidoto per bloccare la macchina del fango: "Può interromperne la diffusione a macchia d'olio, riprendendo la propria capacità di giudizio".

"Studiando questa macchina, quando mi sono occupato del caso delle intercettazioni del sottosegretario Cosentino che tentava di screditare Caldoro, mi sono reso conto che ha un potere impressionante. Ci sono affinità tra quel caso e quanto accaduto a Boffo o a Fini. Dietro c'è un metodo. E un fine: quello di voler far credere che siamo tutti sporchi, tutti uguali a prescindere da quello che facciamo".

Intellettuali, politici, cittadini, "siamo tutti legati, dobbiamo avere lo sguardo basso perché siamo in un momento in cui a vincere è il più scaltro, la macchina del fango ci rende tutti attaccabili", ha continuato. "Nel caso di Fini io mi chiedo: se anche la casa fosse sua? Intanto è stata comunque pagata. Certo non è elegante, ma dove è l'enormità? In un governo dove c'è uno come Cosentino, si rischia di ingigantire un episodio che è nulla in confronto alle accuse mosse nei confronti del sottosegretario". Ecco, così, il meccanismo fango.

Lo stesso meccanismo che aiuta il tentativo di Berlusconi di non affrontare i suoi processi, di non far valere la legge nei suoi confronti. "Lo scudo serve al premier, altrimenti cade l'impero. Quella è la sua sola possibilità. Sono i polmoni che danno aria di speranza a a questo governo, altro che case a Montecarlo. I temi,  quelli veri, sono altri. Ma la legalità non può essere a senso unico e il pubblico, i cittadini, questo l'hanno capito", ha spiegato lo scrittore che sta per cominciare a scrivere il secondo libro. "Sì, la macchina del fango serve a questo, noi non dobbiamo rispondere 'siamo migliori' ma 'siamo diversi'. Tutti abbiamo le nostre debolezze, ma ci sono debolezze e debolezze. E alcune sono più tollerabili".

Intercettazioni, dossier, scandali, bavagli, puntini. "Le analisi dei fatti della politica italiana di questo momento non può che spaventare.  La politica ormai è una cosa buia. I movimenti delle persone creano fiducia e quando sento parlare di Grillo, di Popolo Viola, credo sia un bene. Tutto ciò che è partecipazione e analisi va bene, il profilo di Grillo va bene quando riesce a divulgare cose che altrimenti sarebbero sconosciute.  Il rischio è che i movimenti possano sembrare una specie di riserva in cui vivere ma senza poter parlare agli altri, agli elettori del Pdl o della Lega. Però restano una forza, perché ridanno fiducia alla gente", dice Saviano. I movimenti cercano di non affondare nel fango.

Come Napoli, la città in cui è nato nel '79, e che adesso è di nuovo sulle pagine dei giornali per l'immondizia di cui non riesce a liberarsi. Perché, come Saviano ha detto più volte, il sistema si è inceppato, e inceppandosi, si è riprodotto. Per lo scrittore è il sistema degli appalti che si blocca a riportare i rifiuti a Napoli. "Non si è mai risolto nulla. Non si può certo dire che Nicola Cosentino sia un politico impegnato in prima linea contro la criminalità organizzata, ma essendo l'imperatore del mondo dei rifiuti si potrebbe pensare che basterebbe una sua parola per far ripartire tutto, e uscire da questa situazione. Ma bisogna stare attenti, non è semplicemente l'intervento di una persona", racconta. "Potrebbe anche essere vero quello che si dice e cioè che ci sia stato uno scambio tra la politica e Nicola Cosentino: 'noi ti blocchiamo le intercettazioni e tu rimetti a posto la situazione dei rifiuti in Campania'. Quello che conta però è che i problemi non sono risolti".

E parla di inceneritori mai partiti, della nuova discarica all'interno del Parco del Vesuvio, e di una camorra che non c'è in questo caso, non in particolare, "perché la camorra è ovunque, sempre". "Nel comune di Terzigno la situazione è grave perché c'è un sacco di criminalità che lì ha sempre versato rifiuti tossici. La gente si ribella adesso, e spero che i media diano attenzione a questa cosa, perché una volta arrivati i camion non potrà fare più niente. Il problema è che la gente non sa cosa sarà versato nelle discariche. Ecco la differenza che c'è con le discariche del nord, dove in cambio danno incentivi, borse di studio. Qui la gente non sa cosa le metteranno sotto il naso.
Se può ribellarsi può farlo solo ora. Una volta che saranno arrivati i camion di rifiuti sarà troppo tardi".
 

(27 settembre 2010) © Riproduzione riservata
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« Risposta #84 inserito:: Settembre 29, 2010, 11:42:14 am »

IL COMMENTO

La macchina della paura

di ROBERTO SAVIANO


HO DETTO ieri, dialogando con i lettori e gli spettatori di Repubblica Tv, che ormai la politica in Italia è una cosa buia, che non appassiona più nessuno, né chi la fa, né chi la segue. Su questa affermazione mi hanno scritto in tanti, che credo abbiano condiviso con me questo sentimento di impotenza, avvertito talvolta come un impedimento, la denuncia di qualcosa che ostruisce la partecipazione, il normale rapporto che un cittadino deve avere con la vita pubblica del suo Paese. E insieme, c'è un altro sentimento in chi mi scrive: rabbia e ribellione per sentirsi espropriati dalla politica come strumento di impegno e di cambiamento, rifiuto di accettare che questa stagnazione prevalga.

Chi analizza fatti, episodi e metodi della politica italiana, in questo momento, non può che avere una reazione di spavento e pensare: non è per me. Ricatti, timori, intimidazioni. Tutti hanno paura. Anche io ho paura: non ho nulla da nascondere, con la vita ridotta e ipercontrollata cui sono costretto, ma sento questo clima di straordinaria ostilità, e vedo l'interesse a raccoglierlo, eccitarlo, utilizzarlo. Mi guardo intorno e penso: come deve sentirsi un giovane italiano che voglia usare in politica la sua passione civile, il suo talento? La politica di oggi lo incoraggia o lo spaventa?

E qual è il prezzo che tutti paghiamo per questa esclusione e per questa diffidenza? Qual è il costo sociale della paura? Chi fa già parte del sistema politico nel senso più largo del termine, o ha comunque una responsabilità pubblica e sociale, sa che oggi in Italia qualsiasi sua fragilità può essere scandagliata, esibita, denunciata ed enfatizzata. Non importa che non sia un reato, non importa quasi nemmeno che sia vera. Basta che faccia notizia, che abbia un costo, che faccia pagare un prezzo, e che dunque serva come arma di ammonimento preventivo, di minaccia permanente, di regolamento dei conti successivo. Ma la libertà politica, come la libertà di stampa, si fonda sulla possibilità di esprimere le proprie idee senza ritorsioni di tipo personale. Se sai che esprimendo quell'opinione, o scrivendola, tu pagherai con un dossier su qualche vicenda irrilevante penalmente, magari addirittura falsa, ma capace di rovinare la tua vita privata, allora sei condizionato, non sei più libero.
Siamo dunque davanti a un problema di libertà, o meglio di mancanza di libertà. Siamo davanti a uno strano congegno fatto di interessi precisi, di persone, di giornalisti, di mezzi, di strumenti mediatici, che tenta di costruire un vestito mediaticamente diffamatorio; ha i mezzi per farlo, ha l'egemonia culturale per imporlo, ha la cornice politica per utilizzarlo.

Nella società del gossip si viene colpiti uno per volta, e noi siamo spettatori spesso incapaci di decodificare gli interessi costituiti che stanno dietro l'operazione, i mandanti, il movente. Eppure la questione riguarda tutti, perché mentre la macchina infanga una persona denudandola in una sua debolezza e colpendola nel suo isolamento, parla agli altri, sussurrando il messaggio peggiore, antipolitico per eccellenza: siamo tutti uguali, dice questo messaggio, non alzare la testa, non cercare speranze, perché siamo tutti sporchi e tutti abbiamo qualcosa da nascondere. Dunque abbassa lo sguardo, ritraiti, rinuncia.

Come si può spezzare questo meccanismo infernale, pericoloso per la democrazia, e non solo per le singole persone coinvolte? L'antidoto è in noi, in noi lettori, spettatori e cittadini, se preserviamo la nostra autonomia culturale, se recuperiamo la nostra capacità di giudizio. L'antidoto è nel non recepire il pettegolezzo, nel non riproporlo, nel non reiterarlo. Nel capire che ci si sta servendo di noi, dei nostri occhi, delle nostre bocche come megafoni di pensieri che non sono i nostri. Nel non passare, come fanno molti addetti ai lavori, le loro giornate su siti di gossip che mentono a pagamento, che costruiscono con tono scherzoso la delegittimazione, che usano informazioni personali soltanto per metterti in difficoltà. È il metodo dei vecchi regimi comunisti, delle tirannie dei paesi socialisti che volevano far passare i dissidenti per viziosi, ladri, nullafacenti, gentaglia che si opponeva solo per basso interesse. Mai come nell'Italia di oggi si trova realizzato nuovamente, anche se con metodi differenti, quel meccanismo delegittimante.

Dobbiamo capire che siamo davanti a un metodo, che lega Fini a Boffo e a Caldoro nella campagna di screditamento. Dobbiamo ripeterci che in un Paese normale non si comperano deputati a blocchi, giurando intanto fedeltà al responso degli elettori. Dobbiamo sapere che la legge bavaglio non tutela la privacy ma limita la libertà di conoscere e di informare. Dobbiamo sapere che le norme del privilegio, gli scudi dal processo, le leggi ad personam sono i veri polmoni che danno aria a questo governo in affanno, perché altrimenti cade l'impero.

Dobbiamo semplicemente pretendere, come fanno migliaia di cittadini, che la legge sia uguale per tutti, un diritto costituzionale, che è anche un dovere per chi ha le più alte responsabilità. Non dobbiamo farci deviare da falsi scandali ingigantiti ad arte. Ogni essere umano fa errori ed ha debolezze. Ogni politica, ogni scelta ha in se delle contraddizioni. E si può sbagliare sempre. Ma oggi bisogna affermare con forza che se ogni essere umano sbaglia e ha debolezze non tutti gli errori e non tutte le debolezze sono uguali. Una cosa è l'errore, altro è il crimine. Una cosa è la debolezza umana, un'altra il vizio che diviene potere in mano ad estorsori. Comprendendo e smontando la diffamazione che viene costruita su chiunque decida di criticare o opporsi a questo potere, si può resistere, si può persino difendere la libertà, la giustizia, la legalità. Non dichiarandoci migliori, ma semplicemente diversi. Rifiutando l'omologazione al ribasso, per salvare invece le ragioni della politica e le sue speranze: salvarle dal buio in cui oggi affondano, con le nostre paure.

©2010Roberto Saviano/Agenzia Santachiara

(29 settembre 2010) © Riproduzione riservata
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« Risposta #85 inserito:: Ottobre 13, 2010, 05:22:25 pm »

LA POLEMICA

Mani mafiose sulla democrazia

di ROBERTO SAVIANO

Vi racconto una storia, una storia semplice, facile da capire. Una storia che dovrebbero conoscere tutti e che i pochi che la conoscono tengono per sé. Come si truccano i voti, come si controllano le elezioni, come fanno i clan criminali a gestire il voto. L'organizzazione si procura schede elettorali identiche a quelle che l'elettore trova ai seggi, tramite scrutatori amici e in alcuni casi dalle stamperie stesse. Le compila e le tiene lì. L'elettore che vuole vendere il suo voto va da referenti del clan e riceve la scheda elettorale già compilata. Si reca al seggio presenta il proprio documento di riconoscimento e riceve la scheda regolare. In cabina sostituisce la scheda data dal clan già compilata con la scheda che ha ricevuto al seggio, che si mette in tasca.

Esce dalla cabina elettorale e consegna al seggio la scheda ottenuta dal clan. Poi va via. Torna dagli uomini del clan, dà la scheda non votata e riceve i soldi. La scheda non votata e consegnata agli uomini del clan viene compilata, votata, e data all'elettore successivo che la prende e tornerà con una pulita. E avrà il suo obolo. Cinquanta euro, cento, centociquanta o un cellulare. O una piccola assunzione se è fortunato e il clan riesce a piazzare tutti i politici che vuole.

Ecco come funzionano le elezioni in alcune parti del Paese. Avevamo da queste colonne lanciato una provocazione durante le ultime elezioni amministrative. Avevamo chiesto all'Osce, all'Onu, all'Unione europea di poter monitorare le elezioni amministrative. Non nelle capitali, non nelle città più in vista dove spesso fanno studi e osservano. Ma nei posti di provincia dove il condizionamento è capillare e costante, dove i candidati sono direttamente imposti ai partiti dalle organizzazioni criminali. Il presidente della commissione antimafia Pisanu conferma che le amministrative hanno visto nelle liste candidati impresentabili, uomini e donne decisi direttamente dalle organizzazioni criminali. La richiesta di aiuto all'Onu era naturalmente una provocazione, un modo per sottolineare che da soli non ce la facciamo. Che le mafie sono un problema internazionale e quindi solo una forza internazionale può estirparle.

Quando un'organizzazione può decidere del destino di un partito controllandone le tessere, quando può pesare sul governo di una Regione, quando può infiltrarsi con assoluta dimestichezza e altrettanta noncuranza in opposizione e maggioranza, quando può decidere le sorti di quasi sei milioni di cittadini, non ci troviamo di fronte a un'emergenza, a un'anomalia, a un "caso Campania" o a un "caso Calabria": ci troviamo al cospetto di una presa di potere già avvenuta della quale ora riusciamo semplicemente a mettere insieme alcuni segni e sintomi palesi. Il Pdl in molte parti del Sud ha candidato colpevolmente personaggi condannati o indagati per mafia.

Tutti i proclami di contrasto alle organizzazioni criminali si sono vanificati al momento di scrivere le liste elettorali: persino quello che di buono era stato fatto nell'ambito repressivo è stato vanificato. Tutto compromesso perché bisogna dare la priorità ai voti e agli affari e quando dai priorità ai voti e agli affari, dai priorità alle mafie. Il centrosinistra ha cercato un maggiore controllo non sempre riuscendoci. Dalla svolta, che sembrava avvenuta con lo slogan "Mafiosi non votateci" alla deriva che arrivò con l'iscrizione al Pd in un solo pomeriggio a Napoli di seimila persone. Il tentativo di incidere sulle primarie aveva portato ambienti vicini ai clan ad entrare nel partito per condizionarne i leader.

Il codice etico elettorale viene sbandierato quando si è molto lontani dalle elezioni e poi dimenticato quando bisogna candidare chi ti porta voti. Conviene essere contro le organizzazioni, ma se questo significa perdere? Cosa fai? Compromesso o sconfitta? Tutti rispondono compromesso. E questo perché la politica sembra essersi ridotta a mero strumento che usi per ottenere quello che il diritto non ti dà. Se non hai un lavoro, cerchi di ottenerlo votando quel politico; se non hai un buon letto in ospedale, cerchi di votare il consigliere comunale che ti farà il favore di procurartelo. Ecco, questo sta diventando la politica, non più rispetto dei diritti fondamentali, ma semplice scambio. Quello che si fatica a comprendere, è che il politico che ti promette favori ti dà una cosa ma ti toglie tutto il resto. Ti dà il letto in ospedale per tua nonna, ti dà magari l'autorizzazione ad aprire un negozio di tabacchi, ti dà mezzo lavoro: ma ti sta togliendo tutto. Ti toglie le scuole che dovresti avere per diritto. Ti toglie la possibilità di respirare aria sana, ti toglie il lavoro che ti meriti se sei capace. Questa è diventata la politica italiana: se non ne prendiamo atto, si discute su un equivoco.

La macchina del fango, lo strumento che in certi ambienti del governo si utilizza per terrorizzare chiunque osi contrastare è mutuato direttamente dal comportamento delle mafie. Diffamazione, delegittimazione costante, è la criminalità che ci ha insegnato questo metodo che si sta dimostrando infallibile: far credere che tutto sia sporco, che non valga la pena più di credere in niente. Se fossimo un altro paese si invaliderebbero le elezioni, se fossimo un altro paese si chiederebbe aiuto agli organismi internazionali, se fossimo in un altro paese, un potere pubblico condizionato dalle organizzazioni criminali a destra come a sinistra sarebbe disconosciuto. Ma non siamo un altro paese. Ci resta solo la possibilità, che dobbiamo difendere con tutto quello che abbiamo, di raccontare, osservare, capire e dire come stanno le cose: che l'Italia è una democrazia, ma è anche una democrazia a voto mafioso.

©2010 Roberto Saviano/ Agenzia Santachiara


(13 ottobre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/10/13/news/mafia_democrazia-7993489/?ref=HREC1-9
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« Risposta #86 inserito:: Novembre 08, 2010, 05:02:12 pm »

LE IDEE

Saviano: "Così racconterò i segreti della macchina del fango"

Dalla censura alle bugie sui compensi, la sfida di "Vieni via con me".

Oggi in prima serata su RaiTre va in onda la prima puntata del programma con Fazio.

"Nella tv italiana il diritto a parlare lo conquisti con gli ascolti. E questo, soprattutto la tv pubblica, è ingiusto"

di ROBERTO SAVIANO


Io vorrei rivolgermi ai giovani, stasera, nella prima puntata di "Vieni via con me", per spiegare che la macchina del fango non è nata oggi, ma lavora da tempo. Quando si dà fastidio a chi comanda si attiva un meccanismo fatto di dossier, di giornalisti conniventi, di politici faccendieri che cercano attraverso media e ricatti di delegittimare i rivali.

Qualunque sia il tuo stile di vita, qualunque sia il tuo lavoro, qualunque sia il tuo pensiero, se ti poni contro certi poteri questi risponderanno sempre con un'unica strategia: delegittimare. Delegittimare il rivale agli occhi della pubblica opinione, cercare di renderlo nudo raccontando storie su di lui, descrivere comportamenti intimi per metterlo in difficoltà, così che le persone quando lo vedono comparire in pubblico possano tenere in mente le immagini raccontate e non considerarlo credibile.
Questa è disinformazione, più sottile della semplice calunnia che agisce soprattutto con i nemici. La disinformazione invece punta a distruggere le vittime nel campo degli amici, seminando quei dubbi e quei sospetti che proprio gli amici debbono temere.

La macchina del fango è il tema della prima puntata di "Vieni via con me", la trasmissione che per la prima volta mi ha messo alla prova come autore televisivo. Anche questa è una esperienza da raccontare. Lavorare ad un programma, costruirlo dal suo primo minuto all'ultimo ha qualcosa di irreale per uno che fa lo scrittore.

Sulla pagina tutto ciò che scrivi è spazio di immaginazione, tutto ciò che racconti può essere vissuto, pensato e rielaborato nella testa e nell'anima del lettore. Con la tv questo non lo puoi generare, le parole non sono scritte, le parole in tv si devono vedere. La narrazione è più efficace proprio quando non cerchi di riprodurre fedelmente la vita, ma quando con onestà la trasformi in un racconto. E nel racconto televisivo gli articoli sono le luci dello studio, gli aggettivi sono i filmati, i verbi sono i movimenti di scena, le frasi sono le inquadrature, la punteggiatura sono gli ospiti. In un tempo limitato deve entrare tutto: la volontà di raccontare uno spaccato significativo di esistenza e l'onestà di raccontarla come un punto di vista, non come verità assoluta. Capisci di essere un abusivo della tv, così come lo sono stato del teatro. In fondo tranne che sulla pagina ti senti straniero ovunque e forse questa è anche la magia di chi lavora con le parole, quella di doversi riconquistare ogni volta sul campo la legittimità a pronunciarle.

"Vieni via con me" era nata come una trasmissione che voleva raccontare il Paese con l'obiettivo di far bene le cose che crediamo di poter offrire al pubblico. Poi lentamente ci siamo accorti che iniziavamo a non essere graditi e arrivarono molti segnali in questo senso. Segnali che ci impedivano di continuare a lavorare. Poi siamo riusciti a riprenderci almeno in parte il nostro spazio di lavoro, a non farci cancellare. Il tanto rumore per nulla, di cui spesso si è accusati, quel pensiero latente di chi dice: "Avete visto, tanto gridare alla censura e poi la trasmissione la fate, e alle vostre condizioni".

Se fossimo stati in silenzio subendo le condizioni che la Rai di Masi ci stava dando, avremmo lavorato nella consapevolezza di stare costruendo qualcosa che non era nei patti e soprattutto non coincideva con le idee che avevo, con i racconti che avevo preparato. Nel caso della televisione italiana purtroppo il diritto a parlare lo conquisti con gli ascolti e con una comunità pronta a difenderti. Senza ascolti non si ha una seconda opportunità. E questo soprattutto per la tv pubblica è una dialettica ingiusta, bisognerebbe guardare alla qualità, alla necessità di un programma. Perché ti si giudichi per quello che sai fare e per quanto vali non è sufficiente fare bene il tuo lavoro, ma diventa necessario anche difenderlo e con molto rumore se la situazione lo richiede.

Questo è il nuovo meccanismo della censura, porre mille difficoltà alla realizzazione di un progetto, ma nell'ombra, in sedi il cui accesso è riservato a pochi, a persone coinvolte, che hanno tutto da perdere a mostrare i meccanismi e poco o nulla da guadagnare. E poi far parlare i fatti: "Andate male", "Non vi guarda nessuno", "Avete fatto ascolti da terza serata". Se l'unica protezione, oggi, alla televisione che non sia reality, che non sia leggero intrattenimento sono gli ascolti, l'unico modo per tagliare fuori chi ha proposte non migliori, non politicamente impegnate, ma semplicemente alternative, è dimostrare che quel tipo di racconto non ha mercato. Togliere i mezzi perché la qualità si affermi, ridurre luce perché resti in ombra il discorso: questo il nuovo modo per far morire in televisione tutto ciò che può essere cultura, racconto, libri, e facilmente dire "non funzionano", per poter investire su altro.

E così spesso hai la sensazione di lavorare non con il tuo editore ma contro di lui. E se da un progetto di quattro puntate si passa a due, e se poi le due puntate devono competere con partite di coppa a chi raccontiamo che gli ascolti sono stati bassi perché quelle erano le condizioni e non altre? A chi raccontiamo che non si tratta di dettagli ma di pilastri che quando si progetta una trasmissione contano quasi quanto i contenuti? A chi raccontiamo che non vale il "fate bene il vostro lavoro che poi raccoglierete i frutti".
E poi le balle sui compensi dette in un Paese come il nostro, irritato, esacerbato, esausto. Che campa con stipendi da fame. Nessuno, ma proprio nessuno che abbia detto cifre vere, perché lo scopo era innescare diffidenza, non dare informazioni. Del resto i compensi sono generati dal mercato e non da un'idea. Sono direttamente proporzionali a quanto fai guadagnare. E non ci sarebbe nulla di immorale a parlarne se non fossimo vittime del preconcetto secondo cui chi guadagna lo fa sempre senza merito alcuno. Che lavoro è il tuo: criticare a pagamento? Forse è inutile spiegare che si tratta di altro. Del resto, tutto questo ciarpame evapora di fronte al sorriso di Benigni. Di fronte al genio organizzativo di Fabio Fazio che è anche altro dal preciso conduttore che siamo abituati a vedere. E poi Claudio Abbado, un uomo raro, delicato ma che ruggisce ogni qual volta s'imbatte nella stupidità del potere, nella bruttezza dell'ignoranza. Un passerotto da combattimento per usare le parole di Faber. Di loro il nostro Paese ha bisogno come dell'aria.

In ultimo le prove durante le quali, per quanto blindate, cercano di ficcarsi persone pronte a riportare il minimo dettaglio. Il clima del Paese lo intuiscono tutti, ed è un clima di profonda diffidenza. E di più teme chi ha paura che lo si sveli. E quindi in molti a spiare e cercare di carpire. Ma lo sappiamo, e quindi durante le prove sappiamo anche cosa non dire: passaggi, considerazioni, racconti che in diretta soltanto si potranno ascoltare. In trasmissione giocheremo con gli elenchi invitando tutti, personaggi più o meno noti e gente comune, a dirci i motivi per cui vale la pena restare in Italia o per cui vale la pena andare via, emigrare, cercare realizzazione altrove. Abbiamo iniziato a raccogliere elenchi e commenti, ci aspettavamo una valanga di malanimo. Immaginavamo che le persone, anche coloro che sono emigrate, guardassero al nostro Paese, al loro Paese, come a una palude che ti impedisce qualunque tipo di realizzazione. E invece non è così. Ed è per questo che siamo qui, per provare a raccontare quella parte del Paese, che è la più grande, che ha voglia di ridisegnare questa terra, ha voglia di dire che non siamo tutti uguali, che la nostra diversità risiede nel saper sbagliare senza essere corrotti, nell'avere delle debolezze che non comportino ricatti ed estorsioni. E nel sognare, senza vergognarcene, di tornare a chiamare questa terra ora tanto infelice, patria.
 

(08 novembre 2010) © Riproduzione riservata
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« Risposta #87 inserito:: Novembre 09, 2010, 05:57:49 pm »

Saviano in apertura: «democrazia a rischio con la macchina del fango»

Benigni: gag sul premier, Ruby e la Bindi

Il comico: «Silvio non ti dimettere, ci rovini»


MILANO - Una battuta dopo l'altra e come filo conduttore Berlusconi e il caso Ruby. La comicità di Roberto Benigni ha fatto irruzione (con successo, a giudicare dagli applausi in studio e dai dati di ascolto del giorno dopo: oltre 7,6 milioni di telespettatori hanno seguito la trasmissione) a Vieni via con me, il programma di Fabio Fazio e Roberto Saviano lunedì sera alla prima puntata su Raitre. «Premetto che i gossip sessuali sono spazzatura. Sono qui per parlare di politica», è stato l'incipit del lungo monologo del premio Oscar. «Se queste notizie venissero confermate, ma io non credo, figurati se è vero, dice che c'è un premier che è stato con una minorenne marocchina, ma per ragioni d'età non è stata resa nota l'identità del premier».

«SILVIO DIMETTITI» - Rivolgendosi direttamente al presidente del Consiglio, Benigni ha affondato a più riprese il dito nella piaga della sempre più vicina crisi di governo. «Silvio, non ti dimettere, non dare retta a Fini, perché altrimenti ci rovini, non si lavora più. Santoro, Fazio, l'Unità, Repubblica non lavorano più. E poi Ghedini che fa, torna a fare il solito film horror? Silvio, tieni duro, dai retta a me». Quindi il dietrofront, appena accennato: «Silvio dimettiti... Non ne possiamo più». E di nuovo Ruby: «Torniamo a parlare di politica. Dunque, Ruby... Berlusconi ha detto che la vicenda è stata una vendetta dalla mafia. La mafia una volta ti ammazzava, ora invece ti manda due escort in bagno... Io ho il terrore di questo». Per poi incalzare: «Voi mafiosi siete delle bestie, fate schifo. Vi fornisco l'indirizzo del mio albergo a Milano: vendicatevi di me».

MESSAGGIO ALLA BINDI - Quindi la frecciatina al Pd: «Berlusconi dice che i giudici sono di sinistra, la Corte costituzionale è di sinistra, i giornali sono di sinistra... Se pure il Pd fosse di sinistra sai che rabbia gli farebbe». Quindi l'appello lanciato direttamente alla Bindi. «Rosy, dai, tu gli garbi, sacrificati per il partito», dice sempre parlando di Berlusconi e delle feste di Arcore. «Rosy tu gli piaci, si vede, ti nomina sempre... Fa continui riferimenti a te. Fai così: dai una foto a Fede e così ti intrufoli ad Arcore. Vai là e digli che sei maggiorenne - urla il comico toscano - tutto regolare mi raccomando. E quando resti sola con lui... Digli chi sei! Rosy non devi temere niente perché se ti arrestano basta che dici che sei la suocera di Zapatero. O la nonna di Fidel Castro».

GAG SUL COMPENSO - Nel suo lungo monologo, il comico toscano non ha lesinato ironie sulle polemiche legate al compenso inizialmente indicato per la sua partecipazione al programma di Fazio e Saviano (ma il regista e attore toscano ha poi deciso di andare in tv a titolo gratuito): «Sono d'accordo a venir gratis, la Rai ha bisogno di soldi, però Masi non fare scherzi. A un semaforo quando ho abbassato il vetro un polacco mi ha riconosciuto e mi ha dato un euro...» ha detto. «Ringrazio la Rai, e anche Saviano e Fazio che mi hanno invitato: a voi do il 70 per cento del mio cachet di questa sera. Meglio gratis. Io ho portato lo champagne, Masi i bicchieri, i suoi personali, abbiamo brindato. Direttore generale siamo qua, ma chi c'è dietro, chi manovra?. Che fai mi cacci? Sarebbe il colmo».

SAVIANO E IL FANGO - La puntata di Vieni via con me si è aperta con l'editoriale di Roberto Saviano. «Da un po' di tempo - ha detto lo scrittore - vivo come una sorta di ossessione, che riguarda la macchina del fango, il meccanismo che arriva a diffamare una persona»: per questo «la democrazia è letteralmente in pericolo. Ed è a rischio - ha aggiunto l'autore di Gomorra - nella misura in cui se tu ti poni contro certo poteri, contro questo governo, quello che ti aspetta è un attacco della macchina del fango, che parte da fatti minuscoli della tua vita privata». «C'è differenza - ha detto ancora Saviano - tra inchiesta e diffamazione», perché «la diffamazione usa un solo elemento e lo costruisce contro la persona che decide di diffamare». Lo scopo del meccanismo è «poter dire: siamo tutti uguali» e invece «dobbiamo sottolineare le differenze». Lo scrittore ha poi citato «la storia della casa di Montecarlo di Fini, che è stato intimidito», poi la vicenda di Boffo, «direttore cattolico che inizia a criticare governo da un giornale cattolico (Avvenire, ndr). E la macchina del fango lo presenta come una specie di criminale perché omosessuale: impensabile, incredibile». E ancora la vicenda della «presunta omosessualità di Caldoro (governatore della Campania, ndr)» diventata «l'arma usata da un suo collega di partito, Cosentino». Lo scrittore si è poi rivolto direttamente ai giovani: «Mi piacerebbe raccontarvi di una persona che è riuscita a resistere a una macchina del fango gigantesca, Giovanni Falcone». Di qui un lungo excursus, scandito da brani di articoli di quotidiani - in parte letti anche dall'attrice Angela Finocchiaro - sulle accuse e sui tentativi di delegittimazione del giudice e dell'intero pool antimafia siciliano.

VENDOLA, SAVIANO E I GAY - Sul palco di Vieni via con me è salito anche il governatore pugliese Nichi Vendola. Da «invertito» a «buzzarone», da «pederasta» a «cripto-checca»: Vendola ha elencato tutti i modi per definire gli omosessuali. Subito gli ha fatto eco Saviano che ha messo in fila i comportamenti che «dalle sue parti» individuano i gay: dalla «birra con le fette di limone» alle «unghie pulite» alle «scarpette sugli scogli» al «fare la puntura da sdraiati». Commento ironico di Vendola: «Non so più qual è la mia natura sessuale». Poi però il tono si è fatto serio e Vendola ha letto l'elenco delle possibili espiazioni dell'omosessualità: da «evirato» a «deportato nei lager e nei gulag», da «confinato» a «ricoverato in manicomio» e «stuprato per punizione». E ancora le classificazioni dell'omosessualità nella vita pubblica: «crimine», «disordine», «pulsione di morte», «sporcizia», «peccato». Allora, ha concluso Fazio citando una recente battuta del premier Berlusconi, «si dice che è molto meglio guardare le belle ragazze che essere gay?». «È molto meglio essere felici», ha chiosato Vendola.

Redazione online
08 novembre 2010(ultima modifica: 09 novembre 2010)© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/politica/10_novembre_08/benigni-saviano-vieni-via-con-me_700436da-eb80-11df-bbbd-00144f02aabc.shtml
« Ultima modifica: Novembre 14, 2010, 08:58:50 am da Admin » Registrato
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« Risposta #88 inserito:: Novembre 10, 2010, 03:25:16 pm »

La felice denuncia di Saviano

di Daniele Bellasio

Questo articolo è stato pubblicato il 10 novembre 2010 alle ore 08:05.
L'ultima modifica è del 10 novembre 2010 alle ore 06:39.

   
Vieni via con me è stato il programma più visto di Raitre degli ultimi dieci anni. D'accordo, c'era la curiosità per la prima. Com'è naturale, ci sono stati attimi di noia, ma alzi la mano chi non ha mai sbadigliato a teatro per poi sbellicarsi di applausi sul finale. Del resto, lo dicono loro: «Vado via perché preferisco i paesi dove ci si può annoiare».

E il finale, quel balletto su una versione sempre più veloce della canzone di Paolo Conte che dà il titolo al programma, quel balletto inquietante e frenetico stile Blade Runner o l'epilogo di Strange Days, con i volti dei grandi italiani sui pannelli dello sfondo, e quei ballerini strepitosi ma vestiti trasandati e danzanti su macerie, ballerini che sanno muovere a ritmo perfino gli addominali e le guance. Beh, quel balletto è stato uno dei momenti più belli della tv degli ultimi anni. Da rivedere su internet, sul sito della Rai si può. E già che ci siete, è da rivedere pure il botta e risposta tra Roberto Saviano e Fabio Fazio: in stile gaberiano, i due protagonisti sono riusciti a tenere assieme le luci e le ombre dell'Italia, il sacro e il faceto, compilando l'elenco, come fosse la sintesi a mo' di morale dello show, da Cassano ai carboidrati, passando per la criminalità organizzata, i bimbi rom, le case ad Antigua e quella crollata di Pompei, fino al «vado via perché dobbiamo sgomberare il palco per il finale», come farebbe il narratore in un'opera lirica o in una commedia latina.

A qualcuno può piacere di più il Saviano che risponde alle domande piuttosto che quello dei monologhi, ma che il talento dell'autore di Gomorra sbanchi è un dato di fatto e che sia garanzia di libertà d'espressione è una constatazione dolce e amara. Dolce perché dà speranza. Amara perché il talento se uno non ce l'ha non se lo può dare. Quel che a molti dà fastidio di Saviano è precisamente questo: il talento, il successo in libreria, gli ascolti record da condividere con l'erede di Enzo Tortora in materia di conduzione garbata, cioè Fazio. È un talento al servizio del racconto di ciò che non va giù di questa Italia che «vado via perché non se ne può più».

Saviano sa raccontare quelle cose, il romanzo criminale di mafie e culture mafiose, con lo stesso modo di muovere le mani, con quei gesti da timido che si accarezza la testa o con le due dita che strofinano la punta del naso, anche a un gruppo di persone incontrate per caso. È capitato qui al Sole 24 Ore. Anche se vive blindato e in pericolo, si prende il suo tempo per raccontare, quel giorno in redazione restò ore a parlare. Se i tempi non sono sempre televisivi non importa: è l'espressione massima del racconto letterario ma d'impegno civile che non accetta furbizie. È l'impegno del maestro Leonardo Sciascia. Come ha ricordato di recente lo scrittore Vincenzo Consolo, Sciascia, da liberale e radicale, aveva criticato il fatto che il Csm, per promuovere Paolo Borsellino, non avesse rispettato la forma della legge, che allora prevedeva l'anzianità prima del merito. In un paese come l'Italia e in una zona come la (sua) Sicilia, Sciascia chiedeva prima di tutto il rispetto delle regole per tutti, il rispetto dello stato di diritto. Giusta invece la critica a chi, come l'avvocato Alfredo Galasso, aveva attaccato Giovanni Falcone con il più trito degli argomenti delegittimanti: ma come? proprio tu sei passato dall'altra parte? Che poi era la parte dello stato.

Qui, sullo stato e la patria, Saviano, lunedì sera, ha compiuto il gesto inaudito: «Mi andava di poter tenere la bandiera italiana in mano...». Si prende la sua libertà per infondere ottimismo, perché «i più bravi – dice – arriveranno primi». Il paradossale capolavoro della trasmissione è stato quello di mettere assieme, con tinte caravaggesche, controscene studiate, come i microfoni anni 60 o le donne che sembrano cucire il tricolore, il cupo e il gioioso. Le mafie, la macchina del fango, la cultura senza fondi, ma poi tutti - Vendola, Benigni, Abbado e i due protagonisti – hanno citato la parola "felicità". Nell'Italia dei contrasti vince chi li mette e li tiene assieme, raccontandoli per risolverli, e non soltanto per vedere l'effetto che fa.

http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2010-11-10/felice-denuncia-saviano-063945.shtml?uuid=AYRWsTiC
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« Risposta #89 inserito:: Novembre 14, 2010, 08:59:28 am »

La felice denuncia di Saviano

di Daniele Bellasio

Questo articolo è stato pubblicato il 10 novembre 2010 alle ore 08:05.
L'ultima modifica è del 10 novembre 2010 alle ore 06:39.

   
Vieni via con me è stato il programma più visto di Raitre degli ultimi dieci anni. D'accordo, c'era la curiosità per la prima. Com'è naturale, ci sono stati attimi di noia, ma alzi la mano chi non ha mai sbadigliato a teatro per poi sbellicarsi di applausi sul finale. Del resto, lo dicono loro: «Vado via perché preferisco i paesi dove ci si può annoiare».

E il finale, quel balletto su una versione sempre più veloce della canzone di Paolo Conte che dà il titolo al programma, quel balletto inquietante e frenetico stile Blade Runner o l'epilogo di Strange Days, con i volti dei grandi italiani sui pannelli dello sfondo, e quei ballerini strepitosi ma vestiti trasandati e danzanti su macerie, ballerini che sanno muovere a ritmo perfino gli addominali e le guance. Beh, quel balletto è stato uno dei momenti più belli della tv degli ultimi anni. Da rivedere su internet, sul sito della Rai si può. E già che ci siete, è da rivedere pure il botta e risposta tra Roberto Saviano e Fabio Fazio: in stile gaberiano, i due protagonisti sono riusciti a tenere assieme le luci e le ombre dell'Italia, il sacro e il faceto, compilando l'elenco, come fosse la sintesi a mo' di morale dello show, da Cassano ai carboidrati, passando per la criminalità organizzata, i bimbi rom, le case ad Antigua e quella crollata di Pompei, fino al «vado via perché dobbiamo sgomberare il palco per il finale», come farebbe il narratore in un'opera lirica o in una commedia latina.

A qualcuno può piacere di più il Saviano che risponde alle domande piuttosto che quello dei monologhi, ma che il talento dell'autore di Gomorra sbanchi è un dato di fatto e che sia garanzia di libertà d'espressione è una constatazione dolce e amara. Dolce perché dà speranza. Amara perché il talento se uno non ce l'ha non se lo può dare. Quel che a molti dà fastidio di Saviano è precisamente questo: il talento, il successo in libreria, gli ascolti record da condividere con l'erede di Enzo Tortora in materia di conduzione garbata, cioè Fazio. È un talento al servizio del racconto di ciò che non va giù di questa Italia che «vado via perché non se ne può più».

Saviano sa raccontare quelle cose, il romanzo criminale di mafie e culture mafiose, con lo stesso modo di muovere le mani, con quei gesti da timido che si accarezza la testa o con le due dita che strofinano la punta del naso, anche a un gruppo di persone incontrate per caso. È capitato qui al Sole 24 Ore. Anche se vive blindato e in pericolo, si prende il suo tempo per raccontare, quel giorno in redazione restò ore a parlare. Se i tempi non sono sempre televisivi non importa: è l'espressione massima del racconto letterario ma d'impegno civile che non accetta furbizie. È l'impegno del maestro Leonardo Sciascia. Come ha ricordato di recente lo scrittore Vincenzo Consolo, Sciascia, da liberale e radicale, aveva criticato il fatto che il Csm, per promuovere Paolo Borsellino, non avesse rispettato la forma della legge, che allora prevedeva l'anzianità prima del merito. In un paese come l'Italia e in una zona come la (sua) Sicilia, Sciascia chiedeva prima di tutto il rispetto delle regole per tutti, il rispetto dello stato di diritto. Giusta invece la critica a chi, come l'avvocato Alfredo Galasso, aveva attaccato Giovanni Falcone con il più trito degli argomenti delegittimanti: ma come? proprio tu sei passato dall'altra parte? Che poi era la parte dello stato.

Qui, sullo stato e la patria, Saviano, lunedì sera, ha compiuto il gesto inaudito: «Mi andava di poter tenere la bandiera italiana in mano...». Si prende la sua libertà per infondere ottimismo, perché «i più bravi – dice – arriveranno primi». Il paradossale capolavoro della trasmissione è stato quello di mettere assieme, con tinte caravaggesche, controscene studiate, come i microfoni anni 60 o le donne che sembrano cucire il tricolore, il cupo e il gioioso. Le mafie, la macchina del fango, la cultura senza fondi, ma poi tutti - Vendola, Benigni, Abbado e i due protagonisti – hanno citato la parola "felicità". Nell'Italia dei contrasti vince chi li mette e li tiene assieme, raccontandoli per risolverli, e non soltanto per vedere l'effetto che fa.

http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2010-11-10/felice-denuncia-saviano-063945.shtml?uuid=AYRWsTiC
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