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Autore Discussione: MARIA LAURA RODOTÀ.  (Letto 7952 volte)
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« inserito:: Aprile 11, 2008, 03:08:46 pm »

Tendenze

Dall’astinenza di Gasparri alle battute da caserma della Santanchè

Slip, boxer, amori nei parchi: la sexy-campagna dei politici

Si è tentato di trasformare le elezioni in un film erotico-casareccio degli anni ’70


Riassumiamo, alla rinfusa, per cercare di capire e perché purtroppo fa ridere. Durante questa campagna elettorale, la candidata premier Daniela Santanchè, portatrice innovativa dei tradizionali valori della destra italiana, parla come in un tradizionale bar italiano; di Berlusconi, che pare la desideri ma lei non gliela «darà mai» (cosa?). L’ex vicepresidente del Senato Cesare Salvi, illustre giurista, candidato nella Sinistra Arcobaleno, parlando di diritti e libertà sessuale si sente in dovere di informare che lui «l’ha fatto in un parco» (cosa?). La capogruppo uscente del Pd Anna Finocchiaro, candidato governatore in Sicilia, una delle donne più autorevoli e dignitose della politica italiana, non si sottrae alle domande sul tipo di mutande preferito (slip). L’ex ministro delle Telecomunicazioni Maurizio Gasparri, An ora Pdl, fa sapere che sotto elezioni «il sesso per un politico diventa veramente una cosa secondaria» (dispiace). E così via.

Sappiamo oramai che il leghista Roberto Maroni predilige la mutandina in cotone mentre il neo Pd Matteo Colaninno è classico in boxer. Hanno cercato di coinvolgerci nell’appassionante dibattito «sono più belle le donne di destra o di sinistra », sono più focose le veltroniane le berlusconiane le bertinottiane o le casiniane, ecc. I tentativi di trasformare questa triste campagna elettorale in un film erotico- casereccio anni Settanta sono stati molti; nell’abulia generale, molti sono riusciti. Anche se è difficile (o preoccupante) individuarne le motivazioni profonde. Diversioni mediatiche consapevoli? Tentativi arrischiati di apparire normali e simpatici? Un marginale impazzimento collettivo, provocato da pulsioni di cui si è collettivamente perso il controllo e influenze ormai difficili da evitare e facilissime da introiettare, dalla tv spazzatura al battutismo continuo del Berlusca? I colpevoli sono molti, comunque.

Ovviamente, ci sono i giornalisti e i conduttori che fanno domande demenziali. Alcuni indagano sulle mutande perché costretti dai capi. Altri vanno sull’osé per essere citati, visti e visibili. Caso principale della campagna 2008 Klaus Davi, comunicatore, anchor di Klauscondicio, serie su YouTube in cui intervista amichevolmente dei candidati. È chez Davi online che Santanchè ha cominciato a parlare di darla e non darla per far carriera e ha ripetuto che gli ex amici di An hanno «palle di velluto». È sempre lì, l’altro ieri, che il Salvi è stato chiamato a scegliere tra sex appeal di destra e di sinistra. Incalzato da Davi, invece di rispondergli «ma veda un po’ lei», «ma cerchi di farmi domande sensate», «sono un uomo felice, ho una moglie di sinistra che a volte per cambiare si traveste da Mara Carfagna», ha tentato di destreggiarsi e gli è andata malissimo. È finito sulle agenzie come sostenitore della superiorità sessuale delle donne di sinistra. In realtà era solo una domanda di Davi, e Salvi aveva fatto melina.

In realtà tutto partiva da una battuta sulle donne di destra «sicuramente più belle di quelle di sinistra, loro non hanno gusto neppure su questo». La battuta è di Berlusconi, va da sé. Ormai storico creatore di agende e non-agende politiche, trascinatore del costume nazionale, deve avere occultamente (ma anche non) persuaso altri candidati a parlare di donne e sesso con scioltezza. E poi c’è il fenomeno Santanchè. Donna tosta e scenografica, da settimane pone il dilemma «darla o non darla» al centro del dibattito politico. Se ne sentiva il bisogno. Intanto, di passaggio in Italia per promuovere i loro film, gli attori americani George Clooney e Jodie Foster rifiutavano domande personali; Clooney parlava addirittura di politica (no, non si può votare Clooney, ragazze e ragazzi; è consentito solo farci su battutoni, ma non in pubblico, ognuno nel proprio bar, volendo).

Maria Laura Rodotà
11 aprile 2008

da corriere.it
« Ultima modifica: Maggio 07, 2010, 03:42:37 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Novembre 10, 2008, 10:24:04 am »

Attese sul copyright e la «net neutrality»

Obama, il «Google president»
Quando la Silicon Valley si sente al governo
 
MOUNTAIN VIEW


Dal nostro inviato


«Il 2008 è il nuovo 1776! (l’anno della rivoluzione americana, ndr). E forse il 2009 sarà il nuovo 1777, l’anno in cui abbiamo avuto una Costituzione». Due giorni dopo l’elezione di Barack Obama, il fondatore di Craiglist, il sito di annunci più ricco del web, che si chiama Craig Newmark, parla alla Stanford University. Newmark è contento; si sente parte della rivoluzione. Ricorda il ruolo cruciale dei social sites e dei blog in questa campagna. Dice che anche Craiglist «promuoverà gli sforzi di chi vuole diffondere nuove idee per governare oggi e nel futuro». Per governare.

La Silicon Valley, dalle otto di sera (Pacific Time) del 4 novembre, si sente abbastanza al governo. Operosamente al governo: per dire, le finestre della sede di Facebook su University Avenue a Palo Alto restano accese tutta la notte come quelle dello studio di Mussolini a piazza Venezia (oggi come quelle dello studio di Angelino Alfano a via Arenula, ma forse non c’entra molto). Uno dei fondatori di Facebook, Chris Hughes, è stato una colonna della campagna di Obama e della sua «Internet strategy». E Obama qui lo chiamano «il Google della politica». Non solo per l’enorme successo veloce; per la conoscenza delle nuove tecnologie e la capacità di usarle come nessun altro leader, finora. Anche per questo qui ha preso il 70 per cento dei voti, in certi sobborghi ricchi ha avuto 70 volte più finanziamenti del medio distretto postale americano; hanno tifato per lui gli imprenditori del Web 2.0 come i paladini dell’Internet strumento di democrazia e creatività collettiva come Laurence Lessig.

L’inventore di Creative Commons è professore alla Stanford Law School e ha appoggiato già dal 2007 (con un video su Youtube) Obama, di cui è stato collega alla University of Chicago (curiosità: nell’ostensione globale-totale della biografia del neopresidente, i media che effettivamente tifavano per lui pietosamente hanno taciuto sul fatto che sia un ex professore universitario; causa storico anti-intellettualismo americano non avrebbe avuto una chance). Comunque. Passati i festeggiamenti, c’è una Silicon Valley obamiana libertaria (di destra?) e una Silicon Valley obamiana liberista (di sinistra?). Spesso non è proprio una frattura, è più una schizofrenia; a volte si tratta delle stesse persone a diverse ore della giornata. Quando lavorano nella aziendina o aziendona che hanno fondato, dicono «mi aspetto che Obama mantenga la sua promessa di eliminare tutti le tasse sui capital gains per le startup». Quando smettono di lavorare e riaccendono il computer (qui molti girano senza pantaloni, nel senso che stanno in bermuda; quasi nessuno gira senza Mac o pc) magari vanno sul sito di Lessig.

Il «giurista dei digerati» (viene da digitale e letterati, sarebbero gli intellettuali e i creativi della zona) ha creato online l’organizzazione anticorruzione Change Congress e non si fida dei politici: «Passano la maggior parte del tempo a raccogliere soldi per essere eletti o rieletti». Molti di questi soldi vengono dai lobbisti. I lobbisti difendono le multinazionali, i grandi network, i produttori di film e musica. Lessig, che via Creative Commons, siti in cui si mettono a disposizione opere creative e copyright, sostiene che sul web si può condividere, il che è legale, e scaricare, che non lo è; ma lo fanno tutti. Ora vorrebbe che l’amministrazione Obama cambiasse le leggi sul copyright; mantenendolo per le opere nella loro interezza, ma decriminalizzando la condivisione dei files, e l’uso parziale per remix creativi (Remix è il titolo del suo ultimo libro, uno dei pochi effettivamente letti nella valle). E vorrebbe, come molti altri, che Obama mantenesse la sua altra promessa, sulla net neutrality: la neutralità dei provider con cui ci si connette alla rete, in modo che tutti possano accedere a tutto (da senatore, aveva registrato un podcast sul tema,; spiegando che se i grandi provider ottenessero per legge un Internet a due velocità, privilegiato e da barboni, selezionando i contenuti, molti cittadini non potrebbero scaricare neanche le sue parole).

Per ora, Obama ha risposto nominando un veterano di Internet nella sua transition team che valuterà i membri della prossima amministrazione: Julius Genachowski, già capo della commissione obamiana su tecnologie e innovazione. Dovrebbe dire la sua sul capo della Federal Communication Commission, sul segretario al Commercio, su altre nomine importanti. Qualcuno partirà dalla Silicon Valley, si prevede. Qualcuno era già a Chicago la notte della vittoria. Come Sam Perry, venture capitalist della valle e finanziatore elettorale, sulla cui spalla a Grant Park ha pianto Oprah Winfrey, conduttrice-diva della tv e prima sponsor cruciale di Obama. I due non si conoscevano. Ma tutti e due hanno fatto la loro parte, il Google President lo sa.

Maria Laura Rodotà
09 novembre 2008

da corriere.it
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« Risposta #2 inserito:: Aprile 19, 2010, 04:52:44 pm »

Realtà e teoria

Noi donne, meno libere di vent'anni fa

Una società asfittica che guarda indietro, non accetta nuove figure femminili.

E' vero: «Siamo sole»


Il movimento femminista non ha liberato le donne, scriveva sabato sul Corriere Susanna Tamaro. Ed è vero. Per essere libere bisogna avere opportunità, e diritti. E invece: dopo le prime, vitali (per molte donne sì, vitali) conquiste, come il diritto a interrompere una gravidanza, le femministe-guida d'Italia sono andate dove le portava l'ombelico. Invece di battersi per quote sul lavoro e asili nido, hanno passato svariati anni a discutere di «pensiero della differenza». Lasciandosi indietro milioni di donne che avrebbero appoggiato (avrebbero beneficiato di) battaglie liquidate come «emancipazioniste», come se fosse una parolaccia. Rimanendo in pochissime, fino a implodere. Attorcigliandosi a discutere di corpi ed embrioni fino a raggiungere (alcune) l'opposto estremismo: prima praticavano aborti, ora vogliono impedire ai corpi delle (altre) donne di concepire con la fecondazione assistita se non maritate, o di abortire.

E così, il femminismo italiano ha avuto durata breve, è stato marginale. E il suo ripiegamento riflessivo ha contribuito a danneggiare le donne lavoratrici, le donne madri, le donne omosessuali, le donne avventurose, e tutte le minoranze. Anche grazie allo scarso femminismo, in Italia non si è mai creata una vera cultura del politicamente corretto. Che non è (solo) una censura sui battutoni; è soprattutto rispetto per l'altro/a. Che altrove ha portato alle donne vita più facile e fatiche domestiche condivise; che (per dire) fa sì che negli Stati Uniti ci sia un presidente nero e un'icona dell'opposizione femmina e di estrema destra. Della cui assenza in Italia, tutte e tutti stiamo pagando il prezzo: razzismi multipli, misoginia e maschilismi fieri, insensibilità collettiva a comportamenti privati di persone pubbliche che altrove porterebbero crisi e dimissioni. L'assenza di political correctness femminista ha poi legittimato un sessismo ordinario capillare, negli uffici, nelle famiglie, nelle relazioni. Tanto comunemente tollerato e incoraggiato da far accettare che la liberazione sessuale venisse trattata come un grosso business.

Più redditizio che altrove, è noto. Perché non controbilanciato da movimenti di opinione femminili (e non) che criticassero l'onnipresenza di seni e glutei, la cooptazione in base all'età e all'aspetto, le continue discriminazioni. Anche per questo — Tamaro giustamente lo denuncia — siamo circondati da ragazzine e bambine aspiranti veline. Anche per questo non abbiamo modelli femminili validi, magari non attraenti, che non siano showgirls. Non per questo le ragazzine sono più promiscue, come lamenta Tamaro. Lo sono meno di tante adolescenti della sua generazione, e della mia. Sono meno libere di dieci o venti anni fa; non sono libere di sognare e sperare, soprattutto (specie le non-aspiranti veline). E non solo per colpa della recessione. Per colpa di una società asfittica, che tende a guardare indietro, che non conosce e non accetta nuove figure femminili. «Siamo sole», conclude Tamaro. Sì, lo siamo. Le ragazze precarie, le madri stanche, le donne che devono abortire e non trovano un ginecologo non obiettore, le sedicenni che non sanno dove andare a chiedere un contraccettivo e dipendono dal preservativo dei partner, le straniere abbandonate a se stesse, sono solissime. C'è bisogno di più femminismo, forse, casomai.

Maria Laura Rodotà

19 aprile 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it
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« Risposta #3 inserito:: Aprile 28, 2010, 11:33:10 pm »

Il dibattito -

La stampa britannica si chiede se l’interesse morboso per Sarah, Miriam e Sam non sia un «segnale di regressione»

Le «supermogli» e solo loro Una sconfitta per le donne?

Le tre «first lady» oscurano le candidate alle elezioni



Perché tanti bei corpi femminili in politica, ultimamente? Ohibò, è semplice: «Per dare corpo alla politica, accusata di astrazione». Lo scriveva qualche giorno fa su Libération Eric Fassin, sociologo dell’École Normale Supérieure; in margine al pettegolezzaccio su Carla Bruni e Nicolas Sarkozy. Ambedue presunti adulteri, con l’ex guardasigilli Rachida Dati presunta delatrice. Perché i media si occupino a tutto campo di una (ex) ministra, deve essere coinvolta in una storia che riguardi una first lady. Stessa solfa, ingigantita, nella campagna elettorale britannica. Con le notabili laburiste che minimizzano (Harriet Harman, Tessa Jowell) o si lamentano (la ministra della Previdenza Yvette Cooper), ma comunque sono relegate a eventi e conferenze stampa di serie B. E le mogli dei tre leader di partito — il premier Gordon Brown, il Tory David Cameron, il LibDem Nick Clegg — raccontate nonstop. Nel Regno Unito già la chiamano la Wags Election. Le Wags sono le Wives and Girlfriends, mogli e fidanzate dei calciatori e ora dei candidati premier. Tabloid e siti di gossip ci vanno a nozze, in questa campagna all’americana (per la prima volta dibattiti in tv, politica personalizzata e focalizzata sui candidati). Elettrici e media più evoluti cominciano a innervosirsi. L’ossessivo interesse per le Wags è un disastro per tutte le donne, avverte sul Guardian Marina Hyde: «Sembrano provini per casalinghe anni Cinquanta. Il premio è venire definita “l’arma segreta” del marito, facendo sembrare una moglie qualcosa di cui la Corea del Nord si è scordata di informare l’Onu». Le Wags ringraziano.

O forse no, le tre mogli non sono casalinghe disperate. Sarah Brown, ex capo di una società di pierre, cura l’immagine del traballante coniuge. Spiega che Gordon è un cuoco atroce ma apparecchia e sparecchia. Comunica via Twitter, seguita da un milione di persone (sei volte gli iscritti al Labour, in effetti); ma racconta novità sul suo orto, o rivela di ammirare Naomi Campbell (la signora Brown però non mena). Samantha Cameron, che ricorda le formidabili fidanzate a cui cercava di sfuggire Bertie Wooster (Cameron è un tipo alla Bertie, a guardarlo) nei romanzi di P.G. Wodehouse, si propone come aristomamma chic. Miriam González Durántez (non ha preso il nome del marito) è un’avvocatessa spagnola, genere dominatrice materna mediterranea, compagna ideale di un maschio beta inglese di respiro europeo; ed è mamma di tre maschietti. Tutte e tre sono brave mamme, e gli strateghi elettorali ne parlano molto. Anche per conquistare le donne di classe media con figli, gruppo elettoralmente in bilico, forse decisivo. Però, a furia di vedere poche politiche emolte Wags, «c’è una regressione. Ci si concentra solo sulle donne in quanto madri», dice la lobbista femminista Ceri Goddard. Anche se poi inchieste e sondaggi mostrano come le donne siano (non è strano) preoccupate per l’economia, l’Afghanistan, la disoccupazione. Anche se poi «in questo Paese ha vinto la celebrity culture», ammette la sottosegretaria all’Energia Joan Ruddock. «E’ l’effetto Obama, anche. Tutti vogliono vedere le famiglie dei leader, è inevitabile».

Anche se poi l’89 per cento dichiara che le mogli non influenzeranno le decisioni di voto. Come in Francia: l’82 per cento spiega che la vita privata dei politici non ha peso nelle scelte elettorali. E allora? La possibile saturazione britannica causa bombardamento di e sulle Wags (si è visto di tutto, anche dure critiche agli alluci di Sarah Brown), l’irritazione di molti francesi per la «presidenza disfunzionale» di Sarko più Carlà, porteranno, nel medio termine, a un ridimensionamento del ruolo delle first ladies? Oppure, le supermogli diventeranno sempre più un accessorio neotradizionalista irrinunciabile nelle oligarchie pop? Il professor Fassin insiste: in questi battage mediatici «si potrebbe leggere il tentativo di occultare un deficit democratico, compensando le carenze politiche con operazioni puramente simboliche ». Eh, si sapeva. Ma provate a dirlo alle candidate femmine alla Camera dei Comuni, in questi giorni, se avete il coraggio.

MARIA LAURA RODOTÀ

28 aprile 2010
da corriere.it
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« Risposta #4 inserito:: Maggio 07, 2010, 03:40:46 pm »

Più feroci (e più curiosi)

Le umiliazioni e le vendette in Rete

È l'epoca dei cattivissimi


Il Web ci umilia. Il Web ci rende feroci. In compenso, il Web ci rende curiosi e ci fa navigare tra chi non la pensa come noi. A leggere analisi e ricerche rese note negli ultimi giorni, il bilancio sembra in pareggio. Il «Wall Street Journal» si indigna su quello (o quelli, la storiella è ormai leggenda metropolitana) che ha postato la foto nuda della fidanzata traditrice su Facebook, sperando venisse diffusa.

Social networks uguale rischio umiliazione, state attenti. Il New York Times e Slate invece raccontano della ricerca che sta ribaltando i già radicati luoghi comuni dell’informazione online: non è (non sarebbe) vero che Internet polarizza e radicalizza le opinioni politiche, perché gli utenti tendono ad autoghettizzarsi nei siti con cui sono d’accordo. Anzi: chi si informa online è molto meno «ideologicamente segregato» di chi guarda la tv e legge solo giornali di carta. Perché tutto è a portata di clic, oramai. Notizie, opinioni e possibilità di sfogare rabbie varie in tempo reale.

In quanto. Chiunque sia su Facebook sa quanto sia facile usare il social network quando si è infuriati. È facile, fa danni immediati. Crea quella che il WSJ ha appena battezzato, «culture of humiliation», cultura dell’umiliazione. Viene massacrata una quasi certamente fattissima Whitney Houston, che continua a fare concerti ma non riesce a finire una canzone (il video in cui biascica disperatamente I Will Always Love You è stato molto condiviso). Vengono fondati gruppi contro Mario Balotelli, intemperante giocatore dell’Inter (per ora), e i titoli sono irriferibili. Sono riferibili, ma a dir poco avvilenti, i nomi dei gruppi ignoti e terrificanti che se la prendono con amici (insomma, amici) e compagni di scuola: «Per quelli che pensano che Cislaghi puzzi», per dire. Sembra innocente, ma se Cislaghi è in terza media, una cattiveria online del genere gli segnerà la vita.
In America, il mobbing via Facebook ha già provocato dei suicidi di adolescenti. C’è chi obietta che ci sono sempre stati, tra ragazzi marginalizzati e presi in giro. E chi sostiene che ora il rischio è maggiore. Grazie all’anonimato possibile sul Web (ci si può dare un’identità fittizia su Fb, farsi degli amici, e distruggere qualcuno a furia di post e foto). «Non bisogna più guardare l’altro negli occhi per insultarlo», ha detto al WSJ Parry Aftab, avvocato esperto in cyber-sicurezza. «Siamo tutti coraggiosi, alla tastiera. Ed è più facile attraversare il confine tra umorismo e crudeltà». Più facile anche causa bombardamento dei reality. A furia di vedere gente che si rende ridicola e si fa umiliare per aumentare l’audience, molti pensano sia normale.

Così, tra coraggio dell’anonimato e ferocia insegnata dalla tv, i bersagli si moltiplicano: immigrati, omosessuali, rom, Down, e altro. Spesso, per fortuna, da noi, nonostante le preoccupazioni per la cultura dell’odio, l’ironia prevale («Aiutiamo Scajola a trovare chi gli ha pagato la casa» è uno dei gruppi più popolari di questi giorni, per dire). E, tra chi usa il Web per leggere le notizie (non solo da noi), prevale la curiosità che fa andare sui siti di chi non la pensa come te. L’hanno scoperto, dopo molte rilevazioni statistiche, due studiosi della University of Chicago, Matthew Gentzkow e Jesse Shapiro. Smentendo il loro ex collega (ora collaboratore di Obama) Cass Sunstein, che aveva cupamente previsto un Daily Me, fatto di notizie preselezionate, che avrebbe isolato gli utenti. Invece, pare, no. Su Slate c’è un test per misurare l’isolamento ideologico. Si legge «per iniziare clicca qui». Una volta cliccato, è finito. Slate ha già letto e quantificato i siti visitati via computer dal cliccatore, ed emette la sentenza. Altro che umiliazione, paura.

Maria Laura Rodotà

07 maggio 2010
http://www.corriere.it/cronache/10_maggio_07/rodota_ba45d082-59b3-11df-8cbf-00144f02aabe.shtml
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« Risposta #5 inserito:: Maggio 14, 2010, 12:27:11 am »

LA NUOVA FIRST LADY

Samantha? D'istinto, la detestiamo

Anche senza conoscerla. Per cinque buoni motivi

  di Maria Laura Rodotà

Samantha Cameron nata Sheffield è la moglie del nuovo premier britannico. Ha due figli e aspetta il terzo. Finora è stata direttore creativo della Smythson di Bond Street, che produce accessori di lusso. Io e altre utenti dei media non l’abbiamo mai incontrata. Non la troviamo antipatica. Però, d'istinto, la detestiamo. Ecco perché.

1). È una pissera. Dicesi pissera la madamin di ceto medioalto. Il termine è fiorentino ma di valore universale. Spiegano Rosaria Lo Russo, Maria Pia Moschini e Liliana Ugolini nel loro libro «La pissera» (ed. Ripostes, 2003): «La pissera è una donna che è nata per sostenere e mantenere i luoghi comuni più tranquillizzanti: famiglia (apparentemente) armoniosa; marito e moglie che si adorano vicendevolmente; abbigliamento non vistoso, sobrio, funzionale, con una sua rigida eleganza; moglie controllata, educata, sempre sorridente e rassicurante». Chi non sopporta il concetto di first lady e l’ossessiva attenzione mediatica per le «mogli di», fino a renderle un modello femminile appetibile e credibile, ora teme (è quasi certa di) un'invasione di foto e notizie su SamCam moglie e mamma ideale. Meno male che c’è Carla Bruni, a questo punto.

2). È una superpariolina inglese. Figlia di un baronetto (cfr. le opere di P.G. Wodehouse, un autore che con Cameron premier sarà utile rileggere: Wodehouse aveva una pessima opinione dei baronetti), ha un superpotere comune a molte insopportabili ragazze di ottima famiglia: priva (poi non si sa, magari di nascosto è un genio) di serie doti intellettuali, sa stare elegantemente zitta, guardando con elegante sufficienza chi si agita e discute. Riesce così a sembrare superiore, e a far sentire famosi scrittori e premi Nobel dei poveracci. Alla prima visita ufficiale, si tiferà per Carla Bruni, che qualche baggianata ogni tanto la dice.

3). Veste in modo impeccabile, classico e ipocrita. Per non sembrare troppo elitista (vabbè, troppo pariola), mescola capi assai costosi con magliette genere H & M e TopShop. I media hanno già pubblicato molte dettagliate fotocronache delle sue mises. Ne vedremo dieci volte tante. Aridatece Carla Bruni.

4). Anche i suoi abiti pre-maman sono irritanti. Anche Carla Bruni è irritante, ma in modo più stimolante.

5). Per colpa sua, torneranno forse di moda i tagli lunghi scalati che costano un’ira di Dio causa messa in piega e continua necessità di spuntare i capelli. Per colpa dei nostri media e di suo marito, finiremo a discutere (io lo sto già facendo) di Samantha Cameron e dei suoi capelli. Altro che Carla Bruni: sarebbe più interessante discutere del nuovo giudice della Corte Suprema americana, Elena Kagan. Personaggio sfiziosissimo, di grande intelligenza e determinazione, lei sì modello assertivo e anti-stucchevole. Verrà seguita meno e sfottuta di più, però. Il perché lo ha spiegato il suo collega giurista Paul Campos: «Per alcuni uomini, l’unica cosa più intollerabile della visione di una donna potente è la visione di una donna potente con cui non andrebbero volentieri a letto» (perché sto scrivendo di Elena Kagan in un articoletto su SamCam? Perché ha senso paragonare due figure femminili opposte e venute alla ribalta in questi giorni, ovvio; e perché non mi avrebbero mai chiesto di scrivere «Cinque motivi per cui mi piace Elena Kagan», ancora più ovvio, scusate).


12 maggio 2010
http://www.corriere.it/esteri/10_maggio_12/samantha_cameron_06b615b2-5da6-11df-8e28-00144f02aabe.shtml
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« Risposta #6 inserito:: Giugno 06, 2010, 09:40:21 am »

Vuole diventare governatore del south carolina

Lo strano caso di Nikki Haley : quando il doppia adulterio fa bene alla candidata

Repubblicana, dura e pura, con un'immagine pubblica fondata su valori tradizionali e famiglia.

Ma guadagna consensi dopo la scoperta delle sue scappatelle


ROMA - «Nikki Haley, candidata repubblicana a governatore del South Carolina, è entrata in un club molto elitario. Oggi ne fa parte insieme a Caterina la Grande, Ingrid Bergman, Lady Di e alle poche altre donne importanti che sono state protagoniste di scandali sessuali. Di più: era dai tempi di Caterina di Russia che una donna impegnata in politica non metteva insieme un harem». Detta così (da Rebecca Dana, ex del Wall Street Journal ora commentatrice del Daily Beast) non pare male. Sembra un disdicevole ma a suo modo galvanizzante momento di pari opportunità. Haley, fino a poco tempo fa oscura (e molto sposata, e con due figli) deputata conservatrice del Sud degli Stati Uniti avrebbe avuto storie di sesso non con uno,ma con due professionisti della politica del suo stato. Un lobbista, Larry Marchant, e un portavoce dell’ex governatore, Will Folks. La trentottenne Haley, finora favorita, ora pronta a ritirarsi se verrà provata la sua nomea di playgirl, si era candidata per sostituire il governatore uscente Mark Sanford; un super-adultero dalle esternazioni imbarazzanti, tanto per cambiare. Al primo lobbista confesso, Haley aveva negato tutto. L’ex candidata vicepresidente Sarah Palin era corsa in South Carolina per appoggiarla. Al secondo, la questione si fa più complicata.

«MORALISTA», MA L'AUDULTERIO LA PREMIA - Perché Haley, si diceva, è donna di estrema destra: antiabortista, anti-tasse, anti-riforma sanitaria, pro-armi e favorevole alla nuova, terrificante legge anti-immigrati dell’Arizona. Ma non è per questo che si parla di lei. È il suo hobby, sedurre lobbisti e staffer, che negli ultimi giorni l’ha resa una celebrità di cui la gente parla. E per la quale molte donne fanno il tifo. Molte donne liberal, poi, soprattutto. Che sui social networks o nello spazio per i commenti sui giornali online scrivono «Yes! Sono dalla sua parte. Voglio che sopravviva a questo scandalo, e che vinca». Non per apologia dell’adulterio (ma anche sì, chissà). Sostiene Dana Goldstein, blogger liberal e femminista: «Io tifo per lei perché dopo aver visto tanti politici maschi –da Bill Clinton in giù- darsi molto da fare in giro e conservare le loro cariche, spero che anche le donne possano fare porcherie nella vita privata. E possano comunque venire giudicate in base alla loro competenza e ai loro risultati». E poi: Haley, con la sua aria da brava ragazza che fa finta di niente, onestamente, mette allegria. Si capisce che gli uomini le piacciono, ma che per nulla al mondo vorrebbe che le sue tresche danneggiassero il suo matrimonio e la sua famiglia.

PARI OPPURTUNITÀ, E PURE BI-PARTISAN - Perché «Nikki Haley è per la famiglia e per la vita», aveva proclamato Palin in uno spot tv. «Haley difende i valori della famiglia tradizionale», recitava un suo volantino elettorale. Haley è ipocrita? Può darsi. Ma con il suo spot di replica alle prime rivelazioni (del lobbista, conservatore come lei) ha finito per vendicare molte generazioni di mogli politiche americane tradite e costrette a stare a fianco del marito fedifrago in conferenze stampa e comparsate televisive; mentre lui smentiva o fingeva di pentirsi, e loro stavano zitte, con facce tristissime. Insomma, nello spot Haley compariva con al fianco il silenzioso, probabilmente cornuto marito Michael, molto a disagio. Oddio, se Haley non si dimette, Michael potrà ricorrere ai buoni vecchi rimedi preferiti da tante political wives tradite: gli psicofarmaci, come ha fatto Cindy McCain, moglie di John, candidato repubblicano sconfitto da Obama, noto femminaro; o l’alcol, come Joan Kennedy, prima moglie di Ted, grandissimo senatore democratico scomparso di recente, e gran femminaro; son cose bipartisan, si sa. McCain, Kennedy e tanti altri sono stati perdonati. E ora tante donne vorrebbero che si lasciasse correre anche con Haley, che diamine.

«SIMPATICA CIALTRONA» - E intanto il pruriginoso caso sta suscitando dibattiti. I media ricostruiscono con fatica il catalogo delle grandi fedifraghe. Aggiungendo a Bergman, Caterina e Diana Spencer un po’ di celebrità sparse: Ali McGraw (quella di Love Story) che tradì il marito per Steve McQueen, e come non capirla; e Meg Ryan (fidanzata liberal d’America) che piantò in asso Dennis Quaid per Russell Crowe, e anchè lì, come non capirla (Quaid era cocainomane e Crowe dieci anni fa era molto meno gonfio). Quasi tutte, però, si giustificavano col loro pubblico rivendicando sofferenze pregresse e nuovi grandi amori. Raramente si ricorda una simpatica cialtrona, tipo Haley. Non se ne sente dire spesso. «Perché le donne sposate non hanno tempo», spiegano realistiche molte commentatrici da Web. «Il che non vuol dire che non abbiano interesse per gli altri uomini; anzi».

«ALPHA FEMALES» - Però: per fare carriera, una donna spesso lavora il doppio degli uomini, e non vuole rischiare la reputazione per una o due notti di sesso. Quindi, anche se tentata, desiste. Oppure desiste perché non c’è tempo e/o disponibilità maschile per avere uno straccio di storia romantica. Oppure, semplicemente, non desistono ma non ci si fa caso, dice la scrittrice newyorkese Emily Gould: «La nostra macchina produci-cultura riduce qualunque relazione all’incontro tra l’uomo seduttore e la donna sedotta, anche quando non è così». Però ancora: dopo il caso Haley, c’è chi annuncia un trionfale ritorno in auge (perché ritorno, poi, mica se ne erano andate) delle Alpha Females. Le femmine alfa, assertive sul lavoro e nel sesso. Per il momento, i referenti sono cinematografici: Vera Farmiga in Tra le nuvole, lei è una manager che fa innamorare di se George Clooney durante le trasferte, Clooney va a prenderla in quello che sembra un finale alla Harry ti presento Sally (con la fedifraga Meg Ryan, in effetti) e scopre che ha un marito e dei bambini; o Meryl Streep nel malriuscito ma stimolante successone. È complicato; in cui lei trova un nuovo fidanzato e nel frattempo riprende ad andare a letto con l’ex marito. Molte spettatrici si sono ritrovate nell’una o nell’altra; e ora, anche nella apparentemente contraddittoria Nikki Haley. Commento del Daily Beast: «Ovunque, le donne stanno cominciando a portare a casa la pagnotta e poi a bruciare la casa. È l’effetto della liberazione sessuale unita a un buono stipendio». Per fornire pagnotte e case da bruciare anche alle donne con stipendi pessimi non c’è da fare affidamento sulle Haley e su altre eroine pop, purtroppo.

Maria Laura Rodotà

05 giugno 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/esteri/10_giugno_05/nikki-haley-adultera-repubblicana_0808a88e-70ad-11df-aae4-00144f02aabe.shtml
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« Risposta #7 inserito:: Ottobre 07, 2010, 11:10:13 pm »

In tasca ha il rosario, vive con il fidanzato canadese

Il Niki Vendola privato che conquista (quasi) tutti

Il governatore della Puglia e i suoi coming out

In tasca ha il rosario, vive con il fidanzato canadese


Nichi Vendola contestualizza meglio di altri. Gay dichiarato da sempre, governa al secondo mandato una regione del Sud. Postcomunista amato dai giovani di sinistra e da vari anziani di destra, vuol fare il candidato premier dell'opposizione ma scapperebbe subito «per adottare un piccolo abbandonato in Kosovo». Cattolico con abitudini antiche (tiene in tasca un rosario di legno e dice «manco Casini»), convive col fidanzato italo-canadese Ed, giovane, bello, metropolitano e creativo, e l'ha portato nella natia Terlizzi, trenta chilometri da Bari.

Queste tre coppie di elementi contrapposti possono essere rimescolate: cattolico ma che vuole adottare fuori dal matrimonio, postcomunista nella complessa e apparentemente destrorsa Puglia, aspirante presidente del Consiglio che però fa coming out sulla sua unione di fatto. Anzi no: aspirante presidente del Consiglio che perciò - per presentarsi, tutto intero - fa il suo coming out. E dice: «Viviamo insieme da anni. Siamo una coppia morigerata e tranquilla. Ci piace ricevere amici a cena». Come buona parte delle coppie italiane, di qualsiasi orientamento sessuale, in effetti. Benvenuti a Casa Vendola.


Il padrone di casa ha raccontato il tutto sull'ultimo numero di Chi. «E ha fatto bene, può raggiungere a un sacco di gente e far capire che noi omosessuali facciamo vite normalissime. In Italia ci descrivono sempre come figure borderline, instabili con vite spericolate. Se si parla di omosessuali, si mette sempre accanto una foto di tizi seminudi e truccati al Gay Pride», dice Paola Concia del Pd, unica parlamentare lesbica, anche lei tempo fa intervistata su Chi, e fotografata con la sua fidanzata. Il compagno di Vendola, nel servizio, non appare, e pare non aspiri a fare il First Gay Partner. È attivo nella Fabbrica di Nichi, il comitato elettorale vendoliano; era sul palco con molti altri la sera della vittoria alle regionali. D'estate vanno al mare in Salento, a volte cenano con Pier Ferdinando Casini e sua moglie Azzurra Caltagirone. «Azzurra stravede per Nichi», racconta un amico.
Non è l'unica. Nel settimanale Mondadori, Vendola viene definito «l'esponente della sinistra più simile al presidente del Consiglio. Per la sua umanità». E l'intervista non è aggressiva: «Governatore, lei scrive poesie e canzoni, vince sul web, confessa la sua omosessualità, trascina i giovani. Presto uscirà anche un film a lei dedicato, Sposerò Nichi Vendola. Insomma, rappresenta il "nuovo"... Chi ha paura di Nichi Vendola?».

Quelle che lui chiama le «anime morte» del Pd, probabilmente. In realtà vivi, solo colpiti dall'abilità del presunto ineleggibile (gay, comunista, ecc.) nello sparigliare. Mentre a Roma si parla di elezioni, tra Bari e Terlizzi il presunto di cui sopra espone e disinnesca una per una le cause di ineleggibilità. Mostra l'orecchino, parla del «mio amore» che gliel'ha regalato, racconta che vorrebbe adottare, parla di «parità tra uomini e donne nei luoghi di rappresentanza politica». E si fa fotografare in cucina con la mamma (deve essere una cattiveria di Chi, contrapporre in modo subliminale la pacifica cucina Vendola a Terlizzi ai controversi componibili Fini-Tulliani a Montecarlo; poi chissà). Tutto normale, rasserenante; una perfetta ostensione pop del sincretismo vendoliano. Forse un po' oscurata dal coming out contemporaneo di Tiziano Ferro. Ovviamente seguita da battutacce sul web (l'unica pubblicabile: «Un canadese? Allora sta con Marchionne», ma non è così). Poco notato invece il vero potenziale divo di Casa Vendola, il cane meticcio Fidel, ma potrebbe essere decisivo alle primarie di coalizione, vai a sapere.

Maria Laura Rodotà

07 ottobre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/politica/10_ottobre_07/vendola-rodota_d29e098e-d1f8-11df-93c4-00144f02aabc.shtml
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« Risposta #8 inserito:: Febbraio 14, 2011, 04:11:51 pm »

Dentro il corteo

Le femmine alfa ritrovano la voce «Non saremo state troppo educate?»

Gli umori

Sperano in un discorso conclusivo che porti agli slogan ritmati Non arriva. Pazienza


«E tiratelo giù questo c. di striscione!». I giovani piddini intimoriti obbediscono e arrotolano la scritta «Sono una donna che ha sempre lottato». La signora prima impedita nella visuale ribadisce «e che c.». Sembra la scena di Animal House in cui John Belushi spacca la chitarra in testa al ragazzo romantico che strimpellava. È una delle tante scene impreviste e significative della piazza romana, ieri.
Piena di donne più o meno garbatamente assertive. Anzi: mai viste così assertive, toste e protagoniste in una manifestazione.
È stata la giornata delle femmine alfa, in Italia non ce n'era mai stata una così.

Donne insieme alle amiche che fanno commentacci, ragazze che applaudono e urlano «daje!», signore arrivate da sole senza le usuali timidezze da manifestanti single che attaccano discorso con tutti. Più agguerrite delle oratrici, spesso. «E piantala col corpo delle donne, e parlaci di Berlusconi!», è la lamentela più frequente durante i discorsi. Le lamentele poi dilagano per la poesia (bella, troppo lunga) di Patrizia Cavalli e il monologo sulla vagina in pugliese di Lunetta Savino; divertente, ma nessuna riesce a concentrarsi su questioni vaginali, la piazza è civile ma arrabbiata. Aspetta un'oratrice che la infiammi. Per un po' l'oratrice non arriva, alla terza-quarta che si dilunga sulle bambine che non devono fare le escort una cinquantenne perde la pazienza: «Ma una che sappia parlare no? Una che sappia fare un comizio?
Se non ce l'avevano potevano mettere una parrucca a Maurizio Landini, tipo».

Tipo. Assente il segretario della Fiom, arriva Susanna Camusso. Sa fare un comizio; si lancia in un monologo su «se non ora quando»; viene molto applaudita. Ma è donna stringata, lascia il palco a signore più logorroiche. Le femmine alfa di piazza del Popolo resistono stoicamente. Acclamano suor Eugenia Bonetti e zittiscono le amiche più laiciste. Si entusiasmano per Alessandra Bocchetti che quando viene presentata suscita reazioni morettian-fantozziane («Noo, l'università Virginia Woolf noo») ma poi, unica tra le intervenute, parla dello stato dell'economia. Sperano in un discorso conclusivo che porti, come dicono le ragazze, «al fomento», agli slogan ritmati, all'urlo collettivo. Non arriva. Pazienza.

E andando via si chiedono «ma non sarà stata una manifestazione troppo educata?» e si rassicurano leggendo le notizie sui telefonini, guardando le strade intorno ancora strapiene. Certo, «il problema di questo momento storico è la nostra infinita pazienza», come donne e come opposizione, dice Claudia Tombini, architetto. Sulle piazze dell'opposizione la trentenne Marta è più cattiva. Cita gli 883: «Ti ricordi quella canzone? È la dura legge del gol/ gli altri segneranno però/ che spettacolo quando giochiamo noi? Questo è stato il più grande spettacolo degli ultimi anni, per me, ma spero non sia solo questo». Forse no. Forse le italiane rompiballe (la maggioranza) stanno trovando la loro voce. Forse più in piazza che sul palco. Forse era ora.

Maria Laura Rodotà

14 febbraio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/editoriali
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« Risposta #9 inserito:: Novembre 13, 2011, 11:16:38 am »

nov
12


E un uomo all’istruzione

di Maria Laura Rodotà

Siamo oneste. Ieri, la prima reazione di molte di noi all’osservazione «non ci sono donne nel nuovo governo» è stata «ma chi se ne frega se non ci sono donne nel nuovo governo».

    Viviamo una fase terribile e abbiamo avuto ministre discutibili; ci si preoccupa più per lo spread che per le quote.

Poi però ci si è rese conto che un nuovo governo ancora non c’è. Che c’è, al momento, l’usuale toto-ministri. Che i commissari tecnici del mondo politico-mediatico che lanciano o bruciano candidature sono in maggioranza maschi, e maschilisti. Probabilmente più di Giorgio Napolitano e Mario Monti, signori non giovani ma —verrebbe da dire —più civilizzati di altri.

Con lunga pratica di democrazie—e di società— più avanzate della nostra sui temi della parità tra uomini e donne. Perciò pare altamente improbabile il governo tuttimaschi che in questi giorni alcune paventano su Twitter, Facebook e nei dibattiti online. Pare improbabile; ma il fatto stesso che ci siano timori, che se ne discuta, che si insorga (sia pure online) è un segnale; di disagio, e di risveglio, anche.

Di disagio perché gli anni berlusconiani delle «ministre più belle del mondo», delle deputate di Forza Gnocca, delle donne all’opposizione accusate di bruttezza hanno prodotto un trauma sottotraccia (ma neanche tanto) nella popolazione femminile italiana. Che col tempo è diventato protesta di massa e dibattito virale. Ci sono i gruppi di Senonoraquando (dal nome del team che organizzò la protesta del 13 febbraio), c’è la nuova iniziativa su Twitter «2eurox10leggi», una sottoscrizione per pubblicizzare e proporre leggi anti svantaggi di genere.

Si discute nonstop sulle bacheche Facebook e su blog come La 27esima ora del Corriere online. Si cerca di fare politica dal basso. E ci si aspettano azioni positive (le femministe le chiamavano così) dalla politica alta. Insomma, si spera di vedere alcune ministre competenti, in qualche dicastero di rilievo (magari non la Pubblica istruzione, da dare a un uomo, per sparigliare). Si spera siano persone dalle qualifiche inattaccabili (vanno bene di qualunque età, non è un governo Renzi, vivaddio). Si spera ci sia qualche faccia nuova, qualche personaggio interessante, che diventi un’ispirazione e un modello per le ragazze italiane (se poi c’è la solita Emma Bonino va benissimo, tutte noi la amiamo; ma, senza pensare alle quote e preoccupandosi dello spread, varrebbe la pena di promuovere altri talenti, anche).

da - http://27esimaora.corriere.it/articolo/ministri-donna-si-competenti-e-un-uomo-allistruzione/
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