Maira
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« inserito:: Aprile 07, 2008, 10:26:54 am » |
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31/3/2008 (8:40) - GRANDE DISTRIBUZIONE
Qualità sotto casa
Anche discount e supermercati si sono specializzati nel vino.
E ora sugli scaffali si trovano ottime bottiglie
MAURIZIO TROPEANO
E' il vino delle cooperative ad alimentare la crescita della grande distribuzione nelle quote di vendita delle bottiglie. «Il 57% della produzione che vendiamo in Italia viene commercializzata sugli scaffali della Gdo», spiega Paolo Bruni, presidente di Fedagri-Confcooperative, che produce circa il 43 per cento di tutto il vino italiano e il 65% di quello che nasce nelle cantine delle coop. Secondo la ricerca di Iri Infoscan, l’anno scorso il valore delle bottiglie venduto attraverso la Gdo è stato superiore a 1,3 miliardi; se si aggiungono i 150 milioni fatti registrare dalle vendite nei discount si arriva alla somma di 7 milioni di ettolitri acquistati. Se poi a queste voci si sommano gli spumanti, il giro d’affari complessivo sfiora i due miliardi. La Confederazione guidata da Bruni è partita da qui per cercare di capire attraverso un sondaggio su un campione che, con 33 tra cantine e consorzi e 54.516 soci rappresenta più di un terzo dell’universo Fedagri, quale fosse il rapporto tra dimensione dell’azienda e Gdo. I risultati? Le microimprese – quelle con un fatturato inferiore a 5 milioni – usano poco questo canale di distribuzione, circa il 15 per cento, «il che lascia ipotizzare di un sistema produttivo orientato prevalentemente alla vendita diretta presso gli store aziendali e nel canale Horeca (hotel-restaurant-catering) di carattere regionale», precisa Bruni. Nelle imprese con un valore di produzione compreso tra i 5 ed i 15 milioni, i valori derivanti dalla vendita dei vini attraverso la Gdo arriva al 27% delle vendite Italia. «Si tratta – spiega ancora il presidente di Fedagri – di un sistema produttivo di dimensioni maggiori, in cui aumenta la quota di vino prodotto e imbottigliato con migliori economie di scala, che garantisce quei volumi necessari per entrare nei listini della Gdo».
Nelle medie imprese (valore di produzione fino a 50 milioni) la quota di vendita per mezzo della Gdo scende al 23 per cento, mentre aumenta quella destinata all’export. Nelle cooperative e consorzi con un valore di produzione superiore ai 50 milioni «c’è la tendenza a specializzarsi verso l’uno o l’altro mercato, traendo dalla loro dimensione un’ulteriore rendita di posizione », conclude Bruni. Intanto l’Istituto di ricerca Iri Infoscan ha reso pubblica la classifica dei vini più acquistati tra gli scaffali della grande distribuzione: Chianti, Montepulciano d’Abruzzo e Nero d’Avola sono i primi tre vini a denominazione d’origine più venduti in assoluto nei supermarket nel 2007. Secondo i ricercatori, il loro successo è giustificato dal fatto che si tratta di vini tradizionalmente molto apprezzati dai consumatori per il loro rapporto qualità/prezzo e per questo motivo «compaiono spesso ai primi posti delle classifiche negli ultimi anni». Alcuni, come ad esempio il Chianti, danno segni di stanchezza registrando una flessione nelle vendite. E poi ci sono i vini emergenti: come Negroamaro del Salento, Morellino di Scansano e Falanghina del Sannio. «La classifica dei vini più richiesti dai consumatori – commenta Riccardo Francioni, membro del consiglio direttivo di Federdistribuzione, l’associazione che rappresenta la maggioranza delle aziende della Gdo – conferma l’impegno della distribuzione moderna nella costante valorizzazione dei prodotti locali di eccellenza, che attraverso i suoi circuiti trovano diffusione presso il grande pubblico in tutta Italia». La presenza di vini blasonati in classifica come il Morellino di Scansano, il Nobile di Montepulciano e il Verdicchio di Jesi è «la conferma del trend che vede gli italiani acquistare anche sugli scaffali dei supermercati vini di gran qualità».
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31/3/2008 (8:5) - NON SOLO UVA
Olio nostrum
Da giugno l'indicazione obbligatoria dell'origine tutelerà il made in Italy
MAURIZIO TROPEANO
La produzione di olio è in calo. Le stime parlano di una diminuzione tra il 15 e il 20 per cento rispetto all’annata 2006 ma Massimo Gargano, presidente di Unaprol, il consorzio olivicolo italiano che raccoglie seimila aziende, guarda con ottimismo al 2008. Il motivo? «Aspettiamo i benefici derivanti dall’entrata in fase operativa della riforma che prevede l’indicazione obbligatoria dell’origine sulle etichette delle bottiglie».
Secondo Gargano, a partire da giugno si vedranno «gli effetti positivi del nuovo sistema, che sarà un freno alla contraffazione del made in Italy e porrà fine alla mancata informazione per i consumatori». Sempre secondo il presidente di Unaprol, questi benefici sarebbero anche in grado «di contenere gli effetti negativi del cambio euro/dollaro». «L’etichettatura, infatti – spiega Gargano – frena questo effetto-cambio perché il made in Italy nel settore olivicolo tira, e tira di più di quello dei nostri concorrenti come la Spagna». L’offerta italiana può contare su un prodotto che nasce da 350 varietà diverse, la Spagna invece ne ha solo 16. «La qualità è un concetto assoluto, e l’indicazione di origine del prodotto in etichetta è l’elemento di differenziazione che aggiunge valore a quello dell’olio extravergine di oliva made in Italy», prosegue il leader di Unaprol. L’operazione di consolidamento sul mercato internazionale parte dunque dall’etichetta obbligatoria perché «l'indicazione dell’origine consentirà al nostro sistema-paese di migliorare l’offerta del prodotto 100% made in Italy e di perfezionare nel complesso anche l'impianto delle norme in materia di trasparenza dell’etichettatura degli alimenti». Secondo Gargano, «sbaglia chi ritiene che questo provvedimento normativo sia una barriera al principio della concorrenza».
Si parlerà anche di questo nel corso di Sol, il Salone dell’olio d’oliva extravergine che si affianca al Vinitaly veronese. L’edizione 2008 vede la partecipazione di 250 espositori con stand che occupano circa 4 mila metri quadrati. È lì che si valuterà lo stato di export, prezzi e produzione. Gli olivicoltori pugliesi, ad esempio, si lamentano per i prezzi troppo bassi. E poi ci sono le stime per l’annata 2007. In base all’ultima indagine effettuata congiuntamente con Ismea si prevede una produzione di poco inferiore alle 501 mila tonnellate, che segna una forbice tra il 15% ed il 20% in meno rispetto agli oltre 6 milioni di quintali registrati nel 2006.
da lastampa.it
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31/3/2008 (8:45) - PROTAGONISTI
Lezioni di civiltà
La ricetta di Gianni Zonin per superare le crisi?
Educare i giovani a mangiare e bere bene
MAURIZIO TROPEANO
"Una rondine non fa primavera". Gianni Zonin, presidente del gruppo vinicolo di famiglia, si rifà ad un vecchio proverbio popolare per descrivere la situazione del mercato del vino. Già, perché se le performance dell’azienda sono positive, non si può dire altrettanto degli scenari nazionali e internazionali dell’intero settore.
Anzi.
Colpa del supereuro, certo, perché «ogni volta che il dollaro cala noi perdiamo migliaia e migliaia di euro per sostenere l’export e gli spazi faticosamente conquistati con anni di sacrifici». Ma la colpa ricade anche, e forse soprattutto, su chi ha scatenato la «caccia alle streghe contro il vino», una «bevanda che non si può certo confondere con l’alcol». E da questo punto di vista «qualche responsabilità fa capo anche ad alcuni esponenti del governo».
Il combinato disposto dei «fattori P», cioè Persecuzione, ed E, cioè Euro ed Economia in fase di stagnazione, produce come risultato un «settore che non sta tirando dove i consumi del vino, ma anche dell’alimentare e di altri settori strategici, stanno rallentando in modo preoccupante». È strano sentire un personaggio come Zonin che si definisce «sempre ottimista» fare queste riflessioni preoccupate. Il futuro del mondo del vino tende al nero? «In questo momento la situazione non è certo buona ma vale per tutti, e questa non è una consolazione». Che fare, allora? Continuare a resistere. «Del resto – spiega Gianni Zonin – noi lo facciamo da mesi. Stiamo spendendo quattrini per sostenere l’export perché a fronte di questi sbalzi continui non possiamo permetterci di aumentare i prezzi delle bottiglie ma dobbiamo cercare di stabilizzarlo».
E se si pensa che l’export vale 3,5 miliardi di euro si può immaginare che l’entità degli interventi sia «milionaria». Del resto non ci sono alternative. «L’unica strada per superare questo momento critico – prosegue Zonin – è incrementare proprio l’esportazione perché nell’Europa continentale e nel resto del mondo sta crescendo il numero dei consumatori».
La mappa della crescita spazia dall’Europa del Nord alla Gran Bretagna; dagli Stati Uniti alla Cina, in Russia e Giappone i consumi sono in crescita. Secondo Zonin si tratta di mercati interessanti. Anche per la concorrenza. Sudafrica, Cile, Argentina, Australia «offrono prezzi competitivi anche grazie a un costo del lavoro più basso». Facciamo parlare i numeri. La quota di esportazione italiana negli Usa è aumentata dell’8%, 180 mila ettolitri in più del 2006. L’Argentina resta a distanza ma l’anno scorso ha quasi raddoppiato la sua quota arrivando a oltre 630 mila ettolitri. «Tocca ai governatori delle banche nazionali intervenire per fermare la corsa dell’euro ma qualcosa può fare anche Roma», spiega Zonin.
Che cosa? «Bloccare questa caccia alle streghe perché – prosegue – il vino è una bevanda che fa parte della tradizione millenaria e non si può confondere con l’alcol. Certo è sempre una questione di misura perché bere un bicchiere di vino fa bene, abusarne no. Lo stesso discorso vale per il caffè ma nessuno criminalizza quel prodotto ». E qui entra in gioco il governo: «Dobbiamo insegnare ai giovani quanto mangiare e che cosa mangiare. Quanto bere e che cosa bere, i limiti e i pregi di questo consumo e dunque credo sia necessario non limitarsi ad insegnare l’educazione fisica ma è ora di introdurre un nuovo insegnamento: l’educazione alimentare». Solo così, forse, si può bloccare quel declino ormai costante del consumo pro-capite di vino in Italia. Ancora Zonin: «Pensavo che non si potesse scendere sotto la soglia dei 45 litri a testa l’anno. Invece l’anno scorso abbiamo dovuto registrare un ulteriore calo del 5 per cento». E poi servono anche nuove idee, «nuove energie per nuove strategie», continua Zonin. Ad esempio lo sviluppo dell’enoturismo e di quelle attività di accoglienza legate alla Casa vinicola. Si spiega così il ruolo sempre maggiore che i suoi figli stanno assumendo in azienda: «Garantiscono continuità e innovazione».
da lastampa.it
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