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Autore Discussione: Eureka! Archimede ha ragione...  (Letto 3050 volte)
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« inserito:: Luglio 04, 2007, 05:23:00 pm »

Altri esperimenti mettono in evidenza il genio del grande inventore siracusano.

David Wallace del Mit di Boston ha provato che gli specchi ustori possono ardere le navi

Eureka! Archimede ha ragione
Amelia Crisantino


 Gli specchi ustori, quelli adoperati da Archimede per fermare la flotta romana che assediava Siracusa, sono da sempre un mito che rimanda al potere degli eroi semidivini più che alla scienza. Fra quegli argomenti capaci di fare amare la storia anche al più refrattario dei ragazzini: l´intelligenza contro la forza bruta; il fascino dalla mimetica abilità nel comprendere la natura, insinuarsi nel suo potere e adoperarne la tecnologia come fosse un gioco da ragazzi.

Crescendo nessuno stava più a pensare agli specchi ustori, relegati nel popoloso continente dove il mito e la storia si confondono. Archimede era un genio, su questo nessuno aveva dubbi, ma in fondo di lui che sappiamo? Faceva "cose strane", correva fuori dall´acqua gridando "Eureka!" e disegnava figure geometriche mentre stavano per ammazzarlo. E forse per i ragazzini di oggi è solo un personaggio di Walt Disney, lo scienziato amico di Paperino.

Ma poiché è sempre vero che «siamo nani sulle spalle dei giganti», a nome della comunità scientifica che oggi studia gli specchi per produrre energia elettrica dal sole Carlo Rubbia dice: «l´idea è semplice e antica. Ci ha già pensato Archimede 2000 anni fa», considerando il sole come una sorgente di energia che può essere concentrata e moltiplicata. E gli specchi ustori? Plutarco scrive dell´assedio per terra e per mare che dal 214 avanti Cristo Siracusa subisce per 18 mesi, dopo avere abbandonato l´alleanza con Roma per schierarsi con Cartagine. Scrive dei romani che stringono la città in una morsa e dei cittadini impauriti, mentre Archimede comincia a caricare le sue macchine bombardando il nemico con grandi massi di pietra. Descrive i grandi pali che all´improvviso escono dalle mura e dall´alto colpiscono le navi affondandole, le mani di ferro, i becchi simili a quelli delle gru che sollevando i natanti per la prua le scaraventano in acqua, un artiglio meccanico che ribalta gli scafi spezzandoli al centro.

Le mura della città erano irte di macchine che impaurivano i rozzi romani, ma ai famigerati specchi ustori che per un paio di millenni l´immaginario collettivo ha saldamente collegato all´assedio di Siracusa non accennano né Plutarco né Polibio, che è il grande storico del mondo mediterraneo. Così è sempre rimasto il dubbio se fossero davvero esistiti, e nel corso dei secoli ogni tanto si è provato a ricrearli.
Il penultimo tentativo di far funzionare gli specchi di Archimede è stato fatto nel 2004, dai ricercatori del Massachusetts Institute of Technology di Boston e dall´Università di Arizona, nel corso di un esperimento sponsorizzato dal canale satellitare Discovery Channel. Hanno provato a dar fuoco a una vecchia barca da pescatori. L´esperimento non è riuscito, i ricercatori sono arrivati alla conclusione che gli specchi ustori erano solo un mito e la televisione ha pubblicizzato la condanna. Quindi la questione, con autentico pragmatismo americano, sembrava chiusa. Un po´ troppo sbrigativamente per i gusti di David Wallace, anch´egli professore al Mit e parecchio polemico verso i colleghi. E Wallace ha provato a ripetere l´esperimento assieme alla sua classe.

Il 4 ottobre del 2005, sul tetto del Wast Garage del Mit, alunni e professore hanno composto un collage di 127 specchi di 30 centimetri quadrati, posizionati a 30 metri da un modello di nave. Sotto i loro occhi increduli, sono bastati 10 minuti di sole perché la nave prendesse fuoco. Le conclusioni tratte da Wallace sono all´apparenza minimaliste, e nell´impossibilità di stabilire se Archimede abbia o meno adoperato gli specchi il professore sostiene «abbiamo dimostrato che gli sarebbe stato possibile farlo». Conclusioni che sono state adottate dalla seconda edizione di Speklon, manifestazione che sino al 15 luglio ha organizzato a Siracusa molteplici iniziative - programmando anche la proiezione del video realizzato da Wallace - sull´energia solare e i suoi mille usi dall´antichità ad oggi.

L´esperimento di David Wallace richiama l´attenzione su un periodo storico lontanissimo da noi, genericamente catalogato come antico e poco conosciuto. Il secolo di Archimede è il III avanti Cristo, Siracusa fa parte dei regni ellenistici e partecipa ad una rivoluzione scientifica poi del tutto dimenticata. Archimede molto probabilmente studia ad Alessandria, il più importante centro scientifico dell´epoca, rimanendo per tutta la vita in contatto con gli scienziati alessandrini. La distruzione dei regni ellenistici, cominciata con la conquista di Siracusa nel 212 a. C. fa perdere persino la memoria di una scienza fondata sull´osservazione della natura, arrivata ad un livello tanto avanzato che solo oggi diventano comprensibili alcuni residui casualmente arrivati sino a noi. Per restare agli specchi, nel bel libro di Lucio Russo "Una rivoluzione dimenticata" leggiamo di come Archimede abbia scritto uno studio sugli specchi parabolici intitolato "Catottrica", dove si sofferma sulle proprietà degli specchi concavi capaci di concentrare i raggi solari in un punto.

Ma con Archimede le sorprese non finiscono mai, i campi in cui applica il suo eclettico genio sono tanto numerosi da far dire a Voltaire «c´è più immaginazione nella testa di Archimede che in quella di Omero» e, contro ogni stereotipo sul disinteresse degli antichi per le applicazioni pratiche, fonda una "scienza delle macchine" scrivendo il primo trattato teorico di ingegneria navale e ideando macchine per il sollevamento dell´acqua, oltre ad scrivere un trattato sul metodo scientifico e avere in pratica superato la filosofia della natura attraverso l´uso della tecnologia.
Dal suo mondo così lontano arrivano segni, indizi da collegare fra loro. Dopo la caduta di Siracusa, Cicerone narra che il console Marcello portò con sé a Roma un planetario che riproduceva la sfera celeste e i pianeti. Si è sempre pensato che, come gli specchi ustori, anche il planetario facesse parte delle leggende su Archimede. Finchè nel 1900 un gruppo di pescatori ha casualmente ritrovato il relitto di un´enorme nave risalente al I secolo a. C. che - si è capito solo 50 anni dopo - a bordo aveva il più antico calcolatore meccanico conosciuto, un complesso planetario mosso da ruote dentate che ricostruiva il moto della luna in rapporto al sole, gli equinozi, le fasi lunari e il moto dei pianeti. Chiamato "la macchina di Anticitera", dal nome dell´isola greca presso cui è stato rinvenuto, è la dimostrazione della tradizione di alta tecnologia di cui Archimede era un prodotto e un artefice. Nel 212 a. C. la tecnologia militare dei siracusani poté essere vinta solo dalla peste e dal tradimento: allora la più bella e potente città di Sicilia venne saccheggiata, Archimede ucciso e dimenticato dai suoi concittadini. Cicerone, questore a Siracusa nel 75 a. C, ne scoprì il sepolcro «tutto circondato e rivestito di rovi e pruni, di cui i siracusani ignoravano l´esistenza». E racconta come, su una piccola colonna che sporgeva di poco fra le spine, vide scolpita una sfera dentro un cilindro, come iscrizione la proporzione fra i due solidi. Cicerone commenta - nelle disputazioni tuscolane - che così «una fra le più celebri città della Grecia, e una volta anche fra le più dotte, ignorava l´esistenza della tomba del suo più geniale cittadino». A riprova di quanto sia ingenuo credere in un progresso continuo ed automatico dell´umanità. Ed anche pericoloso.

(03 luglio 2007)

da espresso.repubblica.it
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