LA-U dell'OLIVO
Aprile 25, 2024, 07:38:40 am *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: [1]
  Stampa  
Autore Discussione: Andrea Ranieri. L’università e la trappola degli appelli inutili  (Letto 2083 volte)
Admin
Utente non iscritto
« inserito:: Aprile 02, 2008, 03:18:32 pm »

L’università e la trappola degli appelli inutili

Andrea Ranieri


Si moltiplicano in questi giorni gli appelli bipartisan per impegnare le forze politiche ad un’azione congiunta in grado di affrontare l’emergenza sapere, attraverso azioni incisive in grado di far fare un salto di qualità alla nostra scuola, alla nostra Università, alla nostra ricerca.

È indubbiamente positivo che intellettuali, forze economiche e sociali - si veda l’importante documento di Confindustria - richiamino la politica ad un impegno più deciso, anche in campagna elettorale, su questo terreno che viene giustamente individuato come la ragione fondamentale del ritardo di sviluppo del nostro Paese in termini di produttività, di innovazione, di crescita economica e civile, nell’epoca dell’economia e della società della conoscenza.

E d’altro canto mi sembra importante che il richiamo sia rivolto a tutte le forze politiche, perché rivela quanto sia diffusa la convinzione che occorre passare finalmente alla fase del bipolarismo mite, in cui l’avversario non è più considerato un nemico, ma un interlocutore con cui confrontarsi seriamente e serenamente per individuare risposte utili al Paese.

In special modo per la scuola, l’Università, la ricerca, per le quali i tempi in cui diventano visibili e misurabili gli effetti delle azioni di riforma, e soprattutto le ricadute positive per la competitività e la coesione sociale del Paese, superano i tempi brevi delle alternanze di governo.

Mi convince meno la formula del bipartisan, che schiaccia troppo questo compito sulla contingenza politica, e sulla base della contingenza sceglie e discrimina i possibili interlocutori.

Mi sembra più appropriato proporsi di dare al dibattito e alle scelte su questi terreni una valenza costituzionale, di costruire sui provvedimenti che li riguardano maggioranze di questa natura, come le forze politiche si sono impegnate a fare, finalmente, per la riforma della legge elettorale. Cominciare cioè a considerare, come avviene in altri Paesi del mondo, le politiche della conoscenza come fondative dello stesso patto di cittadinanza, e su cui è perciò necessario ricercare sempre un consenso più ampio della maggioranza pro tempore.

È del resto quello che si è cominciato a fare nella passata legislatura. Il confronto sui provvedimenti riguardanti questi temi ha saputo il più delle volte spogliarsi delle pregiudiziali ideologiche e di schieramento. Tanto è vero che ampie sono state le modifiche dei provvedimenti durante l’iter parlamentare, accogliendo spesso proposte presentate dall’opposizione.

Su alcuni, il più importante dei quali è quello sul riordino degli Enti di Ricerca, questa nuova volontà - lo riconosceva il senatore Valditara di Alleanza Nazionale in un bell’articolo comparso su Italia Oggi - il consenso più ampio si è espresso anche a livello di votazione parlamentare. E questo non è avvenuto per effetto dell’azione di qualche club di volenterosi, ma per effetto di un dibattito chiaro e trasparente, che ha coinvolto - questo deve essere l’obiettivo permanente di un dibattito costituzionale - tutte, ma proprio tutte, le componenti dell’allora maggioranza e dell’allora opposizione.

L’altro aspetto su cui tutti i partiti dovrebbero impegnarsi è l’assumere le risultanze della valutazione - nazionale ed internazionale - come elemento essenziale su cui portare avanti il confronto, considerando le stesse azioni riformatrici non come tavole della legge su cui schierare le proprie truppe, ma come processi da implementare, monitorare, correggere. Saremmo tutti un po’ più avanti se avessimo lavorato in questo modo sia sulle riforme dell’Università, che su quella della scuola, invece di costruire schieramenti aprioristici di difesa o di offesa rispetto ai tentativi di riforma dei passati governi.

Sui risultati della valutazione va aperto un confronto misurato e sereno che eviti il più possibile catastrofismi e sensazionalismi, quali ad esempio periodicamente avvengono sui dati Ocse-Pisa che, come è noto, rivelano insoddisfacenti performances medie degli alunni italiani riguardo a tutti gli indicatori presi in considerazione. Ma se vogliamo farne dati utili per l’agire politico occorre uscire dalle “medie”, ed entrare più puntualmente nel merito.

Si scoprirà allora che nel Nord-Est del paese siamo in Finlandia - e comunque ben sopra alle performances medie del Regno Unito e degli Stati Uniti, che alcuni vorrebbero prendere a modello - e che nei licei si trovano a tutt’oggi eccellenze di tutto rispetto.

Non è così al Sud, né negli istituti professionali, né tanto meno nella maggior parte delle scuole paritarie. L’Italia è al di sotto della media Ocse, ma lo è in maniera ineguale, e l’ineguaglianza è data, ancora oggi, principalmente dal territorio in cui si è nati, e dalla condizione sociale della famiglia d’origine, che dispone ancora oggi i ragazzi secondo le sciagurate gerarchie su cui la cultura idealistica mise in fila le scuole italiane, secondo il principio che la scuola è tanto più alta quanto più lontana dalla concretezza e dal saper fare.

È su questa ineguaglianza che bisogna intervenire, rimuovendo gli ostacoli sociali, culturali, organizzativi che ancora oggi, la originano. Nel nostro programma sono indicate una serie di azioni concrete, per far sì che le differenze dipendano sempre più dal merito e dall’impegno, e sempre meno dal luogo e dalla famiglia in cui si è nati.

Per fare questo consideriamo l’autonomia una risorsa, e non un limite. Essa rappresenta una forte assunzione di responsabilità delle scuole rispetto ai risultati raggiunti dai propri ragazzi, sulla base degli obiettivi formativi nazionalmente stabiliti e seriamente valutati. I differenziali fra Nord e Sud sono frutto di decenni di centralismo, e non l’effetto perverso dell’autonomia, come del resto è facilmente deducibile dai differenziali nei livelli di istruzione formali e informali della popolazione adulta fra il Nord e il Sud del nostro Paese, che è la variabile che più di ogni altra influenza - assieme alla qualità dell’edilizia scolastica, e alla preparazione e all’impegno degli insegnanti - i risultati scolastici dei nostri ragazzi. Del resto sono sicuri i laudatori del bel tempo passato - quelli a cui evidentemente la scuola è andata bene, tanto è vero che scrivono sui libri e sui giornali - che se l’Ocse-Pisa avesse indagato sui livelli di apprendimento dei ragazzi italiani ai tempi in cui loro andavano a scuola, i risultati medi sarebbero stati migliori di quelli di adesso? Ho seri dubbi in proposito, se penso ai tassi di analfabetismo linguistico, matematico, scientifico che le analisi internazionali mettono in luce quando passano a indagare le competenze della popolazione adulta, e che rivelano una distanza dagli altri paesi dell’Ocse ancor più marcata di quanto avviene per i nostri studenti.

Ben vengano dunque gli appelli al merito e alla responsabilità, purché non fatti con la testa rivolta all’indietro, ma affrontando con serietà i nodi necessari per valorizzare merito e responsabilità della scuola del Terzo Millennio.

Responsabile Area Sapere Pd



Pubblicato il: 02.04.08
Modificato il: 02.04.08 alle ore 13.22   
© l'Unità.
Registrato
Pagine: [1]
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!