Admin
Utente non iscritto
|
|
« inserito:: Aprile 01, 2008, 10:25:41 pm » |
|
Nell’interesse del paese
Oreste Pivetta
Milano universale. Prodi, D’Alema, la Bonino, Formigoni, Penati, la cara Moratti e tutti gli altri in scena, attori, canterini, industriali, eminenti professionisti, brillanti studiosi, ce l’hanno fatta. L’Italia tutta, come patriotticamente si dovrebbe dire, ce l’ha fatta. Il sistema-Italia, come pragmaticamente annotava Romano Prodi, ce l’ha fatta. Respinti i turchi non possiamo che cantare come Alfredo a Parigi: «Libiam ne’ lieti calici/ che la bellezza infiora...». In coro, perché, se in un caso del genere si può parlare di vittoria, è stata la vittoria di un governo di centrosinistra e di un sindaco di centrodestra, insieme per gli interessi del paese.
È stata una bella lezione per Berlusconi, che è invece l’uomo degli affari suoi e che si è trovato tra l’incudine e il martello e s’è arrangiato ricordando i rifiuti di Napoli e comunque rivelando che «non è stato certo per merito di Prodi». Sorrideva invece Prodi e ne siamo felici: il voto di Parigi è un riconoscimento a lui, alla sua politica e alla sua politica estera e quindi qualche merito spetta anche a Massimo D’Alema e a Emma Bonino. Il governo di Prodi è caduto, ma in fondo ci lascia un’eredità importante, clamorosa, qualcosa che attenua i dolori di questa Italia: dalla crisi di Malpensa al primato dei salari più bassi.
I delegati del Bie, il Bureau International des Expositions, hanno scelto Milano, la città dei traffici internazionali, di una gloriosa (e ormai chiusa) storia industriale, delle grandi banche, la città capitale del Nord virtuoso e produttivo, il treno che da sempre trascina l’Italia verso l’Europa. Hanno annusato le polveri sottili ma le hanno scambiate per la nebbia dei film di Olmi e Visconti. Si sono tenuti alla larga dai campi nomadi e dai vecchi quartieri popolari, dallo Stadera a San Siro.
Il traffico non li ha fermati: davanti c’era sempre la staffetta della polizia o dei carabinieri a far largo. I muri che hanno visto erano stati riverniciati nella notte. Il piazzale della Stazione Centrale, che forse hanno attraversato, era stato aggiustato dove le pietre erano rotte (perchè più sottili, per risparmiare qualcosa, rispetto al capitolato d’appalto) e liberato dalla presenza di rom, slavi, nigeriani e nordafricani e homeless (qui si chiamano “barboni”) di casa nostra. Nessuno scandalo: succede in tutto il mondo.
Lo scarto di voti è stato netto, per quanto tribolata la votazione. Pareva di vivere una seduta del Senato. Smirne, Izmir, una deliziosa città, sulla costa turca, possedeva molte carte. Bisogna sempre rendere onore ai vinti. In questo caso ci tocca anche un po’ di invidia. Se è vero quanto scriveva il sindaco, Aziz Kocaoglu. Leggiamo dal Sole24ore: «Izmir copre il 9 per cento della produzione industriale della Turchia, il 14 per cento dell’Iva, il 9,7 per cento della forza lavoro...». Si sta costruendo una metropolitana leggera, un anello di 80 chilometri che vale 275 milioni di dollari. «Solo negli ultimi quattro anni - informa il sindaco - il Comune di Izmir ha regalato quattro milioni di metri quadri di verde alla città e sta ultimando uno dei parchi più estesi in Europa». Il tono sarà un po’ quello dei depliant pubblicitari. Ma certe notizie colpiscono.
Milano, nella continuità della gestione Albertini-Moratti, ha saputo scavar sotto terra solo per sistemare parcheggi (qualcuno contrastatissimo, come quelli nel centro, in piazza S.Ambrogio o in piazza Meda, accanto a monumenti e rovine di pregio artistico e storico) e ha aperto alcuni cantieri per alcune verticalissime colate di cemento, ferro e vetro. Milano a distanza di mezzo secolo dalla bellissima Torre Velasca e dal grattacielo Pirelli ha scelto risolutamente la strada dei grattacieli: fanno volumetria e rendita, a prescindere dalla qualità modesta e ripetitiva dell’architettura (malgrado gli imponenti nomi internazionali scesi in campo). Non parliamo neppure dell’urbanistica: per ritrovare segnali originali bisogna risalire al dopoguerra (al Qt8 di Piero Bottoni).
Malgrado tutto (e si dovrebbe aggiungere un capitolo: quello eterno della relativamente debole rappresentanza politica, nonostante le chiacchiere di Berlusconi e le trombonate di Bossi, quello della indifferenza alla politica dei suoi ceti dirigenti, poco attratti dai dibattiti romani) Milano resta ai vertici di un sistema Italia o meglio del sistema degli “affari” e dell’economia italiani. A proposito di economia, nel “depliant” della Moratti si può leggere che Milano sta al centro di un’area con quasi 10 milioni di abitanti, come Londra o Parigi, che produce il 10 per cento del pil nazionale, un livello pari a Bruxelles o Madrid, che vanta un reddito pro-capite che è quasi il doppio di quello nazionale e un tasso di disoccupazione che è la metà di quello italiano, registra il 40 per cento dei nuovi brevetti d’innovazione, dove si vendono ogni anno dieci milioni di biglietti per spettacoli d’arte, musica, cinema, in linea, a pari abitanti, con Berlino, Amsterdam, Barcellona. Più la moda, gli show room, la Scala, il Piccolo Teatro, il Milan e l’Inter (nove Coppe dei Campioni in due), il volontariato, il Politecnico,..
Dal punto di vista degli “affari”, il Sole24ore, assai attento all’argomento, ha già proposto l’elenco di chi ci guadagna e ci guadagnerà, semplicemente citando gli sponsor, che si sono affacciati in questi giorni al palcoscenico di Parigi. Ne verrebbe una bella mappa del potere, sulla quale si incrociano Generali e Fondiaria cioè Salvatore Ligresti, la nuova multitutily A2A e i petroli dei Moratti, Scaroni all’Eni e Tark Ben Ammar che entrerà in Telecom... I soliti nomi.
L’esposizione universale anticipa ovviamente grandi numeri: venti miliardi di investimenti, trenta milioni di visitatori, settemila eventi, settantamila posti di lavoro... Insomma un business gigantesco, che comincerà con l’edificazione sull’area espositiva (accanto alla Nuova Fiera di Rho-Pero, su un milione e settecentomila metri quadri, di proprietà della famiglia Cabassi) e, si spera, continui con la realizzazione di quelle infrastrutture, che servirebbero ad una sana economia. Non mancherà una torre, come è nelle tradizioni: si prevede alta duecento metri.
Il tema proposto, «Nutrire il pianeta, energia per la vita», più politicamente corretto non si poteva immaginare: ci sono di mezzo l’ambiente, la fame nel mondo, l’obesità, la bio-diversità, le merendine dei bambini, le nuove fonti alimentari per i paesi poveri e i prodotti tipici di Carlin Petrini. Si prevede che centoventi paesi saranno al via e tanta partecipazione dovrebbe garantire qualche idea vera o almeno una bella radiografia del problema.
Nel 1906 Milano ospitò un’altra esposizione universale. Si snodava attorno ai Giardini Pubblici e al Parco Sempione e allora gli spettatori paganti furono sette milioni: un’enormità se si pensa al mondo d’allora, alla povertà e alle discriminazioni d’allora e anche al sistema dei trasporti. E proprio di trasporti s’occupò quella esposizione, con singolare senso di preveggenza, mentre ancora circolavano soprattutto carri e cavalli.
L’Esposizione universale è un grande evento, anche se quando la si nomina viene soprattutto da pensare al Ballo Excelsior (inventato per un’altra esposizione milanese, nel 1881, non ancora universale) e alla Tour Eiffel (Parigi, 1889), ad un universo ristretto rispetto ad oggi che stava costruendo la sua rivoluzione industriale. Nel regno contemporaneo dell’immateriale (basta andare su internet per ritrovare tutto, compreso il villaggio di Milano 2015) se ne capisce meno il senso.
Giuseppe Pericu, che da sindaco di Genova visse l’esperienza delle Colombiadi e del G8, nel suo libro Genova nuova spiega che un grande appuntamento serve a coalizzare gli sforzi, a creare solidarietà, a ridare coesione e identità a una comunità. Speriamo che funzioni anche a Milano, che avrebbe bisogno di coesione, di identità, di solidarietà e soprattutto di democrazia. Altrimenti, passata la festa, si rischierebbe di ritrovare la vecchia città spartita tra i soliti pochi che godranno di tutti i vantaggi e la maggioranza rimasta alla finestra. Si sarà brindato nei salotti. Che Milano, la città vera, non abbia fatto invece gran festa e quasi non si sia interessata di quanto si decideva a Parigi è un sintomo dello scetticismo. Tangentopoli resiste.
Pubblicato il: 01.04.08 Modificato il: 01.04.08 alle ore 13.11 © l'Unità.
|