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Autore Discussione: VINO: L'ESPRESSO, COCKTAIL AL VELENO PER 70 MLN DI LITRI  (Letto 3640 volte)
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« inserito:: Marzo 31, 2008, 12:33:24 am »

Cantine, fabbriche fantasma di automobili, aziende mai aperte

"Report" indaga sullo scandalo della legge 488

Che buon passito, offre lo Stato

E il 60% dei finanziamenti va perduto

Antonello Caporale


Una legge famigerata, la 488, una rete di amici (il politico, l'industriale, il consulente commercialista). Triangolazione perfetta e risultato chiavi in mano: ogni dieci euro che lo Stato italiano stanzia per finanziarie attività produttive, sei euro vengono perduti. Frullati da mani amiche, deviati su conti bancari misteriosi, triangolati e alla fine inghiottiti nel pozzo senza fondo di imprenditori rapaci, banchieri distratti, consulenti collusi. La politica, quando non è partecipe, devia l'occhio altrove. Non sa, e se sa non risponde.

A fondo perduto è il titolo di un severo, raccapricciante reportage che Milena Gabanelli espone questa sera su Report, Raitre. Milioni come noccioline, capannoni pagati dallo Stato e arrugginiti, imprenditori calati dal profondo nord e scomparsi. Sembrano storie fantastiche di bravi romanzieri. Vai in Calabria, e non sai cosa ti perdi. Venti miliardi per agevolare un'impresa, l'Isotta Fraschini. Costruire automobili. In quattro anni dal capannone è sbucata solo una macchina di legno. I soldi inghiottiti, quattro ferraglie prototipali adagiate in un capannone vuoto e deserto.

Scendono dalla padania leghista e votata al lavoro, gli imprenditori che si fanno ricchi grazie agli aiuti di Stato. Ventidue milioni di euro per un'azienda che doveva riciclare metallo. E' stato un bresciano a fare richiesta. Il "pacco", come quelli illustrati per gioco in tv da Flavio Insinna, risulta, nella stragrande maggioranza di casi confezionato dalla sapiente dedizione di valenti commercialisti, famigerati consulenti, che inviano a Roma, al ministero dell'Attività produttive, felicissime e concludenti considerazioni: top management all'altezza, mercato in crescita, occupazione garantita. Roma, in effetti, ci crede. E ci casca. Ci ha sempre creduto tanto che i quattro ministri succedutisi (Enrico Letta, Antonio Marzano, Claudio Scajola e Pierluigi Bersani) hanno firmato assegni pari a quasi un miliardo di euro. Di questi, secondo le valutazioni degli inquirenti (Guardia di Finanza e Magistratura) e le stesse idee che se ne è fatta la commissione Antimafia, seicento milioni di euro sono stati bruciati: gestiti da incapaci, o da imprenditori inadempienti o anche, e soprattutto, inghiottiti da un circuito truffaldino perfettamente organizzato, sostanzialmente colluso con la classe dirigente.

Se ne è accorto Bersani che la legge 488 è un colabrodo, un aiuto a chi spreca e non a chi investe. Troppo tardi, si direbbe. E troppo tardi, bisogna aggiungere, il direttore generale del ministero, intervistato da Report, si accorge che le banche, che avrebbero un ruolo di vigilanza attiva nell'erogazione dei fondi, non si comportano sempre da partners leali dello Stato. Le industrie sono di carta ma troppo spesso finanziate con soldi veri.

Danno e beffa corrono sullo stesso binario. Nel capannone vuoto, l'imprenditore (leghista?) esorta l'operaio fantasma: "Non rubare, piuttosto chiedi!" "Il tuo disordine danneggia tutti". La telecamera di Report indugia disperata sui cartelli posti alle pareti di una delle mille truffe di cui è costellato il sud. Calabria, dunque. Crotone e Gioia Tauro. Ma anche Sicilia, anche Trapani. Dove lo Stato elargisce soldi per realizzare cantine, in un mercato già saturo di etichette. E a proposito di etichette: quella della tenuta Chiarelli, titolare la moglie dell'ex governatore Cuffaro, adagiata vicino a una bottiglia di un'altra azienda, naturalmente anch'essa produttrice di vino griffato, dal titolo felicissimo: "Baciamolemani".

E baciamole queste mani. Baciamole e salutiamo il nuovo modello di sviluppo. Tutti all'opera, tutti gran sommelier, fini intenditori. Con i soldi dello Stato. Anche il senatore Calogero Mannino, naturalmente, ne ha approfittato. A Pantelleria la sua famiglia possiede una bella cantina, finanziata (c'è da dirlo?) con i fondi dello Stato.

Ah che buon passito!

Segnala una storia a a.caporale@repubblica.it

(30 marzo 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #1 inserito:: Aprile 04, 2008, 12:38:00 am »

2008-04-03 13:46

VINO: L'ESPRESSO, COCKTAIL AL VELENO PER 70 MLN DI LITRI


ROMA - Concimi, sostanze cancerogene, acqua, zucchero, acido muriatico e un quinto di mosto: questo il 'cocktail al veleno' con cui sono stati prodotti 70 milioni di litri di vino a basso costo, venduti in tutta Italia.

E' quello che viene definito 'Velenitaly', lo scandalo enologico e sanitario raccontato in uno speciale che uscirà domani su 'L'Espresso'.

L'articolo illustra un sistema industriale di contraffazione che parte dalla criminalità organizzata per alimentare le grandi cantine: le aziende coinvolte nello scandalo, racconta L'Espresso, sono già 20 di cui otto al Nord e il resto sparso tra Puglia e Sicilia.

Ma l'indagine è tutt'ora in corso e, scrive L'Espresso, "assume una dimensione di alto impatto per l'economia italiana, con il rischio di un danno d'immagine ben più grave di quello provocato dall'allarme sulla bufala".

Inoltre, nonostante i sequestri, molte delle bottiglie sotto inchiesta sarebbero tutt'ora "pericolosamente in commercio".   


da ansa.it
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« Risposta #2 inserito:: Aprile 04, 2008, 12:42:03 am »

Benvenuti a Velenitaly

di Paolo Tessadri


Concimi, sostanze cancerogene, acqua, zucchero, acido muriatico e solo un quinto di mosto.

Con questo miscuglio sono stati prodotti 70 milioni di litri di vino a basso costo.

Venduti in tutta Italia


AGGIORNAMENTO DEL 3 APRILE, ORE 19,50

Molti lettori chiedono che L'espresso faccia i nomi delle aziende coinvolte nello scandalo. Noi abbiamo pubblicato nell'articolo tutti i nomi e tutti gli elementi che siamo riusciti a raccogliere con certezza. Saremmo stati felici di pubblicare la lista completa delle ditte sotto inchiesta, ma non siamo riusciti a ottenerla. La richiesta di piena trasparenza su questa e su altre sofisticazioni alimentari che mettono a rischio la salute dei consumatori - come abbiamo scritto - non va rivolta a noi ma ai ministeri competenti: in questo caso, quello delle Politiche agricole e quello della Sanità. Di vino ne contengono poco: un terzo al massimo, spesso di meno. Il resto è un miscuglio micidiale: una pozione di acqua, sostanze chimiche, concimi, fertilizzanti e persino una spruzzata di acido muriatico. Veleni a effetto lento: all'inizio non fanno male e ingannano i controlli, poi nell'organismo con il tempo si trasformano in killer cancerogeni  Secondo i magistrati di due procure e la task force che da sei mesi indagano sulla vicenda, questo cocktail infernale è il protagonista della più grande sofisticazione alimentare mai scoperta in Italia. Perché con la miscela tossica sono state confezionate quantità mostruose di vino. Gli inquirenti ritengono che si tratti di almeno 700 mila ettolitri: sì, 70 milioni di litri messi in vendita nei negozi e nei supermercati come vino a basso costo anche dai marchi più pubblicizzati del settore. Un distillato criminale che ha riempito circa 40 milioni di bottiglie, fiaschi e confezioni di tetrapack d'ogni volume, offerte a un prezzo modestissimo: da 70 centesimi a 2 euro al litro.

L'inchiesta è tutt'ora in corso: solo una parte dei prodotti pirata è stata sequestrata perché è impossibile rintracciare tutte le bottiglie. Ma gli elementi raccolti dagli investigatori mostrano un sistema industriale di contraffazione che nasce dalla criminalità organizzata e alimenta le grandi cantine: le aziende coinvolte nello scandalo sono già 20. Otto si trovano al Nord: in provincia di Brescia, Cuneo, Alessandria, Bologna, Modena, Verona, Perugia. Il resto invece è sparso tra Puglia e Sicilia: le sorgenti del vino contraffatto e dei documenti che gli hanno permesso di invadere le botti. Perché con questo sistema criminale i produttori riuscivano a risparmiare anche il 90 per cento: una cisterna da 300 ettolitri costava 1.300 euro, un decimo del prezzo normalmente chiesto dai grossisti del vino di bassa qualità.

Retrogusto al metanolo L'istruttoria è nata partendo da uno dei soliti sospetti: una cantina di Veronella che 22 anni fa venne coinvolta dal dramma delle bottiglie al metanolo. Ricordate? Diciannove persone uccise mentre altre 15 persero la vista per colpa del mix a base di mosto e di un alcol sintetico, normalmente utilizzato nelle fabbriche di vernici: un liquido inodore e micidiale. Una tragedia che cancellò la credibilità della nostra enologia e stroncò l'export. Ma nello stabilimento di Bruno Castagna anche quella lezione sembra dimenticata. Quando nello scorso settembre scatta l'irruzione, gli agenti del Corpo forestale di Asiago e dell'Ispettorato centrale per il controllo dei prodotti agroalimentari trovano subito una situazione anomala: accanto alle cisterne c'erano taniche piene di acido cloridrico, altre con acido solforico e 60 chili di zucchero. Gli ispettori mettono tutto sotto sequestro e fanno esaminare campioni di vino bianco e rosso per capire cosa contengano. I test condotti nell'Istituto agrario di San Michele all'Adige e nel laboratorio di Conegliano Veneto dell'Ispettorato centrale forniscono lo stesso verdetto choc: in quel liquido di uva ce n'è circa un quinto, il minimo indispensabile per dare un po' di sapore. I test sono concordi: tra il 20 e il 40 per cento, non di più. E il resto? Acqua, concimi, fertilizzanti, zucchero, acidi. Sì, acidi: usati per mimetizzare lo zucchero vietato per legge. L'acido cloridrico e l'acido solforico vengono utilizzati per 'rompere' la molecola dello zucchero proibito (il saccarosio) e trasformarlo in glucosio e fruttosio, legali e normalmente presenti nell'uva. Un metodo che consente così di sfuggire ai controlli. Risultato: da una normale analisi non emergerà la contraffazione. I due acidi, assieme alle altre sostanze cancerogene, non uccidono subito, ma lo fanno progressivamente, in modo subdolo. L'acido cloridrico, comunemente chiamato acido muriatico, può provocare profonde ustioni se finisce sulla pelle, se ingerito è devastante.

A Veronella uno degli investigatori è svenuto per i vapori e sono stati chiamati i pompieri per rimuovere le scorte. Il titolare della cantina è stato arrestato per il reato di sofisticazione alimentare con pericolo della salute pubblica: di quel liquido ad alto rischio ne avevano ancora migliaia di litri. Ma il fascicolo aperto dal pubblico ministero di Verona Francesco Rombaldoni poco alla volta si è gonfiato di reati pesantissimi: l'associazione a delinquere per gli imprenditori vinicoli del Nord. Che diventa addirittura associazione mafiosa per i loro referenti meridionali.

Sacra cantina unita Partendo dai silos veneti gli agenti della Forestale sono arrivati ai fornitori della pozione micidiale. La pista conduce fino a Massafra in provincia di Taranto. Secondo l'accusa, l'intruglio proviene da due stabilimenti: la Enoagri export srl e la Vmc srl, vini, mosti e concentrati. Per gli inquirenti il gigantesco impianto della Vmc è stato costruito non per produrre vino, ma per fabbricare quantità industriali di quel mix velenoso: c'è un vero laboratorio chimico. Da lì l'inchiesta si allarga ancora e si estende in tutta Italia, con squadre di investigatori all'opera anche in Sicilia, mentre il coordinamento per il fronte Sud viene preso dal pm Luca Buccheri della Procura di Taranto. Pochi giorni fa il magistrato ha sequestrato i due stabilimenti, ma gli investigatori sono convinti che i titolari siano solo dei prestanome. Dietro di loro, in realtà, ci sarebbero gli investimenti della Sacra corona unità, il nucleo storico della mafia pugliese. E poiché ogni documento falso richiede altre coperture, altre aziende nelle mani della malavita avrebbero fornito certificati e ricevute per giustificare l'attività delle distillerie di veleno. Tutto finto: vino, forniture, bolle di trasporto, fatture. A Massafra è stata sequestrata la Tirrena Vini, definita dagli inquirenti una 'cartiera'. E sono spuntati documenti taroccati realizzati pure da ditte di Trapani, che hanno fatto ipotizzare un collegamento operativo con Cosa nostra siciliana. E per questo anche la Direzione investigativa antimafia è scesa in campo per intercettare i movimenti di capitali impegnati nell'operazione criminale.

Cocktail al veleno Una volta scoperte le sorgenti, gli specialisti della Forestale e dell'Ispettorato centrale per il controllo dei prodotti agroalimentari si sono messi a studiare tutti gli acquirenti della pozione. E hanno ricostruito la mappa di quella che definiscono la più grande frode mai scoperta in Italia: 70 milioni di litri di vino corretto o fabbricato con liquidi pericolosi per la salute. Viene creata una task force di investigatori e informato il ministero delle Politiche agricole. La miscela è finita nelle cantine di sei regioni: Lombardia, Piemonte, Veneto, Umbria, Puglia e Sicilia. I primi test avrebbero riscontrato lo stesso cocktail di Veronella: solo il 20-30 per cento è vino, il resto è composto dal solito intruglio di fertilizzante, concime, zucchero e acido made in Massafra. Ma a preoccupare ministero e inquirenti è soprattutto l'uso che ne avrebbero fatto due impianti, uno nel Bresciano e l'altro nel Veronese, che sono leader in Italia nell'imbottigliamento e nella vendita di vini a basso prezzo. Solo da questi due stabilimenti sono uscite milioni di bottiglie, di fiaschi e di cartoni destinati in massima parte al mercato nazionale.

È chiaro che a questo punto l'inchiesta assume una dimensione di alto impatto per l'economia italiana. Con il rischio di un danno d'immagine ben più grave di quello provocato dall'allarme sulla bufala. Per questo il vertice del ministero ha scelto una linea di massima cautela: sia per non compromettere gli sviluppi investigativi sul versante mafioso, sia per non infliggere un nuovo colpo alla credibilità dei nostri prodotti. Il settore basso del mercato è anche quello dove la concorrenza internazionale è più forte, con nuove nazioni che si lanciano con prodotti a prezzi infimi. Ma nonostante i sequestri, moltissime delle bottiglie sotto inchiesta restano in vendita: 'L'espresso' ne ha visto un intero stock in un centro commerciale del Nord-est.

D'altronde le quantità contraffatte accertate finora dagli investigatori non hanno precedenti: 700 mila ettolitri. Un record, che può inondare un'altra delle risorse nazionali con un fiume di vino dal retrogusto di acido muriatico.

(03 aprile 2008)

da espresso.repubblica.it
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