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Autore Discussione: Alitalia, metà la pagheremo noi (Berlusconi ci mette le mani in tasca. ndr).  (Letto 8230 volte)
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« inserito:: Marzo 20, 2008, 10:29:30 am »

ECONOMIA

L'Ad di Air France chiude: "Impossibile modificare la proposta"

Il Cavaliere rilancia Air One: "Con Banca Intesa anche Pier Silvio e Marina"

Alitalia, Spinetta blinda il piano Berlusconi: I miei figli con AirOne

La Cisl chiude la porta: "Così la trattativa è inagibile". I piloti: "Lotta dura"
 
La protesta dei sindacati


ROMA - L'accordo è ancora possibile nonostante i problemi emersi in questi giorni: Air France-Klm ha fiducia nelle possibilità di ripresa e di sviluppo di Alitalia e continua a considerare imprescindibile l'appoggio dei sindacati. Ma sul piano di acquisto dell'ex compagnia di bandiera italiana "i margini di manovra sono limitatissimi". Il presidente di Air France-Klm Jean-Cyril Spinetta blinda il piano, all'indomani del primo round con i sindacati di Alitalia.

Ma di traverso alle mire del gruppo franco-olandese si mettono, come era prevedibile, i sindacati con Raffaele Bonanni della Cisl che dice: "Così la trattativa non è agibile" e soprattutto Silvio Berlusconi che, a tarda sera mina Air France-Klm con un uno due devastante. "Spinetta con il mio veto dovrà rinunciare - dice il Cavaliere - e su Alitalia possono intervenire AirOne con Banca Intesa e, nella cordata altri imprenditori italiani fra cui anche i miei figli". Cgil e Cisl hanno chiesto a Romano Prodi un incontro "urgentissimo". "Bisogna evitare - scrivono i sindacati - l'aternativa fra il diktat di Spinetta e il fallimento". Mentre l'Anpac, il sindacati dei piloti, minaccia: "se restano tagli sarà lotta dura". Ma tutto succede prima del pesantissimo intervento di Berlusconi.

Le parole di Spinetta. "Se Air France-Klm in un periodo così difficile si assume un impegno così importante con una compagnia che da dieci anni non fa altro che perdere, è perché Alitalia ha tutte le carte in regola per andare avanti e per conoscere una forte crescita" ha detto Spinetta. "A partire dal 2010, una volta risanata, Alitalia avrà una crescita annua che sarà più forte di Air France-Klm, perché ha perso moltissime quote di mercato e non appena sarà di nuovo redditizia potrà riacquistarle".

Hub a Fiumicino, no a moratoria per Malpensa. Spinetta ha però ribadito che per tornare ad essere redditizia Alitalia debba non solo ristrutturarsi, ma anche "concentrarsi su Roma". Quanto a Malpensa, la proposta di moratoria non è accettabile per il presidente di Air France-Klm. "Il grosso delle perdite di Alitalia - ha rilevato Spinetta - è generato da Milano Malpensa. Io non ho partecipato al dibattito politico, ma con la responsabilità di un imprenditore devo dire che dal punto di vista industriale mi sembra ragionevole la scelta di concentrare il ruolo di Hub sull'aeroporto di Fiumicino".

2100 esuberi, per loro un piano sociale. Spinetta ha ricordato poi il numero degli esuberi di Alitalia Fly, 1600, ripetendo che si tratta di "una stima ragionevole", e assicurando che a favore dei lavoratori verrà messo a punto "un piano sociale esemplare. Mobiliteremo tutte le risorse possibili, dalla cassa integrazione, alla mobilità, agli incentivi finanziari". Agli esuberi di Alitalia Fly si aggiungono i 500 di Alitalia Servizi: in tutto circa 2100, ha concluso Spinetta.

Due miliardi di investimenti. In questa operazione- ha continuato- Air France-Klm è disposta a investire due miliardi di euro: "E' questa la nostra scommessa - ha detto - e per questo vogliamo investire 2 miliardi di euro di cui un miliardo è l'indebitamento che ci accolliamo e un miliardo è l'aumento di capitale". Però alle condizioni illustrate al governo italiano, ai sindacati e alla stampa: "Non siamo in presenza di un negoziato classico e quindi i margini per una trattativa sono inesistenti o piccolissimi".

Due anni di moratoria per i cargo. La flotta passeggeri dell'Alitalia "avrà una riduzione di 37 aerei passeggeri e quindi passerà da 174 a 137", ha detto ancora Spinetta, mentre per i cargo il piano di Air France-Klm propone "una moratoria per 3 aerei" sugli attuali 5 MD11 "tra l'estate 2008 e il 2010 per lasciare il tempo di trovare soluzioni economiche adeguate".

Nuovo incontro con i sindacati. Proprio questa mattina i vertici di Alitalia dopo una verifica con Spinetta hanno deciso di riconvocare alle 9 i rappresentanti dei lavoratori per riprendere il confronto.

Rischio commissariamento. Il margine per chiudere positivamente è però stretto e nel Consiglio dei ministri è riecheggiata la parola commissariamento. A paventare questo rischio, ha sottolineato il ministro della Solidarietà Paolo Ferrero, è stato il ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa. "La discussione è stata vivace - ha rivelato Ferrero - in alcuni casi anche dai toni molto accesi sulla modalità di gestione e sulla responsabilità che sono in capo a chi ha diretto la compagnia, da Cimoli a Prato, per i quali sono state previste clausole di salvaguardia".

Scontro Berlusconi -Prodi. E i toni si vanno infiammando anche nel confronto tra parti politiche. Il Cavaliere ha attaccato il modo in cui il governo ha condotto la vicenda parlando di "dilettantismo", ha aggiunto di auspicare che "una cordata di imprenditori italiani si impegni per rilevare la compagnia" e su Air France ha detto: "Irricevibile la proposta di Parigi". "Per chi si candida a guidare il Paese sono dichiarazioni irresponsabili" è il commento del ministro Pierluigi Bersani. Prodi attacca: "Di Alitalia si discute da tempo, è inutile dire che la trattativa con Air France non va bene. Berlusconi se non è d'accordo porti un'altra soluzione". "AirOne può essere una soluzione", è la controreplica del leader del Pdl che poi spiega tutto il piano compreso il coinvolgimento della sua famiglia e del suo gruppo.

Il titolo Alitalia sull'ottovolante. Un braccio di ferro che ha fatto correre il titolo Alitalia sull'ottovolante: se in apertura di seduta a Piazza Affari non è stato quotato per eccesso di ribasso, con le azioni della compagnia di bandiera che hanno segnato un calo teorico del 19%, nel pomeriggio la rotta è stata invertita e la sospensione delle trattazione è stata dettata da eccesso di rialzo. "Il mercato scommette su un possibile ritocco all'insù dell'offerta da parte di Air France", ha osservato un operatore.

(19 marzo 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #1 inserito:: Marzo 27, 2008, 08:10:18 am »

ECONOMIA

Intervista ad Andrea Boitani, professore di Economia Politica alla Cattolica

ex consigliere del ministero dei Traporti e redattore della voce.info

"Alitalia può avere un futuro solo in un grande gruppo"

Secondo l'economista "la cordata italiana è solo un'operazione di scambio"

di ROSARIA AMATO

 
ROMA - Debiti finanziari per oltre 1,7 miliardi, la liquidità ridotta all'osso (l'ultimo dato disponibile, al 31 gennario, era di 282 milioni), i tanti guasti conseguenza di una cattiva amministrazione e di un eccesso di corporativismo sindacale, aggravati dalle perdite di Malpensa. Ma non è solo per questo che Alitalia deve essere venduta a Air France-Klm, e nel più breve tempo possibile. La verità, spiega Andrea Boitani, professore di Economia politica all'Università Cattolica di Milano, redattore del sito lavoce.info e in passato consulente del ministero dei Trasporti, è che per compagnie come Alitalia non c'è più spazio nel mercato europeo. "Alitalia è un'azienda che così com'è non può rigenerarsi", spiega l'economista: "Se vuole rimanere sul mercato non può che entrare in un grande gruppo". E presto, anche: il commissariamento non è uno "spauracchio" agitato dal governo per giustificare le proprie scelte, come è stato detto in questi giorni dai sindacati e da alcuni esponenti del centrodestra. "Alitalia è una società di diritto privato", ricorda Boitani, per cui il fallimento può arrivare in qualunque momento, e per scelta dei creditori, non certo del governo. Quanto alla 'cordata italiana', l'economista la definisce "un'operazione di scambio politico che nulla ha a che vedere con il funzionamento di una compagnia aerea sul mercato globale".

Il ministro dell'Economia Padoa-Schioppa ha insistito sull'urgenza di risolvere la situazione di Alitalia nel giro di pochi giorni. Il ministro dei Trasporti Bianchi al contrario ha detto che "i dati ufficiali dicono che Alitalia ha liquidità per tutto il 2008. Secondo lei quanto può resistere Alitalia?

"I dati aggiornati sulla situazione economica non li ho. Però non ha senso dire che un'azienda che l'anno scorso ha perso 369 milioni di euro possa aspettare nove mesi. Alitalia sta perdendo liquidità giorno dopo giorno, e potrebbe trovarsi da un momento all'altro in una situazione di non operatività, anche i giorni contano. Ben presto potremmo trovarci in una situazione in cui nessuno può far nulla. Soprattutto se si tiene conto del fatto che dopo le elezioni ci sarà una pausa, in attesa che ci sia il nuovo Parlamento e che venga costituito il nuovo governo".

Quindi l'ipotesi del commissariamento non è uno spauracchio agitato dal governo?
"Non è corretto parlare in questo caso di scelta del governo. L'Alitalia non è un'azienda di Stato. Il governo non può decidere proprio niente, è una società di diritto privato, il governo è solo un azionista di minoranza. Se a un certo punto si dovesse attivare il commissariamento, verrebbe definito secondo la procedura normale. Si è creata una situazione di cui tutti parlano, il governo fa quello, fa quell'altro, ma è un insulto per gli azionisti Alitalia, che sono in maggioranza privati".

Quindi sbaglia anche chi chiede con insistenza in questi giorni un intervento pubblico?
"Certo, il governo non ha neanche la possibilità di mettere in campo soldi pubblici, lo vieta la normativa europea, tutto quello che può fare è facilitare la vendita della propria quota. Non potrebbe fare di più nemmeno se fosse un governo in carica, nel pieno dei suoi poteri".

Il sindaco di Milano Letizia Moratti e diversi altri esponenti politici hanno sostenuto che l'ipotesi del fallimento "non significhi per sé una catastrofe". Diverse compagnie aeree sono infatti fallite e risorte sia in Europa che negli Stati Uniti.
"Questa è una grandissima sciocchezza. Intanto il regime in Europa è diverso da quello degli Stati Uniti, per quel che riguarda le compagnie americane. E per quel che riguarda l'Europa, certo, per esempio la Sabena è rinata, ma con la metà del personale. In questi giorni si stanno alzando barricate sull'ipotesi di 2000 esuberi piuttosto che 1500. Se si andasse al fallimento, è molto probabile che rinascerebbe una compagnia aerea con 7000 persone in meno rispetto ai 15.000 attuali. Non è che la cosa sia così indolore. Senza tenere conto che nel fallimento gli azionisti ci rimettono punto, perché vengono dopo i creditori pubblici e privati".

Eppure da più parti si dice che quella di Alitalia è una svendita, che si sta dando via l'ex compagnia di bandiera quasi in saldo.
"Secondo me no, nel senso che l'offerta tiene conto di tutti i debiti che Alitalia ha, dell'esposizione finanziaria, e propone un investimento molto cospicuo per rilanciare l'azienda, che dispone di una flotta molto vecchia ed eterogenea. E' vero che il prezzo per azione è molto basso, però anche il prezzo per azione di Air France è crollato negli ultimi mesi, il fatto che il mercato sapesse che la compagnia intendeva affrontare quest'operazione in Italia ha pesato sul valore finanziario del gruppo".

Tenuto conto delle condizioni finanziarie attuali, Alitalia avrebbe potuto "rigenerarsi da sè", senza essere messa in vendita?
"Alitalia è un'azienda che così com'è non può rigenerarsi. Nemmeno è immaginabile che possa reggersi. Potrebbe forse trovare una linea di galleggiamento riducendo fortemente il suo raggio di azione, e trasformandosi in una low cost. Ma se vuole continuare a essere una compagnia tradizionale non può che entrare in un grande gruppo. Nel mercato europeo ci sono tre grandi operatori che aggregano le vecchie compagnie di bandiera. Si tratta degli operatori che sono riusciti a resistere e a crescere negli ultimi 20 anni diventando i leader, e cioè Air France-Klm, Lufthansa e British Airways. Non si vede come Alitalia possa sfuggire a questa situazione".

Quindi è soprattutto questo che mette fuori gioco l'offerta di Air One?
"Air One ha i suoi bravi problemi, non è un'azienda del tutto al sicuro, non è detto che l'attuale alleanza con Lufthansa non diventi qualcosa di più strutturato. E inoltre la differenza fondamentale è che Air One è una compagnia ancora regionale, tutt'altro modello. Grazie al fatto che il mercato interno è ancora relativamente protetto può permettersi di non essere una low cost, però si regge sulla tratta Milano-Roma, che al momento è in una situazione di duopolio, ma non lo sarà per sempre, questo è un settore mutabilissimo, le cose non stanno più come 15 anni fa".

Sono considerazioni che valgono anche per l'eventuale cordata italiana?
"Io non parlo di cose che non esistono. Quando ci sarà ne parleremo. Una cordata italiana al di fuori di una cordata internazionale è però una cosa che non sta sul mercato. Si tratta di un'operazione di scambio politico economico che nulla a che vedere con il funzionamento di una compagnia aerea sul mercato globale".

(26 marzo 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #2 inserito:: Agosto 28, 2008, 11:12:42 pm »

Alitalia, metà la pagheremo noi

Al governo basta il nome italiano

Veltroni: «Soluzione pericolosa»


A Berlusconi basta il nome. Basta che Alitalia resti «nelle mani degli italiani», non importano i settemila esuberi e i debiti della compagnia che restano sulle spalle dei contribuenti. Per lui, il salvataggio è fatto. Come per l’emergenza rifiuti a Napoli. «Non è nazionalismo fuori moda - ha voluto sottolineare Berlusconi - ma è indispensabile se si vuole che i turisti vengano in Italia piuttosto che in altri paesi del mondo; è indispensabile se si vuole che i nostri imprenditori e manager vadano all'estero senza essere penalizzati in termini di tempo e denaro». La nuova Alitalia parte, ma la vecchia viene rottamata alla faccia del mercato, in barba ai tanti creditori e alle norme antitrust, visto che il commissario potrà vendere le parti attive con trattative private.

La good company Gli imprenditori che compongono la cordata messa insieme da Intesa San Paolo e che incorporerà Air One l’avevano detto subito: noi entriamo, ma non vogliamo accollarci i debiti della vecchia Alitalia. È così cje la parte sana dell’azienda diventa la Newco, la società Compagnia Aerea Italiana, con a capo Roberto Colaninno, che investirà complessivamente 150 milioni di euro per il rilancio della compagnia. A Colaninno, presidente operativo della società, è stato conferito ogni più ampio potere per «negoziare termini, condizioni e modalità dell'operazione». Una quota di minoranza della nuova società potrebbe essere acquisita addirittura da Air France-Klm, la compagnia con cui sfumò la trattativa mesi fa: un portavoce del vettore franco-olandese ha fatto sapere che l’azienda è «pronta a rilevare una partecipazione di minoranza sul capitale, al fianco degli investitori riuniti dalla Banca Intesa SanPaolo».

La bad company Il commissario della vecchia società (bad company) sarà invece Augusto Fantozzi, che «si assumerà questo grave, difficile ma non impossibile compito», come spiegato dal ministro per la Funzione pubblica, Renato Brunetta. Avvocato tributarista e docente di diritto tributario, ed ex ministro nei governi Dini (1995) e Prodi (1996), Fantozzi, 68 anni, dovrebbe quindi trovarsi a gestire lo spacchettamento degli asset da conferire alla «nuova Alitalia» (che nascerà integrando le attività operative di Alitalia con la compagnia Air One, in una nuova società creata da una cordata di imprenditori italiani) e la difficile gestione dei debiti e degli esuberi che resteranno sulle spalle della società commissariata, che poi dovrà essere liquidata. È lo stesso Brunetta a non gridare vittoria: «È iniziata una fase operativa - ha spiegato - si sono palesati i 16 capitani più o meno coraggiosi con il relativo capitale, si è ragionato anche di partnership internazionali, ma la compagnia sarà italiana con capitale fresco, interessata a partnership e questo la dice lunga sul diverso sistema di approccio. Prima si svendeva ad unico acquirente e si svendeva la compagnia di bandiera, oggi si risana la compagnia di bandiera, la si dota di capitale fresco e di management privato interessato; si cercano e si troveranno partnership internazionali».

Gli esuberi I numeri non li fa nessuno. E il silenzio fa presagire che saranno proprio quei settemila lavoratori di troppo di cui si era parlato nelle anticipazioni. Berlusconi si limita a chiamarli «sacrifici» e assicura che «il personale in eccedenza non sarà abbandonato». Il ministro delle Infrastrutture Matteoli aveva ventilato la possibilità che gli esuberi in Alitalia fossero assorbiti dalla Pubblica amministrazione, ma Brunetta ha già fatto capire che la pensa molto diversamente. «È assolutamente esclusa ogni forma di riassorbimento degli esuberi Alitalia nella pubblica amministrazione o nelle Poste – ha detto – Non esiste alcuna forma di ammortizzazione sociale attraverso passaggi nella pubblica amministrazione o in aziende assimilabili come le Poste».

Gli hub Oltre a ridurre la flotta e ad aumentare l’orario lavorativo dei dipendenti che sopravvivranno alla bufera, nella NewCo spariscono anche gli hub: ci saranno solo sei aeroporti principali (Milano, Torino, Venezia, Roma, Napoli e Catania). E ora Berlusconi viene tirato per la giacca da due suoi uomini che temono disgrazie. Formigoni e Alemanno stanno già alzando le barricate perché né Malpensa né Fiumicino vengano ridimensionate. Il presidente della Lombardia: «Per una valutazione complessiva – dice Formigoni a proposito dell’operazione – occorre attendere il piano industriale e in particolare vedere se la nuova Alitalia, come mi attendo, ripudia gli errori della vecchia e quindi decide di ripartire proprio dalla Lombardia». Il sindaco di Roma: «Chiedo al Governo – si preoccupa Alemanno – un incontro immediato che coinvolga tutti gli altri Enti locali del nostro territorio per valutare l'impatto che il nuovo piano di ristrutturazione di Alitalia avrà sulla città di Roma».

Una compagnia di bandierina Una soluzione «confusa che non fa gli interessi del Paese» e che trasforma l'Alitalia in una «compagnia di bandierina»: questa l'opinione di Walter Veltroni, commentando le decisioni del Consiglio dei ministri e le prospettive del'azienda. «La vicenda Alitalia – sostiene il segretario del Pd – è lo specchio fedele di come il governo Berlusconi sia vittima della sua demagogia e della sua inadeguatezza. Il Partito democratico auspica ovviamente che da questa situazione si possa venir fuori con il minor impatto possibile sui livelli occupazionali ma non può e non deve far passare in secondo piano il suo dovere di dire chiaramente e con forza che quella prescelta dal governo rappresenta una soluzione pasticciata, confusa, pericolosa e che non persegue affatto l'interesse del nostro Paese». «Sono mesi - ricorda Veltroni - che il Pd lancia l'allarme sull'inqualificabile prospettiva di scaricare le perdite della compagnia sui contribuenti italiani, sugli azionisti e obbligazionisti della società, sui lavoratori dell'azienda e sulle loro famiglie. In questi giorni i più autorevoli commentatori economici italiani hanno ripreso queste osservazioni sollevando anche altri pesanti interrogativi, riguardo ad esempio; l'approvazione europea di questo piano. Sono tutti dubbi molto gravi e fondati che il governo ha il dovere di chiarire immediatamente nelle sedi parlamentari e che fanno ancor di più rimpiangere l'incredibile occasione perduta mesi fa quando la destra respinse scelleratamente, per miopi calcoli elettorali, l'accordo di fatto già raggiunto con Air France». «Rispetto a quelle prospettive, Alitalia e i cittadini italiani si trovano oggi davanti un futuro peggiore sotto tutti i punti di vista. E, alla faccia della tanto decantata difesa dell'italianità, il piano presentato ci consegna una compagnia di bandiera che di fatto diventa di "bandierina", con un inaccettabile ridimensionamento della capacità di espansione internazionale. Non era davvero questa - sottolinea - la nuova Alitalia che si sarebbe dovuta far nascere». «Le responsabilità del centrodestra sono state in questa vicenda enormi. Al di là degli escamotage comunicativi del governo, nessuno - conclude - potrà cancellare questa verità». Durissimo anche il commento del ministro ombra all’economia Pierluigi Bersani secondo il quale «sarà una compagnia più piccola, più domestica che dovrà cercare alleanze con Airfrance in condizioni meno favorevoli per noi, per i lavoratori, i consumatori e i risparmiatori».


Pubblicato il: 28.08.08
Modificato il: 28.08.08 alle ore 20.51   
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« Risposta #3 inserito:: Agosto 30, 2008, 11:36:50 pm »

Fantozzi: ci metto faccia e passione ma la politica non mi lasci solo

Roberto Rossi


Nonostante fosse nell’aria da giorni, la sua nomina è arrivata solo in serata. Augusto Fantozzi, ex ministro del governo Prodi, sarà il nuovo commissario Alitalia. Sarà lui «a metterci la faccia» e a maneggiare la patata bollente lasciata in eredità da Silvio Berlusconi: esuberi e debito. Con un’avvertenza, anzi due: una al governo, l’altra ai sindacati. Al primo chiede di «gestire» i licenziamenti. Ai secondi manda a dire che si più «ragionare», ma di farlo «in fretta».

Professore quando è stato contattato e da chi?
«Sono stato contattato qualche giorno fa direttamente da Gianni Letta».

Ha accettato subito o ha posto delle condizioni?
«Ho accettato subito a condizione, però, mi si dessero gli strumenti e ci fosse una sorta di sostegno pubblico all’attività del commissario.
Che il commissario, cioè, potesse lavorare serenamente».

Che non fosse lasciato solo...
«Esatto. È questo il messaggio forte che vorrei far passare: la politica mi aiuti. Non è una partita facile. Anche perché la vicenda è stata fatta marcire per lunghissimo tempo. Io sono uno che deve portare la croce facendo soffrire tutti il meno possibile: i dipendenti, gli azionisti, i detentori di bond, gli italiani che pagano le tasse, gli utenti. In questa vicenda io ci metto l’unica cosa che ho: una faccia decente. Se me la fanno spendere onestamente forse troveremo una soluzione che faccia meno male».

Ha visto il Piano Fenice elaborato da Intesa Sanpaolo?
«Io il piano l’ho poco più che letto sui giornali. Mi è stato spiegato, più che altro».

Da quello che ha letto o ha appreso può stare in piedi?
«Secondo me si regge. È un piano che è stato fatto bene e da consulenti responsabili. Poi dipende molto dagli uomini e dal contesto. Se il petrolio va a duecento dollari sarà molto dura. Ma in questo caso, sarà molto dura per chiunque».

Qual è il maggiore problema che individua nel suo incarico?
«Il problema più drammatico è quello che devo entrare in un aereo in corsa. Tutto si tiene se si riesce a non interrompere il servizio, a non lasciare gli italiani a terra, a non farsi bloccare gli aerei fuori dall’Unione europea, cioè a chiudere tutto prima che il paziente muoia». Quali poteri avrà? Sarà un mero curatore fallimentare?
«Io faccio il notaio con poteri operativi. Devo assicurare con trasparenza, come dice il decreto, il realizzo degli asset e la sistemazione delle pendenze. Tutto nel migliore dei modi. Naturalmente con funzione liquidativa, almeno per la bad company».

Ci sono attività da valorizzare nel gruppo?
«C’è un’azienda che vola, naturalmente, che accumula perdite, ci sono delle attività immobiliari e poi ci sono degli ulteriori aerei che non entrano a far parte del perimetro di quell’offerta. Ma aspettiamo di conoscere bene il piano».

Che tempi ha in mente per la realizzazione del suo compito?
«In questo momento non sono in grado di fare una previsione. Dico solo che il tempo gioca contro di noi. Lei ha presente la velocità degli aerei? Gli aerei volano e non si possono fermare, gli stipendi corrono e, possibilmente, non si devono interrompere, la benzina va pagata. Si deve fare presto».

Nella sua lunga esperienza, anche da ministro, è stato mai chiamato a gestire un caso così complesso?
«Ne ho avuto uno simile quando nel 1995, da ministro delle Finanze, gli autotrasportatori bloccarono l’Italia perché volevano la restituzione della fiscalità sulla benzina. La trattativa fu un incubo. Avevo l’angoscia che si bloccasse l’Italia».

E oggi?
«Un po’ di timore ce l’ho, è naturale. Ma Alitalia non si può fermare».

A chi le obietta che in passato è stato anche ministro del governo Prodi che cosa risponde?
«Che ne sono stato molto lieto e molto orgoglioso. Io resto delle mie convinzioni e ho la mia libertà di pensiero che rivendico. Ma sono un professionista che fa il suo mestiere modestamente e senza iattanza. Credo che questo sia stato apprezzato».

Fantozzi non è stato sedotto da Berlusconi, quindi?
«Assolutamente no. Fantozzi non è un voltagabbana. Come qualsiasi professionista Fantozzi stima e ringrazia coloro che apprezzando la sua professionalità gli hanno dato fiducia».

Professore, tra i suoi compiti di commissario c’è anche quello di gestire gli esuberi. Ha fissato già un incontro con i sindacati?
«Lo ha fatto il ministero del Lavoro. Ci incontreremo lunedì».

Affiancherà il ministro Sacconi?
«Sì. Ma il capofila è il ministro del Lavoro. Poi eseguirò e parteciperò all’accordo, ma sarà Sacconi a negoziare».

I sindacati di Alitalia sono già sul piede di guerra. Che si aspetta da loro?
«Mi aspetto ragionevolezza. Nel senso che mi aspetto che ragionino e noi, naturalmente, siamo pronti a ragionare con loro. Senza inciuci e consociativismi di sorta. Ma con un’avvertenza: nel ragionare non possiamo metterci troppo tempo. Gli aerei devono volare. L’esperienza Air France credo che abbia ammaestrato tutti».

Si parla di 6-7mila esuberi. Come si fa a gestire un’emergenza così vasta?
«Questo è un problema doppio. Perché non sono spalmati su tutto il territorio nazionale. Ma non si può chiedere al solo commissario di gestirlo».

È un problema che riguarda il governo?
«Certo. È un problema di dimensione nazionale che va risolto cercando di fare meno danni possibili».

Ecco, professore, in definitiva ma chi glielo ha fatto fare?
«È quello che mi domandano in famiglia. Però io ho 68 anni, sono un civil servant, un servitore dello Stato, e sono abituato a mettermi alla prova. Dimostrerò anche questa volta che è una cosa che si può fare. Non per me o per altri, ma per gli italiani».

Pubblicato il: 30.08.08
Modificato il: 30.08.08 alle ore 8.17   
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« Risposta #4 inserito:: Settembre 01, 2008, 11:27:33 am »

«La nuova Alitalia? Né a destra né a sinistra»


«Da sempre ci muoviamo così senza badare al colore della coalizione che governa il Paese — dice l'amministratore delegato di Banca Intesa Sanpaolo —. Chi sia il presidente del Consiglio e quale la maggioranza che lo sostiene, al fine delle nostre decisioni è irrilevante.
Anche al governo Prodi abbiamo offerto la nostra collaborazione sul dossier Alitalia, ma non si sono create le condizioni».


MILANO - «E' un piano serio, è un piano che può permettere ad Alitalia di tornare a competere e crescere sul mercato. E' un piano difficile, perché difficilissima è la situazione in cui si trova Alitalia. Non è paragonabile al piano di Air France, perché quest'ultimo faceva scomparire Alitalia come azienda autonoma e comunque era prima della crisi del petrolio che ha fatto fallire decine di linee aeree e che la Iata definisce paragonabile a quella post 11 settembre. Anche il presidente di Air France, Spinetta, mi ha confermato che la loro proposta sarebbe stata del tutto inadeguata a risanare Alitalia alla luce degli eventi successivi. In ogni caso se ci saranno offerte migliori il commissario le valuterà sicuramente».
Ma cosa qualifica il piano rispetto alle precedenti ipotesi?
«Il raggiungimento, grazie ad AirOne, di una dimensione sufficiente per il rilancio del vettore sul mercato non solo domestico, ma anche internazionale. La produttività e un servizio che saranno in linea con i migliori concorrenti. Il completo rinnovo della flotta unito al ridisegno del network per soddisfare le esigenze del mercato italiano. E poi una grande alleanza internazionale».
Eppure la critica che vi viene rivolta è di far arretrare la cultura di mercato.
«Al contrario, è un piano di mercato ed è finalmente una privatizzazione di Alitalia da tanti anni tentata e mai riuscita. Credo nel libero mercato e credo di aver contribuito allo sviluppo della concorrenza sia ai tempi della telefonia mobile, che alle poste, che in banca. Se oggi l'Italia ha due banche tra le prime del mondo è grazie alla formidabile iniezione di concorrenza che si è saputo introdurre nel settore. Privatizzazioni e liberalizzazioni che hanno portato al consolidamento, alla crescita e a uno standard di innovazione mai viste precedentemente».
Ammetterà che il rilancio dell'Alitalia avviene però sotto il segno della cultura dei campioni nazionali e della deroga alle norme antitrust.
«Ogni settore ha le sue regole del gioco e non esistono schemi di privatizzazione validi per tutti. Ogni grande compagnia europea è prima di tutto campione nazionale a casa propria, con posizioni dominanti che arrivano in qualche caso al 90%, come in Francia. La nuova Alitalia arriverà a meno del 60% ed in ogni caso l'Antitrust vigilerà. Se poi lei si riferisce alla tratta Roma-Milano il vero concorrente è il treno che in un paio di anni potrà raggiungere anche il 50% del mercato».
Il rischio però è che si tratti di una privatizzazione pagata dai consumatori.
«Non sarà così. Il nostro piano è nell'interesse sia dei consumatori sia dei cittadini. E' nell'interesse dei consumatori perché migliora il servizio e aumenta l'efficienza. Tiene conto anche degli interessi della comunità nazionale. Salvaguardare l'italianità della compagnia di bandiera serve a rafforzare le chance dell'Italia in campo turistico e renderla più aperta agli scambi e all'internazionalizzazione. Sono valori economici anche questi».
Italianità? Ma Air France o Lufthansa o British Airways potrebbero fare un calcolo di questo tipo: mettiamo un piede dentro pagando solo il 10% e poi domani facciamo il colpo dando un po' di soldi agli imprenditori e ci prendiamo tutto. Nel frattempo il "lavoro sporco" lo avranno fatto gli italiani. Qualcuno è arrivato a evocare il paragone con l'ingresso di Telefonica in Telco.
«A parte che l'operazione Telefonica- Telco aveva ed ha una sua logica di cui non ha senso parlare in questa sede, il paragone è comunque sbagliato. La stragrande maggioranza del capitale di Alitalia resterà in mani italiane e tutti gli azionisti hanno accettato di vincolarsi per cinque anni. Noi abbiamo creato le condizioni perché nel 2013 arrivi una compagnia tricolore viva, più efficiente, più competitiva. A seconda di come sarà l'industria del volo allora sarà possibile tracciare il miglior futuro per questa compagnia».
Si dice che gli imprenditori che sono entrati in Alitalia hanno realizzato una sorta di scambio con la politica. Eugenio Scalfari lo chiama "imbroglio". Puntano una fiche sugli aerei ma intanto ricavano migliori condizioni nelle concessioni autostradali, fanno il pieno dei lavori dell'Expo e godono di tanta tanta benevolenza governativa.
«E' una insinuazione sbagliata, pregiudiziale e non vera. Tutti gli azionisti hanno esaminato con grande attenzione il piano ed hanno deciso di investire perché lo apprezzavano come imprenditori e per i risultati economici che si propone di raggiungere. Certamente tutti hanno dato importanza anche al fatto di poter contribuire ad un progetto utile per il nostro Paese, ma la valutazione fondamentale è stata per tutti di tipo imprenditoriale. Guardando la lista di investitori, la maggioranza non ha neanche rapporti con il mondo pubblico».
Ma la figura di Roberto Colaninno primus inter pares non rischia di compromettere l'equilibrio della compagine azionaria?
«Tutti si sono riconosciuti nella scelta di nominare Colaninno presidente e Sabelli amministratore delegato. Sabelli ha condiviso fin dall'inizio le scelte del piano e ha contribuito alla sua messa a punto. Quando anche Colaninno si è aggiunto alla squadra si è potuto riformare un tandem che ha già conseguito grandi risultati in altre operazioni. Contiamo poi sul contributo di tutti gli azionisti e, in particolare, saranno importanti la competenza e le professionalità apportate da Carlo Toto. Senza AirOne l'operazione non sarebbe stata possibile e non avremmo le dimensioni necessarie, gli aerei, la quota di mercato per riuscire».
Quale sarà il ruolo di Intesa?
«Nelle ultime settimane abbiamo svolto un ruolo strategico di pianificazione e coordinamento del progetto. A questa prima conclusione positiva si è arrivati innanzitutto grazie all'impegno di Gaetano Micciché e del suo gruppo di lavoro e poi di tutti gli imprenditori che hanno creduto in questo progetto. Ora come Intesa Sanpaolo assumiamo il ruolo di azionisti insieme agli altri».
E il dibattito interno al gruppo Intesa Sanpaolo come prosegue? La stampa ha parlato di visioni diverse tra il Consiglio di Sorveglianza e quello di Gestione con il timore da parte del primo di favorire eccessivamente il governo Berlusconi.
«La dialettica è sempre utile per arrivare a decisioni giuste e condivise. Sia il Consiglio di Gestione che quello di Sorveglianza hanno interpretato al meglio il proprio ruolo e fornito il loro contributo. Tutte le scelte su quest'operazione sono state fatte all'unanimità sia nei due consigli sia nei comitati strategici della banca. Non è mai sorto il problema del cui prodest, ma si è discusso sempre e solo della validità del progetto, così come nei molti altri casi in cui la banca ha impegnato del capitale per rendere possibili grandi progetti di ristrutturazione e rilancio di aziende italiane».
Un indirizzo che avete seguito e seguirete con tutti i governi?
«Da sempre ci muoviamo così senza badare al colore della coalizione che governa il Paese. Chi sia il presidente del Consiglio e quale la maggioranza che lo sostiene, ai fini delle nostre decisioni è irrilevante. Anche al governo Prodi abbiamo offerto la nostra collaborazione sul dossier Alitalia, ma non si sono create le condizioni ».
A suo tempo la banca sostenne la proposta d'acquisto da parte di AirOne.
«Seguiamo la vicenda da due anni. In una prima fase abbiamo sostenuto l'offerta AirOne ma non si è creduto nella bontà del nostro piano e non siamo stati ammessi neanche alla due diligence. Nella fase successiva in cui la crisi di Alitalia si è aggravata e siamo entrati in una fase diversa e più critica. La somma Toto più Alitalia non era più sufficiente per affrontare l'emergenza Alitalia e i nuovi prezzi del carburante; servivano altre energie imprenditoriali e le abbiamo trovate. L'Alitalia, per poter attirare capitali, aveva bisogno di un risanamento e riorganizzazione ancor più profonda».
Lei la chiama riorganizzazione profonda ma i suoi critici dicono che si tratta di un revival della vecchia e perniciosa attitudine italiana a privatizzare i benefici e a socializzare i costi. Addossando allo Stato esuberi di personale, indennizzi ai piccoli risparmiatori e quant'altro.
«Penso solo una cosa: il fallimento dell' Alitalia scaricherebbe sulle spalle dello Stato oneri di tutti i tipi. Qualcuno fa finta di dimenticarselo e dimentica anche che la compagnia è stata ridotta in fin di vita da anni e anni di cattiva gestione e di responsabilità diffuse».
Si parla molto in questi giorni di una collaborazione tra il governo di centro- destra e le più importanti realtà imprenditoriali e bancarie del Paese. C'è chi è arrivato a paragonare il piano di risanamento Alitalia alla commissione Attali varata in Francia dal governo Sarkozy. E del resto anche lei in più occasioni e in tempi non sospetti ha sostenuto che una esperienza à la Attali avrebbe fatto bene all'Italia.
«Accetto il paragone almeno in parte. La commissione Attali è stato sinonimo di un impegno no partisan, di interventi economici e infrastrutturali coordinati in vari settori, di progetti di lungo termine che mobilitano risorse pubbliche e private. Anche in questo caso la ristrutturazione di Alitalia non potrà, ad esempio, prescindere da una riorganizzazione del sistema aeroportuale. L'Alitalia non è né di destra né di sinistra. Questo è il nostro modo di lavorare».
Ma la logica Attali può estendersi dall' Alitalia anche ad altri progetti. Senza essere particolarmente originale penso alle infrastrutture…
«Ci sono progetti Paese che vanno sicuramente al di là dei tempi della politica. Ci sono opere nel campo della scuola, della giustizia, dei trasporti che ogni governo dovrebbe portare avanti facendo il suo pezzo di strada. Credo sinceramente che questo sia l'auspicio di moltissimi italiani, che magari non hanno mai sentito parlare di Attali, ma che vogliono vedere i problemi risolti e non ricominciare da capo in una direzione diversa ad ogni cambio di governo».
Non tutti ricordano che in definitiva è stato il sindacato a bocciare il vecchio piano Spinetta e ad affossare l'ipotesi Air France, non teme che possa accadere lo stesso anche questa volta con il piano Intesa?
«Tutti i progetti di risanamento e rilancio che ho vissuto, li ho condivisi con il sindacato. La mia esperienza dimostra che anche in caso di ristrutturazioni aziendali difficili, di fronte a piani credibili, onesti e di sviluppo il sindacato non si è mai tirato indietro. Confido che anche questa volta vada così e che si abbia il coraggio di fare in Alitalia ciò di cui l'azienda ha bisogno e che non ha fatto negli ultimi anni».


Dario Di Vico
01 settembre 2008

da corriere.it
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« Risposta #5 inserito:: Settembre 03, 2008, 12:15:21 pm »

ALITALIA: CHI HA PERSO LA SCOMMESSA

di Michele Polo 02.09.2008


Presentato come una scommessa vinta per il paese, il Piano Fenice sembra invece un vistoso passo indietro rispetto alla proposta Air France-Klm, fatta naufragare in marzo. La nuova Alitalia sarà un vettore incentrato sul mercato italiano, con un sostanziale monopolio sulla rotta Milano-Roma per la fusione delle attività con Airone. In più, l'intera operazione è caratterizzata da un bassissimo grado di trasparenza. Ma a suscitare preoccupazione è soprattutto il modo in cui i media hanno affrontato la questione.

Conclusi i festeggiamenti, diradato il fumo dei mortaretti, raccolti i cocci di qualche magnum di champagne, è forse il momento di fare qualche semplice conto per valutare se la soluzione prospettata per Alitalia con il Piano Fenice e con la cordata di imprenditori, rappresenti per il paese un successo, “una scommessa vinta” nelle parole del premier Berlusconi. O non sia invece un vistoso passo indietro rispetto all’opportunità che fino a marzo era sul tavolo con l’offerta Air France-Klm, fatta naufragare dall’allora candidato premier Berlusconi e dai sindacati. Perché se è chiaro che la vicenda Alitalia non si è certo conclusa con le novità di questi giorni, ed è ancora appesa a molti elementi di incertezza, è altrettanto chiaro che la responsabilità politica che il centrodestra e i sindacati si sono assunti facendo naufragare l’operazione Air France non può che essere valutata alla luce dell’esito ora proposto.

IL PIANO AIR FRANCE-KLM

Il piano di Air France approvato dal consiglio di amministrazione di Alitalia il 15 marzo 2008 prevedeva l’acquisto di Alitalia, il mantenimento del marchio e la presa in carico della sua difficile situazione debitoria, con una valutazione bassa purtroppo in linea con il mercato. Questa avrebbe portato comunque nelle casse dello Stato circa 300 milioni di euro.

Il piano industriale, finanziato con un aumento di capitale per 1 miliardo di euro garantito da Air France-Klm, comportava l’abbandono di Malpensa come secondo hub nazionale e lo spostamento e rafforzamento di molti voli su Fiumicino, hub italiano del nuovo gruppo assieme a Parigi e a Amsterdam, e la cancellazione dei voli in perdita in Italia, Europa e nel resto del mondo, pur mantenendo una dimensione internazionale alla compagnia. La flotta Alitalia avrebbe subito una forte ristrutturazione con la progressiva dismissione dei vecchi vettori.
Il contenimento dei costi operativi era affidato anche allo spostamento di alcune attività di servizi a terra da Alitalia Servizi al nuovo gruppo con esuberi di circa 1.600 addetti e la progressiva chiusura della attività cargo fortemente in perdita. Meno chiari gli ulteriori esuberi dalla ristrutturazione dei servizi esterni al nuovo gruppo, che sarebbero rimasti a Fintecna. Il perimetro aziendale ed economico di queste attività esterne sembra tuttavia più ristretto rispetto alla bad company oggi in discussione

IL PIANO FENICE

Il Piano Fenice presentato in questi giorni separa le attività di Alitalia conferendo a una bad company le attività in perdita e la situazione debitoria, con una collocazione a oggi non del tutto definita se non nella certezza che i debiti di Alitalia, stimati in oltre 1 miliardo di euro, verranno a gravare sui contribuenti italiani. L’apporto di capitali freschi è comparabile a quello del progetto Air France, se la cordata di imprenditori italiani confermerà i propri impegni per circa 1 miliardo di euro.
Il piano industriale e il profilo strategico della nuova compagnia si allontanano invece fortemente dalla collocazione che Alitalia avrebbe avuto, nell’ipotesi francese, come parte di uno dei principali gruppi internazionali. L’Alitalia partorita dal Piano Fenice sarà un vettore incentrato sul mercato italiano e con una riorganizzazione dei voli interni su sei scali principali (Roma, Milano, Torino, Venezia, Napoli e Catania) e vedrà la fusione delle attività con il secondo vettore italiano, Airone, costituendo in questo modo un sostanziale monopolio sulla rotta Milano-Roma, il boccone più ghiotto del mercato italiano. Questo modello di business risulta per sua natura fortemente esposto alla congiuntura nazionale, in un paese che non brilla nel panorama europeo per i suoi tassi di crescita, e tende a competere nei collegamenti point to point con le compagnie low cost già oggi presenti su numerose tratte italiane. Per dirla in modo sfumato, al di là dei trionfalismi di questi giorni, il piano industriale proposto non costituisce una prospettiva di sicuro successo negli anni a venire.
Infine, la ristrutturazione e il contenimento dei costi porteranno a esuberi finora quantificati in 7mila unità, con l’applicazione di ammortizzatori sociali e ricollocazione in altre attività su cui per ora nulla è dato sapere.
Non a caso, gli imprenditori che partecipano alla cordata hanno posto alcune condizioni per unirsi alla partita: l’individuazione di un partner internazionale, presumibilmente Lufthansa o Air France, che comunque oggi manca, la sospensione della normativa antitrust nella valutazione dell’operazione, applicando per la prima volta l’articolo 25 della legge italiana, e la riforma della legge Marzano per favorire il passaggio dalla vecchia Alitalia ai due gemelli, il gemello buono che andrà alla cordata degli imprenditori italiani e il gemello cattivo, la bad company, in dote ai contribuenti.

CHI HA VINTO LA SCOMMESSA?

Oltre che per queste misure ad hoc, l’intera operazione resta caratterizzata da una bassissima trasparenza. Abbiamo a suo tempo criticato il modo poco trasparente con cui, sotto il governo Prodi, si era gestita l’asta e la ricerca di un acquirente. Ma va detto che quei passaggi sembrano aria cristallina rispetto agli ovvi interrogativi che ci si pone in merito ai rischi dell’operazione odierna. Operazione che entra in forte conflitto con le normative europee e gli impegni a suo tempo assunti da Alitalia con l’aumento di capitale del 2004 e con il prestito ponte di questa primavera. Come pensino gli imprenditori della cordata di coprirsi dai rischi di un intervento di Bruxelles non è dato sapere. Come non è chiaro se esistano tavoli di compensazione a cui almeno alcuni dei partecipanti alla cordata pensino di accedere nel proprio business principale in cambio della buona volontà dimostrata.
È notizia degli ultimi giorni che Air France ha manifestato un interesse a riaprire il dialogo e anche ad assumere eventualmente una partecipazione di minoranza. Tutto ciò non sorprende, dal momento che, rispetto al piano che aveva presentato a primavera, Air France si troverebbe a trattare senza doversi accollare i debiti di Alitalia, potendo contare su margini elevati nel mercato interno derivanti dalla posizione dominante che a compagnia acquisterebbe nel mercato interno attraverso la fusione con Airone, e con una riduzione del personale ben più ampia di quella che aveva inizialmente prospettato.
Per contro, i cittadini italiani pagheranno i debiti Alitalia e i costi sociali dell’assorbimento dei forti esuberi, e pagheranno più cari i biglietti sul mercato interno. Verrebbe da dire, per richiamare le parole del presidente del Consiglio, che a vincere la scommessa sarà probabilmente Cyril Spinetta, il capo di Air France, ma chi da oggi la scommessa l’ha già persa sono i cittadini italiani.
Un’ultima postilla a questa vicenda. Il semplice confronto tra quanto oggi viene prospettato agli italiani e quanto invece quattro mesi fa è stato fatto scientemente naufragare, tra il Piano Fenice e il piano Air France, non è rintracciabile, con pochissime eccezioni, sulla stampa italiana. Quasi nessuno tra i giornali di opinione ha ricordato in questi giorni cosa era la famosa “svendita” allo straniero, quasi nessuno ha messo il lettore nella condizione di formarsi una opinione se veramente la scommessa era vinta o persa. L’informazione ha presentato l’operazione Alitalia con un unanimismo, una mancanza di equilibrio e un appiattimento quasi aziendale che segnalano un problema grave per la formazione dell’opinione pubblica e per il pluralismo. Su questo occorrerà tornare al di là della vicenda Alitalia.   

 
da wwww.lavoce.info
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« Risposta #6 inserito:: Settembre 03, 2008, 12:18:45 pm »

3/9/2008
 
Il conflitto d'interessi vola Alitalia
 
 
 
 
 
ECONOMISTI DI WWW.NOISEFROMAMERIKA.ORG*
 
Caro direttore,
nei molti commenti sulla stampa di questi giorni dedicati alla vicenda Alitalia si è a nostro avviso mancato di notare il grave conflitto di interessi di due tra gli imprenditori che fanno parte della cordata organizzata dal governo.

La presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, nello svolgimento delle sue funzioni, è in continua contrattazione con il governo su questioni che le permettono di avvantaggiare la nuova compagnia aerea di cui sta per diventare azionista. Inoltre, in un sistema economico come quello italiano in cui la politica economica risulta dalla contrattazione tra governo, sindacati e Confindustria, le scelte di Confindustria hanno rilevanza e valenza nazionale. In buona sostanza, la presidenza di Confindustria è una importante carica pubblica. Diventa pertanto cruciale che i giudizi e le scelte di politica economica espressi da Confindustria non siano influenzati dall’interesse a mantenere accesso alle rendite monopolistiche che il governo sta esplicitamente concedendo (in deroga alla normativa anti-trust) per gli azionisti di Compagnia Aerea Italiana.

Infine Confindustria, per opera della sua presidente, dovrebbe adoperarsi per lo sviluppo della capacità produttiva e della concorrenza nel settore dei trasporti. Dallo sviluppo del settore trarrebbero ovvio vantaggio le aziende associate a Confindustria per le quali i costi di trasporto sono una partita di rilievo. In quanto azionista dell’azienda di trasporto aereo che detiene al momento una posizione dominante sul territorio nazionale, Marcegaglia avrebbe invece tutto l’interesse economico e personale a far sì che tale concorrenza non si sviluppi, che le strutture aeroportuali non vengano ampliate per permettere l’entrata di altre compagnie, che i prezzi del trasporto aereo italiano crescano invece di diminuire, che non si sviluppi un sistema integrato e funzionale di treni ad alta velocità eccetera. Il conflitto d’interessi è plateale.

In grave conflitto di interessi sono anche Roberto e Matteo Colaninno. Il primo sarà azionista di rilievo di Compagnia Aerea Italiana, mentre il figlio Matteo è deputato del Pd e ministro ombra per lo Sviluppo Economico del medesimo. Il fatto che non si tratti della stessa persona a ricoprire i due incarichi, ma di padre e figlio, non cambia la sostanza della cosa. Matteo Colaninno è infatti socio in affari del padre. A parte ciò, è ovvio che beneficerà in quanto erede delle ricchezze paterne. La posizione del padre in Alitalia non può non influenzare il giudizio e l’agire politico del figlio. Se i Colaninno operassero in settori economici in cui la mano pubblica italiana non entra e in cui sono i mercati e la concorrenza internazionale a determinare il successo o il fallimento di un’azienda, tutto questo non costituirebbe problema. Ma così non è. Ne risulta che Matteo Colaninno, mentre ricopre una carica pubblica, nell’esercizio di deputato e ministro ombra, si occupa di questioni che influenzano la redditività degli investimenti che lui e la sua famiglia compiono in qualità di imprenditori. Inoltre, egli potrebbe, nel giro di cinque anni, assumere cariche di governo esattamente in quelle aree di competenza. Il conflitto d’interessi è, di nuovo, abbastanza plateale. In entrambi i casi il conflitto di interessi sarebbe meno grave se Alitalia operasse in condizioni di libero mercato e se la cordata di «salvataggio» fosse stata costituita secondo trasparenti regole di mercato. Ma così non è. Non resta che prendere atto del conflitto di interessi e chiederne la risoluzione, cioè la scelta tra la partecipazione alla cordata e il mantenimento della carica pubblica.

*Economisti, redattori del blog www.noisefromamerika.org, ALBERTO BISIN, MICHELE BOLDRIN, SANDRO BRUSCO, ANDREA MORO, GIORGIO TOPA
 
da lastampa.it
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« Risposta #7 inserito:: Settembre 07, 2008, 10:38:37 am »

Una Compagnia Last Minute

Nicola Cacace


La soluzione del problema Alitalia è stata trasformata da Berlusconi in un’operazione Last Minute, prendere o lasciare, approvare il piano predisposto da Intesa S.Paolo o portare l’azienda al fallimento.
Il piano descrive una Alitalia a dimensione regionale, forte su un mercato domestico con bassi tassi di crescita e debole sul mercato europeo ed intercontinentale ad alta crescita. Alitalia sarà la più piccola tra le compagnie europee di Francia, Gran Bretagna, Germania e Spagna, con una garanzia di “italianità” valida per alcuni anni, non certo per sempre.

Cosa significa infatti che gli industriali della cordata italiana potranno cedere le azioni dopo cinque anni? A chi le possono cedere se non ad una delle tre “big companies” presenti in Europa: British Airways, Air France o Lufthansa? E qui sorge il primo interrogativo tra chi, come Colannino, giustamente ammette che un’operazione di vero rilancio di Alitalia non potrà avvenire senza l’intervento di una “big airline” europea e chi, come Berlusconi, Bonanni, i leghisti e altri poveri illusi offrono e chiedono garanzie per il mantenimento dell’italianità.

Chi conosce appena la storia delle crisi di compagnie aeree europee ed americane degli ultimi venti anni sa benissimo che nessuna, dico nessuna, delle soluzioni è andata in porto senza l’ingresso, in posizione di dominio manageriale e/o azionario di una grande compagnia di trasporto aereo. È successo nel 1999 per Iberia, quando lo Stato proprietario (la Spagna) vende il 40% in suo possesso ad un nocciolo duro - British Airways, American Airlines, Bbva e altri -: nel 2001 lo Stato scende al 5% e British Airways va al 13,5% con controllo manageriale. Se dieci anni fa Alitalia superava Iberia, oggi la situazione è capovolta: nel 2006 si sono contati 24,1 milioni di passeggeri per Alialia e 27,2 milioni per Iberia. È successo poi per le crisi di Swissair e Sabena, finite nella cucina di Lufthansa, mentre anni prima l’olandese Klm era stata costretta ad accettare l’abbraccio di Air France. Colannino, da industriale esperto, conosce bene questi dati, tanto che nell’intervista al direttore di Repubblica ha lasciato chiaramente intendere le intenzioni di vendere le quote dopo aver rilanciato la società. E a chi vender se non ad una delle “big” europee? Questo il primo punto di confusione e imbroglio tra Berlusconi ed alleati che parlano di italianità e la realtà dei fatti. Anche perché il primo motivo dell’opposizione al piano Air France era stato proprio la difesa dell’italianità. Altro punto di incredibile imbroglio è quello degli esuberi. Si sono dati numeri al Lotto escludendo addirittura dal computo 3000 dipendenti a tempo determinato che da anni lavorano per Alitalia. Riassumendo, di fronte a quasi 7mila licenziamenti si parla solo di 3.250 esuberi. Mentre nel piano Air France nessuno aveva barato sui numeri, mettendoli tutti in chiaro.

Un giorno qualcuno ci spiegherà perché Berlusconi ha fatto fallire il piano Air France parlando addirittura di svendita allo straniero quando poi: a) lo straniero non è escluso dal piano attuale, se si vuole che Alitalia torni ad essere inserita in un circuito internazionale che conta; b) i debiti Alitalia, che Air France avrebbe pagato con proprio capitale con la soluzione attuale sono interamente accollati alla comunità nazionale; c) gli esuberi previsti nel piano Air France erano leggermente inferiori a quelli del piano Intesa, anche se il governo cerca di far apparire numeri più bassi facendo finta di ignorare sia i lavoratori a tempo determinato sia quelli della zona “grigia”, settore Cargo, servizi ausiliari, manutenzione, etc. In conclusione anche nel caso Alitalia, come in tanti altri casi, Berlusconi ha condotto il gioco senza avere le carte in mano, proponendo alla fine una soluzione Last Minute, prendere o lasciare. Al punto in cui la crisi Alitalia è giunta, gli spazi di manovra per i sindacati e l’opposizione politica non sono molti, se non quelli di ridurre “le perdite” sul campo per dipendenti e contribuenti. La crisi Alitalia giunge a soluzione, non la migliore, ancora una volta per la spregiudicatezza con cui il gioco è stato condotto. Per ora incrociamo le dita, denunciando contraddizioni e imbrogli ma operando perché la crisi si avvii alla soluzione migliore oggi possibile. Non senza ricordare, con l’ex ministro del Lavoro Damiano che «se questa operazione l’avesse fatta il governo Prodi, ci avrebbero fatti neri». E meditando anche sui nostri errori, sindacali e politici, che hanno reso possibile il grande imbroglio e inevitabile la soluzione Last Minute.

Pubblicato il: 06.09.08
Modificato il: 06.09.08 alle ore 8.41   
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« Risposta #8 inserito:: Settembre 18, 2008, 11:20:05 pm »

ECONOMIA   

Cosa succede adesso che la cordata degli imprenditori italiani ha ritirato l'offerta

Ci sono almeno tre possibilità. La più catastrofica è il fallimento

Alitalia, tre scenari per il dopo

Fallimento, "piano B" o stranieri

La risposta in pochi giorni. Fantozzi: "Voleremo finchè ci sono soldi"

Ma la compagnia perde due milioni di euro al giorno e le casse sono vuote

di CLAUDIA FUSANI

 

ROMA - "Lufthansa...". "No, vedrai che ricuciono, Letta e Fantozzi sono al lavoro..." per far risorgere Cai. O un'altra cordata di imprenditori italiani. "Ci sono tre giorni di tempo...". Se ne riparla lunedì. Scampoli di comunicazioni ra palazzo Chigi e ambienti sindacali. Alla fine di una giornata dove è successo di tutto, dopo l'inimmaginabile s'intravede anche l'impossibile: Cai, che oggi ha detto no in cinque minuti, ci potrebbe ripensare, magari in un'edizione riveduta e corretta. Una Cai2, riveduta e corretta.

Da qui a lunedì la domanda è una sola: ora che la cordata dei "capitani coraggiosi" si è dissolta nello spazio di un mese, che succede? Se lo chiedono tutti, le migliaia di clienti Alitalia, i ventimila dipendenti, soprattutto Silvio Berlusconi che su Alitalia italiana ci aveva pure inventato lo slogan estivo "Io amo l'Italia, io volo Alitalia". Lo domanda è semplice, la risposta complessa. Una cosa è certa: commissario e dipendenti faranno funzionare Alitalia il più a lungo possibile, anche a costo di "tagliarsi lo stipendio". "Quindi nessun panico negli aeroporti e tra chi deve viaggiare, noi siamo al lavoro e garantiremo il servizio anche a costo di gravosi sacrifici" taglia corto Antonio Divietri (Avia) uno dei leader sindacali del cosiddetto fronte del no che hanno chiesto fino all'ultimo secondo di poter trattare con Cai. Ribadisce il commissario Augusto Fantozzi: "Voleremo finchè ci sono i soldi". Quanto? "Non si sa, la confusione di questi giorni complica ancora di più le cose".

Fatta questa premessa - Alitalia vola - sono almeno tre gli scenari per il futuro prossimo della compagnia aerea italiana.

Il piano B del premier. Governo e maggioranza continuano a dire che "un piano B non esiste". Anzi, per Berlusconi "siamo di fronte a un baratro". E ripete, come fa da almeno tre giorni: "Tutta colpa della Cgil". E però, vista come s'era messa la situazione fin dall'inizio di questa trattativa surreale, il Cavaliere - e il sottosegretario Gianni Letta - potrebbero avere una carta segreta da giocare. Un jolly da tirare fuori in extremis, il cosiddetto piano B. "Ipotesi non irrealistica" dicono i sindacati del fronte del Ni, Cgil e autonomi.

In meno di mezz'ora i dodici "capitani coraggiosi" hanno votato all'unanimità la rinuncia all'investimento. Insomma, una scelta affatto sofferta e forse decisa da giorni. Eisste ancora lo spazio per una nuova Cai, con altri imprenditori? In fondo adesso c'è già un piano industriale, un'offerta di contratto e una controproposta dei sindacati che ricalca i contratti delle compagnie straniere. Insomma, le cose sono molto più chiare, le carte in tavola e la maggior parte del lavoro è già fatto. Se qualcuno si affaccia per vederle sa già a cosa va incontro. Da via del Plebiscito, residenza del premier che sta studiando carte e appunti, trapela una considerazione: Cai ha ritirato l'offerta ma la cordata non è sciolta. Letta, Fantozzi e i ministri Matteoli e Sacconi si rivedranno lunedì, a palazzo Chigi.

L'asse italo-tedesco. O italo-franco-olandese. O, ancora, con gli spagnoli di Iberia e con gli inglesi di British Airways. Il secondo scenario prevede l'acquirente straniero. Vorrebbe dire portare le lancette dell'orologio indietro ad aprile, quando Spinetta stava per chiudere l'acquisto di Az da parte di Air France. "Finchè esiste anche una lontana ipotesi di cordata italiana, nessun straniero farà mai un'offerta" osservano i sindacati.

E' un fatto che oggi, appena un'ora dopo l'annuncio del ritiro dell'offerta Cai, ai microfoni di Radiocor un portavoce di Lufthansa dice: "La compagnia considera molto interessante il mercato italiano e osserva con grande interesse" quanto succede in Italia. E' un'affermazione di qualche peso visto che finora Lh, Ba, Af-Klm non hanno mai manifestato interesse con il commissario Fantozzi.

La cordata Cai prevedeva il socio straniero solo in quota di minoranza per almeno cinque anni. E solo con la pax sindacale. Oggi lo scenario vede i sindacati del cosiddetto fronte del no che hanno detto sì a un contratto che ricalca quello di una delle grandi compagnie straniere. Significa che se adesso arriva un'offerta dall'estero, la strada è spianata. O quasi. E tutto sommato fa anche un buon affare.

Nello scenario acquirente straniero restano, però, due ostacoli che sembrano insormontabili. Il primo: Berlusconi ha fatto dell'italianità di Alitalia una questione di principio. Può rinunciarci adesso che rischia una "sconfitta-simbolo"? Il secondo: un acquirente straniero non può fare un'offerta con la consapevolezza di contraddire il capo del governo. La soluzione per Alitalia passa una volta di più dal nodo della politica.

Il fallimento. Ipotesi più drammatica: Az, che perde due milioni di euro al giorno, sopravvive qualche giorno, magari anche qualche settimana, non si trova un'altra soluzione e il commissario Fantozzi deve portare i libri in tribunale. E' l'anticamera del fallimento, procedura che può durare anche un paio d'anni. Con la modifica delle legge Marzano, decisa in agosto dal governo proprio per il dossier Alitalia, il commissario potrà anche vendere isolatamente alcuni asset (punti di forza dell'azienda) come alcuni slot (rotte e orari). Insomma, una volta avviata la procedura, Alitalia sarà venduta a pezzi per avere i soldi per pagare i debiti con i fornitori. E' "il baratro" di cui parla il premier.

(18 settembre 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #9 inserito:: Settembre 18, 2008, 11:22:03 pm »

Epifani: «Il governo trovi una soluzione, senza fare lo scaricabarile»


La Cgil ha espresso sul piano di salvataggio di Alitalia «una sottoscrizione inequivoca per le parti di sua rappresentatività». Lo ha chiarito il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, spiegando che, per quanto riguarda piloti e assistenti di volo, non poteva prendere una posizione «per un problema di democrazia sindacale: decide il 51% dei lavoratori. E le sigle confederali, tutte insieme, hanno una rappresentatività di gran lunga al di sotto di questa soglia».

La posizione della Cgil rispetto al piano della Cai è stata quindi quella di aver «firmato per quello che riguarda la nostra rappresentatività, e ipoteticamente entro questi limiti firmeremo ancora». «È inimmaginabile che il piano di rilancio di una Compagnia possa avvenire contro e al di fuori della rappresentanza di piloti e assistenti di volo» aggiunge il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani.


E poi replica alle accuse del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi: «Fare uno scarica barile di responsabilità sul caso Alitalia credo non sia degno di un Paese civile». Piuttosto «la gestione del governo ha comportato moltissimi problemi». Per il leader della Cgil, «non si era mai vista prima una trattativa in cui c'è stato un ultimatum al giorno, e tra un ultimatum e l'altro non si è mai lavorato sui punti importanti che andavano affrontati». Quello che è certo ha aggiunto poi Epifani è che il rilancio di un'azienda di volo come Alitalia è «inimmaginabile senza la professionalità dei piloti e degli assistenti volo, che è fondamentale».

Ora più che mai «occorre lavorare per evitare a tutti i costi il fallimento di Alitalia». Di fronte alle ipotesi dopo il ritiro dell'offerta Cai «tutti usino la testa, ognuno si assuma le proprie responsabilità e si cerchi in tutti i modi di evitare il fallimento». «L'azionista di Alitalia, che è il governo, credo che di fronte alla decisione di cai debba cercare le strade che consentano di trovare la soluzione al problema»



Pubblicato il: 18.09.08
Modificato il: 18.09.08 alle ore 20.32   
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« Risposta #10 inserito:: Settembre 18, 2008, 11:27:25 pm »

La Cgil: «Nel pubblico impiego 120mila precari rischiano il posto, in pericolo servizi per cittadini»
 
ROMA (18 settembre) - Centoventimila lavoratori precari del pubblico impiego saranno "licenziati". L'allarme viene dalla Fp-Cgil, secondo cui ciò comporterà anche la chiusura di alcuni fondamentali servizi per i cittadini, come gli asili, il cui regolare funzionamento viene garantito oggi da queste decine di migliaia di persone.

Nel mirino del sindacato un emendamento che il governo - dice il segretario generale, Carlo Podda - «si accinge a presentare a un provvedimento sul lavoro all'esame del parlamento. L'emendamento abroga le norme del governo Prodi sul precariato, in base alle quali chi aveva fatto negli ultimi 5 anni tre anni di lavoro, anche discontinuo, nella pubblica amministrazione,
poteva accedere a prove selettive di idoneità per essere assunto». «L'abrogazione di tale disposizione, insieme alla circolare del ministro Brunetta (secondo cui chi ha avuto contratti precari per tre anni negli ultimi 5 anni non può più farli) - dice ancora Podda - determinerà il licenziamento di 120 mila persone, di cui 57 mila aveva già i requisiti per entrare nella pubblica amministrazione». Secondo il sindacalista, rilevante sarà anche il danno per i cittadini perché così i sindaci non potranno più garantire i servizi.

Il provvedimento a cui fa riferimento il sindacalista, come anticipato oggi dal Messaggero, comporterà anche che in futuro i dipendenti della pubblica amministrazione potranno essere assunti solo per concorso.

La norma contestata dai sindcati in sostanza «impedirebbe la stabilizzazione dei precari, come stabilito dalla passate leggi Finanziarie, e comporterebbe la perdita del posto di lavoro per non meno di 120mila persone», denuncia anche il coordinatore del dipartimento Settori pubblici della Cgil Nazionale, Michele Gentile, spiegando che la norma sarebbe inserita nel disegno di legge (1441 quater) che contiene le misure collegate alla manovra 2009 su pubblico impiego. «Il ministro Brunetta sta aprendo un nuovo fronte della sua battaglia?», si chiede il dirigente sindacale, ricordando che le due leggi Finanziarie precedenti stabilivano un processo di parziale stabilizzazione dei lavoratori precari con almeno 3 anni di lavoro a tempo determinato alle spalle e dopo aver superato una prova selettiva.

«Alla misura di dubbia costituzionalità relativa ai precari del settore privato, si aggiungerebbe questa relativa ai precari presso le pubbliche amministrazioni che farebbe venir meno con effetto retroattivo il diritto all'assunzione, condonando i comportamenti illegittimi delle amministrazioni: due misure - conclude Gentile - che testimoniano come questo Governo intenderebbe affrontare le emergenze sociali ed occupazionali del Paese».


da ilmessaggero.it
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