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Autore Discussione: Fabio Mini: «Sotto tiro gli alleati angloamericani, non l’Europa»  (Letto 2714 volte)
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« inserito:: Luglio 02, 2007, 04:58:02 pm »

Fabio Mini: «Sotto tiro gli alleati angloamericani, non l’Europa»

Umberto De Giovannangeli


Generale Mini, come leggere la nuova offensiva jihadista. È l’Europa nel mirino?

«Non credo che sia l’Europa al centro dell’offensiva jihadista, piuttosto lo è la coalizione angloamericana. Quel tipo di islamismo jihadista che ha attecchito in Gran Bretagna, e che è stato sottovalutato per molti anni, non si è fermato con i sanguinosi attentati di due anni fa, ma continua ad alimentare questa forte opposizione degli islamici interni, supportati e addestrati da elementi esterni, contro l’Inghilterra, vista non solo come principale alleato ma anche come sostenitore autonomo delle campagne di guerra sia in Iraq che in Afghanistan. Per questo ritengo un po’ superficiale la presa di posizione dell’amministrazione Usa che dice che queste sono cose che riguardano l’Europa. Sbaglia perché è la coalizione angloamericana ad essere nel mirino. Colpire l’Inghilterra significa anche colpire la componente maggioritaria delle comunità islamiche in Gran Bretagna, quelle comunità che non hanno mai espresso forti contrapposizioni nei confronti della precedente amministrazione di Tony Blair...».

Che ipotesi è possibile fare sul «chi è» dei nuovi jihadisti che volevano seminare morte e terrore a Londra e in altre città britanniche?

«Siamo di fronte alla ripresa di iniziativa della parte più attiva del radicalismo islamista presente dentro le comunità musulmane britanniche. È un fenomeno molto serio, che chiama in causa, è bene sottolinearlo, la percezione ostile che nel mondo arabo e musulmano si ha dell’azione angloamericana».

Se così è, qual è il modo più incisivo per fronteggiare questa minaccia?

«Innanzitutto è quello della prevenzione dal punto di vista della sicurezza. Bisogna conoscere molto bene il territorio, e in questo caso il territorio da conoscere è Londra, è la Gran Bretagna, in particolare in un’ottica di prevenzione è importante vedere le vulnerabilità delle infrastrutture. Se è vero che prima si potevano conoscere dei piccoli nuclei di estremisti, pensare che fossero dei nuclei isolati, delle schegge impazzite, alla prova dei fatti questo approccio si è rivelato superficiale, inadeguato. L’approccio va completamente ribaltato: quelle che vengono fuori sono le punte dell’iceberg, ma l’iceberg sta sotto. Il grande movimento antioccidentale, e in particolare anti angloamericano, che sta in Inghilterra è fortissimo. La comunità musulmana britannica è fortemente turbata dalle vicende che segnano tutto il mondo islamico, secondo loro a causa dell’alleanza angloamericana. Quindi, controllare: controllare l’interno, controllare i movimenti delle persone, controllare le scuole. Le scuole islamiche in Inghilterra: sono quelle, ancor più delle moschee , il cuore del problema della prevenzione».

Dal punto di vista politico, cosa fare per fronteggiare la penetrazione dell’islamismo radicale?

«Occorre in primo luogo sviluppare il dialogo con il mondo arabo moderato: non penso solo al dialogo con i regimi moderati ma anche con gli esponenti islamici, i capi delle comunità, che pur difendendo l’identità dell’Islam si oppongono alla “guerra di civiltà” propugnata dai jihadisti. E una particolare attenzione va rivolta al dialogo con i giovani musulmani, una questione che reputo fondamentale e colpevolmente sottovalutata...».

Su cosa fonda questa doppia valutazione?

«Tutti siamo chiamati a fare i conti con il fenomeno delle generazioni (euro-musulmane) scontente. Le prime generazioni di immigrati,ad esempio dal Pakistan, in Gran Bretagna erano tutte persone che speravano di fare i soldi e tornare a casa. Poi non ce l’hanno fatta più a tornare indietro, anche perché si sono trovati bene o comunque non avevano i mezzi per rientrare. Le seconde e terze generazioni, se non nate di certo cresciute in Gran Bretagna, hanno sviluppato nei confronti della società inglese una doppia ostilità: da un lato, perché quella società non li ha integrati, o comunque non ha favorito le loro aspettative, e la seconda ostilità è quella nei confronti dei propri genitori. C’è uno scontro generazionale all’interno della comunità islamica che spiega, molto più di un superficiale e generalizzato riferimento alla nebulosa di Al Qaeda. ciò che c’è dietro l’azione terroristica di matrice jihadista in Gran Bretagna. I figli che mettono le bombe sugli autobus o nelle metropolitane, si ribellano più ai propri padri che non agli inglesi “apostati”. . È una doppia ostilità che viene poi alimentata da coloro che puntano al Jihad globalizzato. Questa doppia ostilità delle nuove generazioni “anglo-musulmane” è una bomba ad orologeria. E se questa bomba scoppia adesso non è perché le nuove leve del terrore devono lanciare un messaggio al nuovo premier inglese. Il collegamento è con la preparazione: la battaglia l’hanno già iniziata da tempo, e se tornano in azione oggi è perché le nuove leve estremiste si sentono pronte. Pronte per colpire non simboli ma luoghi dove si concentrano più persone: autobus, metropolitane, aeroporti. Mirano al bersaglio grosso, quello più visibile, dove è possibile colpire nel mucchio. Agiscono adesso non in relazione a parametri politici ma perché si sentono in grado di farlo».

Pubblicato il: 02.07.07
Modificato il: 02.07.07 alle ore 11.25   
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