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Autore Discussione: Massimo GRAMELLINI.  (Letto 331561 volte)
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« Risposta #285 inserito:: Aprile 28, 2012, 11:34:37 am »

27/4/2012

Se fossimo tutti un po' norvegesi

 Massimo GRAMELLINI 
   
John Belushi odiava due cose: la musica country e i nazisti dell’Illinois. Ma cosa succede quando un nazista odia la musica country? Che anche noi fan dei Blues Brothers siamo chiamati a una scelta doverosa e ci schieriamo con la nenia dei cowboy. Se poi siamo di Oslo e fuori piove, apriamo l’ombrello e scendiamo in piazza in quarantamila per cantarla a squarciagola. Alla faccia del nazista.

Il quale aveva appena dichiarato che con quella canzone le maestre norvegesi lavano il cervello ai bambini. Soltanto il suo, purtroppo, è rimasto refrattario a qualsiasi detersivo.

La canzone si intitola «Barn av regnbuen», «Bambini dell’arcobaleno», ed è il rifacimento in scandinavo stretto di «Rainbow race», cantilena folk strimpellata alla chitarra dall’americano Pete Seeger nei primi Anni Settanta. Il ritornello parla di fratellanza, di distese verdeggianti, e non fa male a nessuno, se non a chi è già abituato a farsene parecchio da solo. Anders Breivik, per esempio, lo stragista di Utoya che ha imputato all'innocuo motivetto nientemeno che il deterioramento in chiave marxista della gioventù norvegese. I messaggi semplici e solari agiscono sulle menti ottenebrate dal razzismo come una cartina da tornasole. Portano a galla la rabbia di chi ha talmente paura della sensibilità umana da considerarla una dimostrazione di debolezza.

In tribunale Breivik ha insultato la canzone e l’infanzia dei connazionali. E ancora una volta è venuta fuori la civiltà di quel popolo poco battuto dal sole, che ha saputo asciugare il sangue di Utoya senza macchiare il vestito lindo della sua democrazia e si permette il lusso di trattare un reo confesso come un crocerista, ospitandolo in una cella grossa come uno stand dell’Ikea. I norvegesi avrebbero potuto reagire alla provocazione di Breivik con il silenzio. Oppure con il furore, portando in piazza i familiari delle vittime per ritorcere addosso a quell’uomo il livore seminato dai suoi atti. Invece si sono ritrovati pacificamente in quarantamila per cantargli la loro canzone. Ricordando al mondo che è anche per merito di quella nenia, imparata a memoria negli asili, se sono cresciuti così tolleranti e intimamente connessi con l'ambiente che li circonda.

Perciò oggi siamo tutti un po’ norvegesi, compresi noi rockettari stonati. Anzi, soprattutto noi, che ci offriamo volontari per inciderla su un disco da far ascoltare a Breivik in cuffia, fino alla fine dei suoi giorni.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41
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« Risposta #286 inserito:: Maggio 01, 2012, 12:02:58 pm »

1/5/2012

Il tecnico dei tecnici

Massimo GRAMELLINI

Per la madre delle imprese impossibili, tagliare gli artigli alla burocrazia pubblica, il governo dei tecnici non era abbastanza tecnico e così ha nominato un tecnico. Il promettente Enrico Bondi di anni 78. Ma la domanda non è se uno che ha risanato la Parmalat dopo il fallimento possa ripetersi con uno Stato che si trova quasi nelle stesse condizioni. La domanda è se lo Stato possa davvero essere trattato come una Parmalat. In realtà neanche le aziende prosperano a colpi di scure. I tagli aiutano a sopravvivere, ma per evolvere servono visioni strategiche, progetti innovativi. Invece questa crisi di sistema ci sta facendo assistere a un progressivo immeschinirsi del dibattito pubblico e persino privato. Ogni argomento di conversazione sembra essersi ridotto a una questione di numeri. I giornali fungono come sempre da specchio; ieri, fra titoli e tabelle, un importante quotidiano ne annoverava 122 (altro numero). Tanti numeri e neppure un’idea su come si esca da questa strettoia della storia.

Nessuno sarà davvero così ingenuo da illudersi che basti scorciare un po’ qui e potare un po’ là perché la pianticella italica ritorni a fiorire. Dimezzare i costi della politica e della burocrazia più pletorica, corrotta e inamovibile d’Europa: ecco due obiettivi seri e perciò irrealizzabili. Ma nemmeno quell’impresa titanica basterebbe a far ripartire una macchina che non si è ingrippata per mancanza di denaro ma di fiducia nel futuro. Ed è la fiducia che porta il denaro, mai viceversa.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41
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« Risposta #287 inserito:: Maggio 03, 2012, 07:29:46 pm »

1/5/2012

Il tecnico dei tecnici

Massimo GRAMELLINI

Per la madre delle imprese impossibili, tagliare gli artigli alla burocrazia pubblica, il governo dei tecnici non era abbastanza tecnico e così ha nominato un tecnico. Il promettente Enrico Bondi di anni 78. Ma la domanda non è se uno che ha risanato la Parmalat dopo il fallimento possa ripetersi con uno Stato che si trova quasi nelle stesse condizioni. La domanda è se lo Stato possa davvero essere trattato come una Parmalat. In realtà neanche le aziende prosperano a colpi di scure. I tagli aiutano a sopravvivere, ma per evolvere servono visioni strategiche, progetti innovativi. Invece questa crisi di sistema ci sta facendo assistere a un progressivo immeschinirsi del dibattito pubblico e persino privato. Ogni argomento di conversazione sembra essersi ridotto a una questione di numeri. I giornali fungono come sempre da specchio; ieri, fra titoli e tabelle, un importante quotidiano ne annoverava 122 (altro numero). Tanti numeri e neppure un’idea su come si esca da questa strettoia della storia.

Nessuno sarà davvero così ingenuo da illudersi che basti scorciare un po’ qui e potare un po’ là perché la pianticella italica ritorni a fiorire. Dimezzare i costi della politica e della burocrazia più pletorica, corrotta e inamovibile d’Europa: ecco due obiettivi seri e perciò irrealizzabili. Ma nemmeno quell’impresa titanica basterebbe a far ripartire una macchina che non si è ingrippata per mancanza di denaro ma di fiducia nel futuro. Ed è la fiducia che porta il denaro, mai viceversa.

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« Risposta #288 inserito:: Maggio 06, 2012, 10:32:12 am »

5/5/2012

Esseri umani

Massimo GRAMELLINI

Esiste una laurea che nemmeno il Trota può comprare e soltanto la vita assegna ai suoi figli più veri. La laurea in umanità. Il vicebrigadiere Lorini Roberto accorre sul luogo dell’emergenza un tipo si è asserragliato in un’agenzia delle entrate e minaccia di ammazzare gli impiegati - ma non giudica né perde la testa: entra in sintonia. Andare nei posti da cui gli altri scappano è il suo lavoro. E’ un tecnico. Eppure, a differenza di altri tecnici, lui nel lavoro mette qualcosa che non si trova sui manuali: la capacità molto italiana di vedere nel nemico un amico mancato e recuperabile alla causa.

Il vicebrigadiere intuisce che l’asserragliato non è un pazzo. E’ un uomo debole e solo che ha compiuto un gesto esecrabile per il bisogno di sentirsi ascoltato. E allora lo ascolta, gli parla in dialetto di cose normali e, una frase dopo l’altra, gli svuota la rabbia di dosso e lo convince a lasciarsi mettere le manette ai polsi, perché il futuro esiste e non vale la pena di perderselo con un atto estremo. La mossa del cavallo è passargli al telefono la propria moglie. «Volevo che anche lei gli spiegasse che in fondo siamo tutti umani». Purtroppo non tutti se lo ricordano, signor vicebrigadiere. Ma esempi come il suo aiutano a far girare la voce.

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« Risposta #289 inserito:: Maggio 06, 2012, 10:37:57 am »

4/5/2012

Emergenza nazionale

Massimo GRAMELLINI

Prima si impiccavano ai cornicioni delle loro fabbriche e scivolavano nelle pagine di cronaca nera, mentre al telefono il ministro domandava incredulo «sicuro che dietro non ci sia un’altra ragione?». Allora hanno cominciato a darsi fuoco per la strada pur di elemosinare l’attenzione di una politica ripiegata sul proprio grasso e di un governo troppo concentrato sui numeri per riuscire a comprendere le persone. Ma da ieri il dramma «Io non ce la faccio più» esplora un nuovo abisso: l’irruzione di un disperato nell’Agenzia delle Entrate con le armi in pugno. E poi gli ostaggi, le forze speciali: sembra terrorismo, invece è terrore. Il terrore che afferra e confonde un uomo solo, quando non riesce a immaginare per sé altro futuro che un muro nero.

Non si sa cosa debba ancora succedere perché i governanti sollevino la testa dai tabulati di Borsa e prendano atto che esiste un’emergenza umanitaria nazionale. Un terremoto economico e morale che va affrontato con gli strumenti della vera politica: buonsenso e visione del futuro.

Lo Stato ha due mani: una che prende, una che dà. Se ne usa una sola, diventa monco e sono gli Stati monchi a produrre le ingiustizie più efferate. Per un artigiano o un piccolo imprenditore, il funzionario delle tasse che mette le ganasce all’auto e il funzionario del ministero che paga a trecento giorni quando paga, non sono due universi lontani e incomunicabili (come invece essi si considerano), ma due volti della stessa amministrazione. Due nemici che marciano separati per colpire uniti e vanno ad aggiungersi alle banche che non prestano soldi, anzi chiedono a chi è in rosso di rientrare, alle bollette dell’energia più cara d’Europa, ai doppioni e alle doppiezze di una macchina burocratica costruita a strati per agevolare i pedaggi della corruzione, a una giustizia civile dai modi ingiusti e dai tempi incivili.

Ma le ragioni più profonde della disfatta umanitaria in corso non riguardano solo gli imprenditori e non sono neppure economiche. Sono psicologiche. Il senso di umiliazione che prende alla gola chi si vede costretto a ridurre il tenore di vita della propria famiglia. La solitudine di chi non ha più strutture familiari né sociali a cui appoggiare la propria inquietudine. Soprattutto la disperazione cupa di chi non riesce più nemmeno ad alzare la testa perché quando la alza non vede una classe dirigente che indica soluzioni, ma una casta di parolai abbarbicati ai propri privilegi e una processione di sacerdoti del libero mercato che officiano una messa triste, fatta di numeri senz’anima.

Le persone più fragili si disperano fino a impazzire perché il potere non li ascolta e quando parla non usa il linguaggio della speranza ma quello della paura. Risanare l’economia di un cimitero non è una soluzione praticabile. E la legge darwiniana del liberismo non può selezionare i suoi protagonisti sulla base di impazzimenti e suicidi. Tocca alla politica, o a chi ne fa le veci, togliere la buccia ai numeri fino a trovare le persone. Capirle. Rassicurarle. Distinguere fra evasori totali con yacht a carico e poveri cristi che si arrabattano da italiani, non da tedeschi, e per i quali il rigore alla tedesca è una cura che guarisce il male ma uccide il malato.

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« Risposta #290 inserito:: Maggio 08, 2012, 09:28:55 am »

8/5/2012

Un no ai partiti non alla politica

Massimo GRAMELLINI

Si può buttarla sul ridere e dire che Grillo non è una sorpresa: in fondo sono vent’anni che gli italiani votano un comico. Oppure strillare contro la vittoria dell’antipolitica, come fanno i notabili del Palazzo e i commentatori che ne respirano la stessa aria viziata. Ma conosco parecchi nuovi elettori di Grillo e nessuno di loro disprezza la politica. Disprezzano i partiti. E credono, a torto o a ragione, in una democrazia che possa farne a meno, saltando la mediazione fra amministrati e amministratori.

La storia ci dirà se si tratta di un gigantesco abbaglio o se dalla rivolta antipartitica nasceranno nuove forme di delega, nuovi sistemi per aggregare il consenso.

Ma intanto c’è questo urlo di dolore che attraversa l’Italia, alimentato dalle scelte suicide e arroganti compiute da un’intera classe dirigente.

Non si può certo dire che non fosse stata avvertita. I cittadini stremati dalla crisi hanno chiesto per mesi alla partitocrazia di autoriformarsi. Si sarebbero accontentati di qualche gesto emblematico. Un taglio al finanziamento pubblico, la riduzione dei parlamentari, l’abolizione delle Province. Soprattutto la limitazione dei mandati, unico serio antidoto alla nascita di una Casta inamovibile e lontana dalla realtà. Nel dopoguerra il grillismo meridionale dell’Uomo Qualunque venne dissolto dalla Dc di De Gasperi nel più semplice e intelligente dei modi: assorbendone alcune istanze. Purtroppo di De Gasperi in giro se ne vedono pochi. La limitazione dei mandati parlamentari è da anni il cavallo di battaglia dei grillini. Se il Pdl di Alfano l’avesse fatta propria, forse oggi esisterebbe ancora. Ma un partito che ai suoi vertici schiera reperti del Giurassico come Gasparri e Cicchitto poteva seriamente pensare di esistere ancora? Il Pd ha retto meglio, perché il suo elettorato ex comunista ha un senso forte delle istituzioni e dei corpi intermedi - partiti, sindacati - che le incarnano. Ma se il burocrate Bersani, come ha fatto ancora ieri, continuerà a considerare il grillismo un’allergia passeggera, lo tsunami dell’indignazione popolare sommergerà presto anche lui.

La riprova che il voto grillino è meno umorale di quanto si creda? Grillo non sfonda dove la politica tradizionale riesce a mostrare una faccia efficiente: a Verona con il giovane Tosi e a Palermo con il vecchio Orlando (percepito come un buon amministratore, magari non in assoluto, ma rispetto agli ultimi sindaci disastrosi). La migliore smentita alla tesi qualunquista di chi considera i grillini dei qualunquisti viene dai loro stessi «quadri». Che assomigliano assai poco a Grillo. Il primo sindaco del movimento, eletto in un paese del Vicentino, ha trentadue anni ed è un ingegnere informatico dell’Enel, non un arruffapopoli. E i candidati sindaci di Parma e Genova non provengono dai centri sociali, ma dal mondo dell’impresa e del volontariato. Più che antipolitici, postpolitici: non hanno ideologie, ma idee e in qualche caso persino ideali. Puntano sulla trasparenza amministrativa, sul web, sull’ambiente: i temi del futuro. A volte sembrano ingenui, a volte demagogici. Ma sono vivi.

Naturalmente i partiti possono infischiarsene e bollare la pratica Grillo come rivolta del popolo bue contro l’euro e le tasse. È una interpretazione di comodo che consentirà loro di rimanere immobili fino all’estinzione. Se invece decidessero di sopravvivere, dovrebbero riunirsi da domani in seduta plenaria per approvare entro l’estate una riforma seria della legge elettorale, del finanziamento pubblico e della democrazia interna, così da lasciar passare un po’ d’aria. Ma per dirla con Flaiano: poiché si trattava di una buona idea, nessuno la prese in considerazione.

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« Risposta #291 inserito:: Maggio 09, 2012, 11:33:55 pm »

9/5/2012

Fra moglie e partito

Massimo GRAMELLINI

Dice di scrivere da Parma e di chiamarsi Emanuele. Sposato da vent’anni con la stessa persona, e con lo stesso partito - il Pci-Pds-Ds-Pd - da quasi trenta, domenica aveva due appuntamenti con l’adulterio. Uno a un’ora di macchina, in un ristorante vicino al mare, dove lo attendeva la nuova collega dai capelli nero-tizzone che gli fa il filo in modo sfacciato. L’altro in cabina elettorale con la lista di Grillo. La vita gli stava offrendo la possibilità di tradire in un giorno solo i suoi due spenti amori. Prima di partire per il mare è andato a votare: «Il Pd non è più neppure l’ombra del partito nel quale da ragazzo avevo creduto e che, pur con tutti gli errori che la Storia ci ha poi rivelato, mi aveva trasmesso un pizzico di passione e una speranza di futuro». Ma al momento di mettere la crocetta sui grillini è stato colto dal panico. «Credo sia stata la paura dell’ignoto a farmi tremare la matita e a indirizzarla verso il solito simbolo». Uscito dall’urna era così depresso e confuso che è tornato a casa, rinunciando alla scappatella marina. «Mia moglie è come il Pd. Non mi dimostra più attenzione né passione. Io ne soffro, eppure non so fare a meno di lei. Sono attaccato a qualcosa che non c’è più, ma che sento parte della mia vita. Così continuo a sperare che lei torni quella di un tempo e non vado via. Lo stesso faccio con il Pd. Ma il partito non è una persona. Con un partito temo di avere ancora meno speranze».

Se fossi la moglie, mi sentirei relativamente tranquilla. Se fossi Bersani, per niente. Di questo passo mi sa che le prime corna Emanuele le metterà a lui.

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« Risposta #292 inserito:: Maggio 10, 2012, 11:37:10 pm »

10/5/2012

Chi suicida chi

Massimo GRAMELLINI

Ci mancava il dibattito sui suicidi: di chi è la colpa se le persone in crisi si ammazzano, di Monti o di Berlusconi?
La responsabilità di quei gesti non è di nessuno. La scelta di togliersi la vita attiene a una zona insondabile del cuore umano che ha a che fare con la fragilità, il dolore, la paura: mondi troppo profondi per farne oggetto di gargarismi politici. La responsabilità della situazione sociale che fa da sfondo agli atti disperati è invece piuttosto chiara. Negli ultimi vent’anni l’Italia è stata governata - bene o male non so, ma governata - soltanto dal primo governo Prodi. Il resto è stato un susseguirsi di agguati, proclami, scandali e cialtronate. Gli altri governi di sinistra hanno pensato unicamente a farsi del male. Berlusconi ai fatti propri. La riforma liberale dello Stato, vagheggiata in centinaia di comizi, si è rivelata la più tragica delle sue bufale. Non poteva essere altrimenti, dato che gli alleati del Nord non volevano il risanamento ma la dissoluzione del Paese e quelli del Sud prendevano i voti dalla massa di mantenuti che qualsiasi riforma seria avrebbe spazzato via.

Monti si è presentato al capezzale di un paziente curato per vent’anni con flebo d’acqua fresca, facendosi largo fra mediconzoli corrotti e infermiere in tanga. Ha riportato serietà nel reparto e messo gli antibiotici nella flebo. Se avesse avuto l’umanità di un Ciampi, si sarebbe anche seduto a far due chiacchiere col malato per tirarlo su di morale. D’accordo, Monti non è Ciampi. Però non ha ucciso nessuno. L’Italia l’hanno suicidata i partiti.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=1175&ID_sezione=56
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« Risposta #293 inserito:: Maggio 11, 2012, 12:15:59 pm »

11/5/2012

Parlandone da vivo

Massimo GRAMELLINI

Se lo spirito di Carlo Fruttero - che immagino segaligno e puntuto come il vestito corporeo che lo ospitava fosse passato ieri sopra il Salone del Libro di Torino all’ora dell’aperitivo, avrebbe visto una coda interminabile di persone davanti a una sala gialla. Curioso com’è, si sarebbe abbassato un po’, svolazzando lieve fra le signore boccheggianti che usavano i suoi libri per sventolarsi. La vista delle figlie e di alcuni amici lo avrebbe intenerito e, al tempo stesso, insospettito. Quella riunione sediziosa aveva l’aria di una commemorazione del Compianto Defunto. Ora, se c’è una cosa che lo spirito di Carlo Fruttero non sopporta sono le commemorazioni dei Compianti Defunti. Nondimeno si sarebbe infilato in sala per dare un’occhiata.

A dirla tutta, ho la netta sensazione che l’abbia fatto. Perché a un certo punto ho visto oscillare una giacca abbandonata su una sedia vuota e mi è parso di sentire la sua inconfondibile ghignata. Una specie di risata col sibilo che ha coperto tutte le altre. Già: in quella sala dove si parlava di un morto, ridevano tutti. Anch’io. E intanto pensavo che la parola scritta non morirà finché mille persone si riuniranno per ascoltare quelle di un vecchio signore che non usciva di casa da anni. La parola scritta, quando è scritta bene, non è emozione che scuote e poi evapora. È sentimento che si deposita e lascia tracce indelebili. Ho anche pensato, mentre ridevo, che i morti andrebbero ricordati sempre e soltanto così. Come se fossero vivi. Anche perché lo sono. Mica penserete che quella ghignata l’abbia sentita solo io?

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« Risposta #294 inserito:: Maggio 12, 2012, 10:05:57 am »

12/5/2012

Oggi le comiche

Massimo GRAMELLINI

A Parma, venerdì prossimo, la campagna elettorale del candidato sindaco dei grillini sarà conclusa da Beppe Grillo. Quella del candidato dei democratici da Gene Gnocchi. L’ipotesi di avere sul palco il segretario del partito Bersani è stata scartata, immagino per l’indisponibilità del suo avatar Maurizio Crozza. Da quando le ideologie sono morte, gli ideali boccheggiano e anche le idee non si sentono troppo bene, i comizi dei politici sono diventati di una noia pazzesca. Quasi come le loro partecipazioni ai talk show. Per renderli commestibili a un pubblico sempre più insofferente e distratto, si cerca di trasformarli in uno spettacolo di cabaret. Non mi sembra un grave passo indietro, considerato da dove veniamo. Il miglior oratore dell’ultima decade, Fini, indossava sempre gli stessi tre concetti e le stesse duecento parole.

«Ma come parla bene Fini!» dicevano tutti, anche se lui diceva benissimo il nulla. La dittatura dei comici è una reazione al governo dei tecnici o forse il suo completamento. Nella Prima Repubblica eravamo intrattenuti dagli amministratori. Nella Seconda siamo stati amministrati dagli intrattenitori. Appurata l’impossibilità per un solo uomo di adempiere a entrambe le funzioni, è tempo di una più chiara divisione dei ruoli. Chi sa parlare, non governi. E chi sa governare non parli. Il primo ad averlo capito è Grillo, che sogna un partito di amministratori silenti in cui parla soltanto lui.

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« Risposta #295 inserito:: Maggio 15, 2012, 11:45:48 am »

Spettacoli

14/05/2012 - L'INterVENTO INTEGRALE

"Forza", la  parola del giorno

Il testo letto nella trasmissione di La 7 "Quello che non  ho"

MASSIMO GRAMELLINI
Torino

La parola di oggi, 14 maggio 2012, non può che essere FORZA. Non la forza bruta dei violenti e dei sopraffattori. Ma la forza d’animo che accudisce i fragili e lenisce le ferite. La forza femmina. La Forza di cui vi parlerò stasera è una femmina che nasce in una cittadina tedesca dal nome arrabbiato, Mullheim, frutto della storia d’amore fra una commessa e un tramviere. Dopo il liceo la Forza trova un impiego in banca e studiando di notte si laurea in economia, non in Albania.

Arriva il 1994. Un anno cruciale per la Forza. In Italia nasce Forza Italia, frutto della storia d’amore fra un imprenditore e se stesso, mentre lassù a Mullheim la signora Forza viene eletta consigliera comunale. Nel 2005, però, succede l’incredibile. Il suo partito, l’Spd, perde le elezioni in Westfalia. Dal dopoguerra è la prima volta che succede. La Westfalia è il cuore industriale della Germania. I maschi tedeschi di sinistra sono depressi e avviliti. Avete idea di com’è un maschio di sinistra depresso e avvilito? Qui ne abbiamo una certa pratica.

Non sapendo più cosa fare, i maschi tedeschi di sinistra fanno la cosa giusta. Si affidano alla Forza. Lei li tranquillizza così: “Noi donne funzioniamo in modo diverso da voi uomini. Non meglio o peggio. Diverso. Abbiamo altri pensieri, altre esperienze, altre priorità.” Quelle della signora Forza sono: più asili nido, scuole migliori, aiuti alle famiglie in difficoltà. Per lei i debiti sono denaro ben investito. A cosa serve avere i conti in ordine, se poi la gente muore di fame? “Spendere più soldi adesso per le famiglie e le scuole ci consentirà in futuro di buttare via meno soldi per riparare le famiglie e le scuole.”

Immaginate la Merkel nel sentire una tedesca che parla come una greca. “Quella donna è un’irresponsabile!” Ma la Forza se ne infischia: vince le elezioni e da presidente di Westfalia abolisce le tasse universitarie e promulga nuove leggi per l’integrazione. Però quando presenta una manovra che prevede 3,6 miliardi di deficit, alla Merkel le prende un colpo e il partito della cancelliera riesce a far cadere il governo della Forza. Così domenica in Westfalia sono tornati a votare e la Forza ha vinto più di prima, umiliando il partito della rivale con cui nel 2013 potrebbe scontrarsi per la Cancelleria. La Forza già si scalda: “Risparmiare va bene” dice, “ma ricordiamoci che nessun bambino deve rimanere indietro, perché se resta indietro anche un solo bambino, recuperarlo poi ci costerà molto di più.” Dimenticavo. Forza in tedesco si dice Kraft. Come le sottilette, certo. Ma da ieri anche come Hannelore Kraft. L’altra donna. L’altra Germania. Forse l’altra Europa. Il lato meno oscuro della Forza.

da - http://www3.lastampa.it/spettacoli/sezioni/articolo/lstp/454177/
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« Risposta #296 inserito:: Maggio 18, 2012, 10:56:52 pm »

18/5/2012

Riabilitazione postuma

Massimo GRAMELLINI

La notizia della morte di Donna Summer mi ha riportato alla mente il giorno in cui pensai di essere morto io. Accadde quando una ragazza impegnata, che corteggiavo in modo inconcludente accompagnandola a vedere film d’avanguardia turchi sottotitolati in tedesco, scoprì nel vano della mia utilitaria la cassetta dei grandi successi di Donna Summer: «I feel love» e «I love to love you baby», 17 minuti di mugolii interrotti dalla sua voce che ripeteva «I love to love you baby». Qualcuno l’aveva messa lì a mia insaputa. All’epoca ascoltavo solo rock duro, cantautori impegnati e Baglioni, ma in bagno e con le cuffie per ragioni di privacy. La ragazza impegnata la prese malissimo. Forse nessuno le aveva mai detto «I love to love you baby», e per 17 minuti di fila. Avrei dovuto inserire la cassetta nell’autoradio e alzare il volume a palla. Invece le dissi la verità, ma con un tale senso di vergogna che a lei sembrò una bugia. Liberato della sua presenza, annegai il dolore nelle discoteche che cominciavano a prendere il posto delle assemblee studentesche come luogo di aggregazione sociale, rimbecillendomi coi suoni ipnotici di Donna Summer. Mi esibivo nel classico ballo ipnotico di Donna Summer: piedino destro avanti in diagonale, piedino destro indietro, piedino sinistro avanti in diagonale, piedino sinistro indietro. Per 17 minuti.

Ora che Donna non c’è più, risento a piè fermo «I love to love you baby». Sembra bella. O comunque migliorata. Dovrei imparare a vergognarmi meno del presente, perché prima o poi diventerà un passato da rimpiangere.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=1180
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« Risposta #297 inserito:: Maggio 20, 2012, 11:11:08 pm »

19/5/2012

Una tassa pelosa

Massimo GRAMELLINI

Cara Billie, l’hai scampata bella. La berlusconorevole Fiorella Ceccacci, già attrice nel film «Corti circuiti erotici» e perciò autorevole membro della commissione Cultura, aveva proposto di mettere una tassa su di te. Proposta accolta «in linea di principio» dal sottosegretario Polillo. Una tassa su cani e gatti domestici per finanziare la lotta al randagismo. Come dici, Billie? Che un balzello simile avrebbe avuto l’effetto di aumentare a dismisura il numero dei randagi? Giusta osservazione, cagnetta mia, però non puoi pretendere che gli onorevoli abbiano la tua intelligenza pratica. In compenso condividono il tuo appetito famelico: cercano i soldi dove è più facile trovarli. Nella benzina, nella casa e adesso negli affetti: tu sai cosa significa un animale per un’anziana ammalata di solitudine.

La reazione ululante della Rete (e di 101 dalmata pronti a caricare la Crudelia De Mon di Montecitorio) ha costretto i fabbricanti di imposte a battere in ritirata. Il sottosegretario si è accorto di aver pestato una di quelle tue faccende che raccolgo sempre per strada e ha negato il suo appoggio, sostenendo che era stata una battuta. Sappi comunque che, se cambiassero di nuovo idea, mi rifiuterò di pagare - già finanzio la guerra in Etiopia del 1935 ogni volta che vado al distributore - e tu diventerai una cagnetta clandestina. Voglio vedere se Equitalia mi manda l’accalappiacani. Farebbero meglio a occuparsi del randagismo degli evasori fiscali. E se proprio avessero bisogno di nuove entrate, sottoscrivo la proposta che mi hai appena leccato all’orecchio: tassare chiunque tenga un politico in casa.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=1181
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« Risposta #298 inserito:: Maggio 22, 2012, 03:51:09 pm »

22/5/2012 - L'UOMO NUOVO

Massimo GRAMELLINI

Grillo, il Gabibbo barbuto

Grillo è un Gabibbo barbuto e il Movimento Cinque Stelle la trasposizione politica di «Striscia la Notizia»?

La suggestione esiste, inutile negarlo, ma è solo parziale. Grillo è anche il Gabibbo.

Un Gabibbo, però, che guarda «Report», ha letto «La Casta» e sa stare sul Web.


I due hanno in comune la cadenza, ligure, e l’ideatore, Antonio Ricci, di cui Grillo è stato a lungo il ventriloquo tv. «Fantastico», «Te la do io l’America», «Te lo do io il Brasile»: l’unico programma di successo che Ricci non gli ha curato è «Te la do io l’Italia». Quello se lo sta scrivendo da solo. Se Grillo ricorda il pupazzo rosso che svergogna i potenti tra ghigni e sberleffi, l’attivista-tipo del Cinque Stelle assomiglia a uno di quegli inviati di «Striscia» che consegnano tapiri: informato, tignoso, sfacciato. Quanto all’elettorato, ne esiste uno cresciuto con le tv berlusconiane che da anni si abbevera ai programmi satirici di denuncia e ha finito per introiettarne meccanismi e valori. «Striscia» e «Le Iene» si pongono come giustizieri della notte, raddrizzatori di torti, vendicatori degli oppressi in contrapposizione a un Potere che magnanimo li finanzia attraverso la pubblicità. Secondo lo studioso dei media Massimiliano Panarari, il loro segreto consiste nel dare sfogo al rancore popolare verso un sistema concepito come nemico. Ai seguaci di «Striscia» il movimento di Grillo non sembra antipolitica, ma politica: difesa del cittadino. In realtà, sostiene Carlo Freccero, il termine corretto è Apolitica: il rifiuto dei partiti, ormai ridotti a meri comitati d’affari. E qui l’albero genealogico del grillismo si allarga a «Report» di Milena Gabanelli e al bestseller «La Casta» di Stella e Rizzo.

Report è la versione sofisticata della tv di denuncia, il Gabibbo in bella copia, il grande giornalismo d’inchiesta. Gabanelli incarna l’archetipo grillista del Controllore, colui o colei che incrocia i dati, macina le informazioni e rivela i segreti del Moloch che ci condiziona la vita, sia esso una multinazionale di farmaci o un assessore arrogante e corrotto. Il milione di copie de «La Casta» è stato un fenomeno sociale che la cultura in ghingheri non ha voluto capire, forse perché gli artefici non erano due intellettuali spocchiosi e incomprensibili, ma due bravissimi giornalisti. Stella e Rizzo hanno dato sostanza di pagine al mal di pancia verso i partiti e il loro sistema chiuso di privilegi. Cosa accomuna lo spettatore di «Striscia» a quello di «Report» ed entrambi al lettore de «La Casta»? L’idea che destra e sinistra siano diventate la stessa cosa: se non nei valori, nel personale politico che ha smesso di incarnarli per dedicarsi esclusivamente alla gestione del potere.

Le radici televisive del grillismo affondano qui e gli hanno sicuramente creato un pregiudizio di simpatia fra gli elettori, anche fra coloro che non lo votano. Di fronte a questo pregiudizio positivo vacillano i dibattiti sul sistema elettorale. Il doppio turno, infatti, funziona quando l’avversario è percepito come una minaccia (un leghista per un democratico, un «comunista» per un berlusconiano) e spinge l’elettore avverso alle urne per incoronare il male minore. Ma il Movimento Cinque Stelle non fa davvero paura a nessuno, semmai suscita curiosità. Così si spiega perché al ballottaggio di Parma il candidato del centrosinistra non sia riuscito nemmeno a fare il pieno dei voti presi al primo turno: migliaia di suoi elettori non hanno sentito l’urgenza di tornare alle urne. Magari in cuor loro si saranno persino augurati il trionfo della «novità».

Ma Grillo e il grillismo non si esauriscono nei vecchi mezzi di comunicazione, parola cartacea e tv. Il Cinque Stelle non si può capire senza la «class action», quel fenomeno importato dagli Stati Uniti che induce le vittime di un medesimo torto a unire le proprie forze e a fare causa comune contro il potere che le ha defraudate di qualche diritto. Il berlusconismo era delega passiva al demiurgo. Il grillismo è assunzione collettiva di responsabilità. Il berlusconiano votava col telecomando, l’attivista di Grillo (non chiamiamolo grillino) con la tastiera del Web. I seguaci di Berlusconi cercavano di assomigliare al Capo fin dalle barzellette, mentre quelli di Grillo non assomigliano a Grillo: nell’approccio sono molto meno televisivi e molto più seri. Il mito fondante del Movimento Cinque Stelle, solo in questo simile all’Uomo Qualunque di Giannini, è il Buon Amministratore. Persa la speranza di sottrarre il mondo alle trame dei grandi capitalisti, il grillismo chiede alla politica di diventare apolitica, cioè di limitarsi all’ordinaria amministrazione. Perciò la politica potrà salvarsi solo se smentirà Grillo, ricominciando a fare sogni grandi. Altrimenti il Gabibbo barbuto trionferà, così come «Striscia» trionfa da vent’anni contro una Rai che ha saputo, o voluto, contrapporgli sempre e soltanto dei Pacchi.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=1182
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« Risposta #299 inserito:: Maggio 27, 2012, 09:40:52 am »

26/5/2012

Il casto Silvio

Massimo GRAMELLINI

Per una curiosa coincidenza della cronaca (non scomoderei la Storia), mentre la ballerina Polanco raccontava in un'aula di giustizia di quando nel bungabunker di Arcore si infilava parrucca e occhiali per imitare Ilda Boccassini, il beneficiario dello spettacolo mostrava a una platea di giornalisti attoniti l'ultima e più improbabile metamorfosi della sua vita: Silvio lo Statista. Fuori tempo massimo. Anzi, fuori tempo e basta. Dal ritorno in scena del campione dell'antipolitica ci saremmo aspettati di tutto: la fusione con Grillo (Canale 5 Stelle) o la fondazione di un altro partito dal predellino dell'auto (considerati i voti rimasti, bastava una Smart), ma stavolta tenendo in braccio la Polanco travestita da Boccassini. Di tutto tranne che vederlo spuntare dietro un bancone del Senato, trasfigurato nel simbolo vivente della Casta e intento a discettare di semipresidenzialismo alla francese.

Non che non sia importante, il semipresidenzialismo alla francese. Ed è chiaro che la signora Crescita è disposta a varcare la nostra soglia (travestita da Boccassini?) solo se ad aprirle la porta troverà un semipresidente alla francese. Lo capirebbe persino Cicchitto, che infatti si aggirava nei paraggi con aria compiaciuta. Però siamo sicuri che lo zoccolo duro dell'elettorato, quello che al nord teme di perdere il lavoro e al sud i sussidi, sia in grado di cogliere la portata rivoluzionaria della proposta? Un milione di posti, meno tasse per tutti, chi non salta comunista è: quelle erano balle di successo. Ma il semipresidenzialismo alla francese rischia di non eccitare nessuno: non solo la Boccassini, ma nemmeno la Polanco.

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