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Autore Discussione: Massimo GRAMELLINI.  (Letto 331474 volte)
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« Risposta #270 inserito:: Marzo 29, 2012, 05:00:35 pm »

29/3/2012

Misure straordinarie

Massimo GRAMELLINI

Su Facebook furoreggia la candidatura del pornodivo Rocco Siffredi a sindaco di Palermo, «perché la nostra città ha bisogno di misure straordinarie», con tanto di slogan allusivi: «In basso al centro». Una goliardata. O magari no e fra una settimana il vero Siffredi annuncerà che Palermo è il Paese che ama e scenderà in campo senza neanche scendere dal letto. In politica ogni vuoto va riempito e, dopo un inverno di penitenza, a primavera i loden finiscono nel ripostiglio mentre escono dalla naftalina gli ormoni.

Eppure non è difficile scorgere in questa scemenza il segno di un malessere abbastanza sottovalutato, che riassumerei così: molti italiani non considererebbero la candidatura di Siffredi una scemenza. Non più di quanto lo sia quella di un politico di professione, intendo. Che i sopravvissuti di destra e sinistra continuino ad affacciarsi nei talk show con l'aria saccente dei padroncini in vacanza non fa che peggiorare le cose. Credono davvero di andare o tornare al governo nel 2013, come i nobili francesi del 1789 pensavano di bazzicare in eterno la corte di Versailles. Il guaio è che, nel loro patetico crepuscolo, rischiano di trascinare la politica. Che invece è cosa dura, seria, talvolta sporca, ma necessaria e persino emozionante quando è percorsa da una visione del futuro. Fra la goliardia e gli zombi si apre uno spiraglio che non potrà essere coperto a lungo dai tecnici: anziani e rispettabili signori di un tempo che fu. E' ora che il Terzo Stato delle tante associazioni in cui si declina la passione civile della società italiana prenda coscienza della propria missione e della propria forza.

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« Risposta #271 inserito:: Marzo 30, 2012, 05:59:52 pm »

30/3/2012

Zarine e furbetti

Massimo GRAMELLINI

Per la serie «Ai confini dell’impossibile» vorrei prendere le difese della signora Irene Pivetti, la pensionata più giovane d’Italia a cui dal 2013 la Camera dei deputati intende togliere proditoriamente le segretarie, gli uffici e altri bonbon. La ex presidente di Montecitorio (carica da lei occupata nell’ultimo decennio del millennio scorso con dispendio notevole di foulard) ha reagito coi consueti toni sommessi, parlando di «tagli forcaioli come nella Russia zarista». Un paragone su cui già si stanno arrovellando gli storici, dal momento che a toglierle le prebende non è stato Rasputin, ma lo sbarbatissimo Fini.

Però, però.

L’astuto Fini non ha applicato la medesima mannaia a tutti i suoi predecessori. Con una capriola sintattica che potrete assaporare nell’articolo di Carlo Bertini, ha salvato i presidenti della quindicesima e sedicesima legislatura: Violante, Bertinotti e Casini, cioè i tre che in politica pesano ancora e che potranno godere di ricchi premi e cotillon fino al 2023. Giù dall’albero della cuccagna sono cascati solo gli ex che non contano più niente: l’antico Ingrao e la zarina Pivetti, il cui grido di dolore non può lasciarci insensibili, anche se magari non nel senso che vorrebbe lei. Mi chiedo, e chiedo all’onorevole Fini, che cosa ne sarebbe di questo Paese se l’emendamento pro Casta da lui escogitato fosse democraticamente esteso a tutti i cittadini e l’aumento delle tasse e dell’età pensionabile venisse rinviato all’anno di grazia (ricevuta) 2023.

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« Risposta #272 inserito:: Aprile 03, 2012, 09:52:32 am »

3/4/2012

L'antidoto dei play-off ai traditori del pallone

Massimo GRAMELLINI

Dunque sarebbe andata così. Gli ultrà del Bari si accorgono che i giocatori, praticamente retrocessi, vendono le partite. Ma anziché redarguirli o denunciarli si mettono in affari con loro. Scommettono contro la propria squadra del cuore.

E per farlo non scelgono una partita qualsiasi. Scelgono il derby col Lecce.

Provo a immaginarmi mentre scommetto contro il Toro in un derby e al solo pensiero vengo sopraffatto da brividi di sgomento per un simile atto contro natura. E questi sarebbero dei tifosi? I tifosi del Bari, quelli veri, entrano allo stadio ignari. Par di vederli prendere posto sui gradini con i figli appesi a bandieroni più grandi di loro. «Papà, oggi vinciamo, vero?». E in quella domanda risuona ancora una fiducia totale nell’andamento lineare del mondo. Comincia la partita e le cose per il Bari si mettono male: il Lecce segna un gol. Ma si può sempre rimontare, niente è più bello di un derby vinto in rimonta. Poi il leccese Jeda spara un cross innocuo in mezzo all’area barese e il difensore Andrea Masiello si avventa sul pallone a gambe sguainate. Col primo piede lo manca, ma lo colpisce col secondo. E come lo spigolo di un flipper lo sospinge in fondo alla rete.

Un autogol talmente sguaiato da sembrare sincero persino ai telecronisti più sgamati. Masiello perfeziona l’inganno con gesti da attore consumato: prima si butta all’indietro e poi si siede per terra, la testa reclinata sulle ginocchia. È una réclame della disperazione. Penso al bambino col bandierone sugli spalti, alle sue lacrime irrefrenabili, perché tutti i maschi da piccoli hanno pianto una volta alla fine di un derby perduto e per molti di loro - di noi - è stato il primo appuntamento con la durezza della vita e dei suoi verdetti spesso incomprensibili.

In questo caso il verdetto è truccato. Il difensore infame ha preso duecentotrentamila euro per «cristallizzare» il risultato, come egli stesso ammette con linguaggio assurdamente forbito nella confessione controfirmata davanti agli inquirenti. Duecentotrentamila euro per far piangere tanti bambini e far guadagnare tanti soldi agli ultrà e ai compagni di squadra coinvolti nella truffa. E pare che non finisca qui. Grazie alla vittoria «cristallizzata» da Masiello, il Lecce infatti è salvo con una giornata di anticipo e alcuni suoi giocatori possono tranquillamente vendersi l’ultima di campionato contro la Lazio. Questa, almeno, la convinzione della magistratura. Sta di fatto che il giorno dopo l’allenatore del Lecce straccia il contratto e se ne va senza dare spiegazioni. Le scommesse nel calcio sono come il doping nel ciclismo: molti le praticano, tutti lo sanno, nessuno ne parla. Lo chiamano «quieto vivere», ma il suo nome vero è «omertà».

A questo punto dovrebbe partire il pistolotto moralista contro il pallone, specchio e metafora di una società avida e sregolata: Masiello come i broker di Wall Street. Il quadro è disperante, perché a vario titolo coinvolge tutti gli attori (è il caso di dirlo): giocatori, allenatori, dirigenti e ultrà. Un sistema di professionisti cinici che campa sulle spalle di alcuni milioni di creduloni che continuano a pagare il biglietto o l’abbonamento televisivo per nutrirsi di emozioni sempre più edulcorate. Ma in attesa dell’illuminazione collettiva che cambierà la natura umana - o semplicemente dell’esplosione di questo giocattolo gonfiato da troppi soldi, partite, interessi - mi permetto di proporre una soluzione che ai ladri toglierebbe, se non la voglia, almeno l’occasione per rubare. I playoff.

Un campionato a sedici squadre che finisca a Pasqua e poi lasci il posto a due tornei a eliminazione diretta: fra le prime otto per lo scudetto e fra le ultime otto per la salvezza. Così tutte le sfide di primavera diventerebbero decisive e sarebbe molto difficile architettare giochi sporchi. La condizione ideale per la truffa è che una delle due squadre, come il Bari di Masiello in quel derby, non abbia più stimoli sportivi. Solo i playoff garantiscono la par condicio. La garantiscono prima, quando le partite contano poco. E dopo, quando contano troppo, ma sempre per entrambi.

Certo, che pena. Mi torna alla mente l’ultima intervista a Giorgio Bocca in casa sua. Dopo averlo sentito enumerare per due ore le nefandezze del mondo, gli chiesi: ma secondo te esiste ancora qualcosa di pulito in cui credere? Gli occhi di Bocca si illuminarono: «Oh sì! Un bicchiere di vino rosso e una bella partita in tv». Come tutti i vecchi, era tornato bambino. Non ebbi il coraggio di rovinargli l’incanto, suggerendogli di circoscrivere i suoi sogni di purezza al vino.

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« Risposta #273 inserito:: Aprile 04, 2012, 05:07:24 pm »

4/4/2012

La Casta si è fermata a Cuneo

Massimo GRAMELLINI

A Cuneo, dove tutti idealmente abbiamo fatto il militare, sono seicento i cittadini che aspirano a fare il consigliere comunale. Seicento su una popolazione di sessantamila anime, poppanti compresi, significa un candidato ogni cento cuneesi. Siamo al delegato di condominio. E mica soltanto a Cuneo. Ventisette liste a La Spezia, sedici candidati per la poltrona di sindaco ad Alessandria, ottocentocinquanta aspiranti consiglieri a Catanzaro e milletrecento a Palermo. L’esperienza suggerirebbe il cinismo: ecco i soliti italiani, buoni a sputar fiele sulla Casta, in realtà smaniosi di farne parte: il titolare di un pacchettino di cinquanta voti potrà farlo pesare al momento delle alleanze, contrattando posti e prebende, alimentando spesa pubblica e familismi assortiti.

Eppure mi voglio illudere che stavolta sia diverso. Che la liquefazione dei partiti della cosiddetta Seconda Repubblica rappresenti un fatto compiuto e i rivoli della società civile abbiano ricominciato a scorrere nell’alveo secco della politica, riempiendolo di una quota inevitabile di lestofanti, mestatori e goliardi (in una comunità montana del Cuneese c’è persino la lista bunga bunga), ma anche e soprattutto di idealisti e di entusiasti. Certe liste naïf hanno nomi palpitanti: Nuvole, Esuli in patria, Politica pulita. Bene comune, I cittadini prima di tutti. E’ un flusso scomposto, in qualche caso sgangherato, ma pieno di passione politica ed energia vitale: quella che i partiti non esprimono più. La democrazia del futuro è nascosta lì in mezzo. L’augurio è che non si faccia guastare dalle cattive compagnie.

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« Risposta #274 inserito:: Aprile 05, 2012, 03:35:57 pm »

5/4/2012

Massimo GRAMELLINI

Sulla soglia dei novant’anni Margherita Hack si presenta nello studio medico del dottor Garagliu per il rinnovo della patente. Ma il dottore si rifiuta di visitarla. In base alla legge, spiega, il medico deve rilasciare un certificato di idoneità alla guida della durata di due anni, mentre all’età della Hack le condizioni di salute possono peggiorare da un momento all’altro e soltanto un’apposita commissione sanitaria è autorizzata a fornire «tagliandi» più brevi. L’astrofisica punta il telescopio dell’indignazione sul malcapitato e lo disintegra neanche fosse un meteorite, strillando all’abuso incostituzionale.

Questa storia, che spaccherà le famiglie italiane (novantenni motorizzati con la Hack, figli e nipoti - preoccupati per la carrozzeria dell’auto e in maggior misura per quella del novantenne - con il dottore), si presta a due considerazioni. La prima è che la seconda rivoluzione, accanto a quella digitale, per cui la nostra epoca entrerà nei libri di storia è il prolungamento della vita attiva. Per l’anzianissimo di oggi l’auto è sinonimo di indipendenza. Anche se ormai, con la benzina a due euro, per poterla guidare occorra non solo una salute di ferro ma una pensione d’oro. La seconda considerazione, e me ne scuso con la geniale signora, è che le regole non sono di pongo, adattabili a piacere. Alcune saranno magari stupide, però molte hanno una logica. Come quella evocata dal dottore pignolo. Perché il fisico, come lo Stato, ha le sue leggi. E le leggi vanno rispettate, anche dai fisici.


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« Risposta #275 inserito:: Aprile 11, 2012, 07:04:19 pm »

11/4/2012

Made in Iktaly

Massimo GRAMELLINI

L’Ikea delocalizza in Italia. Nel mondo al contrario in cui ci tocca vivere la multinazionale scandinava sposta un pezzo consistente della sua produzione dall’Estremo Oriente alla Padania detrotizzata. Pare infatti che, nonostante tutte le statistiche ci diano per spacciati, nessuno abbia ancora imparato a fare i rubinetti come noi. E i cassetti della cucina. E i giocattoli per le camere dei bambini. La qualità sanno crearla anche altri. La produzione in serie, pure. Ma la qualità in serie, quella rimane una specialità della casa. Non siamo soltanto il Paese dei partiti famelici, dei funzionari corrotti e di mamme più parziali degli arbitri (la Family di Gemonio insegna che in molte madri italiane c’è un’Agrippina disposta a qualsiasi nefandezza pur di spingere avanti il proprio debosciato Nerone). All’estero si ostinano a riconoscere l’esistenza di un’altra Italia in cui noi abbiamo smesso di credere. L’Italia del lavoro ben fatto, del buon gusto, del bel vivere e del meglio pensare.

Se avessi il potere assoluto per cento minuti farei piazza pulita dei mestieri che non possono più darci un mestiere (perché altrove sono fatti meglio e a minor costo) e concentrerei tutte le risorse disponibili su ciò che ci rende unici: l’artigianato di qualità, il design, il cibo, il vino, il turismo, la cultura. Creerei un fondo per la Bellezza a cui attingere per aprire botteghe di alta manualità, restaurare opere d’arte, ripulire spiagge e rifugi di montagna, trasformare case smozzicate in agriturismi. Nel mondo al contrario c’è spazio solo per chi si distingue dagli altri. E noi, o diventiamo la patria delle meraviglie o non saremo più niente.


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« Risposta #276 inserito:: Aprile 12, 2012, 03:45:17 pm »

12/4/2012

Il vecchietto dove lo metto

Masimo GRAMELLINI


Diventar vecchi è una tragedia. Ma fortunatamente non più per i vecchi. Per l’umanità intera. Questo delicato pensiero traspare dalla profezia del Fondo Monetario Internazionale, noto ente benefico con il cuore a forma di trappola. «Se entro il 2050 la vita media dovesse aumentare di tre anni più delle stime attuali» sostengono i buttafuori dell’economia globale, «i già elevati costi del Welfare crescerebbero del 50 per cento». Lo scenario è da film catastrofico. Milioni di anziani che vanno e vengono dagli ospedali terremotando i bilanci delle Asl e le mazzette dei politici. I prezzi dei badanti alle stelle (basta vedere quanto ci è costata Rosy Mauro). Il peso di un esercito di indomiti e canuti nullafacenti a gravare sulle spalle di rari lavoratori precari e precocemente invecchiati. I fondi pensione - senza più nessuno che paga la pensione finiranno per andare a fondo, trascinandosi dietro le Borse, gli Stati e lo stesso Fondo Monetario, che per la gioia del suo ex presidente Strauss-Khan sarà costretto a rifugiarsi in Brasile, uno degli ultimi luoghi del pianeta dove le scuole di samba vantano più iscritti delle bocciofile.

Come scongiurare lo sfacelo annunciato? Qualcuno dovrà pur sacrificarsi. Escludendo che quel qualcuno sia il Fondo Monetario, non restiamo che noi, i vecchietti del 2050. Se l’assenza di diluvi universali dovesse malauguratamente protrarsi, ci toccherà mettere in pratica la soluzione avanzata dallo scrittore Martin Amis: entrare in una cabina al compimento del novantesimo anno, schiacciare un bottone e adios. Per lo spread, questo e altro.

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« Risposta #277 inserito:: Aprile 15, 2012, 11:36:23 am »

14/4/2012

Bella Trota

MASSIMO GRAMELLINI

Dopo alcuni minuti di inopinato silenzio, Daniela Santanchè è tornata per esporci il risultato delle sue meditazioni. Sorvolerei sul paragone fra Nilde Iotti e Nicole Minetti e non solo perché la prima ha fatto la Resistenza e la seconda al massimo la lap dance. Nel Pci bigotto del dopoguerra la carriera di Iotti fu penalizzata dalla storia d'amore con Togliatti, mentre gli incontri ravvicinati con B non hanno ostacolato le ambizioni della statista dell'Olgettina. Veniamo piuttosto al cuore della riflessione santancoide: il familismo degli italiani. Per la filosofa di Cuneo, che la mamma del Trota abbia brigato per piazzare il Trota al posto del Pesce Pilota non è un male in sé. Lo diventa perché il Trota «è un pirla». Il trucco starebbe dunque nel raccomandare parenti che non siano pirla. Come la nipote di Santanchè, da lei raccomandata a cuor leggero presso il presidente della Provincia di Milano in quanto «brava e bella». Ancorché cinico per un patetico moralista del mio stampo, il ragionamento ha una sua coerenza. Però presenta un punto debole: chi decide se un parente è bravo e bello oppure pirla? Interrogata al riguardo, scommetto che la mamma del Trota definirebbe «bravo e bello» il Trota e «pirla» la nipote di Santanchè. Si capisce quindi quanto sia urgente la creazione di un'Authority delle Raccomandazioni in grado di distinguere una volta per tutte il parente bravo da quello pirla. Per la presidenza di detta Authority mi permetto di segnalare un mio consanguineo: bello e bravo, nonostante sia imparentato con un pirla.

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« Risposta #278 inserito:: Aprile 17, 2012, 12:03:33 pm »

17/4/2012

Errore drammatico

Massimo GRAMELLINI

Alfano Bersani Casini hanno lanciato il loro personalissimo urlo di dolore: cancellare i soldi pubblici ai partiti sarebbe un errore drammatico, in quanto consegnerebbe la politica ai ricchi e alle lobby. Sacrificando, immagino, la confraternita di monache e filosofi che l’ha guidata negli ultimi vent’anni. Con buona pace della dirigenza del Pd, permalosa assertrice di una «diversità» che le cronache degli ultimi mesi hanno reso in gran parte immaginaria, chi critica la sordità della Casta non è un demagogo. Sa che la buona politica è tale solo se viene finanziata dai contribuenti. Ma a tre condizioni: che ogni dieci anni ci sia un ricambio completo del personale (la corruzione prolifera negli stagni), che i politici siano scelti dagli elettori, e che siano molti di meno: non il milione di persone che traffica nel sottobosco dei partiti e delle istituzioni da essi occupate.

Peccato che di questi temi nell’urlo di ABC non vi sia traccia. I tre capi della maggioranza non vogliono cancellare gli emolumenti pubblici ai partiti. Ma si guardano bene anche solo dal dimezzarli. Promettono, bontà loro, maggiori controlli affinché i tesorieri non possano più spostare milionate di euro all’insaputa dei loro astutissimi leader, ma lasciano la sanzione al Parlamento, cioè a se stessi. Il vero errore drammatico, agli occhi dei cittadini, è che al culmine di una crisi che sta atterrando l’Italia l’unico documento congiunto che ABC abbiano sentito l’esigenza di firmare sia quello a tutela dei loro interessi.

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« Risposta #279 inserito:: Aprile 18, 2012, 03:58:44 pm »

18/4/2012

Anche Gesù

Massimo GRAMELLINI
.
Anche Gesù ha sbagliato un collaboratore, si difende il ponziopilato della Lombardia. Dopo ponderate riflessioni avrei ravvisato alcune differenze fra il Cristo e il Celeste (uno dei due soprannomi di Formigoni, l’altro è il Modesto, ma l’uomo è così modesto che preferisce non farlo circolare). Gesù fu battezzato dal Battista, Formigoni dal Berlusca. La carriera pubblica di Gesù si consumò in tre anni, quella di Formigoni in Regione prosegue imperterrita da diciassette. Gesù non faceva vacanze di gruppo sugli yacht dei farisei: preferiva i pescherecci, casomai una camminata sulle acque. Quanto al suo tesoriere, Giuda era più economo di Lusi (vabbé, ci vuol poco), più colto di Belsito (vabbé, idem) e a differenza dei formigonidi non venne mai raggiunto da avvisi di garanzia. Gesù sapeva bene chi era Giuda: non fu tradito a sua insaputa. In ogni caso avrebbe commesso un errore di valutazione isolato. Formigoni invece di collaboratori ne ha sbagliati parecchi, a cominciare dal sarto daltonico che gli sforna le camicie per proseguire col cugino depresso di Andy Warhol che ha ideato quegli spot sul Web in cui il Celeste fa lo spadaccino.

Sugli altri collaboratori sbagliati preferirei tacere, avendo già parlato la magistratura. Aggiungo solo che la cifra del tradimento di Giuda, trenta denari, anche al netto dell’inflazione risulta di gran lunga inferiore a quelle che danzano nel cielo sopra Milano per sfamare gli appetiti dei notabili e delle lobby che li sostengono. (Lobby? Ho detto lobby? Scusate, mi ero scordato che, grazie al finanziamento pubblico dei partiti, viaggiano lontane anni luce dal mondo della politica).

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« Risposta #280 inserito:: Aprile 19, 2012, 04:58:21 pm »

19/4/2012

La politica del babau

Massimo GRAMELLINI

Perché Monti continua a farci del male, agitando lo spettro della Grecia? Possibile che nella squadra dei tecnici non ci sia uno psicologo in grado di spiegargli che i cittadini non sono bambini da spaventare, ma adulti da motivare? Anche ieri la solita storia: cari italiani, se non vi tassassimo a sangue, fareste la fine di Atene. Nel racconto montiano l’Italia è un viandante sopravvissuto miracolosamente alla prima fase della carneficina, ma tuttora inseguito da un branco di lupi a cui ogni giorno deve sacrificare uno stinco o un gomito per avere salva la vita. Una fotografia vera, ma schiacciata sul presente. Manca ciò che da tempo si chiede invano ai governanti: una visione del futuro. Aumentare la benzina è un’aspirina, non una cura. E non lo è neppure combattere l’economia sommersa dei privati senza toccare la spesa pubblica e il sottobosco corrotto della burocrazia.

I nostri nonni possedevano il nulla, ma si sentivano dire dalla politica che, sgobbando con passione, avrebbero potuto avere tutto o almeno qualcosa. Adesso il sentimento dominante nel discorso pubblico non è più la voglia, ma la paura. Quella peggiore, poi: la paura di perdere, anticamera della sconfitta sicura. Il cittadino è disposto a sacrificarsi se gli si offrono una direzione di marcia e una prospettiva di riscossa. Ma se ci si limita a spaventarlo col babau della povertà, lungi dal reagire si dispera e si arrende. Forse, oltre che uno psicologo, a questa squadra di tecnici manca un filosofo. Uno che li aiuti a capire che nel destino delle nazioni esiste qualcosa di più grande dello spread.

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« Risposta #281 inserito:: Aprile 22, 2012, 04:29:23 pm »

21/4/2012

Soldi nostri

MASSIMO GRAMELLINI


Dice Bossi: quei soldi erano nostri, potevamo farci quel che ci pareva, anche buttarli dalla finestra. Se era un tentativo di migliorare la posizione della Lega agli occhi degli elettori, temo non gli sia riuscito troppo bene. La sua frase rivela semmai lo spirito della Casta e il morbo che ha devastato il rapporto fra partiti e cittadini. Quei soldi, signor Bossi, non sono vostri. Sono nostri. Dei contribuenti che li hanno versati attraverso le tasse, spremendoli dal frutto del proprio lavoro. Sono un prestito che facciamo alla politica e che la politica è tenuta a restituirci con le sue opere e a documentarci con rendiconti precisi. Essendo soldi nostri, non solo ci interessa sapere come li spendete, ma saperlo è un nostro diritto. Altro che buttarli dalla finestra o negli stravizi del Trota.

In fondo è la stessa forma di rispetto che pretendiamo dal dipendente pubblico, quando allo sportello ci tratta da postulanti. Ma come si permette? Siamo noi a pagargli lo stipendio, perciò deve mettersi al nostro servizio: persino quando siamo insopportabili (a volte lo siamo anche noi). Così almeno diceva mio padre, impiegato statale. È incredibile, ma forse no, come la Lega abbia mutuato dalla burocrazia di Roma ladrona i difetti che canzonava nei comizi delle origini. La visione proprietaria del bene pubblico e dei fondi della comunità. Quel pensiero molto italiano che ciò che è dello Stato non appartenga a nessuno e quindi chiunque ne possa approfittare. Invece appartiene a tutti: impariamo a difenderlo dai Bossi di oggi e possibilmente anche da quelli di domani.

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« Risposta #282 inserito:: Aprile 26, 2012, 03:40:48 pm »

24/4/2012

I compari del calcio

Massimo GRAMELLINI

Chiunque di noi sparasse fumogeni in una via del centro sarebbe circondato dai passanti e arrestato. Allo stadio rimane impunito e diventa un personaggio». Era l’incipit di un Buongiorno datato 14 aprile 2005. Sette anni fa. In Italia i problemi non si risolvono mai. Invecchiano come il buon vino in botti di rovere, però a differenza del buon vino non diventano barolo ma aceto, lasciando in bocca il sapore acidulo della resa.

La gogna di Genova è l’ultima vergogna.

Giocatori che infischiandosene del pubblico perbene si tolgono la maglia sotto la minaccia dei violenti, riconoscendo loro uno status di tifosi «più tifosi degli altri» che essi rivendicano ma che non meritano. L’incredibile Sculli che abbraccia uno di questi tipacci e gli parla all’orecchio, da compare a compare. Sculli che andrebbe squalificato a vita solo per questo. Tranquilli, non succederà. Non succede mai nulla. Solo retorica a vagonate. Troppi dirigenti del calcio sono pavidi e mediocri, farebbero fallire qualunque società «normale» di cui per disgrazia diventassero i manager. Quanto ai reggitori della Federcalcio e della Lega appaiono come funzionari grigi del potere politico ed economico. Di loro non si ricorda un gesto, uno slancio vitale. Incapaci persino di proporre riforme ovvie come il campionato a 16 squadre e l’introduzione dei playoff, che fra un po’ sarà la tv a pretendere perché le troppe partite fra brocchi hanno nauseato il pubblico (tranne quello degli scommettitori). Tutti in prima fila nell’indignarsi e nell’auspicare, ma alla fine gli ultrà resteranno dove sono, a bordo campo, liberi di lanciare fumogeni e bombe carta, mentre a me e voi gli steward dello stadio continueranno a sequestrare il tappo dell’acqua minerale.

Si aspettava la risposta dura delle istituzioni. Eccola: due giornate di squalifica al campo del Genoa. Più che altro un regalo al presidente Preziosi: gli hanno risolto il problema fino al termine del campionato. Poi si vedrà. Intanto il testone pelato che a Marassi sbraitava a favore di telecamera mica è stato arrestato, nonostante fosse in flagranza di reato. E neppure i cinquanta scalmanati che hanno preso in ostaggio migliaia di spettatori normali. Quando la smetteranno i questori, per non avere grane, di lasciar circolare a piede libero dei teppisti conosciuti nome per nome?

Il sospetto che i giocatori si vendano la partita o pezzi di essa, scommettendo sul numero dei gol o dei calci d’angolo, si è trasformato in uno splendido pretesto per scatenare la furia vendicatrice degli ultrà, smaniosi di ergersi a grandi sacerdoti della religione tifosa. Fra questi giovanotti col fisico da buttafuori ci sono fanatici in buona fede, seriamente convinti di incarnare i valori del «Gladiatore», onore e dignità. La retorica del dodicesimo uomo in campo, colpevolmente alimentata da noi giornalisti, ha contribuito ad accrescere la loro convinzione di essere i custodi supremi della Purezza della Maglia. Un feticcio che va onorato ogni maledetta domenica con qualsiasi mezzo, compresi la minaccia e la violenza.

Accanto a questi templari del pallone, talmente compresi nella loro missione salvifica da avere ormai espulso dalle curve le armi benedette dello sberleffo e dell’ironia, si muovono personaggi ancora più torbidi. Razzisti, nazifascisti e autentici malviventi che si mescolano ai perdigiorno che nel tifo organizzato hanno trovato una professione ben remunerata. Pascolano intorno al campo di allenamento, fanno parte del panorama. I giocatori e le società li usano come camerieri o come scorta, compensandoli con biglietti e magliette che quelli poi si rivendono traendone utili consistenti. E’ un rapporto ambiguo, dove i ruoli di schiavo e padrone cambiano di continuo e il confine fra lecito e illecito risulta impalpabile. Ma è un rapporto vero e profondo, che fa parte dell’economia calcistica come le relazioni con la mafia fanno parte dell’economia di moltissime regioni italiane.

Come se ne esce? Vorrei poter dire: con la cultura sportiva. Trento ha perso lo scudetto della pallavolo all’ultimo punto dell’ultimo set per un errore clamoroso dell’arbitro, eppure il presidente del club ha accettato il responso del campo e fatto i complimenti agli avversari. In un prato simile l’erbaccia degli ultrà non riuscirebbe a crescere. Ma il calcio non è uno sport, lo sappiamo fin troppo bene noi che ne frequentiamo gli isterismi. Perciò si impone un cambiamento più spiccio. Società che denuncino i violenti e poliziotti che li sbattano fuori dagli stadi: una due tre dieci volte, finché si troveranno un altro passatempo, speriamo meno remunerativo. Ci saranno ritorsioni? All’inizio sì: nessun cambiamento è indolore. Ma è proprio per scansare la sofferenza che in Italia non si cambia mai nulla, condannandosi alla putrescenza.

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« Risposta #283 inserito:: Aprile 26, 2012, 03:41:35 pm »

25/4/2012

Il giocoliere

Massimo GRAMELLINI

Torino, semaforo di largo Orbassano. Scatta il rosso e un giocoliere invade l’asfalto per dare spettacolo ai motorizzati in attesa. Purtroppo non è giornata: una clavetta cade a terra e anche il cappellino, invece di roteare diligentemente lungo la schiena, preferisce andarsene altrove. Lo sguardo avvilito, il giocoliere si piega a raccattare gli attrezzi del mestiere. Un uomo su una moto sta per allungargli la moneta d’ordinanza, ma lui sorride e scuote la testa. «No, grazie. Troppo errore», spiega in un italiano stentato. E anziché fare la questua fra le auto in coda, si rifugia sull’aiuola accanto al semaforo per esercitarsi.

Riassumendo: il giocoliere ha rinunciato al compenso perché ha ritenuto la propria prestazione inadeguata, era visibilmente imbarazzato per la figuraccia e invece di sedersi ad aspettare il rosso successivo, magari prendendosela con la sfortuna, ha preferito utilizzare quei pochi secondi di pausa per allenarsi. Ciascuno pensi al proprio ambiente di lavoro e faccia i paragoni che crede. A me basta dare un’occhiata allo specchio per avvertire, al confronto, un pizzico di disagio. L’amico che mi ha raccontato la storia (era l’uomo sulla moto) vorrebbe far ottenere al giocoliere di largo Orbassano la nomina a senatore a vita, con successiva e sollecita ascesa alla presidenza del Consiglio. Perché la sensazione - la sensazione del mio amico, s’intende - è che in momenti come quelli che stiamo vivendo non servano degli esperti, ma dei caratteri.

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« Risposta #284 inserito:: Aprile 26, 2012, 03:42:53 pm »

26/4/2012

Perché Messi non è Maradona

Massimo GRAMELLINI

Dedicato a chi si lamenta perché l’universo non lo aiuta abbastanza, anzi gli tira decisamente contro. Leo Messi ha appena perso il campionato e la Champions con il Barcellona, dopo aver già perso tutto quel che c’era da perdere con l’Argentina. Messi, cioè, gioca bene a calcio come Maradona ma, a differenza di Maradona, non sa vincere le partite da solo. Perché? Il segreto riposa nelle loro biografie. Non nell’infanzia: il bimbo Messi, afflitto da nanismo, ha sofferto più del bimbo Maradona. Lo scarto avviene nell’adolescenza: quando Maradona comincia a girare il mondo senza altra protezione che la sua faccia tosta e il quattordicenne Messi si trasferisce a Barcellona per curarsi. Da allora Leo cresce in un ambiente protetto, caldo, sereno. La vita perfetta e banale che tutti sognano. Ma che ha un prezzo che molti ignorano. Ti prosciuga dentro. Ti toglie la rabbia, la voglia, l’energia vitale. Ti fa credere che la vita sia un traguardo, mentre è una strada per andare da qualche altra parte.

Non sto tessendo l’elogio delle esistenze spericolate, né considero una colpa che Messi si ubriachi di acqua minerale e abbia la stessa fidanzata da sempre come Topolino. So però che le sofferenze da cui Messi cerca di scappare come tutti (mentre Maradona ha la capacità autodistruttiva di procurarsele con inesausto fervore) sono le note dello spartito dell’evoluzione umana. La felicità di Messi è il suo limite, la disperazione di Maradona il suo mantice: la forza misteriosa che ha fatto di lui un campione più grande e un uomo più vero.

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