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Autore Discussione: Massimo GRAMELLINI.  (Letto 331450 volte)
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« Risposta #255 inserito:: Febbraio 10, 2012, 11:19:16 am »

10/2/2012

Trova le differenze

Massimo GRAMELLINI

Nell’arco di tre mesi il settimanale più famoso del mondo ha dedicato la copertina a due premier diversissimi, nati incredibilmente nello stesso Paese: il nostro.

Rimangono le questioni irrisolte. Chi ha le orecchie più grandi? Chi incarna la destra moderna? A chi si è ispirato Leonardo per il sorriso della Gioconda? Come è possibile che in appena tre mesi - il tempo che Alemanno impiega per mettere le catene - secondo il titolista di «Time» siamo passati dallo status di economia più pericolosa del pianeta a quello di ultima speranza d’Europa? Da chi comprereste una barzelletta usata? (Io da Monti: adoro l’umorismo lugubre).

L’italiano medio somiglia a uno dei due o il suo sogno è essere Monti di giorno e Berlusconi la notte? Quando mai metteranno Bersani sulla copertina di «Time»?

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41
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« Risposta #256 inserito:: Febbraio 11, 2012, 10:06:57 am »

 11/2/2012

I nuovi orfani

Massimo GRAMELLINI

Da qualche tempo i giornalisti aprono la posta con un moto d’angoscia. Finiti i tempi in cui i lettori si arrovellavano su destra e sinistra. Ora parlano di licenziamenti, debiti, rese esistenziali. Ieri mi ha scritto un uomo di 56 anni: aveva una moglie, un figlio, una piccola attività e un mutuo in banca. Poi l’azienda è fallita, la moglie lo ha lasciato portandosi via il ragazzino e la banca gli ha messo alle costole un’agenzia di recupero crediti. Non sapendo dove andare, è tornato nel grembo di sua madre, che lo ha ripreso in casa con amore e sofferenza perché non è un figliol prodigo ma uno sconfitto della vita.

Quando avevo l’assolutezza dei vent’anni ero un potenziale ministro tecnico che teorizzava la meritocrazia e disprezzava i mediocri, i pigri, i falliti. Mio padre mi accusava di infondere nelle utopie liberali lo stesso fanatismo che comunisti e fascisti mettevano nelle loro. Mi spiegava che il mondo non è abitato da supereroi, che la maggioranza degli uomini è fragile, poco competitiva ed esposta ai venti del destino, e che una società è tale se riesce a garantire anche a costoro un tenore di vita dignitoso. Lo Stato sociale ha rappresentato la trasposizione pratica del discorso di mio padre. Ne abbiamo abusato con sprechi e ruberie.

Ma quell’obbrobrio di buon cuore ci ha tenuti insieme. Ora che si sta estinguendo sotto il peso del debito, milioni di persone si scoprono sole con le loro debolezze, i loro errori difficilmente rimontabili. Non saranno le sferzate di qualche ministro a riscattarle, ma una politica economica che riparta da quel che abbiamo perduto: l’umanità.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41
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« Risposta #257 inserito:: Febbraio 22, 2012, 11:52:22 am »

22/2/2012

Emma al bar
 
Massimo GRAMELLINI

Mi ritrovo sempre più spesso a tessere controvoglia l’elogio dell’ipocrisia dei vecchi democristiani, che parlavano ore senza dire nulla. Lo facevano apposta: per non offendere nessuno. Quando accusa i sindacati di proteggere i ladri e gli assenteisti cronici, Emma Marcegaglia si esibisce in un classico lamento da bar. I sindacati difendono i mascalzoni e penalizzano i volenterosi. Gli imprenditori portano i soldi in Svizzera invece di investirli in azienda. I manager non vengono pagati per quanto producono ma per quanto tagliano. I ragazzi piangono miseria però si rifiutano di fare i mestieri umili, e via sermoneggiando.

Ora, i luoghi comuni da bar sono tali proprio perché contengono un fondo di verità. Ma hanno questo di terribile: pronunciati fuori dal loro contesto naturale (l'aperitivo con oliva) si tramutano in una generalizzazione che avvelena la convivenza e fa scattare la rappresaglia. Lo si è visto anche ieri: Marcegaglia non aveva ancora finito di sputare fiele sul sindacato protettore di ladri con cui in teoria sta trattando la riforma del mercato del lavoro che già Di Pietro le suggeriva di «guardare a casa sua», allusione non troppo elegante ai procedimenti giudiziari che hanno coinvolto la famiglia dell’imprenditrice. Quando le vacche sono grasse questi scambi di cortesie aiutano a ingannare la noia. Ma nei momenti di bestiame pelle e ossa trasmettono solo sgomento. Come se chi occupa ruoli di responsabilità non si rendesse conto che in ascolto c’è un’umanità sgomenta che chiede di essere spronata, non provocata.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41
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« Risposta #258 inserito:: Febbraio 23, 2012, 11:27:15 am »

23/2/2012

La buona ricchezza

Massimo GRAMELLINI

Certo voi comunisti siete strani arnesi, mi scrive un lettore che considera comunista anche Monti e in genere chiunque si collochi a sinistra dei tacchi della Santanchè. Finché c’era Lui, sostiene l’orfano del Bandana, disprezzavate la ricchezza come sterco del diavolo. Ma ora che al governo ci sono i papaveri delle banche che guadagnano milioni in consulenze, esaltate la ricchezza come misura del merito. Dov’è la coerenza, compagno?

Esimio signore, la sua opinione - pur complessivamente apprezzabile - mi sembra soffra di un certo squilibrio e non sarei del tutto scontento se lei mi concedesse l’opportunità di una replica. (Scusi il tono aggressivo, ma noi compagni del Monti ci esprimiamo così). Nascere ricchi è una fortuna. Diventarlo un merito (e una fortuna, perché tanti lo meritano e non riescono a diventarlo). Ma in entrambi i casi non si tratta di una colpa. La colpa è accumulare soldi rubando, corrompendo, evadendo. Ma il fatto di essere valutati dal mercato non rappresenta di per sé una vergogna. Lo diventa, a mio avviso, quando si esagera. Non solo nel guadagnare (certe disparità andrebbero attutite), ma nell’ostentare. A irritarmi, nella vecchia classe dirigente, non era la ricchezza, ma il modo in cui ci veniva di continuo sbattuta addosso: pacchianeria, sprechi, volgarità scambiata per vitalità. La cafonaggine è tenera in un povero, ma insopportabile in un ricco. Sono un piemontese moralista, mi perdoni, e non mi urta che Monti abbia i milioni. Mi urterebbe se li avesse rubati o se li usasse per cospargere il suo loden di brillantini.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41
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« Risposta #259 inserito:: Febbraio 29, 2012, 10:04:55 am »

29/2/2012

Pietà l'è morta

Massimo GRAMELLINI

C’è stato un tempo in cui eravamo intrisi di buonismo gelatinoso e il «politicamente corretto» invadeva il discorso pubblico con il suo codazzo di espressioni ridicole. Ora quel tempo è passato e a dominare la scena è il cinismo dei gretti contrabbandato per sincerità.

Molti pensano che il manifestante No Tav caduto dal traliccio se lo sia meritato. Non solo lo pensano, lo dicono al bar e lo scrivono sul web. Ma quando lo stesso concetto esonda dal cicaleccio privato e diventa la domanda del sondaggio di un giornale (nella circostanza «Libero»), o quando un altro quotidiano (nella circostanza «Il Giornale») definisce a tutta pagina «cretinetti» un tizio che sta in coma all’ospedale coi polmoni arrostiti, significa che è in atto un salto qualitativo.

Come se la rinuncia al filtro della sensibilità - per la smania di interpretare il pensiero comune al livello più basso - avesse arrostito qualcosa anche dentro di noi.

Non ho alcuna simpatia per i violenti, i fanatici e i provocatori che hanno rubato la scena al popolo pacifico dei No Tav.
Ma di fronte a un essere umano che lotta contro la morte e al dolore della sua famiglia, il registro della pietà continua a sembrarmi preferibile a quello dello sberleffo. Capisco che i toni forti e le battute grossolane soddisfino il bisogno di rassicurazione che agita le menti in questi tempi confusi. Ma è una gratificazione provvisoria e ingannevole, che si lascia dietro un senso di sgomento, foriero di nuove paure. La decadenza delle parole anticipa sempre quella della civiltà che ne abusa.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41
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« Risposta #260 inserito:: Marzo 02, 2012, 10:49:55 am »

2/3/2012

La nostra colonna sonora

Massimo GRAMELLINI

La magia della grande musica si scopre quando i grandi cantanti se ne vanno. Ieri milioni di italiani hanno ripercorso in un attimo la propria vita con la colonna sonora di Lucio Dalla, così come avevano fatto alla morte dell’altro Lucio nazionale. Caro amico ti scrivo che nel centro di Bologna non si perde neanche un bambino e se è una femmina si chiamerà Futura...

Ci sono cascato anch’io ed è stato facile, oltre che bellissimo. Il mio Dalla non è quello che avrei conosciuto di persona in anni recenti, e con il quale ho presentato libri, riso, scherzato, persino polemizzato. Il mio Dalla è la notte prima degli esami. Estate 1979, vigilia della maturità, Dalla e De Gregori in concerto con «Banana Republic» allo stadio Comunale di Torino, davanti a casa mia. Durante il giorno coi miei compagni avevamo studiato in cucinino, dove per un curioso gioco di rimbombi si potevano sentire le prove dei musicisti: sembrava che il sax di Dalla fosse in cortile. Ho il ricordo nettissimo di noi che interrompiamo una poesia del Leopardi per affacciarci al balcone e lasciarci trasportare da un suo assolo di jazz. La sera i compagni telefonarono alle mamme per dire che si sarebbero fermati da me a ripassare. Invece andammo allo stadio, confusi fra altri settantamila, ma col cuore che ballava di paura per il giudizio imminente e dei biglietti particolarmente meschini.

Eravamo nel settore più lontano dal palco e ancora non esistevano i maxischermi: De Gregori era un puntino, Dalla la metà di un puntino. Ma appena abbracciava il sax e ci soffiava dentro si trasformava in un gigante.

E poi, e soprattutto, c’erano le sue canzoni sparate nella notte: «Com’è profondo il mare», «Piazza grande», «Stella di mare» («Tuuuu come me», e quell’uuu gli usciva dalla cassa toracica come un’orchestra di cento elementi), «L’anno che verrà». Le sapevo tutte a memoria, a differenza delle poesie del Leopardi. Quando partì «Cosa sarà» («che ci fa morire a vent’anni anche se vivi fino a cento») guardai il cielo sopra lo stadio e giurai alle stelle che non sarei mai stato un ventenne morto, anzi, avrei fatto di tutto per diventare un centenario vivo. Quella frase cantata a squarciagola alla vigilia dell’esame di maturità segnò a tal punto la mia formazione che il giorno in cui, da adulto, conobbi De Gregori gli dissi che era la più bella che avesse mai scritto. De Gregori concordò sulla bellezza della canzone e aggiunse con un sorriso che purtroppo non era sua, ma di Ron e Lucio: lui l’aveva solo cantata. È stato uno dei momenti più imbarazzanti della mia vita e anche questo lo devo a Dalla.

Chi non lo ha già fatto ieri, può provarci adesso con me. Raccontarsi la vita in un minuto, attraverso le sue canzoni. «4 marzo 1943» (era l’unico cantante di cui tutti sapevamo la data di nascita) e mi rivedo bambino triste e solo davanti alla tv in bianco e nero che trasmette il festival di Sanremo. «Disperato erotico stomp» accompagnò i primi viaggi individuali al centro del sesso, con quella mano che «partiva» e non si sapeva mai bene dove ci avrebbe portato. «Anna e Marco», uno dei lenti-cardine dell’adolescenza, l’importante era tenersi stretti alla ragazza fino a quando Dalla diceva «Anna avrebbe voluto morire, Marco voleva andarsene lontano»: a quel punto si poteva tentare l’affondo. «Balla balla ballerino» e ogni volta che la cantavo mi veniva da piangere, persino adesso, chissà perché. «Futura» vantava un posto d’onore nella Definitiva, la C90 verde in cui avevo condensato le canzoni da infilare nell’autoradio, quando a bordo saliva una certa persona. E ancora un vecchio album, «Il giorno aveva cinque teste», difficile e bellissimo, da ascoltare nei momenti duri, quelli che servono a crescere. «Caruso» è un bagno di notte, un bacio sotto la luna, uno spaghetto divorato sul mare. Chiuderei con «Attenti al lupo», che a trent’anni mi salvò da un principio di depressione: non ho più trovato una canzone capace di trasmettermi tanta incomprensibile allegria.

Pensavo che questo genere di ricordi non potesse estendersi ai più giovani. Poi verso sera mi è arrivata la mail di una ragazza, si chiama Francesca. «Sto piangendo come una fontana per Lucio Dalla. Mi sento come se fosse morto un vecchio amico. Lui sicuramente non sapeva chi fossi. È ovvio. Credo che questo genere di rapporti emotivi a distanza siderale si possa creare solo con i musicisti. Che tu sia triste, felice, stanca, sola, in compagnia, quando loro cantano hai l’impressione che vogliano tirarti su il morale, partecipare alla tua gioia, cullarti prima che tu dorma, farti compagnia. Ti sembra che parlino proprio con te. Magari esagero, ma per me è stato così. Mi mancherà molto». Anche a me.

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« Risposta #261 inserito:: Marzo 03, 2012, 11:15:43 pm »

3/3/2012

Funeral party

MASSIMO GRAMELLINI

La Cei ha espresso l'auspicio che ai funerali di Lucio Dalla non risuonino le canzoni di Lucio Dalla. Neanche quelle di De Gregori, in questo i vescovi sono stati assolutamente equanimi. Altro che i gorgheggi pagani (e struggenti) di Elton John alle esequie di Lady Diana. Nessuna «canzonetta» deve distrarre i fedeli dall’incontro con la morte che si celebra nel rito: salutare il feretro sulle note di «Futura» sarebbe una rimozione del problema. Mi infastidiscono gli applausi ai funerali: li ritengo una scorciatoia emotiva per non penetrare il mistero, scaricando fuori di noi l'angoscia che il suono del silenzio ci provoca dentro. Ma la bella musica non è un applauso e Dalla è Dalla, un poeta, un cuore pulsante, che poi è quanto di più sacro io riesca a immaginare.

Certo, nessuno pensa di mettere un juke-box sull'altare di San Petronio o una pianola nel confessionale. Però fatico a comprendere quale danno produrrebbe alla dimensione spirituale dell'evento la presenza di un violinista che accogliesse l'ingresso della bara con gli accordi di «4 marzo 1943». E che ne direste, eminenze, se il coro dei bambini dell'Antoniano la cantasse tutta, quella canzone, che poi è la preghiera di un credente, quale Dalla era? La rigidità dei principi rimane un dono finché non si trasforma nell'incapacità di sintonizzarsi sul sentimento comune, su quella voce d'angelo che per sempre ci canterà «aspettiamo che ritorni la luce - di sentire una voce - aspettiamo senza avere paura domani».

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« Risposta #262 inserito:: Marzo 07, 2012, 05:24:07 pm »

6/3/2012

Libera donna in libero Stato

Massimo Gramellini

Cercavo uno spunto per parlare dell’Ottomarzo senza farvi cascare troppo le braccia, quando mi sono imbattuto nell’intervista a una delle donne più famose del mondo, l’icona musicale Lady Gaga. Ha raccontato di essere stata vittima dei bulli durante il liceo: esclusa dalle feste, ignorata dai ragazzi e derisa dalle amiche, che una volta la gettarono persino nel bidone della spazzatura. Ho finalmente capito perché questa diva, appesa sui muri delle stanze di metà degli adolescenti del pianeta, continua a vivere in maschera e a mostrare uno sguardo sfuggente.

I problemi non si risolvono, si superano. Lady Gaga dev’essersi inerpicata sui suoi problemi per tentare di oltrepassarli, costruendo un personaggio che le ha dato fama e ricchezza, ma probabilmente non l’unica libertà che conta: quella di essere se stessa. Tornando ai comuni mortali (i divi servono a questo, a fornirci un pretesto per parlare di noi), non credo che oggi le donne siano chiamate a scegliere fra il modello Fornero e il modello Belen, ma fra un modello maschile e uno femminile. Molte di loro, per vedersi riconosciuto un ruolo in questa società, tendono a comportarsi come maschi. Ma non essendolo, si nascondono da se stesse, infelici e smarrite. La vera festa della donna è il coraggio di essere donna e di imporsi come tale ogni giorno, infischiandosene del giudizio. Sostiene «non del tutto a torto» (ormai parlo come Monti, scusate) una mia cara amica: il mondo avido e violento di voi maschi etero ha miseramente fallito, ora tocca a noi donne e ai gay costruirne uno più umano.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41
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« Risposta #263 inserito:: Marzo 11, 2012, 11:03:17 am »

Cultura

01/03/2012 -

"Breve riposo dona alla mamma, Signore"

"Fai bei sogni" nuovo romanzo di Gramellini

La vita di un orfano che dopo quarant'anni scopre la verità sulla morte della madre.

A raccontarne la storia è Massimo Gramellini nel nuovo romanzo "Fai bei sogni"

MASSIMO GRAMELLINI

Esce oggi Fai bei sogni, il nuovo romanzo di Massimo Gramellini (Longanesi, pg. 216, euro 14,90). E’ la storia di un uomo che a
quarant’anni di distanza scopre la verità sulla morte della madre. Pubblichiamo due capitoli dalla prima parte del libro.

Quarant’anni prima, l’ultimo dell’anno mi ero svegliato così presto che credevo di sognare ancora. Ricordo l’odore della mamma nella mia stanza, la sua vestaglia ai piedi del letto. Che ci faceva lì? E poi: la neve sul davanzale, le luci accese in tutta la casa, un rumore di passi strascicati e quel guaito di creatura ferita.

«Nooooo!»
Infilo le pantofole nei piedi sbagliati, ma non c’è tempo per rimediare. La porta sta già cigolando sotto la spinta delle mie mani, finché lo vedo in mezzo al corridoio, accanto all’albero di Natale.

Papà.

La quercia della mia infanzia, piegato come un salice da una forza invisibile e sorretto per le ascelle da due sconosciuti. Indossava la giacca da camera color porpora che gli aveva regalato la mamma. Quella con un cordone delle tende al posto della cintura. Si muoveva a scatti, scalciando e contorcendosi. Appena si accorse della mia presenza, lo sentii mormorare: «È mio figlio… Per favore, portatelo dai vicini». Abbandonò la testa all’indietro e urtò l’albero di Natale. Un angelo con le ali di vetro perse l’equilibrio e precipitò al tappeto.

Gli sconosciuti erano muti ma gentili e mi parcheggiarono sul lato opposto del pianerottolo, da una coppia di pensionati.
Tiglio e Palmira.
Tiglio affrontava la vita dietro la corazza immutabile del suo pigiama a righe e con il conforto di una ostinata sordità. Comunicava soltanto per iscritto, ma quella mattina si rifiutava di rispondere alle domande che gli avevo scarabocchiato in stampatello sul margine bianco del giornale.

DOV’È
LA
MAMMA?
HANNO
RAPI-
NATO
PAPA'?

Dei banditi dovevano essere entrati in casa durante la notte… E se fossero stati i due che lo tenevano per le ascelle? Apparve Palmira con le borse della spesa.
«Papà ha avuto un po' di mal di testa, bambìn. Ma adesso sta bene. Quei signori erano i medici che lo hanno visitato».
«Come mai non avevano il camice?»
«Lo mettono solo in ospedale».
«E come mai erano due?»
«I medici del pronto soccorso sono sempre in due».
«Ah, giusto. Così se uno si ammala all'improvviso, l'altro lo può guarire. Dov’è la mamma?»
«Papà l’ha accompagnata a fare una commissione».
«E quando torna?»
«Presto, vedrai. La vuoi una cioccolata calda?»
In mancanza della mamma mi accontentai della cioccolata.
Qualche ora dopo venni preso in custodia dai migliori amici dei miei.
Giorgio & Ginetta.

Non credo di averli mai considerati separatamente. Mamma e papà si erano conosciuti al loro matrimonio, una circostanza che non smetteva di stimolare gli ingranaggi del mio cervellino.
«Mamma, ascolta: se Giorgio & Ginetta si fossero dimenticati di portarti alla festa, saresti stata sempre tu la mia mamma oppure un'altra invitata?»

Avevo una lingua mai esausta, nonostante fosse piena di tagli e di toppe come il grembiule di un artigiano.
«È un miracolo che con un attrezzo simile suo figlio possa parlare» aveva spiegato il pediatra alla mamma.
«Adesso di miracolo ne servirebbe un altro, dottore: riuscire ogni tanto a farlo stare zitto» aveva risposto lei. «Con la parlantina che si ritrova, mi diventerà un avvocato».
Non ero d'accordo. Io volevo smettere di parlare e incominciare a scrivere. Quando mi convincevo che qualche adulto aveva commesso
un’ingiustizia nei miei confronti, gli agitavo una biro sotto il mento: «Da grande racconterò tutto in un libro che si intitolerà Io bambino».

Il titolo era migliorabile, ma il libro sarebbe stato una bomba.

La verità è che avrei preferito essere un pittore. A sei anni avevo già dipinto il mio ultimo capolavoro: La mamma mangia un grappolo d'uva. Il grappolo era alto il doppio della mamma, gli acini sembravano le palle dell’albero di Natale e la faccia della mamma era identica a un acino. Lei lo aveva appeso in cucina e lo mostrava con orgoglio ai parenti di passaggio. Dalle loro facce perplesse avevo ricevuto il primo responso esistenziale: la pittura non sarebbe mai stata il mio talento. Il mondo che avevo dentro avrei dovuto cercare di disegnarlo con le parole.

A casa di Giorgio & Ginetta andò in scena il cenone più triste del mondo. Malgrado i miei tentativi di ravvivare la conversazione, io e il figlio tredicenne venimmo spediti nei letti a castello alle nove di sera, dopo una pastasciutta e una bistecchina, entrambe al burro. Non ci fu verso di ottenere una fetta di panettone e una spiegazione decente. Mamma e papà erano andati a fare una commissione, la stessa della mattina o forse un’altra, ma altrettanto misteriosa. E noi dovevamo filare subito a nanna.

Ricordo il respiro regolare del mio compagno di clausura sopra di me. E i fuochi di mezzanotte che smacchiavano il buio della stanza attraverso le serrande non perfettamente abbassate. Rintanato sotto le coperte, gli occhi accesi e la testa vorticante come una giostra incantata, continuavo a chiedermi cosa avessi combinato di tanto tremendo durante le vacanze di Natale per meritare un castigo simile. Avevo detto due bugie, risposto male una volta alla mamma e tirato un calcio nel sedere a Riccardo, il bambino della Juve che abitava al secondo piano. Non mi sembravano peccati così gravi, specie l’ultimo.

***

Il primo dell’anno Giorgio & Ginetta mi dissero che al ritorno dalle commissioni la mamma si era dovuta fermare in ospedale per alcuni esami. Erano mesi che non smetteva di fare commissioni e di dare esami. Sempre in ospedale, poi. Se almeno fosse venuta a scuola, le avrei insegnato a copiare. La immaginavo alle prese con uno dei problemi che la maestra ci aveva assegnato per le vacanze. Un bambino percorre tre chilometri e ogni due ettometri perde due palline: quante palline avrà perso dopo millenovecento metri? Io detestavo gli ettometri. E quel bambino idiota che perdeva palline da tutte le parti, eppure continuava la sua passeggiata come se niente fosse. Al pomeriggio riapparve papà per accompagnarmi in ospedale dalla mamma. Sembrava tornato la solita quercia.
«Prima passiamo a prenderle dei fiori» proposi.

«No. Prima andiamo a trovare Baloo. Deve parlarci di una cosa importante». Mi impuntai. Baloo era il sacerdote dei lupetti, la sezione infantile degli scout che frequentavo da qualche mese. Lo avrei salutato volentieri, se solo avesse aspettato il suo turno. Ma non poteva tagliare la strada alla mamma. La mediazione di Giorgio & Ginetta propiziò un compromesso onorevole. Saremmo andati in ospedale dopo l’incontro con Baloo, ma i fiori li avremmo comperati prima.

Mi presentai all’oratorio degli scout con un’aiuola di rose rosse fra le braccia. Dall’orso del Libro della Giungla suo omonimo, Baloo aveva copiato i modi goffi e la bontà. Ci accolse nella sala riservata alle riunioni dei lupetti e fece subito una battuta sul campionato di calcio. Nonostante fosse nato a Buenos Aires e vivesse a Torino come noi, tifava per il Cagliari di Gigi Riva. Aveva delle figurine di calciatori da farmi vedere, ma papà lo interruppe: «Gliele mostrerà un'altra volta, Baloo».

Lui sospirò e mi disse di guardare il soffitto: un cielo di gessetti azzurri che avevo contribuito a colorare. Affondò una mano enorme nella mia spalla e con l'altra indicò il cielo a gessetti.
«La mamma è il tuo angelo custode, lo sai. Da tempo chiedeva il permesso di volare lassù per proteggerti meglio e ieri il Signore l’ha chiamata a sé...».

Sentii un cucchiaio di ghiaccio penetrarmi nella pancia e svuotarmela tutta. Mi voltai di scatto verso papà, alla ricerca di qualsiasi indizio assomigliasse a una smentita, ma vidi soltanto che aveva gli occhi rossi e le labbra bianche.
«Andiamo a pregare» disse Baloo.
«L’eterno riposo dona a lei, Signore. Splenda a lei la luce perpetua. Riposi in pace. Così sia».
La voce calda di Baloo risuonava lungo le navate della chiesa deserta. In ginocchio nel primo banco, l’aiuola di fiori rossi serrata sul petto, muovevo le labbra al suo ritmo, ma dal cuore mi sbocciavano parole diverse.

«Breve riposo dona alla mamma, Signore. Svegliala, falle un caffè e rimandala subito qui. È mia mamma, capito? O riporti giù lei o fai venire su me. Scegli tu. Ma in fretta. Facciamo che adesso chiudo gli occhi e quando li riapro hai deciso? Così sia».

da - http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/444598/
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« Risposta #264 inserito:: Marzo 20, 2012, 06:31:57 pm »

20/3/2012

In memoria di Fata Prosciutto

Massimo GRAMELLINI

Fra i tanti articoli indispensabili che uno si illude di aver scritto, il Buongiorno che ha avuto storicamente il maggior numero di reazioni da parte dei lettori è uno squarcio di vita quotidiana pubblicato nel novembre del 2008. Raccontava della salumiera di un mercato di Torino, la signora Kathy, che ogni giorno, alle 13 e 40, riceveva la visita degli alunni di una scuola media poco distante e a ciascuno offriva un sorriso e una fetta di prosciutto.

La signora Kathy non era una missionaria e i ragazzini non erano dei bisognosi. Eppure quel rito quotidiano di assurda e gratuita bontà aveva una sua magia e ogni giorno, alle 13 e 40, i clienti del mercato posavano le borse della spesa e guardavano in direzione della scuola, chiedendosi: ma i ragazzi quando arrivano?

Arrivavano, arrivavano sempre. E continuarono a farlo anche dopo l’uscita dell’articolo. Finché un giorno, alle 13 e 40, sono corsi al bancone ma non hanno più trovato ad accoglierli il sorriso della signora Kathy, ribattezzata Fata Prosciutto. Si era ammalata.

I ragazzini hanno continuato lo stesso a recarsi al bancone: non più per il prosciutto, ma per avere sue notizie.

Le mandavano saluti, pensieri, preghiere. E quando l’altra settimana la Fata se n’è andata - perché le fate hanno molto da fare, non possono stare sempre con noi - la chiesa del funerale era stracolma come per una principessa e anche il prete si è commosso.

Basta davvero poco per comunicare con il cuore del mondo. È un linguaggio universale che non usa le parole, ma i gesti. A volte anche una fetta di prosciutto.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41
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« Risposta #265 inserito:: Marzo 22, 2012, 12:23:54 pm »

21/3/2012

Senza titoli

Massimo GRAMELLINI

Ma vi sembra normale che soltanto due parlamentari su mille abbiamo investito una parte dei loro risparmi in titoli di Stato? Leggendo le dichiarazioni dei redditi dei nostri amati rappresentanti si rimane storditi da una girandola d’azioni che neanche Messi quando parte palla al piede: Casini investe in profumi L’Oréal e medicine Bayer, il democratico Gentiloni in aperitivi Campari e un po’ tutti affidano le proprie fortune a società estere: Deutsche Telekom, Banco di Bilbao, Bank of America, cara all’americano Martino. Invece sulla baracca che toccherebbe loro raddrizzare - lo Stato italiano - scommettono in pochi. Due, per la precisione. L’udc Roberto Rao, 50 mila euro in Btp, e l’ex pdl Mario Pepe, 100 mila. A rigor di logica alle prossime elezioni dovremmo votare per uno di loro, in quanto sono gli unici il cui interesse coincide col nostro.

Ripeto: due su mille, vi sembra normale? Che fiducia potrebbe mai ispirarvi un’azienda i cui consiglieri d’amministrazione investissero i propri guadagni in azioni della concorrenza? E con quale credibilità i governanti continueranno a chiedere ai cittadini e ai mercati di finanziare il nostro debito pubblico, se i primi a non credere in quel che predicano sono loro? Al di là dei furti e dei privilegi, è questa continua manifestazione di incoerenza ad averci definitivamente sfibrati. Abbiamo una classe dirigente mediocre, mediamente corrotta e mediamente incapace. Pretenderemmo che fosse almeno un po’ più lineare. Un po’ più conseguente fra parole e gesti, fra omissioni e azioni.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41
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« Risposta #266 inserito:: Marzo 22, 2012, 03:21:50 pm »

22/3/2012

A loro insaputa

Massimo GRAMELLINI

Il caro leader Oliviero Diliberto si è fatto fotografare con un’ammiratrice sulla cui maglietta stava scritto «Fornero al cimitero», ma lui non se n’era accorto e ha detto che gli dispiace. Avrebbe potuto aggiungere che quello slogan macabro era una vergogna, però non se l’è sentita di infierire contro l’indossatrice. Era già troppo occupato a crogiolarsi nel suo dispiacere.

L’ultima vocazione dei politici, infatti, consiste nel giocare d’anticipo e definirsi cretini da soli.

Il sindaco barese Emiliano, quello che riceveva pesci vivi in dono dagli affaristi e teneva le seppioline «allievi di Molfetta» nella vasca da bagno, prima ha dato la colpa della sua disinvoltura nientemeno che al «ventennio berlusconiano» (ma Silvio nella vasca avrebbe almeno preteso delle allieve) e poi ha concluso: «Datemi del fesso, non del ladro».

Se ci tiene tanto. Anche Rutelli, pur di salvarsi la reputazione, preferisce passare per un sempliciotto che si è fatto soffiare sotto il naso venti milioni di euro dal suo tesoriere. Come se in politica la dabbenaggine fosse meno grave della disonestà.

E Podestà, il presidente della provincia di Milano che ieri ha scritto un messaggio contro Pisapia su Twitter e oggi ha detto di aver cliccato il pulsante del telefonino per sbaglio? Tutti allievi di mastro Scajola. Vivono a loro insaputa e lo ribadiscono con orgoglio.

Illudendosi che noi, come è accaduto per troppi anni, continueremo a votarli a nostra insaputa.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41
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« Risposta #267 inserito:: Marzo 23, 2012, 11:22:04 pm »

23/3/2012

La buca del delatore

Massimo GRAMELLINI

Per mettere un freno alla corruzione pubblica che ha già spolpato la Grecia, il governo italiano intende introdurre l'arma della delazione. La legge allo studio funziona così. Il dipendente onesto si accorge che il vicino di scrivania prende una mazzetta, prepara una denuncia circostanziata e la consegna all'ufficio apposito della Prefettura, ricevendo in cambio la garanzia dell'anonimato e di una percentuale sostanziosa sui soldi recuperati dallo Stato. Una meraviglia. A Losanna, naturalmente. Ma nella penisola bagnata da quattro mari e da troppi furbi le cose potrebbero andare in modo diverso. Il dipendente invidioso del collega, o arrabbiato col medesimo per questioni di carriera, di sesso, di tifo, di precedenza nell'accesso al parcheggio interno, confeziona una bella «macchinetta del fango» e la deposita sul tavolo di un solerte funzionario che gli garantisce l'anonimato, anzi glielo giura sui suoi figli, e subito dopo telefona al denunciato per spifferare il nome del delatore. Perché Alfano ha ragione quando dice che le leggi vanno scritte per le persone perbene. Ma sono poi le persone «permale» a utilizzarle con la massima perspicacia per ribaltarne il senso a proprio vantaggio.

Non fraintendetemi: al punto in cui siamo, la delazione è comunque meglio dell'omertà. Ma non contrabbandiamola per progresso civile. E' una medicina orribile che ci tocca assumere per non morire di mazzette. Consapevoli dei suoi effetti collaterali: allenta il senso di comunità e ripristina la legge della giungla. Tutti contro tutti, e chi non sparla è perduto.

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« Risposta #268 inserito:: Marzo 27, 2012, 07:22:25 pm »

27/3/2012

La pietà

Massimo GRAMELLINI

Un vecchio alla sbarra con le guance scavate, il sondino nel naso e la voce che si rompe mentre chiede scusa. So che dovrei commuovermi, ma non ci riesco. All’immagine di Calisto Tanzi in disgrazia si sovrappone quella del padre di un mio amico: un brav’uomo, un geometra in pensione che aveva investito in azioni Parmalat i risparmi di tutta una vita e ha finito i suoi giorni travolto dai sensi di colpa, senza più un euro da lasciare ai suoi figli.

Il vecchio col sondino nel naso si pente per aver agito, e truffato, «in stato di esaltazione». Noi umani possiamo compatirlo e alcune delle sue vittime riusciranno addirittura a perdonarlo. Ma la società - la legge - non può fargli sconti, perché ogni causa ha un effetto e nessun pentimento è in grado di affievolire quel nesso. Tanzi l’Esaltato ha messo sul lastrico migliaia di persone, ingannandole per sfamare il demone della sua avidità. Tanzi il Pentito può anche pareggiare i conti con se stesso, ma per pareggiarli con gli uomini dovrà portare a termine la nuova missione: trasformare il suo amaro declino in uno spauracchio per tutti quei finanzieri «esaltati» che dietro i loro traffici non sanno più scorgere la faccia di un geometra in pensione.

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« Risposta #269 inserito:: Marzo 28, 2012, 03:23:36 pm »

28/3/2012

Una mazzetta non scontata

Massimo GRAMELLINI

Eddy Merckx - forse il più grande ciclista di tutti i tempi - è nei guai con la giustizia del suo Paese, il Belgio. Secondo l’accusa avrebbe vinto un appalto per la fornitura di 48 biciclette alla polizia di Anderlecht, grazie alla soffiata di un commissario, Philippe Boucar. Questo funzionario avido avrebbe svelato al Cannibale (soprannome di Merckx quando si abboffava di corse a tappe e classiche in linea) le offerte degli altri concorrenti in cambio di uno sconto su una bici da corsa in carbonio.

Raramente una storia di mazzette mi aveva tanto commosso. Per la natura di uno dei protagonisti, certo, una biglia di riferimento tra quelle che rotolavano nelle sabbie della mia infanzia. Ma soprattutto per il prezzo della corruzione: una bici scontata. Provate ad ambientare la stessa scena un po’ più a Sud, nella Roma delle mille cricche o nella Milano dei dieci consiglieri regionali indagati. Altro che sconto. Il funzionario corrotto avrebbe preteso, come minimo, la bici gratis. E non solo per sé, ma per moglie (con zainetto) e figli (con ruotine). Come quel dirigente di Parma che assegnò l'appalto per le fioriere comunali all’azienda disposta a rifare gratuitamente il prato dell’asilo nido gestito dalla sua signora. Che timidezza traspare invece dalla mazzetta belga, da quella tangente piena di pudore. Par di vederlo, il commissario Boucar, davanti al mito Merckx, mentre abbassa gli occhi e si tormenta il cappello con le mani: «Se non chiedo troppo, potrei avere… uno sconticino?». E adesso magari lo metteranno in galera. Quando si dice nascere nel posto sbagliato.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41
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