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Autore Discussione: Massimo GRAMELLINI.  (Letto 331027 volte)
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« Risposta #45 inserito:: Maggio 15, 2010, 12:30:55 pm »

15/5/2010

L'arma disarmante

Massimo Gramellini

La settimana scorsa, la maestra napoletana Maria Marcello si era tuffata in una zuffa di bambini per separarli ed era stata colpita da un calcio che le aveva fracassato la milza. Al risveglio dall’operazione, le sue prime parole erano state irrituali: voleva rivedere il piccolo che l’aveva mandata all’ospedale e perdonarlo. Ieri il bambino le ha spedito una lettera di scuse, un mazzo di fiori e il vangelo della sua prima comunione. Libro Cuore? Può darsi.

Per me quella maestra è una rivoluzionaria e ha raccolto il frutto di un gesto non buonista, ma anticonformista. Esiste oggi qualcosa di più banale che vendicarsi delle offese subìte? Pare sia rimasta l’unica regola morale accettata da tutti: ogni torto va riequilibrato con un’offesa di segno uguale e contrario. Centinaia di film gialli e di curve ultrà non fanno che ripetercelo di continuo: l’onore, la giustizia e il rispetto si ottengono soltanto con la ritorsione. Un bambino ti spacca la milza? Che sia cacciato dal consesso urbano, umiliato lui e la sua famiglia. Così il bimbo crescerà avvelenato contro il mondo, in preda a un astio vittimista che i familiari non mancheranno di alimentare. Poi arriva una maestra da 1100 euro al mese che dice: «Ti perdono». E lo scenario di colpo si ribalta. Perché come fai a sentirti ancora vittima della società, quando la «tua» vittima ti chiede di stringerle la mano?
Il perdono è l’arma disarmante. Non puoi farci nulla: ti vince, ti conquista, ti redime. Ed è una medicina che alleggerisce il cuore di chi lo riceve, ma ancor più quello di chi lo offre.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41

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« Risposta #46 inserito:: Maggio 26, 2010, 03:39:29 pm »

26/5/2010

I profughi dello yacht

Massimo Gramellini

Ai lettori che vivono con preoccupazione la crisi economica vorremmo segnalare un dramma nel dramma. Quello di Elisabetta Gregoraci, moglie di Flavio Briatore e mamma del di lui erede, Falco Nathan. «Al mio piccolo manca lo yacht», è il grido di dolore che la donna ha affidato a un settimanale. «Da quando siamo stati costretti ad abbandonare la barca, il bambino piange spesso, non è più sereno come prima». Segue un racconto dettagliato e crudele: dopo la nascita del pargolo, la famiglia Briatore è costretta ad accamparsi su uno yacht con 12 persone di equipaggio e 63 metri di parquet. Una sistemazione di fortuna, in attesa che finiscano i lavori della nuova abitazione, che sorgerà in località defilata: Montecarlo. Ma ecco sopraggiungere i finanzieri a sirene spiegate, con l’accusa di contrabbando e frode fiscale. I profughi dello yacht devono scendere a terra e riparare in un attico di Londra, dove il clima è meno mite e il pavimento neanche ondeggia.

Siamo sicuri che milioni di donne si immedesimeranno nell’incubo della signora Briatore. È tale il terrore che i loro figli possano soffrire il trauma della perdita dello yacht che hanno preferito abituarli fin da subito a condizioni di vita meno precarie: una culla ricavata nella stanzetta della nonna. Da parte nostra - oltre a offrire al piccolo Falco Nathan la più incondizionata solidarietà per i decenni a venire - ci domandiamo se la sua mamma abbia una minima percezione della realtà che la circonda.

Ma forse sullo yacht si captava soltanto il Tg1.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41
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« Risposta #47 inserito:: Giugno 03, 2010, 04:40:19 pm »

3/6/2010

Saviano purché francescano

Massimo Gramellini

Fino a quando lo affermavano politici prevenuti e intellettuali invidiosi, si poteva sorvolare. Ma ora che persino un punto di riferimento per le masse come il centravanti milanista (e napoletano) Borriello accusa Saviano di «aver lucrato sulla mia città», la questione si fa maledettamente seria. È giusto che uno scrittore possa acquisire fama e denaro parlando di camorra, come un centravanti facendo dei gol? Nel suo ultimo disco il musicista partenopeo Daniele Sepe - meno conosciuto di Borriello perché non si è mai fidanzato con Belen - rinfaccia a Saviano: «Hai fatto fortuna, ma chi ti paga è il capo dei burattinai», come se fosse la berlusconiana Mondadori ad aver arricchito il suo autore e non viceversa. Eppure basta bighellonare fra i blog che commentano le parole di Borriello per accorgersi che tanti la pensano come lui e paragonano Saviano a «uno che fa beneficenza e va a dirlo in giro».

In questo Paese cattolico e contadino, che pensa al denaro di continuo ma non smette di considerarlo lo sterco del demonio, è passato il principio che argomenti nobili come la legalità e la giustizia sociale vanno maneggiati in incognito e senza percepire compensi di mercato. Briatore può farsi docce di champagne su tutti gli yacht che vuole: è coerente col personaggio. Ma Santoro non deve guadagnare come Letterman né Saviano come Grisham, perché da chi sferza il malcostume gli italiani pretendono voto di povertà. A noi gli eroi piacciono scalzi e sfigati, per poterli compatire e sentirci più buoni. Così dopo votiamo i miliardari con maggiore serenità.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41
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« Risposta #48 inserito:: Giugno 08, 2010, 10:20:21 am »

8/6/2010

Commissaria, Uè

Davvero strampalate le motivazioni con cui la commissaria Ue alla Giustizia, Viviane Reding, ha imposto all’Italia di equiparare entro il 2012 l’età pensionabile di uomini e donne. «C’è una sentenza della Corte Europea e in democrazia le sentenze si rispettano» ha almanaccato.
Già qui ci sarebbe parecchio da eccepire (le sentenze sono uno stato d’animo: rispettabile, certo, ma non necessariamente da rispettare), se non fosse che preferiamo lasciare il dovere di replica a chi di queste cose se ne intende: Previti o Ghedini. Ma l’algida signora raggiunge il colmo della tracotanza quando si spinge ad affermare che le direttive sull’equiparazione dell’età pensionabile risalgono al 1990 e l’Italia non può fare l’offesa o la sorpresa, «dato che ha avuto vent’anni di tempo per mettersi in regola».

E con ciò? Abbiamo i nostri ritmi. E pratichiamo come nessun altro la sofisticata arte del rinvio. Perché fare oggi quel che si può fare domani e che potrebbe non essere più necessario dopodomani? Perché dire di colpo la verità, come ha appena fatto il premier inglese («Il nostro stile di vita cambierà»), se si può continuare a mentire tranquillamente alla giornata? Perché ottemperare subito a un obbligo, rinunciando alla possibilità sempre auspicabile di una proroga o, meglio ancora, di un condono? Par di conoscerla, questa Reding.

Il genere di persona che paga i bolli prima che scadano, chiede gli scontrini ai negozianti e vive nell’ossessione delle regole. Verrebbe proprio voglia di mandarla in pensione. E ce la manderemo, prima o poi. Fra una ventina d’anni.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41
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« Risposta #49 inserito:: Giugno 13, 2010, 12:07:29 pm »

10/6/2010

Madame Costituzione

Massimo Gramellini.

Per dirottare la rabbia dei clienti su un capro espiatorio in carne e ossa, i Grandi Magazzini dei romanzi di Pennac avevano ingaggiato Monsieur Malaussène: sua era sempre la colpa dei guasti, degli imprevisti, dei disservizi. Le aziende vere lo hanno imitato, inventandosi i call center: sfogatoi della nostra impotenza a ottocento euro al mese. Anche Berlusconi era in cerca di un Malaussène, di un call center contro il quale scaricare la sua rabbia. E l’ha trovato. Conoscendo i suoi gusti, non poteva che essere una femmina.

Madame Costituzione.

Dopo la scomparsa dei genitori, Catto e Comunista, la signora si è data un solo scopo nella vita: mettere i bastoni fra le ruote al rivoluzionario di Arcore, che anche ieri si è definito «un imprenditore provvisoriamente prestato alla politica»: da sedici anni, perché in Italia nulla è più definitivo del provvisorio.

Lui vuole fare il capufficio della libertà? E lei gli ricorda che il presidente del Consiglio è un ministro come gli altri.
Lui vuole ridurre - per il nostro bene - i poteri di giudici e giornalisti? E lei, pedante: non si può, non si può. Lasciami almeno sgravare le imprese da «lacci e lacciuoli», la implora.

Niente, non gli concede nemmeno quello: Madame è una radical-chic d’altri tempi, una specie di Camilla Cederna in formato cartaceo.
Nel corso della sua esistenza eroica Berlusconi ha combattuto e vinto contro tanti nemici, ma si trattava di esseri umani.

Cosa può fare, persino un semidivino come lui, contro questa Piovra immateriale che si nutre di regole fatte della stessa sostanza degli incubi?

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41
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« Risposta #50 inserito:: Giugno 17, 2010, 09:19:48 am »

17/6/2010

La truffa morale

Massimo Gramellini

Una lettrice racconta di aver ricevuto dal padre, in punto di morte, una confessione che l’ha stupita e confusa. L’anziano signore era stato un professore di latino e greco stimato e temuto da tutti per la sua intransigenza. Il classico duro capace di annullare il compito in classe allo studente sorpreso a consultare un foglietto. Ma il giorno degli esami di maturità il «prof» implacabile si trasformava nel più imprevedibile degli alleati. A turno i maturandi uscivano dall’aula per recarsi in bagno. E in un angolo buio del corridoio trovavano lui, che consegnava a ciascuno la versione già tradotta. Ma non la stessa per tutti. Una versione personalizzata e con l’handicap. I meritevoli ricevevano un testo impeccabile. I meno bravi uno sporcato da un paio di errori, che per gli scarsi salivano a quattro e per i pelandroni a cinque: al di sotto della sufficienza. Il professore comunicava a ogni ragazzo il numero di errori presenti, così anche il peggiore avrebbe potuto salvarsi, se fosse stato abbastanza bravo da trovarli.

Alla figlia, prima di morire, il vecchio ha spiegato che negli esami l’emotività gioca brutti scherzi, mentre con il suo metodo venivano riconosciuti i meriti e i demeriti accumulati durante l’anno. In sostanza quell’insegnante integerrimo metteva in piedi ogni estate una truffa con l’intima convinzione di rispettare una regola superiore di moralità. Non riesco a trovare una rappresentazione più efficace dell’essenza italiana. Una parte di me condanna quel professore. Ma dev’essere una parte norvegese o austro-ungarica, non fateci caso.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41
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« Risposta #51 inserito:: Giugno 19, 2010, 09:21:30 am »

18/6/2010

Il grande Embè

Massimo Gramellini
   
Della motivazione con cui il tribunale di Firenze ha negato la libertà provvisoria a due comandanti delle ferocissime Truppe d’Appalto (Balducci & De Santis) mi ha colpito l’ultima riga: «Gli indagati mostrano una evidente carenza di percezione della antigiuridicità del proprio comportamento». Insomma, dopo mesi di cella, i signori della Cricca continuano a non capire cos’hanno fatto di male. Anche il caso Scajola e le recenti dichiarazioni dell’ex ministro Lunardi rivelano uno stile di vita allucinante percepito come assolutamente normale. La famosa filosofia dell’Embè. Ho ristrutturato casa a un amico, embè? L’amico ha dato un lavoro a mio figlio, embè? Mio figlio ha messo su una società con la moglie dell’amico, embè? Un embè tira l’altro e alla fine tutti confluiscono nel Grande Embè che rischia di sommergerci. Perché Balducci e De Santis non sono schegge impazzite, ma espressioni estreme di un atteggiamento diffuso: il primato delle relazioni sulle capacità, delle conoscenze sulla conoscenza. Chi entra in contatto con un ente pubblico non si chiede neanche più quali siano le procedure. La sua unica preoccupazione è: conosco qualcuno lì dentro? Il morbo ha invaso persino i recinti sacri della giustizia, dove l’avvocato più ricercato non è quello che conosce la legge, ma quello che conosce il giudice.

«L’Italia è tutta un frou frou di do ut des» scriveva lo scrittore Enzo Siciliano, assiduo frequentatore delle terrazze romane, altamente specializzate in materia. Non immaginava di avere coniato l’epigrafe delle mille cricche d’Italia.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41
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« Risposta #52 inserito:: Giugno 21, 2010, 04:17:46 pm »

21/6/2010

Mediocrità azzurra specchio del Paese
   
MASSIMO GRAMELLINI

Fra coloro che ieri davanti alla tv imputavano a Marcello Lippi di aver assemblato la sua mestissima Nazionale privilegiando i sudditi ai condottieri c’erano molti italiani che nella vita di tutti i giorni purtroppo si comportano allo stesso modo.

Dirigenti d’azienda, titolari di negozi e responsabili di «risorse umane» che sul lavoro privilegiano la fedeltà al talento, l’affidabilità all’estro e il passo del pedone alla mossa del cavallo. Intervistati, risponderebbero anche loro come Lippi: «Non abbiamo lasciato a casa nessun fenomeno». Ma è una bugia autoassolutoria che accomuna quasi tutti coloro che in Italia gestiscono uno spicchio di potere e lo usano per segare qualsiasi albero possa fargli ombra: è così rassicurante passeggiare splendidi e solitari in mezzo ai cespugli, lodandone l’ordine perfetto e la silente graziosità.

L’abbattimento di ogni personalità dissonante viene chiamato «spirito di squadra».Maè zerbinocrazia. Tutti proni al servizio del capo, è così che si vince. Eppure la storia insegna che il capo viene tradito dai mediocri, mai dai talenti. I quali sono più difficili da gestire, ma se motivati nel modo giusto, metteranno a disposizione del leader la propria energia. La Nazionale di Lippi assomiglia alla Nazione non perché è vecchia, ma perché privilegia, appunto, i mediocri. Averli avuti ieri in panchina, certi vecchi! Contro i goffi neozelandesi sarebbe servito più un quarto d’ora di Totti o di Del Piero che una vita intera di Iaquinta, Pepe e Di Natale, tre bravi figli che, con tutto il rispetto, se hanno giocato anni e anni nell’Udinese, una ragione ci dovrà pur essere. I pochi campioni veri, da Buffon a Pirlo, sono zoppi. Oppure vecchie glorie che si rifiutano di andare in pensione, come l’imbarazzante Cannavaro che ha più o meno l’età di Altafini e forse avrebbe fatto meglio a presentarsi in Sudafrica anche lui nelle vesti di commentatore.

C’è, naturalmente, anche la questione dei giovani. La follia antistorica di questa Nazionale e di questa Nazione non consiste tanto nel continuare a lasciar fuori i Cassano, ma i Balotelli. Non i talenti troppo a lungo incompresi o compresi solo a metà, ma quelli ancora acerbi che chiedono solo un’occasione per sfondare e, non ricevendola, spesso emigrano in cerca di fortuna. Balotelli è il loro simbolo e non solo per via del colore della pelle, che ne fa l’italiano di domani. Lo è perché a vent’anni ha già vinto Champions e scudetti, e ha un fisico e un talento che ne fanno un predestinato, imparagonabile agli smunti replicanti dell’attacco azzurro. Eppure per lui non si è trovato un posto neppure nel retrobottega. Mi rifiuto di credere che un capufficio dell’esperienza di Lippi non sappia riconoscere la differenza fra un fuoriclasse potenziale come Balotelli e i bravi mestieranti che si è portato appresso. Ma il successo rende sordi al buonsenso. Ci si illude di poter vincere meglio da soli, muovendo pedine inerti sulla scacchiera. Poi quelle pedine si rivelano di burro e alla fine ci si ritrova soli, con un po’ di unto fra le dita.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7502&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #53 inserito:: Giugno 25, 2010, 10:19:44 am »

25/6/2010

Un Paese senza futuro
   
MASSIMO GRAMELLINI

È da mesi che in tutti i tinelli d’Italia stiamo scrivendo questo articolo. La vita non è quasi mai un romanzo, ma un concatenarsi di eventi prevedibili.

Persino in una scienza inesatta come il calcio. Se giochi contro squadre più scarse che ti costringono a fare gioco, tu che un gioco non lo hai mai avuto, perdi (parola di Gianni Brera, nei secoli dei secoli). Se hai vinto un campionato del mondo e ne affronti un altro con lo stesso gruppo, perdi (Pozzo rivinse perché cambiò 9 giocatori su 11 e dei due sopravvissuti uno si chiamava Peppin Meazza). Se lasci a casa i pochi artisti che ti passa il convento perché sono impegnativi da gestire e tu invece trovi più comodo far marciare in riga dei soldatini, perdi. Se mandi in campo uno stopper di trentasette anni che è stato una diga in gioventù, ma adesso verrebbe saltato in velocità anche da una lumaca obesa, perdi. Se là dove giocavano i Baggio e i Vieri - ma anche solo i Toni e i Totti di quattro anni fa - metti Iaquinta e Di Natale, con tutto il rispetto, perdi. Se chiami Pepe invece di Balotelli e poi ti arrabbi in mondovisione perché non riesce a saltare l’avversario, perdi e ti fai anche ridere dietro. Se nelle amichevoli prima dei Mondiali l’unico attaccante che ti fa gol è Quagliarella e tu non lo fai giocare. Se negli allenamenti l’unico attaccante che ti fa gol è Quagliarella e tu continui a non farlo giocare. Se metti in campo Quagliarella nel secondo tempo dell’ultima partita per disperazione e lui ti fa un gol, forse due, più un altro salvato sulla linea, perdi: ed è pure giusto. Perché il dovere di un condottiero durante una battaglia (scusate il linguaggio bellico, ma il calcio ha sostituito le guerre fra i popoli cosiddetti evoluti) è comprendere quale dei suoi uomini sia baciato in quel momento dalla grazia e lanciarlo nella mischia sovvertendo le gerarchie e le simpatie. Come Totò Schillaci a Italia 90, che pure finì male, ma non così male. Così male - ultimi in classifica nel girone eliminatorio - non era finita mai.

Lippi presuntuoso, Lippi confuso, Lippi logoro: il tiro al bersaglio è fitto ma durerà poco. Gli abitanti della città delle emozioni (noi) hanno l’indignazione facile, però a smaltimento rapido. Il fantasma della Corea inseguì il c.t. Mondino Fabbri fino alla tomba. Quello della Slovacchia svanirà dopo il primo gol della nuova Nazionale di Prandelli. Non portare Balotelli in Sudafrica è servito almeno ai giornali per poter titolare speranzosi nei prossimi giorni: l’Italia riparte da Balotelli. In realtà bisognerebbe ripartire dal rafforzamento dei settori giovanili e dalla ristrutturazione degli stadi, mostri polverosi e semivuoti, abbandonati dalla piccola borghesia che non se li può più permettere. Investire sugli uomini e sulle strutture. Sembra una delle tante prediche inutili intorno all’economia italiana. I problemi sono gli stessi e si riducono a uno: assenza di visione del futuro. In questa Italia alla deriva, dove nessuno ha tempo e voglia di programmare, si prediligono le soluzioni spicce. La Corea fu uno choc profondo in un Paese ancora parzialmente serio e portò all’autarchia calcistica, con l’esclusione di oriundi e stranieri dal campionato. La Slovacchia è uno choc evaporabile e in un mondo senza più frontiere condurrà semmai alla decisione opposta: far passare per italiano anche chi non lo è. Possibile che Messi e Milito non abbiano nemmeno una nonna di Castel Volturno?

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7518&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #54 inserito:: Luglio 13, 2010, 10:12:24 am »

13/7/2010

Massimo Gramellini

La vespa casta
   
La cena degli ultracorpi a casa Vespa è stata scandagliata in ogni particolare. Tranne uno, dato evidentemente per scontato: cosa ci faceva Vespa? I giornalisti non dovrebbero organizzare cene per i potenti, né parteciparvi se non in incognito, con parrucca e registratore incorporato, per poi raccontarle sul giornale. Vespa festeggiava le nozze d’oro col mestiere, ma anziché gli amici ha invitato banchieri, politici e porporati: la controparte. È vero che il portiere della Spagna mundial ha baciato in diretta la fidanzata che lo stava intervistando, però Silvio e Vespa non hanno vinto nulla e non sono neanche fidanzati, almeno ufficialmente.

Niente di personale: intorno al biscotto del Potere ronzano vespe di ogni colore e d’estate a Roma fioriscono terrazze dove il critico contende un groviglio di bucatini al regista del film che dovrà recensire e il politico di sinistra suggerisce all’editorialista di sinistra che cosa scrivere nel prossimo articolo che il pubblico di sinistra non leggerà. Nessun governo dichiarerà mai illegale questo genere di intercettazioni. Però non stupiamoci se i nostri padroni, lettori e telespettatori, ci considerano parte di quella stessa Casta dalla quale, a parole, prendiamo le distanze. Chi si autodeclassa da campanello d’allarme a carillon toglie credibilità alle battaglie sulla libertà di stampa. Quel che è peggio, ne toglie all’immagine di una categoria composta in maggioranza da persone che a cena con i potenti non ci vanno, non foss’altro perché non vanno a cena, dovendo restare nelle redazioni fino a notte fonda.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41
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« Risposta #55 inserito:: Luglio 17, 2010, 11:09:35 am »

17/7/2010

Le Idi di Luglio
   
MASSIMO GRAMELLINI


Ave direttore, attraverso il Suo giornale intendo denunciare l'uso improprio che in questi giorni si sta facendo del mio nome. Mi ritrovo coinvolto in resoconti bizzarri, tirato in ballo da individui a me del tutto ignoti. «Amm'a vedé Cesare» (ma che lingua è, sannita?).
«Credo che il dossier sia arrivato nelle stanze di Cesare, i tribuni ne hanno già dato notizia». (Chiacchieroni perditempo, prima o poi li caccio e metto al loro posto una vestale). «Marcello parla anche a nome di Cesare». Alt. E chi sarebbe questo Marcello che parla a mio nome? Il glorioso console che conquistò Siracusa o il noto bibliotecario che tiene i contatti con Palermo? Ce n'è uno che si spaccia per mio cugino: gli dedicherò il «De bello pallico», una raccolta di barzellette lapidarie (la mia preferita è «Veni vidi Ici», dedicata al federalismo fiscale). Un altro tira in ballo la storia del «vice Cesare» e qui non vorrei sembrarle petulante, ma visto che sull'argomento ho già preso un bel po' di pugnalate, ribadisco che non esiste ancora un vice designato. L'ho spiegato a Bruto, a Marcantonio e anche ad Augusto, il quale mi dicono abbia avuto in dote il Tg1, ma non da me, ripeto, non da me. Ho il sospetto, direttore, che qualcuno a Roma stia usando impropriamente il mio nome per i suoi loschi affari.

Appena torno dalla Gallia (lunedì sarò a Mediolanum con Aznavour) andrò in fondo a questa storia. Avrebbe per caso un dado da prestarmi?

Firmato: Cesare (Caio Giulio)

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41
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« Risposta #56 inserito:: Luglio 22, 2010, 05:14:34 pm »

22/7/2010
Invecchiare e dirsi addio
   
MASSIMO GRAMELLINI

La novità dell’indagine Istat 2008 sul raddoppio dei divorzi è che hanno cominciato a lasciarsi anche i vecchi. I diversamente imberbi, scusate. Aumentano a dismisura le separazioni dove uno o entrambi i combattenti hanno superato i sessant’anni. Sulla carta di identità, naturalmente. Non nello spirito e tantomeno negli appetiti. Un signore piuttosto anziano mi disse, tempo fa: «Continuo a inseguire le belle ragazze, ma non ricordo più perché». Sono sicuro che oggi con qualche pillolina gli farebbero tornare la memoria. Il prolungamento della vita e il miglioramento della sua qualità hanno infranto l’ultima certezza: che una coppia che aveva resistito insieme per decenni, scollinato asprezze esistenziali e sopportato compromessi e tradimenti reciproci, potesse trascorrere in quiete l’ultimo scorcio. Trovando, dietro lo spegnimento definitivo dell’incendio erotico, il fuoco tiepido ma inestinguibile dell’amore. Non è più così e basta fare una passeggiata a Macherio per avere la più augusta, anzi la più cesarea delle conferme.

L’inchiesta Istat conferma l’ottimo stato di salute di altre figure non così nuove, ma pur sempre abbastanza recenti, di divorziati cronici. La Single di Ritorno, donna ancor giovane che una volta raggiunta l’indipendenza economica si libera dell’appendice maritale e si ricostruisce una vita con figli o senza, accompagnandosi a maschi fissi oppure variabili. E i Ciao-come-sto, due Io che non riescono a diventare un Noi perché non accettano di sacrificare il proprio egoismo sull’altare di un progetto comune e, appena si affievolisce la passione erotica (come i governi, di rado sopravvive ai tre anni) smettono di coniugare i verbi al futuro e incominciano a tradirsi a vicenda, tenendo in piedi una caricatura di famiglia a beneficio esclusivo della prole, fino a quando la finzione si sfascia e si finisce tutti davanti al giudice infelici e scontenti (anche degli amanti). Ma la categoria degli anziani per sbaglio è davvero l’ultima moda. Il signore e la signora di terza età che non si accontentano di ricordi e vanno in cerca di stimoli, inseguendo nuovi amori con l’entusiasmo e l’afflato possessivo dell’adolescenza.

Inutile scandalizzarsi. Se il vangelo coniugale degli italiani rimane Califano («E tutto il resto è noia»), invece di Battiato («Cerco un centro di gravità permanente che non mi faccia più cambiare idea sulle cose e sulla gente»). Se un esperto del ramo come Alberoni - intervistato dal nostro Michele Brambilla - dichiara che è sacrosanto pretendere sempre dall’amore «passione, intensità e brividi». Se le emozioni, al cui dominio mutevole e isterico ci ha educato fin da piccoli la cultura della pubblicità, continuano a prevalere sui grandi latitanti della nostra epoca, i sentimenti. Ecco, se queste sono le nuove regole del gioco, diventa quasi inevitabile che una coppia di infelici, dopo essersi lungamente detestata, possa finalmente coronare il proprio sogno di non amore per andare a rifarsi una vita come ci si rifà un naso o un nuovo tesoretto sessuale a base di pillole miracolose.

Nessuna nostalgia. Anche perché ogni epoca coltiva le sue, e in un futuro non troppo lontano potremmo persino trovarci a rimpiangere i tempi in cui a centodue anni si restava a russare sul seggiolone del tinello invece di andare in discoteca con la sedia a rotelle e la badante brizzolata. E non consideriamo eroi i nostri avi soltanto perché invecchiavano insieme. L’eternità finiva prima, a quei tempi. Era comodo giurarsi fedeltà per tutta la vita, quando fra guerre ed epidemie la vita durava meno di un monologo di Celentano. La formula che andrebbe letta adesso agli sposi è questa: vuoi tu abbracciare sempre e soltanto lo stesso corpo per i prossimi cinquant’anni, finché noia, botox o viagra non vi separi? Chi risponde di sì e poi mantiene la parola, quello è il vero eroe.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7626&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #57 inserito:: Luglio 26, 2010, 10:35:51 am »

23/7/2010

Sotto sotto

Massimo Gramellini
   
Si rimane esterrefatti davanti alla multa che i carabinieri di San Felice Circeo hanno rifilato a Michele Izzo, segretario del sottosegretario (dimissionario) Cosentino. Era il 4 luglio, una domenica, e si sa quanto sia difficile parcheggiare d’estate nelle località di mare, alla faccia delle cassandre bolsceviche che starnazzano intorno alla crisi. Il segretario del sottosegretario aveva fretta di mangiare un gelato, eppure ha cercato un posto libero, finché ha dovuto rassegnarsi a prendere quello dei carabinieri. E che cosa avrebbe dovuto fare, di grazia? Parcheggiare nello spazio riservato ai Casalesi? Di sicuro era già occupato. Così, al ritorno dal gelataio, ha trovato la contravvenzione. Ed è andato a lamentarsi. «Non potete farmi questo. Io sono il segretario del sottosegretario, la mia è un’auto di servizio e mi trovo qui per ragioni istituzionali». (Il gelato, a San Felice, è un’istituzione.) Poiché i carabinieri cuor di ghiaccio continuavano a sventolare la multa, il sotto-sottosegretario ha addirittura minacciato una interrogazione parlamentare. Ma quelli non solo gli hanno ribadito l’ammenda: dal momento che l’auto risultava intestata a lui e non al ministero, lo hanno pure incriminato per false dichiarazioni.

Vorrei unire il mio al vostro stupore per la prova di coraggio. Dei carabinieri? No, del sotto-sottosegretario. Nell’estate in cui i manutengoli della Casta fanno di tutto per passare inosservati, esibire come autoblù un’auto che blu non è, pur di rivendicare la propria appartenenza alla categoria dei privilegiati, è quasi un gesto da kamikaze.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41
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« Risposta #58 inserito:: Luglio 28, 2010, 10:56:36 am »

28/7/2010

Granata da legare

   MASSIMO GRAMELLINI

Quando il finiano Granata (bel cognome, vero?) ha attaccato gli affaristi del suo partito, il mio primo pensiero è stato: avrà pagato il bollo dell’auto? E i contributi della colf? Non mi sbagliavo. Ieri mattina su un giornale di destra campeggiava già il titolo «L’alfiere della questione morale è un baby pensionato con tre lavori». Ora, ammettiamo pure che Granata sia un baby pensionato con tre lavori di cui quattro in nero, otto amanti di cui nove trans e un procedimento presso la corte di Strasburgo per possesso di carote non in regola coi parametri Ue. Di più: ammettiamo che sia il capo della Spectre, il mostro di Firenze, il miglior amico di Corona.

Cos’avrà mai a vedere tutto questo con le accuse che ha lanciato su Verdini e affini? Essere un baby pensionato lo rende meno credibile come censore? E’ dai tempi di Catone che non se ne trova più uno senza macchia. Ed è dai tempi di Mani Pulite che appena qualcuno grida «al ladro», i presunti «garantisti» non si occupano del ladro, ma di scovare magagne nel passato di chi lo denuncia.

Capirei se la perlustrazione dei fondali dell’animo umano fosse dettata dal desiderio evangelico di ricondurre «chi scaglia la prima pietra» sulla retta via. Mi sembra invece che le motivazioni siano un po’ meno nobili e si riducano a un messaggio classicamente omertoso: poiché avete tutti qualcosa da nascondere, è meglio che stiate zitti e vi facciate i fatti vostri, lasciando che gli altri si facciano i loro.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41
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« Risposta #59 inserito:: Luglio 29, 2010, 11:42:58 am »

29/7/2010

Il buon esempio

Massimo GRAMELLINI
   
Una sera d’estate, nell’unico ristorante di Agrigento affacciato sulla valle dei Templi irrompe la tipica famigliola italiana. La suocera, che incede elegantissima in testa al gruppo, dispensando a destra e a manca sguardi di sufficienza. La figlia, un po’ meno elegante ma altrettanto supponente. Due bambini griffati e coi capelli intrisi di gel che slalomeggiano fra i tavoli urlando. Chiude la fila il loro papà: esibisce una protuberanza all’orecchio a forma di telefonino. Sono in cinque, ma puntano diritti verso il tavolo con dieci coperti.

I bambini cominciano a litigare per l'assegnazione dei posti. Reclamano patatine e ketchup, poi si alzano. Il più piccolo esce dal ristorante, la cameriera lo acciuffa e lo riporta dalla madre, che nemmeno ringrazia. Il più grande riprende lo slalom fra i tavoli e cerca di afferrare le borsette delle signore, nel totale disinteresse dei suoi familiari. Solo quando il più piccolo si avvicina al carrello dei formaggi e tenta di asportare due formelle, il maître e la cameriera si permettono di interrompere la conversazione dei genitori, facendo presente che un carrello pieno di coltelli appuntiti potrebbe essere pericoloso per il tesoruccio caro. «Ma insomma, sono solo dei bambini», lo zittisce villanamente la madre.

La moglie del lettore che ci ha raccontato l’episodio commenta a mezza voce: «Con questa educazione, chissà come cresceranno». Allora il maître le insuffla all’orecchio: «Purtroppo come il padre, signora: faranno anche loro i parlamentari».

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