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Autore Discussione: Massimo GRAMELLINI.  (Letto 288820 volte)
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« Risposta #660 inserito:: Dicembre 17, 2014, 05:39:23 pm »

Selfaggi

16/12/2014
Massimo Gramellini

I selfie, per lo più sorridenti, scattati dai turisti davanti alla cioccolateria di Sydney dove un esaltato islamico stava tenendo in ostaggio decine di persone, hanno provocato giudizi definitivi sul declino dell’umanità che non mi sento di condividere. L’umanità non è peggiorata. Neanche troppo migliorata, se è per questo. Ma i cretini di Sydney sono i degni pronipoti delle anziane donne della Parigi rivoluzionaria che sferruzzavano a maglia nella piazza della ghigliottina, mentre intorno a loro cadevano le teste. La stessa smania di trovarsi nel posto in cui si fa la storia, o almeno la cronaca. La stessa speranza di attirare l’attenzione del maggior numero di guardoni. La stessa incapacità di mettersi in sintonia con la sofferenza di chi a un passo da te perde o rischia di perdere la vita. Da allora non sono gli uomini a essere cambiati, ma gli strumenti. Oggi una tricoteuse poserebbe l’uncinetto per impugnare lo smartphone. 

La potenza smisurata dei nuovi mezzi non è stata bilanciata da un analogo rafforzamento del carattere degli utenti. Oltre all’esibizionismo, i cultori del selfie estremo hanno mutuato dal mondo dello spettacolo l’ossessione per le cifre. Ciascuno ha il suo Auditel personale con cui fare i conti. E poiché ormai l’autostima si misura dal numero di seguaci su Twitter o di condivisioni su Facebook, ogni occasione è buona per incrementare il proprio indice di popolarità. Come in qualsiasi altra forma di comunicazione, il pelo sullo stomaco non è indispensabile, però aiuta.

Da -http://www.lastampa.it/2014/12/16/cultura/opinioni/buongiorno/selfaggi-2xf2Kl8sOVqXYqKLltLGyK/pagina.html
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« Risposta #661 inserito:: Dicembre 17, 2014, 06:00:38 pm »

Buongiorno

Massimo Gramellini
Effetti benigni

17/12/2014

Qualsiasi esperto di tv avrebbe spiegato a Benigni che, se c’è una cosa che non funziona in televisione, è parlare di un argomento troppo serio per due ore consecutive senza lo straccio di un ospite, di un’immagine o di un colpo di scena e con l’aggravante di un fondale marroncino alle spalle. Ma Roberto deve essersi dimenticato di interpellarlo e così ha conquistato nove milioni di spettatori con un monologo sui Dieci Comandamenti. Le ragioni di questa performance sono almeno quattro e finiscono tutte con la à. Qualità, prevedibilità, rarità e (assenza di) pubblicità. 

La qualità del Benigni affabulatore è indiscutibile. In un Paese dove gli intellettuali pensano che per esseri seri occorra essere pesanti, e invece finiscono per essere soltanto noiosi, quell’uomo conosce la formula della leggerezza e di come coniugarla con la profondità. Poi, se da giovane era eversivo e lo guardavi pregustando o temendo l’imprevedibile, con gli anni si è tramutato in un’istituzione rassicurante e consolatoria, esattamente ciò di cui ha bisogno un pubblico televisivo stremato dagli scandali gratuiti e dalle provocazioni volgari. Nemmeno Benigni, però, riuscirebbe a essere Benigni tutti i giorni. Nell’era delle emozioni e distrazioni seriali, per attrarre l’attenzione degli altri occorre offrirgli qualcosa di raro e di eccezionale. Un evento, possibilmente non interrotto ogni venti minuti da un filotto dispersivo di pubblicità. L’altra sera abbiamo assistito all’esperimento di una tv di massa non concepita per i consumatori, ma per le persone. Una tv di servizio pubblico. Che ideona.

Da - http://www.lastampa.it/2014/12/17/cultura/opinioni/buongiorno/effetti-benigni-I4JcAez7C7GXk5g4nL0SMI/pagina.html
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« Risposta #662 inserito:: Dicembre 20, 2014, 12:06:56 pm »

Amorecane

20/12/2014
Massimo Gramellini

Connie Ley viveva nello stato americano dell’Indiana con la sola compagnia di un pastore tedesco di nome Bela. Prima di morire ha lasciato scritto di voler essere sepolta accanto alle ceneri del cane adorato. E adesso l’esecutore testamentario pretende di mettere in pratica le sue ultime volontà, facendo sopprimere una bestia sanissima. Le leggi dell’Indiana sono dalla sua parte, perché considerano gli animali domestici alla stregua di oggetti di cui il proprietario può disporre a piacimento. Eppure le soluzioni alternative non mancherebbero e la più sensata consiste ancora nell’affidare il pastore tedesco a qualche altro umano disposto a dargli un po’ di riparo e un po’ di amore.

Amore... Quanti delitti si compiono in suo nome. Connie era convinta di amare il suo cane, come certi maschi sono convinti di amare le donne che ammazzano. Ma se desideri che una creatura muoia con te, significa che non la ami. Se picchi, tormenti, uccidi o fai uccidere una creatura che non può o non vuole più amarti, significa che non la ami. E se sostieni di compiere queste brutalità per amore, stai confondendo la passione con il possesso. L’amore non costruisce gabbie, non spezza ali e non pone condizioni. Se ami qualcuno al punto da considerarlo la tua ragione di vita, l’ultima cosa che dovresti volere è di diventare tu la ragione della sua morte. 

In fondo amare significa desiderare che la creatura amata ci sopravviva.

Da - http://www.lastampa.it/2014/12/20/cultura/opinioni/buongiorno/amorecane-6FpQwGm6ZJIcMHDZxiEwTM/pagina.html
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« Risposta #663 inserito:: Dicembre 20, 2014, 04:45:22 pm »


18/12/2014
Massimo Gramellini

Come sostiene un mio amico che nella sua vita precedente ebbe l’ardire di impegnarsi in politica, un popolo che si ritrae terrorizzato di fronte alla prospettiva di organizzare lo spettacolo delle Olimpiadi farebbe meglio a consegnare le chiavi del proprio Paese e andare a ritirarsi altrove. Se ci consideriamo incapaci di intraprendere qualsiasi progetto senza rubare, tanto vale chiudere gli ospedali, notorio ricettacolo di creste e mazzette, e non costruire né aggiustare più case, dal momento che dietro ogni mattone è in agguato un mascalzone. La rabbia dei delusi ha partorito la prostrazione dei depressi e adesso stiamo assistendo a una resa senza condizioni. D’accordo, l’aria è viziata, ma vi sembra una buona ragione per smettere di respirare? 

In un mondo normale il dibattito non verterebbe sull’opportunità di ospitare le Olimpiadi, ma semmai sulla trasparenza da garantire agli appalti. Invece la paura e l’avvilimento ci hanno trasformato in una congrega di sconfitti, intrisi di sfiducia nei confronti del futuro e del prossimo, che predicono sciagure e scuotono di continuo la testa, opponendosi per principio a qualsiasi mutamento. E’ diventato troppo facile, ma anche troppo comodo, raccattare consensi compiacendo la parte più distruttiva e mugugnante di noi stessi. Appena dici che gli italiani fanno schifo, gli italiani ti applaudono, sbellicandosi dal ridere o sparacchiando qualche insulto. Forse perché si sentono esclusi, a torto, dalla categoria.

Da - http://www.lastampa.it/2014/12/18/cultura/opinioni/buongiorno/la-paura-di-essere-italiani-gRODGrETajyvBXN8FhOIjN/pagina.html
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« Risposta #664 inserito:: Dicembre 20, 2014, 04:50:08 pm »

Gentili ascoltatori

19/12/2014
Massimo Gramellini

Essendo fornito di una sola bocca ma di ben due orecchi, l’essere umano dovrebbe dedicare all’ascolto degli altri il doppio del tempo che riserva all’emissione di fiati. Dopo una rapida consultazione dei miei tabulati esistenziali, ho il sospetto di appartenere alla categoria di coloro che non hanno rispettato la proporzione tra le due attività, tendendo semmai a rovesciarla. Per riequilibrare in parte la media esiste Telefono Amico, l’associazione di volontari che lunedì festeggerà a Torino i primi cinquant’anni di servizio. Da mezzo secolo, accanto all’Italia che promette a vanvera, ce n’è un’altra che ascolta in silenzio. In prevalenza è un’Italia di ventenni e di trentenni. Per accogliere la disperazione di un depresso senza restituirgliela gravata dal peso delle proprie angosce ci vuole l’energia fresca e un po’ incosciente della giovinezza. Gli operatori svolgono un’opera di supplenza. Si sostituiscono al parente o all’amico che non c’è, o se c’è è come se non ci fosse, prendendosi cura al telefono delle paturnie di aspiranti suicidi e portatori di handicap emotivi che non hanno più voglia di vivere perché ne hanno troppa paura. 

I giovani ascoltatori non prescrivono ricette, non dispensano certezze e non seguono procedure stereotipate come i coetanei dei call center. Si mettono la cuffia e ascoltano. Le confessioni, i dolori, a volte gli insulti. E intanto che ascoltano, il loro silenzio prende vita, diventando calore per cuori congelati e luce per anime al buio. Poiché compiono il bene in silenzio, di loro non si parla mai. Eppure esistono da cinquant’anni. E ogni giorno, e ogni notte, salvano il mondo.

Da - http://www.lastampa.it/2014/12/19/cultura/opinioni/buongiorno/gentili-ascoltatori-FHgwVkl7qqMm3SkjYVlFdK/pagina.html
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« Risposta #665 inserito:: Dicembre 26, 2014, 11:42:00 am »

Sono parole rivolte a tutti noi

23/12/2014
Massimo Gramellini

Uno dei vantaggi del diventare anziani consiste nel potersi concedere lo sfizio di essere sinceri, a costo di apparire brutali. Il discorso di auguri, si fa per dire, nel quale Bergoglio ha mazzolato senza ritegno la Curia vaticana ricorda nei toni quello con cui Napolitano ringraziò, si fa sempre per dire, i parlamentari che lo avevano rieletto al Quirinale. Una sequela di giudizi sprezzanti e drammaticamente veri a cui i politici reagirono da par loro, spellandosi le mani nell’applaudire colui che li andava definendo inetti e incapaci. 

Poiché vantano un tasso lievemente inferiore di faccia tosta e di masochismo, cardinali e prelati si sono limitati a ostentare maschere impassibili e sguardi terrei. Del resto il Papa è andato molto oltre Napolitano, rinfacciando ai suoi sottoposti ogni malattia etica concepibile, dalla freddezza di cuore alla brama di potere, con un linguaggio insolito in quegli ambienti felpati, abituati a esprimersi per allusioni. 

Tanto per gradire, Bergoglio ha accusato gli interlocutori di «Alzheimer spirituale» e «schizofrenia esistenziale». E ha definito la Curia «un’orchestra che produce chiasso», infestata di «esibizionisti, calunniatori, diffamatori, terroristi delle chiacchiere e omicidi a sangue freddo della fama dei propri colleghi».

Dietro l’impassibilità delle vittime di tanta furia verbale si può leggere un’antica abitudine all’autocontrollo e alla dissimulazione, o forse la propensione umana a considerare le critiche come rivolte al vicino di banco e mai a se stessi. Finché a un certo punto Bergoglio se l’è presa con i traslochi sontuosi e lì nessuno – nemmeno l’interessato – ha potuto fare a meno di pensare a un nome e a un cognome. Quelli del cardinal Tarcisio Bertone, ratzingeriano in disgrazia prelatizia ma non edilizia, che si è da poco installato in un superattico con vista sulle due stanzette francescane del Papa.

Scorrendo la lista delle reprimende pontificali, si avverte un confortante senso di appartenenza, quasi di familiarità. Quando condanna l’invidia, la pigrizia mentale e il servilismo, il Papa sta parlando anche a noi, peccatori laici. Ma che a esserne così pesantemente afflitti siano gli uomini di Chiesa induce a nutrire qualche perplessità sull’efficacia della religione (almeno di quella che si trasforma in una professione) come ispiratrice di condotte morali, nonché sulle difficoltà che ogni istituzione umana incontra nel selezionare i migliori anziché i più ammanicati.

Lo sfogo del Papa voleva essere una sferzata, ma si è rivelato anche una confessione di impotenza. Se il leader di una organizzazione parla male dei collaboratori il giorno della sua nomina, si presume stia annunciando una rivoluzione. Se lo fa dopo che ha cominciato a comandare già da un pezzo, il suo lamento sa un po’ di resa. Come quando i nostri presidenti del Consiglio in carica da mesi o addirittura da anni si indignano per l’eccesso di tasse e di burocrazia. 

Nella mia ingenuità mi domando: dopo averli presi a male parole, perché un Papa libero e forte come Bergoglio non può spedire i pretoni di curia a ripassare le ragioni della loro fede in qualche lontana e disagiata missione, sostituendoli con quei pretini di periferia intrisi di amore e tenacia che tengono in piedi le parrocchie e la Chiesa?

Da - http://www.lastampa.it/2014/12/23/cultura/opinioni/buongiorno/sono-parole-rivolte-a-tutti-noi-mC1Scpna3vwsF1L5DcWeYJ/pagina.html
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« Risposta #666 inserito:: Gennaio 01, 2015, 04:16:58 pm »

Capitano Ultimo

30/12/2014
Massimo Gramellini

Scrivo queste righe per tacitare la parte di me stesso che considera il comandante del traghetto in fiamme Argilio Giacomazzi un eroe. Nel leggere le parole che egli ha pronunciato al culmine della tragedia («Non sto molto bene, ma sarò l’ultimo a mettere i piedi fuori di qui») ci siamo commossi un po’ tutti. E la commozione ha ceduto il passo all’ammirazione quando, facendo seguire i gesti alle parole, il comandante ha abbandonato la nave soltanto dopo avere coordinato i soccorsi. Eppure non ha fatto nulla di straordinario. Come nulla di straordinario fanno i funzionari pubblici che rifiutano una mazzetta e in genere le tantissime persone che compiono ogni giorno il proprio dovere senza lasciarsi peggiorare dall’abitudine e dalla paura. 

L’avere trasformato la normalità in comportamento eroico è il frutto di una società dello spettacolo che si nutre di cattivi esempi, e se talvolta ne sbandiera di buoni non è per slancio etico ma per la necessità di variare la trama. Depurata dall’enfasi retorica, la condotta coerente di Giacomazzi nell’emergenza è un inno al lavoro ben fatto. Chi ha una responsabilità non scappa. Non si tratta di una scelta epica, ma di una prassi umana che l’esistenza di tanti capitan Tremarella, non soltanto a bordo della Concordia, ha ammantato di una vena simbolica sproporzionata alle circostanze. Gli eroi sono coloro che fanno qualcosa che non sarebbero tenuti a fare. Mentre il comandante che comanda fa esattamente ciò per cui è stato scelto. Non è dunque un eroe, ma qualcuno di più socialmente utile perché più facilmente imitabile. Un uomo. 

Da - http://www.lastampa.it/2014/12/30/cultura/opinioni/buongiorno/capitano-ultimo-cPNKabNwrLpuGtQxDIcG0M/pagina.html
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« Risposta #667 inserito:: Gennaio 01, 2015, 04:20:40 pm »

Sono parole rivolte a tutti noi

23/12/2014
Massimo Gramellini

Uno dei vantaggi del diventare anziani consiste nel potersi concedere lo sfizio di essere sinceri, a costo di apparire brutali. Il discorso di auguri, si fa per dire, nel quale Bergoglio ha mazzolato senza ritegno la Curia vaticana ricorda nei toni quello con cui Napolitano ringraziò, si fa sempre per dire, i parlamentari che lo avevano rieletto al Quirinale. Una sequela di giudizi sprezzanti e drammaticamente veri a cui i politici reagirono da par loro, spellandosi le mani nell’applaudire colui che li andava definendo inetti e incapaci. 

Poiché vantano un tasso lievemente inferiore di faccia tosta e di masochismo, cardinali e prelati si sono limitati a ostentare maschere impassibili e sguardi terrei. Del resto il Papa è andato molto oltre Napolitano, rinfacciando ai suoi sottoposti ogni malattia etica concepibile, dalla freddezza di cuore alla brama di potere, con un linguaggio insolito in quegli ambienti felpati, abituati a esprimersi per allusioni. 

Tanto per gradire, Bergoglio ha accusato gli interlocutori di «Alzheimer spirituale» e «schizofrenia esistenziale». E ha definito la Curia «un’orchestra che produce chiasso», infestata di «esibizionisti, calunniatori, diffamatori, terroristi delle chiacchiere e omicidi a sangue freddo della fama dei propri colleghi».

Dietro l’impassibilità delle vittime di tanta furia verbale si può leggere un’antica abitudine all’autocontrollo e alla dissimulazione, o forse la propensione umana a considerare le critiche come rivolte al vicino di banco e mai a se stessi. Finché a un certo punto Bergoglio se l’è presa con i traslochi sontuosi e lì nessuno – nemmeno l’interessato – ha potuto fare a meno di pensare a un nome e a un cognome. Quelli del cardinal Tarcisio Bertone, ratzingeriano in disgrazia prelatizia ma non edilizia, che si è da poco installato in un superattico con vista sulle due stanzette francescane del Papa.

Scorrendo la lista delle reprimende pontificali, si avverte un confortante senso di appartenenza, quasi di familiarità. Quando condanna l’invidia, la pigrizia mentale e il servilismo, il Papa sta parlando anche a noi, peccatori laici. Ma che a esserne così pesantemente afflitti siano gli uomini di Chiesa induce a nutrire qualche perplessità sull’efficacia della religione (almeno di quella che si trasforma in una professione) come ispiratrice di condotte morali, nonché sulle difficoltà che ogni istituzione umana incontra nel selezionare i migliori anziché i più ammanicati.

Lo sfogo del Papa voleva essere una sferzata, ma si è rivelato anche una confessione di impotenza. Se il leader di una organizzazione parla male dei collaboratori il giorno della sua nomina, si presume stia annunciando una rivoluzione. Se lo fa dopo che ha cominciato a comandare già da un pezzo, il suo lamento sa un po’ di resa. Come quando i nostri presidenti del Consiglio in carica da mesi o addirittura da anni si indignano per l’eccesso di tasse e di burocrazia. 

Nella mia ingenuità mi domando: dopo averli presi a male parole, perché un Papa libero e forte come Bergoglio non può spedire i pretoni di curia a ripassare le ragioni della loro fede in qualche lontana e disagiata missione, sostituendoli con quei pretini di periferia intrisi di amore e tenacia che tengono in piedi le parrocchie e la Chiesa?

Da - http://www.lastampa.it/2014/12/23/cultura/opinioni/buongiorno/sono-parole-rivolte-a-tutti-noi-mC1Scpna3vwsF1L5DcWeYJ/pagina.html
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« Risposta #668 inserito:: Gennaio 01, 2015, 04:23:47 pm »

Cinepanettone digeribile

27/12/2014
Massimo Gramellini

Da quanto tempo non vi succede di andare a vedere un film di Natale che fa sorridere e pensare per due ore, senza che una delle attività boicotti per forza l’altra? Da quanto tempo all’uscita di un film di Natale non vi capita di evitare lo sguardo dei vicini, nel timore si accorgano che avete gli occhi lucidi, salvo scoprire che i loro sono più rossi dei vostri, nonostante i titoli di coda abbiano concesso qualche minuto a tutti per recuperare un contegno accettabile? Da quanto tempo un film di Natale non vi infonde una carica benefica, la sensazione che il mondo sia ancora modificabile da uno sforzo comune dei perseguitati, capace di unire le loro debolezze anziché accentuare le divisioni facendo il gioco dei persecutori? 

La sera di Natale sono andato a vedere «Pride», una commedia inglese che racconta la storia vera di una piccola comunità di gay e lesbiche londinesi che decidono di sostenere i minatori di un paesino del Galles in sciopero contro la Thatcher. Sullo schermo, e a specchio dentro di me, ho visto transitare la vergogna, l’imbarazzo, la diffidenza, la scoperta, l’accettazione e l’orgoglio più forte anche della sconfitta. Persino lo scambio dei ruoli, con i minatori «machi» che partecipano al Gay Pride per supportare i loro imprevedibili amici. Una doccia emotiva da cui si esce ripuliti e smaniosi di costruire qualcosa. 

Da quanto tempo avevo dimenticato a cosa servono i film di Natale? Ecco, adesso me lo ricordo: a ridarci nostalgia del futuro.

Da - http://www.lastampa.it/2014/12/27/cultura/opinioni/buongiorno/cinepanettone-digeribile-A7he7cIKAiwZ2D5iPuOSgN/pagina.html
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« Risposta #669 inserito:: Gennaio 10, 2015, 11:20:34 am »

Checkpoint Charlie

09/01/2015
Massimo Gramellini

A chi impugna mitragliatrici per sterminare matite, e a chiunque si sottometta a qualcosa di diverso dalla propria coscienza, ci piacerebbe spiegare che avventura faticosa e fantastica sia la libertà. Ma non lo faremo, perché la libertà non si può spiegare. Si può soltanto respirare senza pensarci, come l’aria, e come l’aria rimpiangerla quando non c’è più. A differenza dei dogmi, non reclama certezze e non ne offre. I suoi mattoni sono i dubbi e gli errori, gli slanci e gli abusi. I suoi confini sono labili, mobili. E la sua rovina è l’assenza di confini, che le toglie il piacere sottile della trasgressione. 

La forma estrema, per molti incomprensibile, di libertà è la satira. Offensiva, provocatoria e irrispettosa per definizione, ribalta ostinatamente il punto di vista, perciò è detestata dai possessori di verità assolute e dai fautori delle religioni, categoria ideologica di cui fa ormai parte il Politicamente Corretto caro agli americani. 

La satira non è mai blasfema, perché non si occupa dell’assoluto, ma del relativo. Non di spiritualità, ma di umanità. La satira non manca di rispetto a Dio, casomai agli uomini che usano Dio per dominare altri uomini.

La vignetta di Charlie Hebdo che più di ogni altra è costata la vita ai suoi autori raffigurava un Profeta disperato per il tasso di stupidità degli integralisti islamici. Non era un attacco a Maometto, ma a un gruppo di fanatici superstiziosi e ignoranti che in suo nome ammazza le donne che vogliono andare a scuola e i maschi che bevono e fumano.

L’attenuante della provocazione che è echeggiata in queste ore sul «Financial Times» - la bibbia di un’altra religione dogmatica, quella dei soldi - è il sintomo di quanto sia ancora lunga e avvincente la marcia verso la libertà. C’è stato un tempo non lontano in cui le corna erano considerate un’attenuante per l’uxoricida e la minigonna per lo stupratore. Arriverà il giorno in cui anche l’accettazione dell’uso, e persino dell’abuso, di satira diventerà qualcosa di scontato. Intanto la guerra continua, e si combatte dentro di noi.

Da - http://www.lastampa.it/2015/01/09/cultura/opinioni/buongiorno/checkpoint-charlie-fgKcpl9gDlwN70cufbcSrM/pagina.html
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« Risposta #670 inserito:: Gennaio 13, 2015, 04:43:09 pm »

Je suis Tottì

13/01/2015
Massimo Gramellini

Scendendo dai massimi sistemi all’unica religione di massa ancora praticata in Europa, il calcio, fa riflettere che il presidente laziale Lotito abbia considerato l’esultanza di Totti una provocazione. Dopo avere segnato il secondo gol, e che gol, il capitano della Roma si è fatto un autoscatto con i tifosi giallorossi. Si potrà discutere sulla sempre maggiore complessità delle pratiche di festeggiamento negli stadi. E chi ha i capelli bianchi, o non li ha proprio più, forse rimpiangerà le esultanze composte dei campioni del secolo scorso, che si limitavano ad alzare le braccia al cielo e a scambiarsi pacche virili con i compagni. Ma una cosa è sicura: il gesto di Totti era una manifestazione di gioia e non di strafottenza, quale sarebbe stato un autoscatto sotto la curva abbacchiata degli avversari. Eppure il presidente della Lazio, che sa di latino ed è uomo di vaste letture, vi ha intravisto nientemeno che un’istigazione alla violenza. 

Come il filosofico Lotito sa bene, nel mondo della materia tutto è duale e dunque lo stesso gesto produce effetti sia positivi sia negativi. Un gol, per esempio, mette qualcuno di buon umore e getta nello sconforto qualcun altro. La differenza fra gioia e provocazione la fa l’intenzione. Anche delle vittime. Spesso, infatti, ci si sente tali per narcisismo. Perché si è convinti che gli altri, quando fanno qualcosa che ci dà fastidio, stiano pensando a noi. Offendersi è diventato un modo di darsi importanza. Invece non siamo quasi mai al centro dell’attenzione altrui, purtroppo. Cioè per fortuna. 

Da - http://www.lastampa.it/2015/01/13/cultura/opinioni/buongiorno/je-suis-tott-RinUl85O6uYYEVSZ7fWBBP/pagina.html
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« Risposta #671 inserito:: Gennaio 15, 2015, 11:49:33 am »


Effetto Corazziere
15/01/2015

Massimo Gramellini

La vulgata più diffusa sostiene che il successore di Napolitano non dovrà piacere a tutti gli italiani ma a uno soltanto, Matteo Renzi. Al quale piacciono moltissimo gli italiani che non fanno ombra a lui. Una suora di clausura ultrà della Fiorentina o un eremita con trascorsi nei boyscout sarebbero perfetti. Ma poiché la politica è l’arte del compromesso, il giovane premier potrebbe farsi andare bene anche un notabile di seconda fila, purché sprovvisto di profilo Twitter, rigorosamente allergico alle telecamere e disposto a limitare il suo raggio d’azione al taglio silenzioso dei nastri e alla firma notarile dei decreti.

Chi impresta a Renzi un disegno simile sottovaluta però il cosiddetto Effetto Corazziere. Prendete l’essere più anonimo della Terra, uno a cui lo specchio del bagno chiede di continuo «non ti vedo, dove sei?», e mettete ai suoi lati due corazzieri. Al primo scatto di speroni il nostro uomo avvertirà un brivido lungo la schiena. Al secondo, un lieve senso di vertigini. Al terzo impugnerà un microfono di passaggio per lanciare un severo monito. È da quando esiste la Repubblica che le cose funzionano così e non risulta che la natura umana sia mutata nel frattempo. Tanto varrebbe, allora, provare a rovesciare lo schema e spedire al Quirinale una soubrette della politica, un ego ipertrofico al quale i corazzieri diano persino un po’ fastidio. Peccato che Renzi non abbia ancora l’età, altrimenti il candidato ideale sarebbe lui. 

Da - http://www.lastampa.it/2015/01/15/cultura/opinioni/buongiorno/effetto-corazziere-APM5b1QF5VsBIzpNmQ5hxN/pagina.html
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« Risposta #672 inserito:: Gennaio 16, 2015, 11:11:38 pm »

Porgi l’altra nocca

16/01/2015
Massimo Gramellini

Per Papa Francesco chi insulta tua madre merita un pugno. A scanso di equivoci, ha pure mimato il gesto del cazzotto. Un cazzotto metaforico, apostolico e romano, ma per chi era rimasto fermo alle carezze di Giovanni XXIII e alla predicazione pacifista del Fondatore, il cambio di mano risulta abbastanza squassante. Il Papa gesuita è un sottile argomentatore, quindi ci permetterà di portare il suo ragionamento alle logiche conseguenze. Ha dichiarato che non si può uccidere un uomo per motivi religiosi, ma che non si può nemmeno prendere in giro una religione. E lì è scattato il paragone con la mamma, intesa come paradigma degli affetti più cari. Se ne deve dedurre che per Francesco i vignettisti blasfemi di Charlie non si dovevano uccidere, ma solo prendere a pugni. 

So bene che il Papa non intendeva dire questo. Ma questo è quello che ha detto, inciampando in un paragone infelice nel desiderio di riuscire simpatico e (è il caso di dirlo) alla mano. Per delucidazioni ho telefonato a un amico parroco. Cosa deve fare uno, se gli insultano la madre? ho chiesto. E lui, dopo averci pensato un po’: se è un santo, incassa e perdona, altrimenti manda al diavolo l’insultatore e magari lo denuncia. Di pugni il parroco non ha parlato. Probabilmente sarà un prete all’antica, più da sagrestia che da bar, mentre il momento storico sembra richiedere alle figure istituzionali di assumere il linguaggio emotivo delle persone comuni. Vi ricorrerò anch’io, che istituzionale per fortuna non sono: «Gioco di mano, gioco di villano». Lo diceva sempre la mia mamma e se qualcuno osa criticarla gli mando un pugno del Papa.

Da - http://www.lastampa.it/2015/01/16/cultura/opinioni/buongiorno/porgi-laltra-nocca-0tWKY1wfnmRYIHyB4hKRFJ/pagina.html
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« Risposta #673 inserito:: Gennaio 18, 2015, 06:46:52 am »

Se questo è un bimbo

14/01/2015
Massimo Gramellini

Cosa vedete in queste immagini? In apparenza un boia ceceno dell’Isis di non più di dieci anni che sentenzia alla nuca due prigionieri russi impugnando la pistola come nella foto della P38 che divenne il simbolo degli anni di piombo. E’ dai tempi dei soldatini imberbi di Pol Pot che i fanatici abusano dell’infanzia per purificare il mondo. Quelli dell’Isis fanno anche di peggio. Chiamano «cuccioli di leone» bambini imbottiti di armi o di tritolo, ignorando che un leone non pratica la crudeltà né la insegnerebbe mai ai suoi cuccioli, e usano la tecnologia per irradiarne le gesta in Occidente. 

Ma qui entriamo in gioco noi. Cosa vediamo in queste immagini? Se scorgessimo soltanto un piccolo assassino, una creatura perduta che ci provoca rabbia cupa e pensieri di vendetta, avremmo abboccato al loro amo. Perché i mozzateste dell’Isis vogliono comunicarci proprio questo: che non finiranno mai, che possiamo anche ucciderli tutti, tanto resteranno i loro figli, e i figli dei loro figli, armati dello stesso odio. Quello che i mozzateste neanche sospettano è che in queste immagini noi si possa vedere tutt’altro. Non un assassino, ma una vittima. Un bimbo sfregiato, un drone umano pilotato dagli adulti alle sue spalle. E se in noi la paura e la rabbia lasceranno il posto alla pietà, quei bastardi avranno perso la scommessa. 

Da - http://www.lastampa.it/2015/01/14/cultura/opinioni/buongiorno/se-questo-un-bimbo-nQd7Wxk9m7fQx4sGqfUxEO/pagina.html
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« Risposta #674 inserito:: Gennaio 19, 2015, 07:06:17 am »

La parola vigliacca

17/01/2015
Massimo Gramellini

Quando i messaggi in Rete divennero di uso comune, noi fanatici della scrittura vivemmo un momento di rivalsa. L’oralità trionfante cedeva sorprendentemente il passo a una comunicazione meno spudorata, che avrebbe consentito anche ai timidi e ai riflessivi di fare sentire la propria voce nella piazza dell’umanità. Mai previsione è stata più stropicciata dalla realtà. Che si parli della malattia di Emma Bonino o della liberazione delle ragazze rapite in Siria - per limitarsi agli ultimi giorni - sul web si concentra un tasso insostenibile di volgarità e di grettezza. Una grettezza cupa, oltretutto, raramente attraversata da un refolo di ironia.

Non mi riferisco al merito dei commenti. Nell’Occidente di Charlie ciascuno è libero di esprimere le opinioni più urticanti, purché rispettose della legge. No, è la forma dei messaggi che corrompe qualsiasi contenuto. Una radiografia di budella, una macedonia di miasmi, una collezione di frasi impronunciabili persino con se stessi. Nessuna di queste oscenità pigiate sui tasti troverebbe la strada per le corde vocali. Nessuno di quelli che per iscritto augurano dolori atroci alla Bonino e rimpiangono il mancato stupro delle cooperanti liberate avrebbe la forza di ripetere le sue bestialità davanti a un microfono o anche solo a uno specchio. La solitudine anonima della tastiera produce il microclima ideale per estrarre dalle viscere un orrore che forse neppure esiste. Non in una dimensione così allucinata, almeno. Per noi innamorati della parola scritta è una sconfitta sanguinosa che mette in crisi antiche certezze. Per la prima volta guardo il tasto «invio» del mio computer come un nemico. 

Da - http://www.lastampa.it/2015/01/17/cultura/opinioni/buongiorno/la-parola-vigliacca-G575iV1t3bCF3WbpTGLTZM/pagina.html
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