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Autore Discussione: Urss, quell’invito di Alicata «Leggete “Il Gattopardo”»  (Letto 2542 volte)
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« inserito:: Marzo 03, 2008, 06:00:40 pm »

Urss, quell’invito di Alicata «Leggete “Il Gattopardo”»

Mario Alicata


Pubblicato in Italia due anni fa il romanzo Il Gattopardo (1) appartiene al novero di quei libri che hanno avuto negli ultimi tempi grandissimo successo presso i lettori e al tempo stesso attirato la massima attenzione da parte dei critici, non solo in Italia ma anche in Francia, Inghilterra e Stati Uniti - paesi dove il romanzo italiano raramente ottiene un tale successo.

Il Gattopardo è venuto alla luce dopo la morte del suo autore, che non era uno scrittore di professione. È stato scritto da un vecchio aristocratico, il principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa, rappresentante di una delle più blasonate e antiche casate siciliane, adesso in rovina come, d’altra parte, sono andate in rovina quasi tutte le famiglie dell’aristocrazia feudale siciliana dopo la nascita dello stato unitario borghese e lo sviluppo del capitalismo nell’economia italiana.

Lungo tutta la sua vita Giuseppe Tomasi di Lampedusa, uomo di grande e raffinata cultura, non pubblicò nemmeno una pagina delle sue opere. Soltanto dopo la sua morte gli eredi e gli amici scoprirono fra le sue carte il manoscritto pressoché concluso del Gattopardo, quattro racconti (uno dei quali - Il professore e la sirena - è stato stampato in Italia, però per livello artistico è decisamente inferiore al romanzo) e una serie di appunti critici sulla letteratura francese del diciannovesimo secolo, in gran parte ancora non pubblicati.

Tali sono le particolari circostanze all’origine del libro. Particolarità che spiegano in parte perché il contenuto del romanzo, i gusti letterari dell’autore, il suo stile sono lontani dalle problematiche della prosa italiana del dopoguerra, particolarmente dalle problematiche dei giovani scrittori.

Per il contenuto Il Gattopardo si avvicina piuttosto ad alcuni romanzi italiani della fine del diciannovesimo secolo, e particolarmente ad una delle maggiori opere della letteratura «verista» in Italia - il romanzo I viceré di Federico De Roberto, pure di cultura siciliana.

Questo non significa che il romanzo sia privo di una sua particolare attualità. È vero anzi il contrario. Proprio l’attualità del libro insieme alle grandi qualità artistiche e allo stile personale spiegano il successo ottenuto in Italia e negli altri paesi. In primo luogo l’attualità si trova nel problema al centro del libro e nel giudizio che vi viene espresso a proposito di particolari aspetti degli eventi politicamente più significativi e al tempo stesso più romantici del Risorgimento italiano. Intendiamo dire la liberazione del Regno delle Due Sicilie compiuta da Giuseppe Garibaldi e dal suo esercito di volontari («i Mille»). L’impresa portò alla fondazione del regno unitario in Italia grazie all’unione delle province del Sud a quelle del Nord e del Centro, che già si erano riunite intorno alla monarchia dei Savoia durante la guerra che nel 1859 Francia e Piemonte condussero contro l’Austria. Ma l’autore del Gattopardo, pur limitando il racconto del suo soggetto agli eventi del passato, nel rappresentarli , sebbene indirettamente, trae le proprie conclusioni sulla attuale situazione della Sicilia nella società e nello Stato italiani. In questo senso si può accostare il Gattopardo alla cosiddetta letteratura «meridionalista», ovvero quella letteratura che esamina la situazione dell’Italia del Sud, i problemi legati alla arretratezza economica e sociale delle regioni prima appartenenti al regno delle Due Sicilie rispetto alle altre regioni d’Italia. Questi problemi sono stati al centro dell’attenzione di molti scrittori italiani progressisti e, in particolare, del più eminente marxista italiano Antonio Gramsci, fondatore e guida del partito comunista italiano. Negli ultimi anni la questione ha di nuovo suscitato un grande interesse, e non soltanto in Italia. Interesse alimentato dall’insorgere nel sud del paese della lotta di grandi masse contadine, lotta che si è riflessa in molti libri e film di artisti progressisti dell’Italia di oggi, per esempio nell’importante libro di Carlo Levi Cristo si è fermato a Eboli. Si deve, però, avvertire i lettori che le tesi che sono alla base dei giudizi del principe Tomasi di Lampedusa a proposito degli avvenimenti storici che rappresentano lo sfondo del suo romanzo si distinguono dalle tesi espresse dalla letteratura e dai film progressisti. Mentre gli artisti progressisti mirano innanzitutto a sottolineare la novità rappresentata dal protagonismo delle masse italiane, contrapponendo questa novità alla inerzia delle vecchie classi dirigenti, l’autore del Gattopardo afferma che l’inerzia non è solo delle vecchie classi dirigenti ma che tutta la Sicilia «è addormentata». Ecco perché, secondo l’opinione dell’autore , in Sicilia tutto era e resterà immutato. Anche la spedizione di Garibaldi che, sembrava, avrebbe dovuto rivoluzionare i tratti tradizionali della società siciliana, alla fine non ha trasformato nulla in modo profondo. La Sicilia, anche prima di Garibaldi, aveva visto lo sbarco dei greci e dei romani, dei bizantini e degli arabi,dei normanni e degli eserciti della dinastia angioina, degli svevi, degli spagnoli, eppure rimase sempre l’immutabile Sicilia. Perché oggi le cose dovrebbero andare diversamente? Perché il futuro della Sicilia dovrebbe dispiegarsi in un altro modo?

Noi ipotizziamo che non sia difficile capire le origini di questa tesi del principe Tomasi di Lampedusa. In essa si riflette l’amaro pessimismo di uno degli ultimi rappresentanti della classe feudale che percepisce la propria inutilità nell’attuale società borghese, il pessimismo di una classe che sente l’avvicinarsi di radicali mutamenti storici. Questa classe addolcisce la propria catastrofe con la «mancanza di forza» della storia e coltiva la speranza assurda che la storia produca solo cambiamenti superficiali mentre la sostanza delle cose e delle persone rimane sempre la stessa.

È importante però notare che il principe Tomasi di Lampedusa non crede fino in fondo alla sua tesi. Inoltre, egli riconosce che eaa altro non è che un mezzo di autodifesa e talvolta arriva a ironizzare su questa sua assurda tesi. Ma è ancora poco. Ancora più importante è la circostanza che il principe Tomasi di Lampedusa è riuscito a incarnare la sua visione del mondo nella figura del personaggio principale del romanzo - il principe di Salina - in modo chiaro e potente. L’autore è riuscito a creare una figura di non comune plasticità espressiva, una figura complicata e contraddittoria, dotata di un caldo amore per la vita, per la natura, per la sua splendida città, Palermo, ma anche di una profonda e umana nostalgia suscitata dalla sensazione della irrilevanza della propria esistenza che lo porta alla ribellione contro questa sua «infinitesimale piccolezza», contro questo suo proprio sfacelo e ad aspirare alla pace e tranquillità nella fusione fisica con la natura, che egli persegue studiando il movimento delle stelle e la profondità del cosmo (il principe di Salina è rappresentato nel romanzo come un astronomo abbastanza conosciuto). Il principe di Salina emette verso se stesso e verso la sua classe un verdetto che suona tanto più severo - poiché esso è pronunciato dall’interno - di quanto non potremmo fare noi, rappresentanti di un’altra classe, di un’altra visione del mondo.

Si deve sottolineare che la figura del principe di Salina, personaggio principale del romanzo, è di una grande poeticità e questo rende il libro particolarmente rilevante e spiega lo straordinario apprezzamento di lettori di tutto il mondo. Nella letteratura contemporanea non si incontrano molti personaggi di tale forza e espressività. Bisogna rivolgersi ai classici del Diciannovesimo secolo oppure ad alcuni, molto pochi, scrittori del nostro tempo per incontrare un personaggio così sfaccettato e riuscito.

Ancora, vorremmo soffermarci sulla concezione della storia espressa nel romanzo. Nella nostra opinione, sul piano storico, il romanzo non è molto riuscito. Noi non possiamo condividere l’opinione , espressa da alcuni critici progressisti, in Italia e all’estero, secondo cui Tomasi di Lampedusa è riuscito a rappresentare gli avvenimenti del 1860 in Sicilia con maggiore veridicità di quanto non sia stato fatto dalla storiografia liberal-borghese tradizionale. Non vi è alcun dubbio che il principe Tomasi di Lampedusa si avvicina, nella valutazione degli avvenimenti del 1860, a quella data dalla storiografia marxista e, in primo luogo, da Antonio Gramsci. Al tempo stesso, secondo una valutazione scientificamente valida, nel 1860 , in Sicilia furono soffocati alcuni dei movimenti più democratici del Risorgimento italiano. Questo fu il frutto dell’alleanza, alle spalle di Garibaldi, fra la monarchia piemontese, rappresentante degli interessi della grande borghesia, con le vecchie classi dirigenti siciliane. Questa alleanza non solo impedì che il movimento risorgimentale si incardinasse su principi democratici ma pose le basi dello Stato conservatore e reazionario dell’Italia unita, ed è all’origine della cosiddetta «questione meridionale» ovvero ha creato i presupposti per la conservazione di un regime di sfruttamento semi-coloniale e di oppressione nell’Italia meridionale e in Sicilia da parte del capitalismo italiano. Come abbiamo già detto non vi è dubbio che, in alcuni casi, Tomasi di Lampedusa si avvicina a questa concezione della storia. Ma questa vicinanza ha tuttavia degli aspetti meccanicisti. Egli non vuole e non può vedere tutte quelle diverse forme di lotta, l’insorgenza di idee e passioni che segnano questo processo storico. Nel romanzo di Tomasi di Lampedusa il popolo rappresenta un oggetto passivo della storia e i rappresentanti del movimento democratico sono raffigurati come persone animate da buone intenzioni ma piuttosto ingenue e inconcludenti. Tancredi, il nipote del principe di Salina, un briccone ma, tutto sommato, anche un buon diavolo, alla fine è l’unico vincente e, nel raffronto, persino la figura di Garibaldi, senza avere nulla di pittoresco, risulta per certi tratti infantile.

È difficile condividere la scelta dell’autore, alla fine dei conti, di simpatia verso Tancredi, il quale riesce a trarre vantaggio per sé dagli eventi storici presi così come vengono, piuttosto che verso questo Garibaldi «ingannato dalla storia». In verità, tutta questa parte del libro appare priva di quella ricchezza e complessità di motivi che determina la grandezza della figura dell’eroe principale.

Però la creazione di un personaggio così significativo come quella del principe di Salina consente di perdonare molto. Se Tomasi di Lampedusa non ci ha lasciato un grande epico affresco degli avvenimenti del 1860, ha però creato una straordinaria figura nella quale sono pienamente riflessi il sentimento di angoscia per l’approssimarsi di un crollo ineluttabile e la coscienza della propria fine da parte della classe dominante della vecchia Europa capitalista. E questo è più che sufficiente per raccomandare la lettura di questo libro al lettore sovietico.

Vorremmo molto che in Unione Sovietica, come è stato in Italia e negli altri paesi, il Gattopardo fosse accolto con interesse, al di là di quegli elementi di polemica che sempre accompagnano i libri veramente importanti.



1) Nella traduzione russa "Leopardo"



Traduzione dal russo

di Jolanda Bufalini



Pubblicato il: 03.03.08
Modificato il: 03.03.08 alle ore 9.08   
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