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Autore Discussione: Mastella nei guai, non lo vuole più nessuno  (Letto 2141 volte)
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« inserito:: Marzo 03, 2008, 09:13:57 am »

POLITICA

Mastella nei guai, non lo vuole più nessuno

E così che Clemente e perse il suo potentato

 FILIPPO CECCARELLI


Chi troppo vuole, nulla stringe. C'è una morale irresistibile nella fabula politica di Clemente Mastella, e fin troppi proverbi la certificano con impietosa e variegata efficacia.

Tanto va la gatta al lardo, che ci lascia lo zampino; tanto va la secchia al pozzo, che ci lascia il manico; chi troppo intraprende, poco finisce; chi ti adula ti tradisce; chi troppo in alto sale, cade sovente: precipitevolissimevolmente. Di quest'ultimo adagio esiste una versione orecchiabile dalle parti di Ceppaloni: cchiù 'ncoppa se saglie, cchiù butto se piglia, là dove "ò butto" sarebbe il botto, il rumore di un corpo che precipita al suolo. Politicamente, s'intende.

Ecco, appare chiaro che in questa delicata fase politica, appunto, il mastellismo ha fatto il botto. La riprova è che Mastella, come leader, marito, cognato, suocero, padre e padrone dell'Udeur, non lo vuole più nessuno. Non lo vuole Berlusconi, non lo vuole Casini, non lo vuole nemmeno il tenutario dello scudo crociato, Pino Pizza, il che è tutto dire. Per cui tornando ai proverbi, che per un personaggio ruspante come lui dovrebbero essere pane quotidiano, si può azzardare che Clemente non soltanto è rimasto solo, ma pure male accompagnato. Quanto alla riconoscenza del Cavaliere, che nemmeno s'è degnato di rispondere al telefono alla signora Sandra, e di tanti amici imprenditori e giornalisti e beneficiati vari, beh, anche qui: chi fa del bene agli ingrati, Dio l'ha per male. E gli dei del potere anche peggio.

Sia risparmiato qui l'ingrato compito di ricostruire, nome per nome, regione per regione, campanile per campanile, il precipitevolissimo crollo - e non ancora concluso - del piccolo, ma compatto potentato mastelliano. L'emorragia campana, i rivolgimenti sanniti, fin dentro il natio borgo ceppalonico, quindi la rotta del Molise, i disastri calabri, l'insurrezione pugliese, i tradimenti lucani. Ovvio: la lealtà in politica è parola sconosciuta. Ma a integrazione del clima da fuggifuggi vigente nell'Udeur, basti far presente che molti se ne sono andati per mero e prevedibile opportunismo, mentre diversi altri nemmeno l'hanno potuto fare perché agli arresti, alcuni - vedi l'Espresso dell'altra settimana - anche con capi d'accusa niente affatto rassicuranti.
Più istruttivo che delineare lo scoppio dell'Udeur a livello locale può essere osservarlo nel cuore e nella testa del suo fondatore. Che è sempre passato per essere - e lo era, senz'altro, finora - un politico abile e addirittura intelligente: solo che a un certo punto Mastella si è come messo nei guai da sé denunciando una drammatica perdita di lucidità. Perché è chiaro che il potere si conquista e si perde, e il suo caso non fa eccezioni. Ma ciò che lo rende a suo modo interessante e ne fa un esempio di questo tempo sta proprio nella dinamica e nei dispositivi che l'hanno reso possibile.

In estrema sintesi, e con la preghiera di perdonare le inevitabili forzature: alla prova dei fatti, il partito personale e famigliare ad alta attrattiva mediatica ha dentro di sé i suoi terribili antidoti e si chiama addosso i suoi risoluti contrappassi. Detta altrimenti: Mastella sembra essersi fregato con le mani sue. E continua a farlo.

Si prenda una delle sue ultime, confuse e insieme rabbiose dichiarazioni: "In merito a una mia eventuale candidatura, se ci sarà, con chi sarà, o se non ci sarà, questo dipenderà soltanto da me". Solo io. Me. O al massimo noi, famiglia, clan. L'ipotesi è che questo estremismo personalizzato, questo orizzonte esclusivo e iper reclamizzato abbia accecato e perso il mastellismo. Perché l'amore coniugale e la famiglia sono cose bellissime, ma non perché portano voti o per la ragione che piacciono moltissimo alle gerarchie ecclesiastiche, cui oltretutto piace assai di vederle sui rotocalchi o in tv, fra sorrisi, smancerie, visite a Padre Pio, preparazione di piatti tipici e matrimoni faraonici.

E poi: Mastella è certamente un uomo affabile, spontaneo e brillante, ma tale attitudine non sempre si combina con la volontà di presentarsi come un "personaggio" della politica che agli occhi, più che alle orecchie del pubblico si caratterizza per battute pazzesche, confessioni intime e torte in faccia. Nel corso degli anni, in effetti, egli si è offerto con entusiasmo a qualsiasi folklorizzazione televisiva: "E sa perché? - ha spiegato Mastella tanti anni fa - Per non far dire in giro: ma quello è morto, non si vede più, politicamente". Resta da chiedersi se a lungo andare questa sovraesposizione funzionale alla sopravvivenza non si sia risolta nel suo contrario, trasformandolo in un ex potente, campione d'impresentabilità elettorale.

Di tanto in tanto il potere presenta il conto all'intrattenimento. Ieri Mastella tuonava come il profeta Geremia contro l'"abisso della moralità" e nessuno, ragionevolmente, poteva prenderlo troppo sul serio. Ma siccome in quell'eterna campagna elettorale che è la vita pubblica italiana tutto è sempre molto complicato, e non di rado gli estremi si toccano, ecco, era difficile scacciare dalla testa il dubbio che fosse tutta una commedia. E che lui, Clemente il grande da Ceppaloni, avesse a suo tempo fatto firmare a Berlusconi un qualche impegno, un qualche contratto, una qualche carta notarile d'imminente divulgazione. E allora sai i brividi e l'allegria, a dispetto della saggezza dei popoli che comunque si condensa nei proverbi: ride bene, chi ride ultimo.

(3 marzo 2008)

da repubblica.it
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