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Autore Discussione: Capitali in fuga dai paradisi europei  (Letto 2872 volte)
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« inserito:: Marzo 02, 2008, 11:19:08 am »

Capitali in fuga dai paradisi europei

I.B.
 
Sulle liste del Liechtenstein in azione la procura romana


Svuotare casseforti, chiudere alla svelta conti, cifrati e non, smantellare fondazioni-fantasma, stiftung e family trust ed emigrare dai paradisi fiscali europei per trasferire patrimoni in lidi più sicuri, in Asia o Medio Oriente, e sfuggire ai controlli del Fisco e della Guardia di Finanza di tutti gli Stati membri dell'Ue, dell'Ocse e persino per non cadere nelle maglie dell'Fbi. Per i capitali accumulati clandestinamente oltralpe dagli italiani, la sede più gettonata adesso è Singapore, segue Dubai.

Il fuggi-fuggi dai paradisi fiscali europei è un fenomeno che ha preso consistenza con l'arrivo dell'euroritenuta ma è il caso Liechtenstein che lo sta rafforzando e rilanciando. L'esperimento dell'euroritenuta non ha funzionato come la Commissione avrebbe voluto e l'allarme tra chi non intende pagare le tasse è sembrato rientrare: per l'anno fiscale 2006 il ricavo lordo generato dalla ritenuta di imposta sui redditi di interessi dei contribuenti dell'UE in Svizzera è ammontato a 536,7 milioni di franchi. Una cifra deludente per i sostenitori dell'euroritenuta, se è vero che solo i conti cifrati degli italiani nel paradiso elvetico si contano in centinaia di migliaia.

L'euroritenuta tuttavia è un soffio di vento rispetto al tornado scatenato dal caso Liechtenstein. Secondo fonti bancarie di Vaduz bene informate, l'indagine degli "007" tedeschi sarebbe scattata inizialmente nel 2002 su richiesta dell'FBI e presumibilmente sulla scia dei controlli effettuati dagli agenti americani in tutti i paradisi fiscali del mondo per bloccare i fondi al terrorismo dopo l'attacco alle Torri Gemelle. La prima stretta sul Liechtenstein da parte della Germania è stata un fiasco ma gli agenti tedeschi sono tornati alla carica fino a che non hanno acquistato la famosa lista dei 1.400 clienti della Lgt Treuhand.

Chi non ha utilizzato lo scudo fiscale, nella prima e nella seconda versione, segue adesso con grande preoccupazione il caso Vaduz perché sono saliti i toni della lotta contro l'evasione fiscale in Europa. Innanzitutto, il Forum fiscale dell'Ocse sta funzionando: questo accordo di scambio di informazioni tra gli Stati aderenti (che dovrebbero essere una trentina) è tale da far sì che un evasore sia perseguito non soltanto dal Fisco del suo Paese di residenza ma da quello di tutti i Paesi aderenti al Forum. Questo sistema aumenta in maniera esponenziale i rischi di chi ha esportato capitali in maniera clandestina. In aggiunta, il messaggio esplicito di Germania e Regno Unito e implicito degli altri Stati dell'Ue è che c'è la volontà - e fondi cospicui - per acquistare liste di nomi dagli informatori: si è aperto un vero e proprio mercato. L'Europa resta un'ottima piazza per la pianificazione fiscale, per sfruttare con ogni mezzo legittimo la concorrenza fiscale tra Stati europei: ma per evadere le tasse i paradisi più blindati appaiono ora altrove.

da ilsole24ore.com

 
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« Risposta #1 inserito:: Marzo 03, 2008, 11:06:39 am »

3/3/2008 (7:10) - TASSE, I FURBI NEL MIRINO

Vaduz, la pista del riciclaggio
 
I primi nomi dell'inchiesta sul Liechtenstein: piccoli e medi imprenditori del Nord

FRANCESCO GRIGNETTI


ROMA
Imprenditori piccoli e medi, residenza e attività al Nord, nessun nome di grido. E conto corrente in Liechtenstein. Il primissimo screening della lista degli evasori ha portato a questo risultato. Imprevisto. Una piccola folla di industrialotti che negli ultimi anni hanno portato i soldi lontano dagli occhi del fisco. E però c’è un dato che ha impressionato gli inquirenti: nessuno tra quelli finora identificati (resta comunque da capire chi si nasconde dietro le fondazioni con nomi di fantasia) tra il 2001 e il 2003 ha utilizzato lo scudo fiscale di Tremonti. Non hanno pagato alcuna multa. Non hanno fatto emergere i patrimoni. Non si sono autodenunciati nonostante l’enorme convenienza. E allora ecco l’interrogativo che intriga i magistrati di Roma e quelli della Procura nazionale antimafia che anch’essi si stanno affacciando su questa inchiesta: perché quest’impennata di trasferimenti in Liechtenstein da sette-otto anni? Che cosa nascondono questi conti? Possibile che avessero tanta paura della tassa di successione che il governo Berlusconi stava cancellando? La risposta più ovvia dell’investigatore è anche quella più inquietante: «Sono soldi che assolutamente non dovevano venir fuori. Potrebbe esserci di tutto: riciclaggio, narcotraffico, fondi neri».

Riciclaggio. Ecco il vero obiettivo verso cui tendono le indagini. I reati di omessa dichiarazione o dichiarazione infedele - gli unici finora formulati e contro ignoti - sono soltanto la punta dell’iceberg. O meglio, segnali di qualcosa di più preoccupante che potrebbe nascondersi nei forzieri del Liechtenstein. D’altra parte sono anni che le forze di polizia si rompono la testa per capire come sia possibile che spariscano nel nulla i formidabili guadagni che le cosche di Campania, Calabria e Sicilia mietono con la droga oppure con la distrazione dei fondi pubblici. Ogni tanto viene effettuato qualche sequestro eclatante. Ma è ancora poco rispetto alle cifre in ballo.

Non è sfuggito agli investigatori italiani un primo risultato dei colleghi spagnoli, i quali sono all’opera sullo stesso filone e che alcuni giorni fa era ben raccontato in un articolo del Paìs: in mezzo a centocinquanta, quattro società sono riconducibili a cittadini colombiani in contatto con i cartelli della droga. Ecco dunque tracciata una via del riciclaggio: soldi «guadagnati» con lo spaccio per le vie delle città spagnole finivano nelle casse di anonime società locali, da lì trasferiti nelle fondazioni di Vaduz, quindi un passaggio ulteriore in qualche altro paradiso fiscale, e infine lo sbocco finale in Colombia. I trafficanti confidavano sulle leggi del Liechtenstein per mascherare i nomi dei beneficiari, ma sono rimasti fregati dall’ormai stranota operazione dei servizi segreti tedeschi. La speranza degli italiani è di fare qualche scoperta analoga.

La procura, nelle persone del procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani e del sostituto Mario Dovinola, insomma, è in fase di attesa. Cruciale però sarà l’appoggio delle autorità del Liechtenstein o meno. Se anche la Germania ha dato una fotografia dei conti correnti segreti, a poco servono senza i dati del traffico bancario. Occhi puntati, allora, sulla riunione dei ministri europei dell’Economia tra oggi e domani. Il «caso Liechtenstein» è sul tavolo, spinto innanzitutto dai tedeschi. La questione principale è di un’eventuale modifica alla direttiva Ue sulla tassazione dei risparmi del 2005. La direttiva prevede uno scambio di informazioni tra gli Stati sui risparmi dei «non residenti», ma poi le norme non si applicano a quei Paesi che praticano rigidamente il segreto bancario (dentro la Ue sono il Belgio, il Lussemburgo e l’Austria; fuori, Liechtenstein, Svizzera, San Marino, Monaco e Andorra). Tra i problemi da affrontare anche il fatto che la direttiva si riferisce solo ai risparmi delle persone fisiche, e non ai dividendi delle società per azioni o alle fondazioni.

In Italia non si placano, intanto, le polemiche. L’ex presidente Francesco Cossiga ironizza sulla sorte della lista: «Ne leggeremo presto il contenuto in qualche importante quotidiano». E se finora buona parte del mondo politico chiedeva che gli elenchi venissero resi pubblici, ieri il senatore Goffredo Bettini, braccio destro di Veltroni, ha auspicato l’opposto: «La gestirei - ha detto a Lucia Annunziata nella trasmissione In mezz’ora - con il massimo riserbo soprattutto in campagna elettorale per non avvelenare l’atmosfera».

da lastampa.it
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