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Autore Discussione: CONCHITA SANNINO.  (Letto 21022 volte)
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« inserito:: Febbraio 24, 2008, 09:45:10 am »

Grillo processa la politica

 Lo showman oggi in piazza Dante per la manifestazione "Il giorno del rifiuto"

di Conchita Sannino


 «Ma viva i Borbone, a questo punto. Hanno fatto anche del bene».

Grillo, lei non ha dubbi: meglio Carlo III del ceto dirigente di Napoli 2008?
«Ma non c´è nessun paragone. Questa è la peggiore classe dirigente dai tempi della pre-unità d´Italia. E io verrò a Napoli davvero per questo. Soprattutto per chiedere umilmente scusa. Non è Beppe Grillo, è un italiano a dirvi: scusate. Mi vergogno un po´ anche io. Scusate, gente della Campania. Anche se non basta. Fossi napoletano non mi basterebbe. Farei della Campania un territorio indipendente, come il Kosovo. Ma non parlatemi di elezioni, le prossime politiche in Italia sono una presa per i fondelli. Io a votare mica ci vado».

Beppe Grillo sarà oggi in piazza Dante per il "giorno del rifiuto", ovvero Munnezza Day. Inizio ufficiale a mezzogiorno, con la partecipazione di padre Alex Zanotelli, il missionario comboniano impegnato da sempre nelle battaglie a favore di uno sviluppo sostenibile, contro lo strapotere delle multinazionali sull´erogazione dei servizi essenziali. Un evento no-stop, tra riflessioni e libri, ma anche spettacolo e musica d´autore. Durerà fino a notte. A metà pomeriggio è previsto l´intervento del comico genovese: avverrà dinanzi a migliaia di persone e nella stessa piazza che già vide, durante la Notte bianca di tre anni fa, un Grillo scatenato (e in parte censurato) contro Bassolino e la Iervolino. Che, a quel tempo, si preparavano ad un progetto di privatizzazione della gestione idrica, disegno poi solo formalmente cancellato di fronte all´onda della proteste. Accanto al leader del dissenso («Ma io non sono il leader di un bel niente», sbotta divertito lui), e al popolo della rete "gli amici di Beppe Grillo" intervengono artisti del calibro di Franca Rame, Edoardo Bennato, Enzo Gragnaniello, Capone & Bungt Bangt, Povia.
 
Grillo, il dramma della Campania si spiega solo con l´incapacità manifesta della politica?
«No. È che la politica è corrotta, o non c´è più. Soppiantata, tenuta al laccio, sotto ricatto da parte dell´economia, della finanza. Quello che dirò oggi in piazza Dante parte dai rifiuti ma si estende al rapporto perverso tra economia e politica».

Oltre alle responsabilità acquisite di un ceto dirigente, non crede che nel business dei 14 anni di emergenza abbiano pesato anche il ruolo delle organizzazioni criminali e l´ostruzionismo di tanti cittadini perbene, esempio di una clamorosa assenza di senso civico?
«La camorra non va tirata in ballo sempre. Questa crisi è voluta e orchestrata dalle banche, dai pezzi grossi della finanza, la situazione di crisi mediatica non fa per i clan. Invece sui cittadini il problema esiste. Non sanno neanche che cos´è un rifiuto, come si fa la differenziata, non sanno di essersi ridotti a fare i produttori di immondizia a beneficio dei colossi delle imprese. E la colpa di chi è?».

Dei media, chiaro.
«La colpa è vostra, dell´informazione, del sistema dei media. I cittadini sono tenuti in coma farmacologico. Questo è un problema gravissimo. Spesso assumono posizioni sbagliate perché nessuno ha raccontato loro una verità nascosta dietro una decisione politica. Sa qual è la frase più ricorrente in tutti i miei spettacoli, da anni? È questa: "Non è possibile"».

Ma c´è la Rete, di cui lei stesso incarna la grande forza, popolare ma trasversale.
«Infatti grazie alla Rete, negli ultimi anni, tanti hanno cominciato a capire che cosa c´era dietro le ordinanze firmate da un politico, dietro un orientamento di giunta o di consiglio: quali calcoli, quali interessi si tutelano e si foraggiano».

Le elezioni sono alle porte. Da Napoli a Roma muta la qualità della classe dirigente?
«Non scherziamo. Queste elezioni sono illegali. Proprio da ridere, se non fosse così grave».

Illegittime: perché?
«Prima ci hanno tolto la preferenza al candidato. Ora ci tolgono anche i simboli dei vecchi partiti. Si fanno due formazioni, nuove. Non si sa che roba è, il programma è unico in realtà, se lo sono scopiazzati a vicenda».

Grillo anche lei, dopo la sortita di Fiorello, spinge verso l´astensionismo?
Ride. «Ma no, nessun consiglio, il voto è segreto. Solo che nel mio segreto, io a votare non ci vado».

(23 febbraio 2008)Ultim'ora

da napoli.repubblica.it
 
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« Risposta #1 inserito:: Novembre 26, 2008, 04:05:29 pm »

I due scrittori invitati dall'Accademia di Svezia

Rushdie-Saviano a casa Nobel

La rabbia, la solitudine, la furia cieca: è possibile combattere con le parole?

di CONCHITA SANNINO

 
STOCCOLMA - "La parola fa paura solo quando supera la linea d'ombra". Applaudono tutti, qualcuno è commosso. Sono quasi le otto di sera, in una Stoccolma candida e gelida, quando Roberto Saviano parla alla Reale Accademia di Svezia. Sorride e infine stringe la mano e abbraccia Salman Rushdie, "compagno di fatwa", come lo chiama dietro le quinte, per allentare la tensione prima dei loro discorsi paralleli.

Due scrittori lontani e diversi, eppure accomunati dalle conseguenze delle loro parole. Entrambi invitati, pur non essendo premiati, a parlare di un tema che torna ad appassionare lettori e comunità internazionale. Quello che è andato in scena ieri, a pochi passi dalla città antica e dagli allori di cui è disseminata la sede dell'Accademia, è un appuntamento che sembrava impensabile fino a poco fa. Un'analoga iniziativa di sostegno in favore degli scrittori minacciati dai totalitarismi fu infatti respinta dai "padri" del Nobel nel 1989, quando lo scrittore anglo-indiano Rushdie venne condannato dalla fatwa islamista. Una bocciatura che spinse alcuni giurati a voltare le spalle all'Accademia. Proprio una di quelle voci più coraggiose ed "eretiche", l'autrice Kerstin Ekman, si è levata di nuovo, invitando l'istituzione a mostrare pubblico sostegno sul tema della letteratura e della testimonianza di impegno civile. Ma erano seguite le iniziali riluttanze del segretario permanente dell'Accademia, Horace Engdahl, secondo cui l'Accademia non poteva occuparsi dei seguiti "giudiziari", di risvolti prevalentemente "politici" di pur valorosi libri, ritenuti in fondo problemi privati di alcuni scrittori.

Ce n'era abbastanza perché dalle colonne dell'Expressen la signora Ekman tuonasse contro Engdahl: "Ma questo è un problema anche nostro, anche tuo". Una mobilitazione su cui aveva pesato anche l'appello lanciato su Repubblica da numerosi Nobel: dal turco Orhan Pamuk al tedesco Günter Grass a Dario Fo, e con l'aggiunta di Mikhail Gorbaciov.

Qualche mese dopo, l'Accademia reale di Svezia spediva il suo invito non solo a Roberto Saviano, ma anche a Rushdie, per ripagare un torto vecchio di vent'anni, ma non per questo meno sedimentato. Ed è stato proprio Horace Engdahl, ieri sera, a presentare i due scrittori con un'introduzione molto lusinghiera, che ha sottolineato il valore letterario e civile della parola di Saviano e di Rushdie.


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ROBERTO SAVIANO
Quei poteri che temono la letteratura

È davvero emozionante essere qui stasera. Quando mi è giunto l'invito dell'Accademia di Svezia, ho pensato che questa era la vera protezione alle mie parole. È una domanda complessa quella che ci interroga stasera: perché una letteratura mette in crisi potenti organizzazioni criminali, che fatturano 100 miliardi di euro l'anno, che massacrano innocenti. Io penso che una delle risposte sia: perché la letteratura ha il potere di svelare i meccanismi, di rappresentare questi crimini non in maniera tipizzata o stereotipata, come molte volte ha fatto anche il cinema - penso alla ferocia glamour de Il padrino di Scarface. Ma li svela parlando al cuore, allo stomaco e alla testa dei lettori.

Ma c'è una differenza tra quanto accade qui in Occidente e quanto accade nei regimi totalitari rispetto alla stessa parola che appare "scomoda" o pericolosa. Nei regimi oppressivi qualunque parola, o verso contrario a ciò che quel dettame impone, diventa condizione sufficiente per essere messo all'indice. Non è così in Occidente. Dove tu scrittore, o artista puoi fare, dire e pensare ciò che vuoi. A patto però di non superare la linea dell'indifferenza o del moderato ascolto. Quando invece buchi la soglia del rullo compressore, quando superi la soglia dell'ascolto e vai in alto, o in profondità, a quel punto e solo allora diventi un bersaglio. Qualcuno ha detto che dopo Primo Levi, e dopo Se questo è un uomo, nessuno può più dire di non esser stato ad Auschwitz. Non di non esserne venuto a conoscenza, ma di non esserci stato. Ecco ciò che i poteri temono della letteratura, quello criminale e gli altri poteri. Che i lettori sentano quel problema come il loro problema, quelle dinamiche come le loro dinamiche.

Quando i carabinieri ti dicono che la tua vita cambierà per sempre, oppure quando un pentito svela in quale data, a suo parere, cesserai di vivere, la prima sensazione, la prima domanda che ti fai è: che cosa ho fatto?

Inizi a odiare le parole che hai scritto, e pensi che siano le tue parole ad averti tolto la libertà di camminare, di parlare, di vivere.

Penso a una giornalista come la Politkovskaja, che ha dato una dimensione universale alla tragedia cecena, non era più solo un problema locale. Penso a uno scrittore come Salamov che ha raccontato l'inferno dei gulag, e con esso l'intera e universale condizione dell'uomo. Dopo quella letteratura, il mondo si sente rappresentato nella sua dimensione più profonda, e quindi non può prescindere più da quella parola. Allora non c'è più Russia o Cecenia o Mosca o Napoli. La mafia può condannarti, ma quello che ti ferisce sono le accuse della società civile, Dicono che stai speculando sul successo, che hai fatto tutto per visibilità. E che stai rovinando il paese. Sono ferito da quest'ultima affermazione. Perché penso che raccontare sia resistere. E stare vicino alla parte sana del Paese, a quella parte che non si arrende, che combatte le organizzazione criminale che hanno in mano grandi fette dell'economia, non solo nazionale. Qualcuno dice anche che sono ossessionato dal sangue, dalle ingiustizie. Ma chi ha dentro un'idea di bellezza e di giustizia, non può non sentire questa esigenza. Penso a quello che diceva Albert Camus: "Esiste la bellezza ed esiste l'inferno. Vorrei rimanere fedele ad entrambi".


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SALMAN RUSHDIE
C'è anche chi dice: "Te la sei cercata"

Sono nel posto più geograficamente vicino al cuore della letteratura. Ed è molto importante che qui stasera si discuta della libertà della parola e del terrore che la minaccia. Un terrore vasto e diffuso, che non conosce confini. Talvolta, neanche confini di stupidità, di bizzarria.

Con Saviano ci siamo già incontrati una volta a New York. Abbiamo conversato a lungo e ho potuto rendermi conto di quanto la sua situazione fosse anche peggiore di quella che avevo vissuto io all'epoca, circa venti anni fa. Ricordo che non poteva muovere un passo senza avere almeno tre o quattro persone intorno. Quell'immagine rappresentava per me qualcosa di molto vicino e increscioso, purtroppo.

Il terrore minaccia, in questi anni, tutte le espressioni che hanno a che vedere con la manifestazione di un pensiero libero, che sia fuori dal coro, magari fuori dagli incasellamenti del politically correct. Non sono gli Stati a imporre il rispetto, ma anche le Chiese del mondo in passato hanno sempre teso a mettere dei punti fermi. Purtroppo non ci sono frontiere che tengano, per il terrore. Ma dobbiamo dare il minor potere, il minore spazio possibile a questo nemico.
In questo più vasto scenario, esistono singoli casi di scrittori che diventano bersagli di paura, di minacce.

Ma c'è un modo più subdolo di delegittimare e colpire chi ha scritto parole che danno fastidio: è la delegittimazione della tua genuinità. Ci sono quelli che pensano e dicono che non è stato tutto un caso, che te lo sei cercato, che stai facendo tutto quello che fai, o che hai scritto quello che hai scritto, per un vantaggio personale. E non vedono il prezzo che paghi: anche economicamente, per proteggerti. Dal momento in cui fui raggiunto dalla condanna, questa è la ferita più profonda che mi è rimasta: perché mirava alla mia credibilità, all'integrità morale.

Qui ci stiamo chiedendo se gli scrittori hanno diritto a sconvolgere la vita delle persone, con le loro storie. Ma dal primo momento in cui noi veniamo al mondo, chiediamo storie. Non soltanto le grandi storie, ma anche piccoli fatti, o favole, o leggende, o racconti personali o corali. Anche storie imbarazzanti...

Anzi, a pensarci bene, tante storie interessanti sono imbarazzanti. Perché le storie sono le artefici della nostra crescita: sono quelle che ci aiutano a capire chi siamo, chi vogliamo essere davvero, in quale relazione ci poniamo con il mondo. È la stessa ritualità per eccellenza che distingue le storie delle singole famiglie e poi di una comunità.

Che cosa è, in fondo, la religione, da un certo punto di vista, se non la madre di tutte le storie? Ma questo fa paura a quelli che pensano, dentro di loro, che tu non devi raccontare quello che vuoi. Tu racconti quello che ti dico io, dice la mafia. E la libertà di raccontare la storia che uno ha in testa fa di uno scrittore uno scrittore libero e di un Paese un paese libero.
Saviano racconta storie vere, ma fa i nomi e i cognomi. E questo lo costringe a vivere sotto scorta da tempo. Che poi Saviano sia anche un bel ragazzo, dispiace due volte.

Di solito la gente non pensa alle conseguenze. Che sono drammatiche e anche buffe. A parte che vivere con quattro uomini sotto lo stesso tetto genera spesso dubbi, domande. Io ricordo una volta a Parigi: per prendere un caffè, circondato da uomini di scorta, divenni il centro di un andirivieni, una curiosità infinita. Volevo sprofondare.

Tutti a chiedere: chi è, cos'è, che cosa succede? E chi dall'esterno vede il lato della vanità dello scrittore non sa che in quel momento egli vorrebbe solo dire: facciamola finita, portatemi via. Voglio entrare in un cinema.

(26 novembre 2008)
da repubblica.it
« Ultima modifica: Giugno 29, 2009, 06:41:24 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #2 inserito:: Maggio 09, 2009, 10:43:15 am »

Pasquale Cerullo: tutto il personale della villa sapeva dell'arrivo del presidente

Una ricostruzione dei fatti che non coincide con il racconto ufficiale di Berlusconi

Il fotografo e la visita del premier "La sicurezza arrivò di mattina"

dal nostro inviato CONCHITA SANNINO

 

CASORIA - "La partecipazione del premier alla festa? Forse era una sorpresa per la festeggiata, ma per noi dello staff di Villa Santa Chiara non lo era affatto.
Alcuni lo sapevano, secondo me, anche dal giorno prima. E poi nella mattina della domenica sono venuti gli uomini della scorta del presidente a fare una visita al locale per motivi di sicurezza, credo che si chiami la "bonifica". Anche le donne dell'impresa di pulizia lo sapevano. Alle 19 del pomeriggio, quando io ho messo piede nel locale, proprio loro mi raccontavano scherzosamente che sin dalle prime ore del mattino avevano dovuto lavorare più a fondo, più sodo, per "colpa" del presidente Berlusconi".

Pasquale Cerullo è il giovane fotografo che, la sera dell'ormai celebre party per i diciotto anni di Noemi, ha vissuto non da invitato, ma da osservatore professionale e distaccato le varie fasi del ricevimento. E tra le pieghe della sua testimonianza, brilla una contraddizione: il premier spiega di aver fatto la sua apparizione alla festa grazie solo a quel temporale su Milano che gli regala un'ora di tempo, e dopo una telefonata di papà Letizia che gli mormora "festeggio Noemi", ma già dalla domenica mattina la scorta del presidente compie la sua rituale verifica dei luoghi. Forse dipende dall'unico contatto telefonico che il premier ha avuto con il padre di Noemi al mattino? E come mai una rappresentanza degli organi di sicurezza di Palazzo Chigi si sposta fin nelle pieghe dell'hinterland napoletano, a Casoria, per visitare un luogo dove il presidente non sarebbe andato?

Solo un dettaglio. È il frammento laterale, il racconto diretto di un ospite. Ma offre una tessera non perfettamente compatibile con il mosaico-spiegazione finora resa dal presidente del Consiglio a "Porta a porta". "Repubblica" gira la questione ai responsabili della sicurezza. Fonti del Dipartimento di pubblica sicurezza modificano la cronologia dei ricordi del giovane fotografo. Riferiscono infatti che la notizia del cambio di programma con l'arrivo del presidente del Consiglio a Napoli, viene trasmessa a Napoli intorno alle 15.

Alcune ore dopo, tra le diciotto e le diciannove - secondo le stesse fonti - scattano le misure di bonifica del luogo che sarà visitato da Berlusconi. Con personale del commissariato locale, della Digos e della sicurezza di Palazzo Chigi. Le stesse fonti fonti aggiungono che effettivamente il premier, una volta atterrato a Capodichino, è rimasto fermo per circa un'ora.

Torniamo al nostro fotografo. Cerullo racconta a "Repubblica", con la semplicità del giovane addetto ai lavori, l'eccitazione dei domestici e cuochi, l'orgoglio e la comprensibile eccitazione di chi gestisce il locale, e poi in serata, nel clou della festa, anche la palpabile commozione della bella Noemi, l'emozione di sua madre, il fatto che entrambe pubblicamente continuassero a chiamarlo papi.

"Ricordo che tutto è successo dopo l'arrivo di Noemi. Ecco che lei fa il suo bell'ingresso con il velo ricamato sul capo, e dopo neanche cinque minuti arriva lui. Applausi, sorrisi. Io all'inizio scattavo, scattavo, ma la sicurezza del presidente mi guardava un po' irritata. Ma io andavo dal direttore del locale, perché solo da lui prendo disposizioni, e quello mi diceva "Tu scatta", e io continuavo".

Eccolo, il clima che segnò quella domenica nel locale di Casoria. "Comunque erano tutti molto divertiti, e c'era familiarità tra il premier e quella famiglia. Soprattutto con madre e figlia. All'inizio sono stato più tempo proprio addosso a loro, perciò mi sono fatto questa idea". Pasquale Cerullo, occhi chiari, viso di ragazzino, lo dice con chiarezza: "A me non importa perché è venuto il presidente, anzi ero stupito allora e resto stupito oggi" , si limita a raccontare. Fino a pochi giorni fa, prestava il suo servizio professionale a Villa Santa Chiara, per sei o sette giorni a settimana. Anche quella domenica sera, Pasquale Cerullo arriva con la sua digitale dell'immagine. Alle 19, trova ancora gli ultimi dipendenti impegnati negli ultimi ritocchi.

"Ho visto quando sono arrivati i genitori di Noemi, emozionati e un po' tesi. C'erano soprattutto giovani, una settantina di persone. I genitori della ragazza? La madre la ricordo particolarmente perché prima che arrivasse il premier diceva continuamente a tanti "Mi raccomando, ora che arriva monsieur le President", sì, con il vezzo del francese, e dopo lo chiamava dinanzi a lui e alla figlia, solo papi. Noi dipendenti ne abbiamo sorriso un po'.

"Noemi, vieni, la foto con papi, Noemi vieni papi sta facendo il brindisi". Il padre della ragazza? Molto compreso del ruolo". E quanto tempo è rimasto il premier? "Io ho visto che è rimasto per tutto il tempo della cena, seduto al tavolo con la famiglia di Noemi. Sì, dall'inizio alla fine della cena, io me lo ricordo anche al momento del dolce".

(9 maggio 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #3 inserito:: Maggio 12, 2009, 10:45:22 pm »

Il figlio dell'ex leader e i dirigenti socialisti sostengono di non aver mai conosciuto il padre di Noemi

De Michelis: "Non so come e perché questo signore sia diventato del Psi"

"Letizia non frequentava il Raphael Ora basta tirare in ballo Craxi"

di CONCHITA SANNINO

 

NAPOLI - "Non capisco perché si voglia continuare a tirare il nome di Bettino Craxi in questa storia". Bobo Craxi ammette di essere "infastidito". "Non ci tengo a conoscere i dettagli e non mi importa risolvere l'enigma, trovo questa vicenda un po' allucinante. Mi secca però che si mettano in giro notizie inesatte". Aggiunge: "Leggo che c'è un ex assessore napoletano del Psi, Arcangelo Martino, che ricorda di aver presentato il signor Letizia, il padre di questa signorina Noemi, a Berlusconi e a mio padre. Ora, io escludo categoricamente che il signor Letizia fosse un habitué dell'hotel Raphael. Lo stesso ex assessore Martino erroneamente si definisce ex segretario regionale, perché non ha mai ricoperto questo ruolo a Napoli, come potranno confermare tutti gli ex dirigenti del partito campano. Lui stesso, Martino, credo che sì e no sia passato qualche volta a salutare mio padre al Raphael".

Non hanno "mai neanche sentito nominare Letizia" né l'ex ministro Gianni De Michelis, né l'ex vicepresidente del Psi Giulio Di Donato, e nemmeno l'ex "cardinale" del Psi, Gennaro Acquaviva. Né, infine, un socialista napoletano di spicco ed ex segretario regionale del Psi come Stefano Caldoro, uno che nei primissimi anni Novanta al Raphael vi alloggiava tutte le volte che gli impegni politici lo chiamavano a Roma. Per la seconda volta il figlio del leader socialista, insieme con la vecchia guardia dei socialisti, è costretto a intervenire su un caso che "non mi piace". Così com'era avvenuto il 29 aprile scorso, quando Bobo Craxi dovette smentire che il padre di Noemi Letizia fosse stato autista di Craxi.

Quindici giorni dopo, il caso Noemi continua a riservare sorprese. Ieri è l'ex assessore all'Annona del Comune di Napoli, Arcangelo Martino, a riferire al Corriere della Sera: " "Fra l'87 e il '93 sono stato grande amico di Craxi. Tutti i mercoledì andavo a trovarlo all'hotel Raphael. Parecchie volte è capitato che lì con Craxi ci fosse Berlusconi, ed è lì che ho presentato i due". Bobo Craxi concede su questo punto un'alzata di spalle. "Io so di Martino solo che ha cominciato come sindacalista in un ospedale di Napoli".

Giulio Di Donato mostra la stessa incredulità. "A questo punto, sarei senza parole. Si rischia di andare nel ridicolo, non so. A parte che ognuno si presenta un giorno e dice: "Ah sì, io mi ricordo come sono diventati amici, quei due". Ecco, fatemi dire solo che questo signore Letizia, nel panorama napoletano e campano dei socialisti, a tutta mia memoria, non esisteva. Non è mai esistito fino a quindici giorni fa". Su quest'ultima certezza concorda anche Gianni De Michelis, in una battuta al telefono dall'Arabia Saudita. "Su quando e come è nato questo signor Letizia socialista mi sono interrogato anche io. E non ne ho idea".

Anche Acquaviva alza le mani: "Mai sentito nominare, neanche dai napoletani". S'interroga sulla precisione dei ricordi di Martino anche Caldoro. "Proprio nei primi Novanta, abitavo al Raphael tutte le volte che mi fermavo a Roma. Si scherzava sulla intraprendenza di Martino, che noi chiamavamo "scugnizzo", ma escludo categoricamente di aver mai visto e sentito che questo Letizia venisse presentato a Craxi. Perché mai l'avrebbero dovuto presentare? Non era un dirigente, non era un esponente del sociale, non era un militante attivamente impegnato. Altrimenti, me lo sarei ricordato".

(11 maggio 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #4 inserito:: Maggio 14, 2009, 11:59:37 pm »

Noemi nel paese delle meraviglie

di Claudio Pappaianni


Gli studi. La danza. I ritocchi estetici. L'autista. Il fidanzato spuntato dal nulla. Stile da star per la pupilla di Berlusconi. E gli amici raccontano: a Capodanno era alla festa del premier in Sardegna  Noemi LetiziaOra aspetta la chiamata per un reality show. Si sente pronta. Ma ogni giorno vissuto da Noemi Letizia, la diciottenne prediletta del presidente del Consiglio, è già una puntata del "Grande Fratello" in salsa berlusconiana che si sta girando all'ombra del Vesuvio. Un programma che sta facendo vendere come il pane i settimanali di gossip e i più seri quotidiani politici. Con gli italiani impazziti per i protagonisti, tutti a recitare compiti la loro parte sul set naturale che va da via Libertà a Portici a Secondigliano, fino ad Arcore e Villa Certosa. Tutti famosi all'improvviso: i genitori Anna e Benedetto detto Elio, il fidanzato spuntato dal nulla, i nonni e i vicini di casa, gli amici e gli amici degli amici. Tutti hanno il loro copione da seguire, non sono più ammesse sbavature, troppi errori sono stati commessi nelle prime ore del gioco. Chi non se la sente viene eliminato: molti attori della prima ora da qualche giorno non rispondono più al telefono, evitano contatti su Internet, escono il meno possibile per non dover rispondere alle domande scomode sulle verità nascoste.

Perché Berlusconi, Silvio, papi, comunque lo si chiami, resta per ora solo "l'amico di famiglia ". Il mistero è gelosamente custodito. Noemi, intanto, va per la sua strada, e vive la vita di tutti i giorni tra la scuola di grafica, la danza e gli appuntamenti. Sempre accompagnata da Roberto, un ragazzo moro con capello zebrato che la va a prendere in Mercedes. L'autista, dicono. Domenico Cozzolino, il suo fidanzato, invece, non si era mai appalesato fino alle foto del weekend a Rimini. Nessuno lo conosceva, neppure le confidenti più strette di Noemi che tuttora non lo annoverano neanche tra i contatti di Facebook, il social network termometro delle amicizie tra i teenager.

Pochi di loro, di sicuro, sanno che Noemi è proprietaria di quattro immobili: tre case (una a Portici, un'altra a via dell'Ortigaria e una terza a Calata Capodichino) e di un negozio a Corso Secondigliano. Prima era dei nonni paterni, che per decenni hanno gestito una libreria.

Nel 2002 il passaggio di proprietà a favore di Noemi appena undicenne, e la decisione di affittare il locale: oggi la ditta titolare vende scarpe e accessori. Dietro un bancone Noemi non si è mai immaginata. L'attrazione fatale per le luci della ribalta l'ha travolta fin da piccola. Ragazza fine, garbata e riservata, come racconta il preside della sua scuola, nasconde ambizioni sfrenate per il mondo dello spettacolo. Come molte sue coetanee. Passa da minorenne per le mani di un chirurgo plastico e dichiara di volerci tornare per rifarsi il seno. Vuole una terza, abbondante, perché "ora ho solo una seconda scarsa". A 16 anni entra in un'agenzia per modelle e si fa il book (il presunto fidanzato ammette che le foto sono ritoccate, e che la Noemi reale è meno sexy di quella delle foto), e inizia a lavorare. Qualche sfilata, una particina in una fiction, qualche concorso di bellezza, un programma in una tv locale. Balla e canta, intanto studia con profitto. È una delle prime della classe.

Dopo il blitz di Berlusconi alla festa dei suoi 18 anni le offerte arrivano da tutte le parti: i registi sanno che con lei nel cast la pubblicità al film è assicurata.

Nel Noemi's Word l'aspetto fisico è decisivo: al settimanale del Cavaliere, "Chi", prima sottolinea di rispettare da sempre il valore della verginità, poi spiega di amare lo shopping, lisciarsi i capelli biondi, curarsi le unghie. I partiti? Le piace il centrodestra, naturalmente. "Gomorra" di Roberto Saviano? Bocciato: ha fatto a pezzi l'immagine di Napoli. Nel futuro immediato forse un calendario, tra qualche anno la politica.


Anche il ragazzo non è certo uno che passa inosservato. Alto, bella presenza, Cozzolino è un ex figurante Mediaset, avendo partecipato come corteggiatore a "Uomini e Donne". Il rapporto con Noemi, secondo quanto lui stesso ha raccontato, va avanti da tempo. Pure lui conosce il Cavaliere: "Me l'hanno presentato due anni fa. La sera della festa ha preferito che nelle foto in cui compare ci fossi sempre anch'io". Peccato che nei ritratti del fotografo ufficiale spedite a "Chi" non compaia mai. Solo dopo qualche giorno i due fidanzati sono stati prima immortalati a Rimini, poi visti mano nella mano a Portici, dove Noemi lo ha presentato ad alcune amiche per la prima volta e allo staff del suo parrucchiere, Lorenzo.

Ecco, per conoscere davvero i segreti di una vita da Noemi bisogna fare un salto dal suo coiffeur. "Viene qui minimo una, due volte a settimana", raccontano nel negozio. A volte anche di più, se c'è qualche appuntamento che conta. "Una ragazza semplice, solare, che ama la vita", aggiungono, "è tanto buona che ora si preoccupa del fatto che la sua storia abbia oscurato eventi più importanti, come il terremoto in Abruzzo". La festa dei 18 anni? "Ha organizzato tutto lei", e ti mostrano l'invito che Noemi ha disegnato, con la sua foto, i cuoricini e una farfalla. "Quella domenica abbiamo aperto apposta per lei e sua mamma", spiega Lorenzo, il titolare, "erano molto emozionate". La presenza di Berlusconi? "Diciamo che non erano certe al 100 per cento", ammette una sua collaboratrice. E per il book fotografico? "È passata sempre prima da qui". E quando è andata a trovare Berlusconi? Sorrisi imbarazzati. E per il Capodanno in Sardegna? "Sì, anche quella volta".

Già. Marianna, una dipendente cordiale e grande estimatrice della nuova diva nazionale, conferma una voce ricorrente. Noemi l'ultimo Capodanno l'ha passato con "papi". "Per me Silvio è un secondo papà: mi telefona e lo raggiungo", aveva detto urbi et orbi facendo uscire Veronica Lario fuori dei gangheri. Deve essere andata così anche quando il Cavaliere ha organizzato la festa dell'ultimo dell'anno a Villa Certosa. Una festa a cui hanno partecipato il fratello e la sorella, Piersilvio e la Toffanin, nessun ministro e un po' di amici. Lo scorso 31 dicembre l'aereo privato del premier ha fatto la spola tra la Sardegna e il continente per accompagnare i suoi ospiti.

Alla festa, racconta Marianna, c'era anche Noemi. Ad accompagnarla solo una sua amica, compagna di studi e nel tempo libero. "Che io sappia è andata solo a ballare, a fare intrattenimento ", dice. Di più non si riesce a sapere. Di sicuro, quasi tutti gli intervistati sostengono che l'amicizia dei Letizia con il premier è molto più recente di quanto provano a sostenere altri attori della fiction. Il nonno, sentito da "L'espresso", spiega che "mio figlio Elio lo conosce da due-tre anni massimo", e pure le amiche dell'aspirante attrice negano: "Non credere che con Berlusconi si conoscano da molto".

Di certo nove mesi fa Noemi conosce Emilio Fede, stando alle parole di un fotografo napoletano al quale la giovane si era rivolta per un servizio fotografico: "Mi disse che le avrebbe dovuto inviare a Milano per un provino da "meteorina" ", racconta Gaetano Livigni, che oggi reclama i diritti per alcuni di quegli scatti finiti sui giornali. Noemi dice a Livigni di avere già in tasca un biglietto aereo prepagato per Milano. "Venne accompagnata dalla mamma e dal papà, un'amica e un giovanotto bruno", aggiunge il fotografo. "Mi colpì la sua richiesta di una foto del posteriore, perché a me quelle pose non piacciono: le trovo volgari". Ma Noemi voleva bruciare le tappe, diventare meteorina a 18 anni e, magari, arrivare in Parlamento qualche anno più tardi. Un'aspirazione, quella politica, dichiarata candidamente nelle prime ore. Le credenziali c'erano tutte. Ma di mezzo ci si è messa Veronica. Almeno per ora.

(14 maggio 2009)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #5 inserito:: Maggio 15, 2009, 12:30:36 pm »

Gaetano Livigni: "Nel 2008 mi disse di avere già il biglietto aereo in tasca"

"Si fece fotografare di schiena, dicendo che servivano immagini di quel tipo"

Noemi, parla il fotografo autore del book "Doveva fare la meteorina di Fede"


di CONCHITA SANNINO


NAPOLI - Progettava di diventare "una meteorina". Il suo sogno Mediaset era a portata di mano, qualcuno le aveva anche pagato il biglietto aereo per sostenere quel provino di valletta per il Tg 4. Questo, almeno, è ciò che raccontò Noemi Letizia, dinanzi a sua madre Anna e a due testimoni, nello studio fotografico in cui prenotò il proprio book di moda, mentre si offriva a quegli scatti che avrebbero fatto il giro delle copertine del mondo. Così, da ieri c'è un'altra domanda sul "caso Noemi": perché una studentessa di 17 anni, figlia di un messo comunale, immersa nel recinto angusto dello spettacolo locale, esibiva la certezza di un provino da "velina" nel Tg 4?

Era il 5 novembre 2008 quando la signorina che chiama "papi" il presidente del Consiglio confidò al fotografo Gaetano Livigni: "Mi raccomando. Con queste foto devo andare a Milano. Ho un provino fissato per fare la meteorina di Emilio Fede".

Lo studio è al quarto piano di corso Garibaldi. Piccolo, ben strutturato. Ecco il divano bordeaux su cui Noemi si adagiò con l'abito nero. Livigni racconta che non riuscì a trattenere il suo scetticismo. "Attenta, le dissi, non farti mai illusioni quando ti promettono ingaggi". Ma lei lo stoppò, mentre la madre ne sorrideva: ""Fanno sul serio, non è una presa in giro - rispose Noemi - Mi hanno già pagato il biglietto aereo per Milano"".

La circostanza rimase impressa nella memoria di Livigni e della sua assistente Teresa (entrambi noti a Napoli: hanno curato l'immagine e i book di prestigiosi attori ed artisti) anche per un altro motivo. Poco dopo, durante gli scatti, prosegue il racconto di Livigni, "la signorina Noemi mi chiese espressamente di riprenderla di schiena, e in bikini, in una posa che io non prediligo mai per le mie clienti, soprattutto quando mi viene chiesto per il book di un'aspirante indossatrice. Così mi permisi di osservare: "Ti sconsiglio questa posa, è un po' volgare, va bene quella sexy che chiedi, distesa sul divano". Ma lei mi oppose un ottimo motivo: "Mi hanno chiesto di farne anche alcune di schiena. Servono anche così"". Si tratta di dettagli che Livigni aveva tenuto coperti dalla privacy. Ma solo fino a quando, spiega, "non ho capito che la famiglia ha assunto comportamenti poco chiari".

"Repubblica" gira questa conversazione ai genitori di Noemi, ma da parte loro c'è silenzio assoluto. Scusi Livigni, e se le dicessero che lei si è inventato tutto, che non la conoscono? "Ho qui le cento foto in alta definizione che ritraggono la signorina anche con sua madre e con una sua amica che la accompagnò". In effetti, in uno degli scatti mai usciti, c'è Noemi in piedi sulla scrivania in cristallo del fotografo. Sotto i piedi, e alle spalle di Noemi, ecco lo stesso pavimento, e soprattutto la stessa parete coperta di cornici davanti alla quale il fotografo ha appena dato la sua testimonianza.

(15 maggio 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #6 inserito:: Giugno 29, 2009, 06:40:19 pm »

Francesca Pascale: con Silvio ho giocato a calcio a Villa Certosa

Emanuela Romano nega di esserci stata. Suo padre minacciò di darsi fuoco

Le tre fan del premier bisticciano sulla foto

"Io non ci sono". "No, a Olbia c'eri pure tu"

"Andammo in Sardegna qualche settimana dopo che lo incontrammo in un hotel ai Parioli"


di CONCHITA SANNINO

 BARI - Prima erano solo Virna, Emanuela e Francesca. Quando partivano per Villa Certosa, nel 2006, portavano in dono a Berlusconi "un barattolino con l'aria di Napoli, gadget che gli piacque molto". Ora qualcuna non ricorda più.

"Io sono stata a Villa Certosa, è vero. Ma mi pare che non vi ho dormito. Forse quella stessa sera l'aereo privato ci riaccompagnò a Napoli. Ma non c'è niente di male, no?", mormora la prima, l'esuberante Virna Bello. "Io non c'ero. Non conosco lo scalo di Olbia, forse era Vicenza", nega la seconda, Emanuela Romano, che arriva a non riconoscersi nella foto, insieme con le (ex) amiche. Mentre la terza ragazza ritratta nel servizio de L'espresso, l'imprevedibile Francesca Pascale, lo rivendica. "Ma scherziamo? Come faccio a dimenticare, come fa Emanuela a dire che non c'era? Siamo state ovunque, noi tre, a Olbia, a Vicenza, ovunque al seguito del presidente, anche quando non era premier".

Francesca parla, con entusiasmo, quasi per tutte e tre. "Noi siamo quelle che si inventarono il comitato "Silvio ci manchi" e la cosa colpì molto Berlusconi. Io lo conobbi proprio con Emanuela e con Virna: ci dissero che lui avrebbe volentieri incontrato i giovani attivisti del partito e andammo tutte e tre all'hotel Duke, ai Parioli. Ad ottobre ci presentammo, e appena qualche settimana dopo partimmo per Villa Certosa - prosegue Francesca - La prima volta nella sua residenza di Porto Cervo è stata bellissima. Io dico che non c'è niente di cui vergognarsi, era una convention politica. Ricordo tutto molto bene. Chiamavo a casa per dire "Sapeste che cos'è questa villa!". Ho ancora in mente la visita al parco, i dettagli. E poi i miei palleggi con il presidente. Sì, con il pallone. Io sono malata di calcio, tifosa del Napoli, e mi calmo solo così. Per il resto ho un carattere vulcanico e possessivo. Berlusconi stesso scherzando dice che, per il mio carattere, sono una fascista".

da repubblica.it
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« Risposta #7 inserito:: Luglio 28, 2009, 06:55:22 pm »

In una telefonata Tarantini parla di Fulvio Martusciello, consigliere campano del Pdl e commenta la "geniale" idea del comitato di fan partenopeo

Quelle fan di "Silvio ci manchi" alla corte napoletana del Cavaliere


di CONCHITA SANNINO

 

ROMA - Esiste un "Tarantini" napoletano che si è fatto ombra nelle trasferte vesuviane del presidente del Consiglio? Affiora, a questo punto del caso Berlusconi, un "Giampi" partenopeo nella schiera di future meteorine o aspiranti parlamentari che coronavano le visite del premier in Campania - durante il disastro rifiuti - anche nel periodo della sua frequentazione con l'allora minorenne di Portici? Una delle conversazioni intercettate dagli inquirenti di Bari proietta un'ulteriore liaison tra la Napoli di Noemi, Francesca, Emanuela, e la Bari di Patrizia, Terry, Barbara.
È un dettaglio, non penalmente rilevante, dell'inchiesta barese. Ma una telefonata autorizza quella domanda. È quella in cui Giampaolo Tarantini, "fornitore" di escort per Palazzo Grazioli e Villa Certosa, dice di aver conosciuto il consigliere regionale Fulvio Martusciello e commenta la "geniale" idea del napoletano che ha fondato, nel 2006, il comitato "Silvio ci manchi", associazione di estroverse simpatizzanti che oggi risultano inserite nei ranghi delle istituzioni, o sfiorate dall'elezione a Strasburgo.

Un'illazione che Martusciello respinge con composta indignazione. "Assurdo. Nella mia vita ho fatto la politica tra la gente, il porta a porta per i voti, ho preso anche 15mila caffè in una campagna elettorale, ma mai il ruffiano". Aggiunge: "Non so chi sia Tarantini. Anche se ho stretto tante mani, pensavo di essere in gara per le europee".

Un'ascesa bloccata dai successi, la parabola di Martusciello. Ex funzionario della Banca d'Italia, Fulvio (fratello di Antonio, ex viceministro ai Beni culturali) nel 2005 è ancora il consigliere regionale più votato d'Italia, 34.700 preferenze: un picco, nella tornata in cui il partito perde a Napoli nove punti, che gli costa la perdita della leadership, livore, una lotta con i coordinatori di oggi, Nicola Cosentino e Luigi Cesaro, rispettivamente sottosegretario all'Economia e neopresidente della Provincia di Napoli, peraltro coinvolti dalle indagini del pool casalesi della Procura antimafia.

Il nome di Martusciello ricorre anche nella ricostruzione posticcia che il Cavaliere rende a "Porta a Porta" sulla sua "imprevista" partecipazione alla festa di Noemi ("Elio mi telefonò per le candidature di Martusciello e Malvano") . Poi il nome di Fulvio sfuma dalle liste: e si aggiunge la beffa del presunto appoggio di Elio, amico di Papi e signor nessuno del Pdl. Martusciello gira con una battuta: "Ne apprendo con letizia". Segretamente sembra che sposi la definizione che, di quella sortita da Vespa, darà Giuliano Ferrara: "Una serie di balle pazzesche", (Radio 24, il 25 maggio).

Ma ora c'è chi si interroga sulla natura del "Silvio ci manchi". "Il comitato lo inventai, poi lo gestirono le ragazze. A Berlusconi piacque l'idea, era il 2006, si candidò al consiglio di Napoli. Prese 13 mila voti, ma perdemmo al primo turno. C'erano tanti giovani però". I fatti testimoniano che solo le ragazze, dopo un invito a Villa Certosa, hanno ottenuto di più. Storie simbolo: Francesca Pascale, nota anche per le sue intemperanze dinanzi al Cavaliere ("Ma sono possessiva nella vita e in politica, il presidente lo sa", confidò una volta), è neoconsigliere provinciale e già rivendica una delega ad personam per i grandi eventi. Virna Bello è amministratore a Torre del Greco, estroversa, si presenta come "assessore braciolona".

La defenestrazione di Emanuela Romano dalla competizione europea, ad aprile, spinse suo padre fin sotto Palazzo Grazioli con la camicia impregnata di benzina e un fiammifero in mano. Premiata invece di recente un'altra amica del premier, habituée alle cene politiche all'hotel Vesuvio. Antonia Ruggiero è stata nominata assessore della Provincia di Avellino, dopo una telefonata del Cavaliere all'esitante presidente Cosimo Sibilia. Martusciello alza le mani. "In politica, ciascuno si fa il suo destino. Io da due legislature sono consigliere regionale, e mi diverto anche così".

(27 luglio 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #8 inserito:: Marzo 18, 2010, 10:16:59 am »

Lo scrittore: il sottosegretario campano ha il potere di far saltare l'equilibrio che sinora ha consentito di ripulire le città dai rifiuti

"Un'arma puntata alla tempia del governo" il j'accuse di Saviano contro Cosentino

di CONCHITA SANNINO


NAPOLI - "La vicenda dei rifiuti è stato un grande affare. Per la destra e per la sinistra. E se un politico come Cosentino, indagato per i rapporti con i casalesi, gode di un tale ascolto a Roma è perché ha un'arma puntata alla tempia del governo: l'immondizia. Se vuole, può di nuovo riempire la regione di rifiuti".

Roberto Saviano parla del "suo" Mezzogiorno alla vigilia dello snodo elettorale, dei rifiuti che tornano sulle strade, delle collusioni della classe politica, delle liste compilate tradendo il codice etico. Ma anche delle "gigantesche responsabilità" del centrosinistra in Campania. Sono passati quattro anni dall'exploit di Gomorra. Saviano è un trentenne che riserva alla sua terra un'analisi durissima. E dolente. "L'unica speranza è che la diaspora dei laureati, che partono in maggior numero dalla Campania e dalla Sicilia, termini. Che i giovani tornino per unirsi alla parte sana del territorio". Uno sguardo senza veli. "La speranza del Rinascimento è ripiegata in Medioevo".

Saviano, partiamo da una contraddizione. Il governo rivendica la soluzione strutturale dell'emergenza, poi arriva un'inchiesta a raccontare che quello del termovalorizzatore di Santa Maria La Fossa era un progetto in mano al clan dei casalesi, che coinvolgeva il sottosegretario campano, Nicola Cosentino, indagato per concorso in associazione mafiosa.
"Tutta la vicenda Cosentino è interna all'emergenza rifiuti. Infatti l'emergenza ha portato valanghe di denaro in Campania, i consorzi sono diventati strumenti di prebende, di gestione economica e occupazione del territorio. I clan e la politica si incontravano nei consorzi. Ci si chiede come mai un politico con queste pesanti accuse sia così tanto ascoltato da un primo ministro. Un politico che per tutti sarebbe pesante da tenere vicino. Ma la lettura che io faccio della vicenda è molto chiara. Nicola Cosentino ha un'arma che punta alla tempia del governo: i rifiuti. Cosentino ha il potere di far saltare l'equilibrio che ha permesso al governo di eliminare i rifiuti dalla Campania".

Il leader campano del Pdl eserciterebbe un tale potere di ricatto?
"Un politico come lui, nonostante debba risolvere questo problema, ed è giusto che lo risolva, perché ha tanto ascolto? La mia lettura è che potrebbe, in meno di 48 ore, far tornare la Campania nella crisi. Permettere un'altra volta alle strade di essere foderate di spazzatura. E questo, come immagine, sarebbe lo sgambetto che l'opposizione attende al governo Berlusconi".

Ci fu uno scandalo anche all'ente Provincia di Caserta, per il cui rinnovo si vota a fine marzo. L'ex giunta, governata dal Pd, aveva affidato lavori per grossi importi alla ditta riconducibile allo stragista dei casalesi, il killer Giuseppe Setola.
"Certo. Questo avviene in una regione dove la vicenda rifiuti, sia chiaro, è stato il grande affare di destra e sinistra, addirittura il grande affare che ha permesso la costruzione di una classe di imprenditori. E addirittura, io direi, di una classe di governo. La sinistra, che in questa regione governa da ben più di un decennio, ha avuto responsabilità gigantesche. Quella storia di Caserta è particolarmente grave. La ditta della famiglia Setola fece un salto di qualità con i lavori ottenuti dalla Provincia".

Vigilia delle regionali. Il codice etico è applicato ai candidati?
"No, la questione morale non si pone proprio, si usa solo quando può diventare un argomento che fa appeal. In Campania, come in Calabria e in Sicilia, senza l'appoggio delle organizzazioni, non si può vincere. Certo, ci sono stati politici che ce l'hanno fatta senza il sostegno dei clan, ma hanno avuto bisogno di uno slancio, di una società civile più attiva".

Allo snodo del 2010, nutre speranze per il sud?
"Il Rinascimento di memoria bassoliniana oggi si è compiuto in un Medioevo. Da campano e napoletano non ho alcuna fiducia nella classe dirigente campana. Spero possa esserci un azzeramento".

Non è disfattista, un inno alla mancanza di impegno?
"Forse sì. Ma mi sentirei falso a dire altro. L'unica speranza che ripongo è nel talento delle persone. L'unica speranza è immaginare che la diaspora dei laureati cessi, che loro tornino a unirsi alla parte sana del territorio".
Roberto Saviano sorride amaro. "A volte, per darmi una speranza penso: tutti sono caduti, cadranno pure loro".

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« Risposta #9 inserito:: Marzo 19, 2010, 06:45:29 pm »

Le cosche puntano a crearsi aministratori ad hoc

La Procura di Napoli ha acquisito gli elenchi dei candidati

Sud e liste "inquinate" le mafie si preparano al voto

L'obiettivo sono gli affari gestiti dalle Regioni in particolare gli appalti di ospedali e le Asl

di GIULIANO FOSCHINI e CONCHITA SANNINO


ROMA - A Napoli i magistrati della Procura antimafia hanno già acquisito le liste con tutti i candidati al consiglio regionale della Campania. E hanno cominciato a studiarle. Anche la commissione parlamentare Antimafia, dopo che il presidente Beppe Pisanu ha imposto ai partiti di sottoscrivere un codice etico, si è mossa: e in attesa che le prefetture comunichino ufficialmente le candidature non in regola con quel codice, ha raccolto un centinaio tra informative e segnalazioni di candidati considerati "a rischio". Le elezioni 2010 in quattro regioni del Sud possono essere condizionate (inquinate o controllate) dalla criminalità organizzata. Che oggi non si limita a fornire pacchetti di voti ai partiti ma scende in campo con candidati propri, politici-affaristi che poi saranno a tempo pieno al servizio delle cosche. È il modello Di Girolamo che può ripetersi all'infinito. L'obiettivo è mettere le mani su parte dei 169 miliardi all'anno gestiti dalle Regioni. Soprattutto appalti di ospedali e Asl, convenzioni esterne e consulenze della sanità, fondi per la formazione. Ma dove vogliono arrivare i clan della camorra e della 'ndrangheta? Di quanti voti dispongono? Quanti e quali candidati stanno mettendo in pista?


Un seggio in vendita
Il "tariffario" per il seggio non è omogeneo. Le istruttorie e le sentenze giudiziarie più recenti raccontano che ci sono angoli del Paese in cui l'elezione in Regione può costare la contenuta cifra di 15 mila euro, come per le 'ndrine calabresi. E ci sono metropoli dagli intrecci malavitosi, come Napoli, dove la stessa carica si acquista con 60 mila euro, oltre alla promessa di lavori pubblici e forniture per i clan. Poi ci sono padrini che non hanno bisogno né di compravendite né di appalti: sono i livelli decisionali del potere criminale che, dalla Sicilia alla Lombardia, puntano a legarsi direttamente con la finanza e le grandi imprese. Accade nel Paese dei 30 mila affiliati organici alle cosche e dei centomila galoppini del voto inquinato. Dove, solo negli ultimi tre anni, le forze di polizia hanno denunciato per associazione mafiosa oltre 7 mila persone. Spiega il procuratore antimafia di Napoli, Giandomenico Lepore: "Il controllo sulle liste è uno screening di rito. Non siamo un ufficio elettorale, dobbiamo solo verificare se siano commessi reati di compravendita del voto". Ma intanto il 10% dei candidati "segnalati" all'Antimafia ha già alle spalle una condanna, o un rinvio a giudizio, o un'indagine per voto di scambio con i clan.


Le mani della camorra
Il caso più clamoroso è a Napoli. Roberto Conte, 43 anni, espulso dai Verdi e dal Pd, torna in una lista che sostiene il candidato presidente del Pdl, Stefano Caldoro. L'ex consigliere regionale è stato condannato in primo grado, otto mesi fa, per concorso esterno in associazione mafiosa, con l'accusa di avere "acquistato" dalla camorra la sua elezione alle regionali del 2000. Ora ha scelto la lista Alleanza di popolo. Conte è anche l'unico degli impresentabili per il quale un padrino pentito, Giuseppe Misso, abbia confermato la costituzione del patto politico-mafioso. Ma qual è la sua storia? Per tre volte, racconta la sentenza, Roberto Conte incontrò il boss Misso. Il padrino lo riceveva nel centro storico di Napoli. Secondo il giudice, a fine corsa, il neo-eletto Conte tornò in quell'appartamento blindato a ringraziare il boss. Lo stesso Misso, due anni fa, ha rivelato le ragioni di quell'accordo: "Ho incontrato il candidato Conte almeno in tre circostanze, sempre a casa mia (...). Quando parlo di un mio proposito di guadagnare molto da questo rapporto, mi riferisco ai discorsi che avvenivano frequentemente tra me e il Conte, al fatto che la sua elezione avrebbe permesso al gruppo Misso di aprire un ciclo delle vacche grasse, gare dei lavori pubblici, forniture di servizi a enti pubblici". Il boss del quartiere Sanità aggiunge: "Avevo iniziato a sostenere molte spese per mandare in giro i galoppini. Così un giorno Sasà Mirante (un affiliato, ndr) ricevette direttamente dalle mani di Conte una somma di 120 milioni, ovviamente tutta in contanti, poi portata a me, a casa mia". Dalla storia di Conte ha preso le distanze, ufficialmente, persino un supergarantista come Nicola Cosentino, il coordinatore campano del Pdl per il quale il Gip di Napoli ha chiesto l'arresto per concorso in associazione mafiosa. I sospetti ovviamente toccano anche le elezioni comunali e provinciali. A Caserta, per esempio, per la Provincia l'Udc mette in lista Luigi Cassandra che, in campagna elettorale, riceve una diffida dei carabinieri a non frequentare più personaggi in odore di camorra. Il partito lo invita a ritirarsi. Ma lui rifiuta, e annuncia addirittura un ricorso.
 

Pacchetti di controllo
Un business che cambia modalità, quello del traffico di voti. Ma non al punto da non lasciar tracce, come spiega Franco Padrut, storico segretario della Camera del Lavoro a Palermo, uno dei maggiori esperti italiani di flussi elettorali. "Sono rimaste intatte negli anni alcune caratteristiche del controllo del voto, come l'espressione della preferenza, meglio se multipla. Un esempio lampante arriva proprio dal ciclo delle elezioni regionali 2005-2008 dove, al Sud, è stato registrato un tasso di preferenze molto più alto rispetto alla media nazionale: l'89,6% in Basilicata, l'86 in Sicilia, il 78 in Puglia e Abruzzo, il 76 in Campania mentre la media italiana è del 51". Ma qual è l'incidenza del consenso mafioso nella formazione della rappresentanza? Si calcolava un volume di 4 milioni di voti, fino a qualche lustro fa. Aggiunge Padrut: "L'incidenza oggi è meno vistosa, ma profonda. Il condizionamento la criminalità organizzata tende a esercitarlo su altri livelli: il controllo della spesa pubblica, gli apparati amministrativi. E con l'entrata in vigore del Porcellum il condizionamento delle mafie si è spostato sulla compilazione delle liste più ancora che sul voto". Ancora una volta il Sud è il banco di prova di questo nuovo modello di infiltrazione nello Stato. Dice Antonio Laudati, ex pm a Napoli e oggi procuratore capo di Bari: "Le mafie non scelgono "il" partito. Lavorano sul multitasking, condizionano da una parte all'altra e oggi più che il controllo del territorio seguono il denaro e la capacità d'acquisirlo. Puntano a inquinare le decisioni su questioni economiche o finanziarie". Per i magistrati campani Paolo Mancuso e Giovanni Melillo "oggi la camorra ha minori capacità strategiche, ma ha rinsaldato i legami con gli affari, e la politica appare subordinata. Il codice di autoregolamentazione per la selezione dei candidati, approvato all'inizio degli anni Novanta dalla commissione parlamentare antimafia, è rimasto lettera morta".


Mafia-politica Spa
In Puglia corre Mario Cito, tarantino, numero uno della lista civica che sostiene il candidato presidente del Pdl Rocco Palese a Taranto, figlio di quel Giancarlo condannato fino in Cassazione per associazione mafiosa. Lui, il figlio, non ha accuse a carico. Anzi, una sì: quella di aver messo sui suoi manifesti elettorali la foto di papà invece della propria. In Basilicata tra i candidati al consiglio regionale rispunta l'uscente Luigi Scaglione, capolista per la lista Popolari uniti che appoggia il candidato presidente di centrosinistra, Vito De Filippo. Scaglione è indagato della procura di Potenza per concorso esterno in associazione mafiosa: è accusato di essere stato alla Regione l'uomo di riferimento del clan camorristico guidato dal boss Antonio Cossidente, ora in cella. Non era una questione di amicizia. Ma di affari. Quali affari? Con quali meccanismi viene cementato il patto tra politici e mafiosi? Scaglione, sostiene la Procura, "avrebbe offerto il personale contributo politico e il sostegno del suo partito per la realizzazione del nuovo stadio sportivo di Potenza che l'organizzazione criminale voleva costruire". In cambio "avrebbe ottenuto l'appoggio elettorale dagli associati in occasione delle elezioni politiche del 2008", dove era candidato un amico di Scaglione. Alla base dell'indagine ci sono centinaia di pagine di intercettazioni telefoniche che testimoniano i rapporti esistenti tra il candidato Scaglione e il boss Cossidente.

È il 29 ottobre del 2007, per esempio, quando nello studio di un professionista di Potenza i due si incontrano. "Ti ho chiesto - dice il boss al politico - uno sforzo, perché noi siamo propensi ad aprire, a intavolare una trattativa. Tu che cose vorresti (...) garantisci tu per le persone". "L'unica condizione - gli risponde Scaglione - è creare un'opportunità di investimento per il quale qualcuno si senta coinvolto (...) Troviamo per esempio una forma di investimento... Una società costituita apposta che sia propensa a costruire un nuovo stadio". Effettivamente la società la fonderanno: la Immobiliare Gemelli Sr, gestita da un prestanome. Ma Scaglione sembra pensare a tutto: "Io posso creare le condizioni per presentare un progetto finale, dove riusciamo a ottenere finanziamenti dall'esterno. (...) Però poi qualcosa la devi mettere tu nero su bianco, cioè i rapporti sono più tuoi (...) è chiaro che va costituita la società, ci sono i fondi europei per queste cose... Sai, io aspiro a parlarne nel consiglio regionale". Il boss apprezza il discorso. È contento, e ringrazia il politico: "Così - dice Cossidente - non cacciamo nemmeno i soldi alla fine (...) Luigi, tu sei secondo me il miglior tramite, il miglior rappresentante, la migliore persona di fiducia". Scaglione, sostengono i carabinieri della procura di Potenza nelle mille pagine di informativa depositate, sapeva con chi aveva a che fare. Per la cronaca, il candidato senatore amico di Scaglione e dei clan non fu eletto. Ora però Gigi ci riprova.


La profezia di Seminara
In Calabria con 15 mila euro si compra il voto di un'intera cittadina. Cassano Jonico nello specifico. In pratica si acquista un seggio. Lo ha fatto nel 2005 Franco La Rupa, ex consigliere regionale dell'Udeur. "Fu lui - scrivono i pm di Reggio - a stringere attraverso l'intermediazione di Luigi Garofalo un accordo con Antonio Forastefano, boss della 'ndrangheta, in forza del quale si impegnava a corrispondere denaro in cambio di voti". Quindicimila euro, appunto. La Rupa ora non ci riprova. Non lui direttamente, per lo meno. In lizza con la lista Noi Sud, che appoggia il candidato presidente del Pdl, Giuseppe Scoppelliti, c'è suo figlio Antonio. "Vergogna", ha gridato in commissione Antimafia Angela Napoli, deputata del Pdl che contro "queste candidature in odore di 'ndrangheta" ha annunciato che alle prossime elezioni non andrà a votare. In Calabria, secondo i dati arrivati all'Antimafia, i candidati a rischio sono 21: 16 sostengono la candidatura di Scopellitti, cinque quella di Loiero. Il procuratore capo di Reggio, Giuseppe Pignatone, spiega: "La 'ndrangheta si muove sempre quando ci sono interessi in ballo, succede nell'economia e anche nella politica, l'esperienza ci dice che ha sempre votato e fatto votare. È quindi ipotizzabile che succeda anche per le prossime elezioni". Ma a favore di chi? Il procuratore non fa nomi. La Napoli sì: il primo è quello di Tommaso Signorelli (Socialisti uniti), anche lui con Scopellitti presidente. Il candidato fu arrestato nel dicembre del 2007 nell'inchiesta della Dda di Catanzaro che portò allo scioglimento, per infiltrazioni mafiose, del Comune di Amantea. Era lui - dice la procura antimafia - "il politico di riferimento del clan" che per tre anni almeno (dal 2004 al 2007) avrebbe favorito i Gentile-Africano nell'acquisizione degli appalti e dei servizi nel porto di Amantea. Capolista dell'Udc (che qui corre con il Pdl) è Pasquale Tripodi, ex assessore regionale Udeur. Di lui parla il pentito Cosimo Virgiglio, e dei suoi rapporti con il boss Rocco Molé, poi fatto fuori dai cugini Piromalli nel febbraio de 2008.

In Calabria ci sono poi quelli che non ci saranno. Domenico Crea, consigliere regionale uscente, è in carcere da due anni per concorso esterno in associazione mafiosa con i clan della Locride. Nel 2009 è stato condannato anche Pasquale Inzitari, astro nascente dell'Udc reggino, consigliere provinciale. I boss si sono vendicati del suo tradimento facendo saltare in aria ad aprile del 2008, con un'autobomba, il cognato Nino Princi. E, due mesi fa, gli hanno ammazzato il figlio Francesco. Nel mirino dei magistrati anche Mariano Battaglia, candidato alle scorse regionali. È stato arrestato per l'operazione Topa, che si occupò delle infiltrazioni mafiose nel comune di Seminara. Seminara è un paesino dell'Aspromonte nel quale i clan sono in grado di controllare i voti uno per uno. Nel fascicolo del pm Roberto Di Palma c'è un'intercettazione nella quale i boss dicono che, alle comunali, la lista da loro sostenuta prenderà 1050 voti. A spoglio terminato i magistrati ne conteranno 1056.

© Riproduzione riservata (19 marzo 2010)
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« Risposta #10 inserito:: Luglio 11, 2010, 06:23:28 pm »

IL COLLOQUIO

L'ira fredda del governatore "Una partita con troppi traditori"

Resa dei conti nel Pdl. "Cosentino provi la sua estraneità".

Il rapporto sui trans: "Dici a Nicola che dovrebbe uscire il rapporto di Caldoro sui trans, forse del problema ha parlato anche un pentito..."

di CONCHITA SANNINO



NAPOLI - "Mi dicono che volesse incontrarmi. Spiegare. Ma cosa c'è da spiegare? C'è solo una cosa da fare. Lasci la mia giunta. Venga qui a firmare le sue dimissioni". Un'ira fredda, le parole meditate, la finta flemma dei socialisti che non dimenticano. Il governatore della Campania, Stefano Caldoro, si confida con chi gli è più vicino in queste ore. "Bisognerà capire quanti sono". Sottinteso: i traditori. "E andare fino in fondo. Tra quelli che hanno avuto un ruolo attivo e quelli che appaiono passivi, ma partecipi, di una campagna diffamatoria". Il 9 febbraio un sito elettorale lancia presunte rivelazioni sugli incontri di Caldoro con alcuni transessuali e l'allora candidato presenta una denuncia contro ignoti. Cinque mesi dopo, si scopre che la banda che l'ha architettata appartiene alla sua stessa squadra.

Per oltre 48 ore il governatore attende la lettera di addio dell'assessore "infedele" Ernesto Sica. "Incredibile, pare che volesse passarci su, in fondo per lui sarebbe un equivoco". Ma non pronuncia quel nome, imposto dal premier Berlusconi nella giunta della Campania (con improbabile delega "all'Avvocatura", un'ingenuità alla Brancher, senza precedenti) e oggi indagato dai pubblici ministeri dell'inchiesta sugli appalti dell'eolico, con l'accusa di essere l'"avvelenatore". Ernesto Sica, attuale sindaco di Pontecagnano (Salerno), fratello di un noto costruttore, e soprattutto molto amico dell'imprenditore Davide Cincotti, con villa in Sardegna e cordiale amicizia con Paolo e Silvio Berlusconi, sarebbe dunque l'autore di un sordido complotto - letteralmente "un nuovo caso Marrazzo, in Campania", diceva lui nelle intercettazioni - architettato insieme con gli arrestati Pasquale Lombardi, Arcangelo Martino e Flavio Carboni.

L'unico a beneficiarne sarebbe stato il deputato Nicola Cosentino, attuale sottosegretario del ministro Giulio Tremonti e coordinatore regionale del Pdl - nonché destinatario, dal novembre scorso, di un'ordinanza in carcere per associazione mafiosa da parte del Gip di Napoli. Ed è con Cosentino, eterno rivale della corsa a quella poltrona, che il governatore gioca la sua lunga partita a scacchi.

Il coordinatore del Pdl, originario di Casal di Principe, che nell'agro aversano è noto come Nicola 'o Mericano, arriva in serata in Regione, da un ingresso riservato. Caldoro lo riceve e gli chiede che sia proprio lui a portargli le dimissioni - la "testa" - di Sica. "Se non sei dentro il complotto, devi chiedergli di farsi da parte: sei il coordinatore. Se non sei in grado, ho già pronta la revoca. Ma dov'è, a questo punto, la guida Pdl in Campania?". Una lunghissima giornata. La più amara dal suo insediamento.

Nel deserto del sabato estivo, al terzo piano di Palazzo Santa Lucia, chi incontra Stefano Caldoro lo trova turbato, ma lucido. E determinato ad andare avanti. Tanti ostacoli, un avvio di legislatura falcidiato dai tagli. E ora il complotto interno. "Abbiamo solo un dovere, noi che siamo stati eletti - dice - : resistere e governare. Il momento è preoccupante: temo la saldatura del malumore dovuto alle misure anti-crisi con la disperazione delle migliaia di famiglie campane che avevano un sussidio per mettere il pane a tavola e non ce l'avranno più. Intorno, c'è la zona grigia del malaffare. E il cambiamento è duro da accettare, in queste condizioni. Dovrò disimpegnare un miliardo di euro, cioè toglierlo dalle mani di chi già pensa di averlo in tasca".

Il presidente, che fu ministro alla Ricerca, non riesce a star seduto un secondo. Un mozzicone lasciato cadere in un bicchiere, accende un'altra sigaretta. Passeggia nervosamente nella stanzetta che si è provvisoriamente ritagliato a ridosso del grande salone dove, per dieci anni, ha regnato Antonio Bassolino. Dalla strada sale il rumore ovattato della città, in lontananza ragazzi si tuffano all'ombra di Castel dell'Ovo, tra gozzi e pontili. Mare opaco, come l'estate dei veleni del Pdl.

Caldoro con i trans? In un albergo? Lui non sorride, ma scuote la testa: "Ho altri vizi, meno appariscenti. I libri, un carattere poco accomodante. Un profilo riservato. Alle feste mi annoio, persino a quelle più brillanti. Anche mia moglie lo sa".

Il governatore appare d'un tratto solo in un Palazzo abitato da fantasmi: quelli di sinistra, continuamente rievocati per la "dissennata gestione di Bassolino"; ma più subdoli appaiono i fantasmi della sua stessa parte politica, da cui diventa così difficile difendersi se l'uomo che, per i magistrati, tramava a favore di Cosentino finisce per diventare un tuo assessore. Dal presunto scandalo Caldoro sarebbe già stato costretto a difendersi a Roma, dinanzi ai vertici romani: in un partito che sembra affidarsi alla pratica sistemica degli intrighi e del dossieraggio. Ma ora la faida sembra venuta allo scoperto. Inutile, suggerisce Caldoro, "confondere i piani". C'è chi ipotizza che il gip, rivelando la trama, gli abbia fatto il torto di "propagare" la calunnia degli incontri con viados. Caldoro è abituato alle trappole. "Un fatto è certo: la mia fiducia nella magistratura è totale". E poi, aggiunge, "c'è una novità. La mia denuncia per diffamazione era contro ignoti. Ora non lo è più".
 

(11 luglio 2010) © Riproduzione riservata
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« Risposta #11 inserito:: Luglio 12, 2010, 10:04:17 am »

L'INCHIESTA

Caso Verdini, caos in Campania via l'assessore che spiava Caldoro

Si dimette Sica e comincia la resa dei conti nel Pdl regionale.

Il governatore: vicenda squallida, il partito affronti il problema

di CONCHITA SANNINO


NAPOLI - L'esecutore del complotto si dimette. L'assessore regionale Ernesto Sica è fuori, dopo appena cinquanta giorni, dalla giunta Caldoro. Ma la resa dei conti interna al Pdl campano è appena cominciata. "Primo scoglio, archiviato. Però era ovvio. Resta tutta aperta la questione dentro il partito", commenta Stefano Caldoro, comunicando agli altri colleghi di giunta che da oggi "dobbiamo mettere il turbo, si riparte. Senza farci frenare dallo squallore".

Tuttavia, alle sette di un'afosa domenica, il governatore sotto attacco dei nemici interni non ha certo un'espressione serena mentre si chiude alle spalle l'ufficio in cui ha trascorso, praticamente asserragliato, un lungo e duro weekend. L'inizio di una partita che non si sa ancora quanto durerà.
Il faccia a faccia tra Caldoro e l'assessore regionale Ernesto Sica si è consumato invece in dieci minuti. Sufficienti ad incassare le sue dimissioni. Sica, coinvolto nell'inchiesta romana sulla banda specializzata in campagne diffamatorie, interferenze su giudici e appalti dell'eolico, aveva offerto in queste ore la versione della vittima: "Anche io sono stato travolto".

Poi, lo sfogo di un attimo: "Guarda che io sono il più fesso, là in mezzo". Raccogliendo solo il gelido consiglio di Caldoro: "Suggerirei di dirlo al magistrato. Questo non è argomento che può interessare un governatore".
Eppure Sica, sindaco di Pontecagnano (Salerno), ha sperato fino all'ultimo di restare in sella, grazie anche all'assordante silenzio dei vertici romani del Pdl sull'opportunità che un "congiurato" restasse in giunta. Singolare anche che l'ex assessore abbia convocato una conferenza solo per venerdì prossimo: tra cinque giorni. Un tempo necessario a inviare o ricevere segnali?

Per ora l'ex enfant prodige della politica salernitana - guascone amante di mondanità e scorribande in Sardegna, e a Pontecagnano regista delle brillanti feste dell'allora Margherita, prima che il vecchio De Mita lo scaricasse - deve difendersi dall'ipotesi di "violenza privata". L'uomo ombra voluto dal premier Berlusconi nella giunta Caldoro compare in decine di telefonate mentre, per il giudice, cura l'attività di dossieraggio su uno scandalo sessuale, fatto "di incontri con trans e coperture di camorra", che avrebbe dovuto mettere fuori gioco Caldoro, insieme con il faccendiere Flavio Carboni, e i "soci" Pasquale Lombardi ed Arcangelo Martino.
Sulla posizione di Nicola Cosentino, il coordinatore Pdl che ascoltava al telefono e vedeva agire la banda, invece, si attendono ulteriori valutazioni.

Già lo scorso mese, i pubblici ministeri di Napoli, Giuseppe Narducci ed Alessandro Milita, titolari dell'inchiesta che ha portato all'ordinanza di custodia in carcere per Cosentino con l'accusa di associazione mafiosa, si erano incontrati con i magistrati romani per valutare le vicende collegate alle pressioni esercitate dalla banda per l'accoglimento del ricorso avanzato in Cassazione dai legali di Cosentino.  Circostanza che richiama una precisa mossa del travagliato inverno di Cosentino. "Aspettiamo gennaio. Se la Cassazione accoglie il ricorso, sono in pista di nuovo", era la strategia indicata a Roma. Richiesta esaudita. Fino al verdetto, infausto, della suprema Corte. E allo scandalo costruito "alla Marrazzo": per affossare l'uomo che gli aveva usurpato un futuro da governatore.

(12 luglio 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/cronaca/2010/07/12/news/verdini_caos_campania-5525939/?ref=HREA-1
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« Risposta #12 inserito:: Agosto 14, 2010, 10:47:32 pm »

Il PERSONAGGIO

Martino a Poggioreale

L'estate in carcere della P3

Nell'istituto di pena più affollato d'Europa, ieri anche il detenuto-barbiere indossa il camice inamidato per le visite istituzionali.
"Qui dentro  viviamo come bestie, ammucchiati, non ce la facciamo più"

di CONCHITA SANNINO


Inferno Poggioreale. Nel carcere più affollato d'Europa, ieri anche il detenuto-barbiere indossa il camice inamidato per le visite istituzionali. "Qui dentro - mormora al deputato Idv Francesco Barbato - viviamo come bestie, ammucchiati, non ce la facciamo più". Polveriera carcere. Dove persino l'indagato faccendiere della cosiddetta "P3", l'ex assessore Arcangelo Martino, offre il suo show, da una cella del centro clinico: "Il criminale sarei io? Che schifo di politica. Basta con questo smidollato di Berlusconi". La temperatura arroventa i letti a castello, in 8 o in 10 in una cella è difficile trovare l'angolo meno torrido. E quando la depressione picchia duro, gli operatori devono fare miracoli, perché i fondi per il personale e l'assistenza sono falcidiati dal governo. Mentre, per paradosso, vengono cancellati i 3 milioni di euro stanziati dalla precedente giunta regionale per gli interventi strutturali e sociali nei vari istituti in Campania.

Il fallimento della politica penitenziaria italiana ha Napoli per epicentro, Poggioreale per simbolo, e per incarnazione quei cuscini impregnati di sudore notte e giorno; e le facce di quei 2.502 uomini nell'istituto che dovrebbe ospitarne non più di 1.385. E il picco è atteso tra settembre e ottobre quando, alla ripresa dei processi, torneranno ad essere "parcheggiati", nel carcere che già esplode, altre centinaia di detenuti provenienti da altre sedi, ma imputati nelle aule giudiziarie del distretto.

Voci dai padiglioni, ieri, di fronte al taccuino del deputato del'Idv Francesco Barbato, testa d'ariete degli assalti dipietristi, ma anche puntuale osservatore delle condizioni dei detenuti, eccellenti e non. Giovanni Esposito, da Quarto, chiede: "Onore', guardate in quali condizioni stiamo. Diteci che lo stanno facendo apposta per dare un indultino". Carmine Marmo, da Caivano, ammette: "In carcere ho imparato a ragionare e a pensare". Gaetano Fiorentino mostra disincanto: "Passerà Ferragosto e passa pure l'attenzione per noi, che siamo come animali".

Sul corridoio del centro clinico, scoppia lo sfogo di un detenuto che esibiva potere e amicizie importanti. In pigiama celeste, mani alle sbarre, ecco Arcangelo Martino, ex assessore socialista, poi imprenditore, oggi in carcere perché accusato - con Pasquale Lombardi, Flavio Carboni e il coordinatore Pdl Denis Verdini - di aver partecipato all'associazione sovversiva "P3" e di aver provato a ostacolare, con dossier infamanti, la corsa elettorale del governatore Caldoro. "Io sarei il criminale?", chiede Martino provocatorio.

È quasi uno show. "La politica degli onesti sta fuori e io dentro? Quello smidollato sta ancora lì...?". Barbato non fa in tempo a interrogarlo: "Chi, Berlusconi?". Martino dice sì, aggiunge. "Digli a Di Pietro che voglio venire con voi. Voglio raccontare tutto, è da un mese che voglio parlare...". Circostanza che tuttavia non risulta al suo avvocato Giuseppe De Angelis. Il direttore di Poggioreale, Cosimo Giordano, si affretta a contenere tali esternazioni. "Non può parlare dei procedimenti", ricorda. E Martino continua: "Io sto parlando della politica in genere, della porcheria che è diventata la politica in questo paese". Considerazioni che arrivano dall'uomo che, secondo la pubblica accusa, aveva collaborato alla "costruzione" di un dossier calunniatorio contro il candidato alla Regione che faceva ombra al suo sodale (co-indagato) Nicola Cosentino. Aggiungerà Barbato: "Martino mi ha detto, testuale: "Io voglio parlare, dirò tutta la verità". E se Martino parla della P3, povero Berlusconi, altro che casa di Montecarlo".

Qualche ora più tardi, Barbato fa tappa a Pozzuoli, accolto dalla direttrice Stella Scialpi. Un istituto tra il sovraffolamento e i conti che strozzano progetti e sogni di riscatto. Dopo "Lazzarella", il caffè commercializzato dalle detenute, un altro progetto di attività rieducativa che aveva assorbito investimenti viene stoppato dall'austerity. "Sono quattro i punti su cui è crollata l'azione del governo sulle carceri - sottolinea Barbato -. Il sovraffollamento che manda in tilt il sistema; la mancanza di spazi per attività di lavoro e socialità; la mancanza di fondi, visto che il ministro Alfano nel 2010 ha decurtato selvaggiamente le ore di straordinario, a Poggioreale da 109mila a 79mila. E, infine, l'organico carente". Il bilancio è amaro, e finisce per dar ragione alla tesi del detenuto Giovanni. "Non vorrei che le colpe del governo - analizza Barbato - servissero a precostituire un alibi per varare un altro indultino".
 

(14 agosto 2010) © Riproduzione riservata
http://napoli.repubblica.it/cronaca/2010/08/14/news/martino_a_poggioreale_berlusconi_ora_basta-6280084/?ref=HREA-1
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« Risposta #13 inserito:: Settembre 22, 2010, 05:01:23 pm »

L'INTERVISTA

Cosentino: "Finiani farisei implacabili solo con i rivali"

Il coordinatore Pdl in Campania indagato per concorso esterno in associazione mafiosa: "Rifarei tutto, i miei interlocutori parlavano con destra e sinistra"

di CONCHITA SANNINO


NAPOLI - Onorevole Nicola Cosentino, ancora una volta è il suo nome a far brillare le spaccature della maggioranza.
"No, non ci sto ai giochetti. Intendo sottrarre ogni alibi ai nuovi legalitari che abbondano nella schiera del Fli. Voglio togliere argomenti a quell'offensiva tutta strumentale, travestita di etica. Anche perché vedo, nella formazione finiana, troppi farisei. Del tutto indulgenti verso se stessi. Implacabili con altri".

Lei è indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, nell'intreccio tra politica e clan dei casalesi. Ed è sotto inchiesta nella vicenda dell'associazione P3. Non ritiene sia giusto utilizzare le intercettazioni che la riguardano sul tema rifiuti?
"Ritengo del tutto irrilevanti quelle intercettazioni. E quindi mi rimetterò alla decisione dell'aula. Le utilizzino pure. Non ho niente da temere e questo è già stato sottolineato, nell'udienza camerale dinanzi al gip, dai miei avvocati Stefano Montone e Agostino De Caro. Quelle intercettazioni, è scritto, potrebbero anzi esser valutate a mio favore e quindi non vorrei dare un ulteriore strumento di dilazione nel trattare il mio caso".

Scusi, al di là delle legittime strategie difensive, colpiscono però i sospetti che ricadono sulla posizione di un ex sottosegretario, ancora deputato e coordinatore campano del Pdl.
"Io sono il primo a voler rispondere, ma in aula. E invece non so se i miei nipotini vedranno quel giorno. Sono il primo a chiedere trasparenza. Ma sono vittima di un processo diverso...".

Sta per dire "mediatico".
"No, peggio: virtuale. A Napoli la Procura antimafia indaga da 15 o 20 anni su di me, assurdo...".

In quell'indagine si ipotizzano accordi tra gli imprenditori dei rifiuti legati ai casalesi e i referenti politici come lei. C'era il termovalorizzatore a Santa Maria La Fossa, su cui aveva le mani la cosca Bidognetti, a lungo previsto nel programma di governo. È sicuro che non abbia nulla di cui pentirsi?
"Assolutamente no. Ho avuto rapporti sani con centinaia di sindaci, persone delle istituzioni, dell'impresa, del clero".

Nelle intercettazioni lei parla con Impregeco di un sistema da realizzare persino in alternativa al ciclo ufficiale dei rifiuti. Dialoga anche con l'imprenditore Michele Orsi, ritenuto organico ai traffici, e poi ucciso dai casalesi. Nulla da spiegare?
"Ma Orsi era, per me, un imprenditore e basta. Uno con tutte le carte in regola che si occupava di un settore caldo. E non parlava mica solo con me, ma con esponenti di sinistra e destra".

Intende dire che parlava anche con l'allora governatore e commissario ai rifiuti Bassolino?
"Certo, parlava con Bassolino per il tramite dei suoi subcommissari. Poi anche io avevo la mia incidenza politica, ma non per fare affarucci, non per cose illecite".

Eppure c'è una frase che sintetizzerebbe il suo ruolo. Il pentito Gaetano Vassallo ha detto: "Cosentino spiegò che il consorzio Eco4 era creatura sua, "l'Eco4 song'io"". Non ritiene che aver frequentato alcuni personaggi sia un'ombra?
 "Vassallo mi risulta che sia un soggetto psicopatico, cocainomane. Di cosa stiamo parlando? Mai mi passava per la testa che dietro quel consorzio ci fosse un'attività in cui coltivavano i loro interessi gli ambienti criminali".

Quindi, impiego delle intercettazioni a parte, lei rifarebbe tutto?
"Sì".
 

(22 settembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/09/22/news/cosentino_finiani_farisei_implacabili_solo_con_i_rivali-7301263/?ref=HREA-1
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« Risposta #14 inserito:: Luglio 11, 2011, 09:20:35 am »

L'INCHIESTA

P4, tutti i segreti di Milanese in cinque cassette di sicurezza

Per aprire quei depositi servirà l'autorizzazione da parte della Camera dei deputati.

L'ex finanziere "mediatore" per gli affari della Sogei.

Sotto osservazione anche l'affitto di altri immobili del Pio sodalizio dei Piceni

di CONCHITA SANNINO


NAPOLI - Un fil rouge, di "stretta rappresentanza" e forse di reciproca convenienza, correva direttamente tra Marco Milanese e la società del Ministero delle Finanze, Sogei, coinvolta nella vicenda della "casa del ministro", e già al centro di sospetti crescenti. È il link che mancava a una partita di giro che non promette nulla di buono. E rischia di svelare - ancora una volta dopo la Anemone story - una vicenda di appalti trattati come favori personali, di commesse e lavori pubblici trasformati in merce di scambio privato. Così come il mistero di quelle cassette di sicurezza appena sigillate a Roma. Non una, ma cinque cassette, tutte appartenenti al deputato Pdl Milanese, sono finite da poche ore sotto sequestro del pm Vincenzo Piscitelli della Procura. Materiale impenetrabile fino a quando la Camera non rilascerà il suo sì, specifico, alla richiesta di autorizzazione per la perquisizione. Che cosa custodivano? Carte, appunti o anche la prova della presunta corruzione?

Gli ultimi segreti dell'inchiesta che travolge Milanese - fin dal 2001 fedelissimo braccio destro del ministro Giulio Tremonti, poi suo consigliere politico, nonché deputato per il quale pende alla Camera la richiesta di arresto trasmessa dal Gip con le accuse di associazione per delinquere, corruzione e rivelazione di segreto - sono (o erano) forse nascosti in quel caveau della Banca del Credito Artigiano a Roma, a due passi dalla sede del Ministero di via XX Settembre.
Ma poiché quei contenitori sono equiparati ad
una pertinenza di attività parlamentare, solo un'autorizzazione dedicata da parte dell'aula di Montecitorio, che si pronuncerà con un voto distinto rispetto all'eventuale esecuzione dell'ordinanza di custodia, potrà consentirne l'apertura alla giustizia. Sempre che qualcuno non ne abbia fatto già sparire il contenuto. Sarà una coincidenza, ma il perito Luigi Mancini, incaricato dal pm, ha già accertato che alcuni ripetuti accessi di Milanese a quelle cassette sono avvenuti a metà dicembre scorso: ovvero subito dopo l'arresto di Paolo Viscione, che già nelle intercettazioni a suo carico, ben note a Milanese, lanciava messaggi.

"Se mi stanno ascoltando è meglio, lo dico io che pezzo di m... è questo. Io voglio uscire da questa storia perché quando vengo ricattato dalla politica, da questo Milanese che si fotte i soldi, io non voglio averci più a che fare". Viscione, imprenditore-faccendiere sotto accusa per una mega truffa da 30 milioni, una volta in carcere, si sarebbe trasformato nella gola profonda della "holding Milanese", l'uomo che racconta di aver riversato sul consigliere del ministro "una milionata di euro cash" nel corso di quattro anni, oltre a lussuose auto, gioielli, orologi d'oro, viaggi. Dopo le sue parole, c'è chi s'affretta a far sparire gioiellini?

Non è l'unica novità che allarga l'orizzonte dell'inchiesta. Emerge ora quel filo rosso che collega direttamente le ombre che avvolgono la gestione della società pubblica Sogei a Milanese. Una connessione importante è ora nelle mani del pm. L'ha fornita un teste, Angelo Lorenzoni, Segretario generale del Pio Sodalizio dei Piceni. Che racconta: "La Sogei ha preso in fitto alcuni importanti locali di nostra proprietà. Due immobili in via del Parione, primo e terzo piano, e poi un salone affrescato, per riunioni o eventi, in via San Salvatore a Lauro". Contratto: 8.500 euro al mese. Ebbene, chi condusse le trattative per conto di Sogei? "Marco Milanese, era lui il loro volto", dice Lorenzoni. Stesso concetto confermato da un'altra importante teste, la dottoressa Fabrizia La Pecorella, alto funzionario di via XX Settembre: "Sì, Milanese era l'uomo di raccordo tra Sogei e il Ministero". Quel filo, faticosamente riavvolto, racconta dunque: c'è Sogei, la società di Information and Communication Technology del Ministero dell'Economia e delle Finanze che elargisce appalti ad affidamento diretto in gran numero (anche) all'impresa Edil Ars.

Quest'ultima, guarda caso, esegue lavori onerosi di ristrutturazione nell'appartamento che sta più a cuore a Milanese: la residenza cinquecentesca al piano nobile di via Campo Marzio abitata (fino a quattro giorni fa) dal ministro Tremonti, ma pagata (sempre 8.500 euro al mese) da Milanese. Quel cantiere di consolidamento e ristrutturazione è costato, testimonianze alla mano, oltre 200mila euro, che però non risultano mai pagati alla Edil Ars: né dal Milanese - come da accordi presi con il proprietario - tantomeno dal ministro, ignaro ospite. È denaro che è stato restituito sotto forma di appalti? Quei lavori nella casa eccellente sono stati saldati con denaro pubblico? Un'ipotesi che gli inquirenti non possono escludere.

(11 luglio 2011) © Riproduzione riservata
DA - http://www.repubblica.it/cronaca/2011/07/11/news/segreti_milanese-18951967/?ref=HREC1-1
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