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Autore Discussione: Marina Mastroluca. Violenze, Belgrado accusa gli hooligan  (Letto 2277 volte)
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« inserito:: Febbraio 23, 2008, 11:25:55 pm »

Esteri 

Violenze, Belgrado accusa gli hooligan

Neanche durante la guerra era accaduto che fossero assaltate le sedi diplomatiche straniere

Monito del presidente Tadic, di rientro dalla Romania: nessuna giustificazione

Marina Mastroluca


La bandiera a stelle e strisce è tornata al suo posto. Oltre i vetri in frantumi dell’ambasciata Usa si intravedono agenti con la mascherina bianca sul volto, che si muovono tra i detriti. Lingue nere di fumo hanno sporcato la facciata chiara, la gente che passa allunga lo sguardo. «Provocatori pagati dalla Cia», sentenzia il maggiore Skadar, che sulla sua sedia a rotelle da domenica scorsa staziona davanti alla sede diplomatica per protestare contro lo scippo del Kosovo. Ce l’ha con gli hooligan che nella notte hanno fatto irruzione nell’ambasciata spaccando tutto.

Probabilmente è di uno di loro il corpo carbonizzato trovato nelle stanze devastate quando le fiamme sono state spente e i manifestanti dispersi dalle forze dell’ordine che nessuno - colpevolmente - aveva pensato a schierare a protezione in Kneza Milosa, il viale delle ambasciate.

Hooligan, così li chiamano anche i media. Gente abituata alle risse negli stadi, dove in queste settimane si gioca a porte chiuse, dopo gli scandali che hanno investito le dirigenze dei club della serie A. Ragazzi, quasi ragazzini, inquadrati dalle telecamere e poi finiti su YouTube con le loro prodezze, Partizan e Stella Rossa, nemici in campo, ma dalla stessa parte della barricata in queste ore di rabbia. Non è stata una fiammata spontanea. Le tifoserie balcaniche hanno una lunga tradizione alle spalle di guerra guerreggiata, il comandante Arkan prima di seminare il terrore in Bosnia, aveva terrorizzato gli stadi. Gli slogan contro gli albanesi oggi hanno preso il posto di quelli per la Grande Serbia, il Kosovo è il mito che coniuga identità e ribellione contro un nemico esterno predatore. «Il Kosovo non sarà mai albanese, mai terra islamica», dicono.

«Violenza selvaggia nel centro di Belgrado», Danas, quotidiano liberale, sembra essere l’unico ad essersene accorto. La nottata di furore - 130 feriti, quasi 200 fermati - sui giornali è appena qualche accenno nelle pagine interne. Un dettaglio ai margini di una manifestazione pacifica raccontata con toni solenni e parole commosse. Come se l’assalto alle ambasciate - danneggiate anche quelle britannica, belga, croata, turca e bosniaca - rientrasse in una deprecabile normalità. Eppure non era mai successo, nemmeno quando la Nato bombardava Belgrado, nemmeno quando le bombe avevano smesso di essere intelligenti e centravano palazzi e mercati, mai era stata consentita l’irruzione nelle sedi diplomatiche.

«Non ci sono giustificazioni di alcun tipo per la violenza, niente e nessuno potrebbe giustificare quanto è successo». Il presidente Tadic, rientrato dalla visita di Stato in Romania, che lo ha sapientemente tenuto alla larga da Belgrado e dai proclami nazionalisti, ha convocato il consiglio di sicurezza nazionale per fare chiarezza sugli incidenti. «Non era la Serbia e la Serbia non sarà così, la violenza avvenuta a Belgrado non dovrà ripetersi mai più», ha detto senza mezzi termini. Un messaggio diretto anche al suo alleato di governo, il premier Kostunica che in piazza ha concesso un po’ troppa corda allo spirito di rivalsa, tanto che ieri qualcuno lo ha accusato di avere le mani sporche di sangue, di essere stato insomma il mandante morale degli incidenti. Quanto sia scivolosa la china intrapresa deve averlo capito lo stesso Kostunica che ieri, dopo aver elogiato il messaggio mandato dalla piazza di Belgrado al mondo intero, non ha potuto fare a meno di notare che «la violenza e la distruzione stanno danneggiando la nostra battaglia».

Semmai i proclami dal palco davanti al parlamento serbo sembravano aver proposto una inedita saldatura tra Kostunica e i radicali di Tomislav Nikolic -. che in piazza esaltava i roghi ai posti di frontiera tra Kosovo e Serbia - il giorno dopo a Belgrado le cose prendono una luce diversa, che non mostra grande margine di manovra. Kostunica una volta di più esce sconfitto politicamente, nel suo personale braccio di ferro con Tadic ha azzardato e si è scottato le dita. Persino Mosca si è sentita in dovere di fare una ramanzina agli amici serbi.

La violenza, ha spiegato al telefono il ministro degli esteri russo Lavrov al suo omologo Vuk Jeremic, non aiuta la causa del Kosovo. Non saranno le sedi diplomatiche date alle fiamme a restituire Pristina alla Serbia.L’ambasciata statunitense ha rimandato a casa il personale non essenziale. Chiuse, per sicurezza, diverse altre sedi diplomatiche. Eppure la notte di Belgrado sembra già passata, i vetri spezzati sono già tornati al loro posto, si riallestiscono le vetrine dei negozi svaligiati. Bata, Benetton, negozi si abbigliamento sportivo, qualche bancomat, uno sportello di cambio: non c’è un minimo comun denominatore politico nella scelta degli obiettivi, piuttosto quello del saccheggio. Un paio di ragazze sono finite su YouTube, filmate mentre passano di negozio in negozio e tornano con sacchi pieni di roba, trovando persino il tempo di provarsi le scarpe della misura giusta. «Kosovo za patike», titola il sito, il Kosovo per un paio di scarpe. Sono state subissate da messaggi sdegnati. «Vergogna».

Pubblicato il: 23.02.08
Modificato il: 23.02.08 alle ore 10.39   
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