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Autore Discussione: EMMA BONINO. -  (Letto 8007 volte)
Admin
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« inserito:: Febbraio 16, 2008, 11:26:58 pm »

L'intervista Emma Bonino: colpa anche dei genitori che non parlano con i figli

«Le ragazze assenti dalle piazze Per loro scontate le nostre conquiste»


 ROMA — «Ma certo che le ragazze in piazza non vengono. Loro danno per scontata la sessualità, la pillola, la scelta sulla propria maternità. Non sanno che ora sono a rischio ».
Emma Bonino, leader radicale, ministro del Commercio Internazionale del governo Prodi, da ragazza era già in prima linea nella battaglia per i diritti delle donne. Nel '75, dopo aver fondato il C.I.S.A. (Centro per l'informazione sulla sterilizzazione e l'aborto) si autodenunciò per procurato aborto.
Ma non si stupisce che ieri a difendere la legge 194 in piazza ci fossero più adulte che giovani.
Perché?
«Le donne che hanno più o meno la mia età hanno una grande reattività su questi temi, magari perché ricordano gli aborti clandestini, o hanno potuto usare la 194. Ma certo è che la generazione più giovane non sa cosa sta accadendo. Lo vedo con mia nipote Marta».
Cosa le dice?
«Mi ascolta sgomenta. Lei è di una generazione che ha conosciuto la libera scelta su quando e come essere madre, quando e con chi vivere. Non ha segnali della messa in discussione di questa libertà».
E lei gliene parla?
«Sì, ma mi guarda come un marziano quando le parlo della deriva bigotto-ipocrita che dal 2001 ha preso la nostra politica: quella tragica campagna elettorale che poi ha portato alla legge 40 contro la fecondazione assistita e al referendum. E poi, diciamolo, è anche colpa dei genitori se i ragazzi non vanno in piazza».
Dei genitori?
«Sì, che non parlano più ai loro figli di politica, di diritti, di maternità. Sono temi che nelle famiglie non si affrontano più».
Ma i genitori sono gli ex ragazzi del '68.
«Appunto. Molti si sono accomodati da altre parti, molti hanno proprio rimosso. Poi, certo, non è che la spoliticizzazione dipende solo dai genitori ».
Anche dalla politica?
«Anche. Il nostro è uno dei pochi partiti dove ci sono molti ragazzi. Particolari, come è nel nostro stile: magari hanno un parente disabile o sono giovani ricercatori. Dipende anche da come li si coinvolge».
Ovvero?
«Spesso la politica si rivolge ai giovani solo per dir loro: "non andare in discoteca, non bere, non guidare". E loro naturalmente non ascoltano. Ma anche la scuola aiuta la spoliticizzazione dei ragazzi. Per non parlare della Rai».
La Rai?
«Quando Ruini ha convocato i cattolici all'Angelus in solidarietà con Ratzinger (per approfittare dell'effetto aggiuntivo) era in diretta sul Tg1. Le manifestazioni di ieri hanno potuto contare solo sul passaparola e i soliti canali. Mi sembra già un miracolo che ci siano state molte manifestazioni in tutta Italia».
Cosa fare per invogliare i giovani all'impegno?
«Innanzitutto accoglierli. Perché su questi temi dove possono andare? Certo non nella Cosa bianca o nel Pdl, possono giusto venire da me».
E nel Pd?
«La risposta concreta del Pd sarebbe quella di unirsi alla lista Bonino. Visto che Veltroni non è più solo e ormai è anche male accompagnato».


Virginia Piccolillo
15 febbraio 2008

da corriere.it
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« Risposta #1 inserito:: Marzo 20, 2008, 12:45:03 am »

Emma e Marco, guerra dei nervi al Pd: fregati ma non molliamo


• da Corriere della Sera del 19 marzo 2008, pag. 11


di Maria Teresa Meli

«Il Pd non è un partito democratico e, insieme al Pdl, sta conducendo una campagna mediatica di regime»: parola di Marco Pannella, che già lunedì a Porta a porta, invitato come sostenitore del Pd, non aveva risparmiato critiche. Già, i radicali vivono con insofferenza questa condizione dì ospiti imbarazzanti a casa Veltroni.

 

E non è un problema del solo leader radicale (fatto fuori dalle liste), che, tra l’amaro e l’ironico, dice: «Beh, almeno non hanno potuto togliere a me e D’Elia l’elettorato passivo: possiamo ancora votare». Anche Emma Bonino, capolista ben nascosta in Piemonte, si rende conto del fatto che a ogni iniziativa importante lei non viene invitata, onde non rinfocolare l’ennesima polemica tra laici e cattolici. E infatti anche ieri a Torino è rimasta fuori dalla manifestazione con Veltroni: «Nessuno mi ha invitata», dice. (Il comitato del Pd locale si giustifica: avevamo parlato con la sua segretaria).

 

Del resto, analoga situazione ha vissuto addirittura Zapatero. Il premier spagnolo, è stato cercato e corteggiato per il gran finale della campagna elettorale del Pd. Poi, per non irritare gli ex ppi, si è deciso di annullare quell’appuntamento. Ciononostante, Pannella non ha intenzione alcuna di rompere con il Partito democratico, anche se la notizia che Walter Veltroni disertereb be la manifestazione pro-Tibet di oggi lo turba: «Aveva aderito e io avevo capito che ci sarebbe stato! Vabbè, chi non fa un bel guadagno è lui».

 

Ma stracciare il contratto prematrimoniale con il Pd non è nel novero delle cose possibili, se non altro per quei «3,15 milioni di euro» che, come ricorda Emma Bonino, gli uomini del Loft «devono dare ai radicali». E allora, per dirla alla Pannella, «vale la legge del menga, chi ce l’ha se lo tenga: ci hanno fregato e non hanno mantenuto la parola data perché non eleggeranno nove dei nostri, ma noi non rompiamo. Però ricordiamo ogni giorno a Veltroni che non mantiene le promesse».

 

Sì, ogni giorno, uno stillicidio che sfianca il Pd - che tenta per questa ragione di oscurare i candidati radicali ma che spinge Pannella a insistere: «Io non li mollo, rimango attaccato. Voglio partecipare alla costruzione di un vero Partito democratico». Certo, l’aspirazione di Pannella non fa esplodere di gioia gli uomini del Loft, ma tant’è: ormai hanno imbarcato i radicali e devono cercare di gestirli. Per questa ragione il Pd non diserta la manifestazione a sostegno del Tibet: oggi in piazza ci saranno sicuramente Goffredo Bettini e il candidato alla presidenza della Provincia dì Roma Nicola Zingaretti.

 

Due veltroniani doc: non sia mai Pannella se ne voglia uscire con un attacco nei confronti del Partito democratico. che prima aderisce all’iniziativa e poi latita. Anzi, ieri sera le adesioni aumentavano (e c’era chi spingeva Veltroni a compiere un passo) per la preoccupazione di finire sul banco degli imputati.

 

Insomma, nonostante le dosi di bromuro che al Pd tentano di spargere, il rapporto con i radicali resta tutt’altro che semplice. Sul piano dei contenuti: con Bonino che approva la vendita di Alitalia ad Air France e con Giorgio Tonini che dice quel che Veltroni non può esplicitamente dire (ossia che è uno sbaglio).

 

Ma anche sul piano dei modi con cui si è concluso il "contratto" restano delle difficoltà. Eppure Marco Pannella giura che la richiesta del Pd di non candidarlo non lo ha amareggiato. Il modo non l’offende, sostiene: «Peggio per loro, io accumulo e metto da parte». E a furia di mettere da parte si è capito che il leader radicale darà del filo da torcere al Partito democratico durante la campagna elettorale, ma anche dopo...

 
 
da www.radicali.it
« Ultima modifica: Marzo 12, 2009, 05:35:46 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #2 inserito:: Gennaio 29, 2009, 06:09:54 pm »

Accanimento democratico

di Daniela Minerva


La leader radicale accusa il Pd di Veltroni. Non è capace di una battaglia civile. Nemmeno davanti a una legge che nega il diritto di rifiutare le cure forzate. E non piace ai cattolici.

Colloquio con Emma Bonino

Il testo di legge sul testamento biologico presentato il 27 gennaio scorso dalla maggioranza azzera ogni discussione. Niente libertà di decidere se essere o meno alimentati e idratati a forza e quindi tenuti in vita oltre ogni definizione di vita stessa. Per molti, anche cattolici militanti, se sarà legge sarà una sconfitta, e peggiorerà di gran lunga il quadro legislativo. Ma il Pd si è dileguato davanti alla delicatezza del tema, e c'è da giurarci che questo testo non incontrerà ostacoli in Parlamento. Chi non rinuncia a opporsi è Emma Bonino, vicepresidente del Senato, che accusa il Partito democratico e lancia due proposte.

Come valuta il disegno di legge presentato dal senatore della Pdl Leonardo Calabrò?
"Il testo della maggioranza è contro il testamento biologico perché afferma che nessuno può rinunciare all'alimentazione e all'idratazione forzate in quanto non sarebbero prestazioni mediche ma 'forme di sostegno vitale' e quindi fuori dalla sfera decisionale dell'individuo. Su questa posizione convergono i teodem del Pd, facendo sì che in Parlamento la maggioranza abbia amplissimi numeri per portare a casa questa controriforma. Ma se il testamento biologico non può servire a decidere su nutrizione e idratazione artificiale è persino controproducente, perché è un passo indietro rispetto a quanto previsto dall'articolo 32 della Costituzione e a quanto già riconosciuto dalla magistratura nei confronti di Piergiorgio Welby, Giovanni Nuvoli ed Eluana Englaro".

L'assemblea dei gruppi parlamentari del Pd tenuta lunedì 19 gennaio ha evitato un voto di maggioranza e ha preferito esprimere un 'orientamento prevalente'. Così, ha lasciato libertà di voto. Ha rinunciato a fare opposizione?
"L'unico modo per bloccare maggioranza e teodem, non essendo la loro posizione una novità, sarebbe stata una grande mobilitazione popolare, attorno e a partire dalla 'rivoluzione di un padre', come l'ha chiamata Roberto Saviano su 'Repubblica', che sta compiendo Beppino Englaro. Optare invece per una pura battaglia parlamentare, visti i numeri, è una complicità oltre che una resa. Aggravata da un atteggiamento elusivo perché altro non è se ci aggiungiamo l''orientamento prevalente' su di un testo d'indirizzo, soprattutto di fronte al fatto che 88 senatori del Pd su 118 hanno firmato un testo legislativo, articolato e puntuale, a prima firma Ignazio Marino e che noi radicali abbiamo sottoscritto. Semmai è questo l'unico 'orientamento prevalente' a essere emerso in maniera trasparente".

Un atteggiamento pilatesco su questioni come il testamento biologico o le unioni di fatto è l'unico modo per tenere insieme il Pd. Le sembra un prezzo possibile?
"Dopo mesi di silenzio, Walter Veltroni ha pronunciato una sola frase, ma quanto mai significativa: 'Meno la politica si occupa di queste cose, meglio è'. Ovviamente seguito a ruota da autorevoli dirigenti che hanno dichiarato che non è attorno a 'queste cose' che si costruisce l'identità del Pd. Viene da domandarsi: di grazia, se non su queste cose, su cosa si costruisce l'identità di un partito? Quello che è certo è che su questa grande battaglia laica non c'è stato alcun Circo Massimo o piazza San Giovanni".

Di chi è la colpa?
"Di Veltroni e di tutto il gruppo dirigente del Pd, e di coloro che hanno posizioni magari non troppo distanti dalla mia, ma che non muovono un dito per affermarle".

Come valuta il gesto del ministro Maurizio Sacconi, ex socialista, che ha sbarrato la strada con un ricatto alle strutture disponibili a dar seguito alla sentenza della Corte di Cassazione sul caso di Eluana Englaro?
"Come radicali abbiamo denunciato Sacconi per violenza privata nei confronti dei titolari della clinica. Aggiungo che è grave per Sacconi invocare la convenzione Onu sui disabili: Eluana non è 'disabile', ma in stato vegetativo. Ed è paradossale che si sfrutti la sua infermità e incapacità d'intendere e di volere per sottrarle, in nome dei disabili, un diritto costituzionale, quello d'interrompere i trattamenti sanitari".

Umberto Veronesi ha scritto che il disegno di legge è anticostituzionale e che è meglio non avere alcuna legge che questa legge
"Sono d'accordo con Veronesi su tutta la linea, perché la libertà personale è un diritto non negoziabile".

(29 gennaio 2009)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #3 inserito:: Febbraio 14, 2009, 12:15:13 pm »

Caso Englaro: la verità e le menzogne

di E. Bonino e G. Spadaccia


La lotta contro il tempo per ottenere in fretta l’approvazione della legge che avrebbe dovuto “salvare” Eluana Englaro è stata condotta a suon di insulti e di menzogne. Gli insulti si qualificano da sé e soprattutto qualificano chi li ha lanciati. Alle menzogne invece risponderemo nel convegno «Verità e menzogne a proposito di “eutanasia”, Luca Coscioni, Piergiorgio Welby, Eluana Englaro» (domani, ore 10, al Piccolo Eliseo di Roma) al quale parteciperanno fra gli altri Ignazio Marino, Furio Colombo e Stefano Rodotà.

In attesa che riprenda lo scontro sul merito della legge sul testamento biologico, vorremmo riportare l’attenzione su due argomenti usati contro di noi e che forse non sono stati colti in tutta la loro gravità a causa del concitato clamore politico-mediatico che ha accompagnato gli ultimi giorni di Eluana. Il primo è l’accusa di Berlusconi di essere, noi, degli “statalisti”.

Berlusconi ci ha abituato alle barzellette, però faremmo male se passassimo questa sotto silenzio. Non solo perché in materia di vita e di morte c’è poco da scherzare ma perché questa sortita del Premier s’inserisce nella campagna rivolta ad alimentare l’equivoco che con la legge si voglia attribuire allo Stato un potere sulle nostre vite quando è esattamente il contrario: ciò che si vuole difendere è la facoltà della persona di scegliere se sottoporsi o no ad alcune terapie.

Ma come: Berlusconi, Sacconi, Eugenia Roccella, l’intero governo e la sua maggioranza si propongono di toglierci questo diritto di scelta e d’imporci, non solo in caso di coma irreversibile, idratazione e alimentazione forzata e poi saremmo noi gli statalisti?
E chi sceglierà per noi dal momento che Sacconi ha già annunciato la contrarietà del governo all’indicazione di una persona di fiducia esecutrice della mia volontà?

Il secondo argomento, ancor più grave, è quello che intima al Parlamento e al Diritto di lasciare intorno al malato una “zona grigia” (sono le parole testuali usate da Angelo Panebianco sul Corriere della Sera), in cui a decidere sarebbero la pietà e l’affetto dei familiari supportati, immaginiamo, da qualche centinaio di euro al personale medico o paramedico.
Per l’aborto, prima della legge 194, questa zona grigia è sempre esistita: si chiamava “aborto clandestino”. Nel silenzio e nell’ipocrisia dovremmo ora rassegnarci ad una sorta di “fine vita clandestina”? Papà Englaro ha fatto scandalo proprio perché non ha voluto risolvere nel silenzio e nell’ipocrisia il dramma di sua figlia, perché ha creduto nella Costituzione, nella legge e nel diritto.
Così facendo ha scosso e turbato le nostre coscienze, ci ha obbligato a interrogarci, a scegliere e a dividerci, mostrando a tutti che la contrapposizione non è fra il partito della vita e quello della morte, ma fra chi difende il diritto di autodeterminazione della persona e chi, invece, lo nega.


13 febbraio 2009
da unita.it
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« Risposta #4 inserito:: Febbraio 27, 2009, 12:12:18 am »

«L’atomo non serve. Basterebbe evitare gli sprechi energetici»

di Massimo Franchi


«Non è possibile che una scelta strategica ed epocale come il ritorno al nucleare sia presa a margine di un incontro bilaterale. Nei paesi normali sono in corso dibattiti parlamentari infiniti. Qui Enel ed Edf firmano un accordo con Berlusconi e Sarkozy come padrini senza nessuno che ne abbia discusso». Emma Bonino, vicepresidente del Senato, passava per essere una “pro-atomo”. E invece per lei «questo nucleare» non serve.
Senatrice Bonino, la sua posizione è giunta forse inaspettata. È una delle poche voci contrarie all’accordo di martedì.
«La mia è una posizione ponderata. A luglio abbiamo fatto un’intera giornata di convegno dal titolo “Ritorno al nucleare. Conviene? Risolve?”. Abbiamo messo da parte il tema della sicurezza e delle scorie, non perché non sia importante, ma proprio perché volevamo fare un confronto con esperti, politici e manager favorevoli al ritorno al nucleare. Il tema era molto pratico: costi-benefici. La risposta, anche da parte di chi è favorevole al nucleare, è che la tecnologia nucleare attuale è inefficiente. L’ultimo esempio di centrale in corso di costruzione con la tecnologia francese è in Finlandia. Bene: sono in ritardo di due anni e con un raddoppio del bilancio iniziale. Stiamo parlando di soldi statali».

E allora perché tutti brindano per l’accordo con la Francia?
«Abbiamo fatto solo un favore a Sarkozy, comprando a peso d’oro una tecnologia assolutamente superata. Parlano di una copertura del 25 per cento dei consumi elettrici attuali, ma in realtà sarà del 4% dei consumi totali di energia. Il tutto, ben che vada, per una cifra fra i 20 e 25 miliardi che non darà frutti prima del 2020. Ripeto: non ha senso».

Quindi quello del governo Berlusconi è il solito spot: non vedremo mai nuove centrali nucleari?
«Credo proprio di sì. Sarà difficile trovare siti per costruire nuove centrali, non mi sembra ci sia la corsa a dire: “Fatela da noi”. É un annuncio a futura memoria anche perché i lavori inizierebbero fra anni e anni. Senza dimenticare che il referendum del 1986 potrebbe creare problemi dal punto di vista costituzionale».

La vulgata comune considera però la Francia una nazione all’avanguardia in fatto di fabbisogno energetico...
«Vanno sfatati alcuni miti. Primo, la potenza installata prodotta in Italia con l’energia elettrica è il 30%, ma l’inefficienza fa sì che il prodotto energetico risulti scarso. Secondo, la Francia consuma pro-capite più petrolio ad esempio della Germania. Perché è vero che ci vende energia elettrica nelle ore morte (è sovracapacitata), ma nelle ore di punta la compra dalla stessa Germania. Quindi la Francia non può essere un modello. È cosciente di avere una tecnologia superata e ha tutti gli interessi a venircela a vendere a noi».

Ma quindi lei rigetta tutta la tecnologia nucleare? Non si parla di quarta generazione sicura?
«Io non chiudo alla ricerca. Anzi. Dico solo che questo nucleare non ci conviene. È come se, per favorire la mobilità sostenibile, domani si decidesse di costruire carrozze. Andavano bene nell‘800, non nel 2009. Se in futuro si troveranno tecnologie che faranno del nucleare una energia vantaggiosa e senza rischi, ben vengano».

Ma quali reali alternative ci sono al nucleare?
«L’alternativa c’è ed è puntare sull’efficienza energetica che è la più grande fonte di energia a detta di tutti gli esperti. Significa evitare gli sprechi. La via è quella di un mix di energie rinnovabili: efficienza energetica, solare, eolico e quant’altro la tecnologia odierna può offrire. E poi la ricerca. Un recente studio (The case for investing in Energy productivity) dell’istituto McKinsey, uno dei più accreditati a livello mondiale, spiega come con l’effecienza energetica nella costruzione di edifici si può coprire il 4% del nostro consumo nazionale. La stessa cifra delle centrali nucleari. Questa è la strada da percorrere. E lo si può fare da subito, spendendo molto meno».

mfranchi@unita.it

26 febbraio 2009
da unita.it
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« Risposta #5 inserito:: Marzo 12, 2009, 05:04:08 pm »

Se il mondo scopre la giustizia

di Emma Bonino


Quando la macchina della giustizia internazionale si mette finalmente in moto, magari colmando un vuoto lasciato dalla politica, c’è sempre qualcuno che si erge a difensore dello status quo. Così, pur di non attaccare un dittatore sanguinario, alcuni trovano più facile attaccare il Tribunale penale internazionale. Il fatto che il Tpi, che rappresenta 108 governi, abbia, con prove schiaccianti, incriminato il Presidente sudanese al-Bashir di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità, nei sei anni nei quali ha perseguitato le popolazioni non musulmane del Darfur, non li sfiora neppure. Crimini che hanno provocato più di 300 mila morti e 2,7 milioni di rifugiati.

Anche Gino Strada si unisce al coro, nel fondato timore di non riuscire ad aprire il suo nuovo centro nel Darfur meridionale, fingendo di non vedere l’espulsione di 13 Ong che alleviavano le sofferenze della popolazione quanto la sua Emergency ma accusate di aver collaborato con gli investigatori del Tpi.

È facile lanciare strali contro il Tpi potendo evitare di sporcarsi le mani con la politica. Ma qualcuno deve farlo. Oppure continueremo in futuro ad avere bisogno non di un ospedale ma di dieci, cento, mille ospedali. È la politica la grande assente in quell’area, non il Tpi che ha fatto il mestiere per il quale è stato creato. E agli scettici ricordo che nel 1999, il Tribunale ad hoc per l’ex Jugoslavia chiese l’arresto di un altro Capo di Stato in carica, Slobodan Milosevic. Nonostante in quel momento sembrasse totalmente al sicuro, un anno e mezzo dopo fu arrestato e trasferito all’Aja. Nel 2003, un altro tribunale internazionale incriminò l’allora presidente della Liberia, Charles Taylor, che dovette fuggire e, dopo un breve asilo politico in Nigeria, è ora sotto processo all’Aja.

Quando quelle richieste di arresto furono inoltrate nessuno poteva predire come si sarebbero sviluppati gli eventi. In retrospettiva, è evidente che i loro effetti delegittimanti hanno avuto conseguenze importanti. Oggi al-Bashir, grazie al Tpi, è un paria internazionale; domani, con grande delusione degli stessi scettici immagino, potrebbe finire all’Aja. Ora è alla politica, se c’è, a dover dare un colpo in Sudan. L’articolo 16 dello Statuto del Tpi prevede che l’ordine di cattura possa essere sospeso per 12 mesi rinnovabili per dare tempo e modo di trovare soluzioni altre, come quella di spingere verso un regime change a Khartum oppure di negoziare impegni seri e verificabili. Continuare a colpevolizzare il Tpi è sterile, oltre che facile. Più difficile accusare i governi che continuano ad essere i veri latitanti, anche quando finanziano le Ong.

12 marzo 2009
da unita.it
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« Risposta #6 inserito:: Marzo 31, 2009, 03:53:35 pm »

Bonino: l'intervento di Fini vero evento politico del congresso Pdl
 
 
 
ROMA (30 marzo) - «L'intervento del presidente della Camera, Gianfranco Fini, è stato sicuramente l'evento politico del congresso del Pdl»: lo sostiene, a Radio Radicale, la vicepresidentedel Senato, Emma Bonino, che sottolinea come il suo intervento «lascia il segno di una ipotesi innanzitutto culturale diversa. Non mi riferisco solo alla questione stato etico e stato laico, di enorme rilevanza, ma anche a quella altrettanto rilevante della società del domani e della immigrazione. Questo mi sembra il secondo punto di alterità rispetto a una visione leghista molto forte che porta ad uno scontro di intolleranze».

«L'altro punto - sottolinea Bonino - è quello delle riforme istituzionali, Fini torna con forza sul
bipartitismo e se in qualche modo di presidenzialismo si può parlare va però accompagnato, come in America, da grandissimi equilibri e paletti, si pensi solo ai poteri di controllo del Senato Usa. Segnalo infine il quarto punto dell'intervento di Fini, il meno elaborato fino a questo momento, quello della legalità e dello stato di diritto, delle regole. Sono quattro filoni che fanno sicuramente dell'intervento di Fini l'evento politico del congresso del Pdl».

Quanto alle reazione del Pd alle cose dette da Fini, Bonino sottolinea come «la risposta del Pd non sia stata univoca, perché non è sovrapponibile la reazione negativa di Rutelli o quella più prudente di Franceschini rispetto a quella di D'Alema che ha detto parliamone. A me interessa capire che di presidenzialismi ce n'è di vario tipo, quello americano, ma anche quello venezuelano. Bisogna vedere il sistema di pesi e contrappesi che porta noi Radicali a essere degli americani».
 
da ilmessaggero.it
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« Risposta #7 inserito:: Gennaio 08, 2010, 07:01:59 pm »

Bonino: «Corro anche senza il Pd. Primarie? Non c'è tempo da perdere»

di Andrea Carugati


Una giornata nel limbo, in attesa di una chiamata che non è ancora arrivata, iniziata a Repubblica tv con un’intervista da candidata in pectore alla regione Lazio, e poi sfumata in una lunga serata alla storica sede dei radicali a Torre Argentina, tra sigarette, firme da raccogliere e le torrenziali parole di Marco Pannella. No, il via libera di Bersani non c’è stato, quel «non abbiamo pregiudiziali» è pochino, non è quel mandato pieno che ormai Emma Bonino si aspettava.Bersani ha preso ancora tempo, ieri nessun contatto con il leader Pd.

Ma Emma va avanti lo stesso: «Ci sono delle contorsioni nel Pd, spetta a Bersani risolverle, la palla ce l’ha lui. Qualunque cosa decidano io sono comunque candidata con la lista Bonino-Pannella. Se ci stanno bene, altrimenti amici come prima. Io la mia decisione l’ho presa, mi sono esposta, ho detto “ci sono”. E ci sono». Nessuna retromarcia, tanto che ieri sera a Torre Argentina già si lavorava sul comitato «Emma for president» e sulle firme da raccogliere, «tutte legali, noi non facciamo come gli altri partiti», 11mila solo nel Lazio, 160mila in tutta Italia, «perché le nostre liste ci saranno in tutte le regioni,e il Pd deve dirci se vuole allearsi con noi non solo nel Lazio, ma in tutta Italia». «Noi in Piemonte vorremmo sostenere la Bresso. Ci dicano se ci vogliono...», insiste la Bonino. Confessa di aver deciso di correre nel Lazio per lo «slabbramento», per «il vuoto che ho visto intorno».

Ma le resistenze sul suo nome non mancano. Ci sono vari cattolici del Pd che mugugnano, ma anche a sinistra della coalizione non mancano i mal di pancia. Ieri alla riunione del Pd del Lazio in tanti, di varie anime (da Roberto Morassut a Ileana Argentin alla sinistra di Vita e Nerozzi), hanno chiesto le primarie. «Non ci stiamo coi tempi», replica lei. «Si vota a marzo di quest’anno, non del prossimo...». Solo una battuta, ma che la dice lunga: è molto difficile che la Bonino accetti di confrontarsi ai gazebo. Oggi l’incontro tra la leader radicale e una delegazione del Pd del Lazio (ci sarà anche Maurizio Migliavacca) per sbloccare l’impasse. Poi c’è la “questione cattolica”. «Forse sono i clericali e i bigotti ad avere qualche problema. Le nostre battaglie, come aborto e divorzio, le abbiamo vinte grazie al voto dei credenti, a un sentire comune sui temi della libertà e della responsabilità».

E la Binetti che minaccia di lasciare il Pd per protesta contro di lei? «A me non è mai venuto in mente di dire “o io o la Binetti”, non mi passa per l’anticamera del cervello. È un modo di vivere la politica che non mi appartiene per niente». Un sostegno di peso le arriva da Franco Marini, padre nobile dei cattolici Pd: «La Bonino è una candidatura forte, non vedo alcun problema. E poi non stava con noi già nel 2008?». E i dubbi a sinistra? «Ho fatto lealmente parte del governo Prodi e avevo come collega ministro Ferrero», risponde lei. Si definisce una figura «aggregante, la mia storia lo dimostra», e, dati alla mano, «capace di pescare consensi anche a destra». «L’Istituto Cattaneo ha dimostrato che, alle ultime europee, i flussi di voti verso i radicali sono venuti più da destra che da sinistra, da un elettorato che non si ritrova nelle posizioni della Lega».

Le incertezze di queste ore non le piacciono, le ricordano i riti della vecchia politica, della partitocrazia che tanto ha combattuto. E si rivolge a tutti gli elettori: «La degenerazione dello stato di diritto e della democrazia riguarda tutti, la mia candidatura è un’alternativa e un’opportunità». A chi le chiede dei programmi risponde con il menù tradizionale della bottega radicale: carceri, ammortizzatori sociali, stato di diritto, integrazione rigorosa degli immigrati, famiglia e trasparenza della pubblica amministrazione. Alla Polverini, nonostante il fair play, prende le subito le misure. A partire dal nucleare. «Io faccio una scelta di campo differente, per me non porta vantaggi sul lato dei costi-benefici».

Poi c’è tutta la questione delle nomine in Regione: «L’unico strumento efficace per me è la trasparenza, l’indipendenza delle giurie sulle gare d’appalto, rendere pubblici i curriculum dei componenti delle gare aggiudicatrici». No al quoziente familiare, uno dei pilastri dell’accordo Udc-Polverini: «Mi sembra uno strumento per inchiodare ancora di più le donne a casa». Una stoccata a «Renata» anche sul suo supporter Storace: «È lui che ha fatto ereditare una voragine finanziaria spaventosa alla Regione Lazio, 10 miliardi di debiti». Ma anche a sinistra c’è un’eredità pesante...«La vicenda Marrazzo ha dato un duro colpo al centrosinistra, non sarà una partenza facile...».

Sui temi etici nessuna marcia indietro, anzi. «Sulla vita ci deve essere una libertà di scelta personale, non c’è nulla di estremista nel dirlo, mia madre che è cattolica mi ha insegnato il libero arbitrio». Parole nette anche sulle coppie di fatto: «Ognuno organizza i propri affetti come può. Non dare un riconoscimento alle coppie di fatto che vivono insieme, etero e omosessuali, è non voler riconoscere i diritti della persona e soprattutto un’evoluzione della società, che c’è ed è sotto i nostri occhi. È come chi non vuole riconoscere la necessità di una politica di integrazione per gli immigrati».

Due stoccate all’Udc: «Molti di loro di famiglie ne hanno tre. L’ipocrisia deve avere qualche limite». E ancora, sulle alleanze: «Credo che molte delle contorsioni del Pd dipendano dalle geometrie variabili dell’Udc, un meccanismo un po’ opaco. A Casini vorrei chiedere: perché sostiene Mercedes Bresso e non me?».

08 gennaio 2010
DA unita.it
« Ultima modifica: Gennaio 29, 2010, 03:48:27 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #8 inserito:: Gennaio 08, 2010, 11:45:01 pm »

Lazio, prove d'intesa Bonino-Democratici

di ma.ge.


«Per tre mesi abbiamo detto che Zingaretti era l'unico candidato e che senza Udc non vincevamo e ci siamo ritrovati senza Zingaretti e senza Udc», si sfoga un dirigente locale del Pd per raccontare il clima di disfatta che aleggia sui democratici del Lazio. Un empasse nella ricerca del candidato da contrapporre a Renata Polverini nel Lazio, di cui la candidatura di Emma Bonino sembra essere insieme effetto ed epilogo.

«Il Pd esca dal limbo e appoggi la Bonino», spinge Ignazio Marino, con Michele Meta. Mentre Di Pietro incalza: «Abbiamo preso atto che si candida Emma Bonino, ma non abbiamo capito se la sua candidatura si propone come espressione della Lista Bonino - Pannella o dell'intera coalizione».

La risposta per ora recita: «Il Pd regionale apprezza la candidatura di Emma Bonino alla presidenza della Regione Lazio e a breve la incontrerà per discutere le modalità di un'eventuale intesa sul suo nome». Così fa sapere il segretario regionale Alessandro Mazzoli, che prova a riprendere le fila del discorso, dopo l'uno-due della candidatura Bonino seguita dal mandato esplorativo a Zingaretti. E fissa l'ormai sempre più probabile “incoronazione” per martedì 12 alle 17,00, presso l'Aran Hotel di via Mantegna.

Ma nel frattempo di cose ne possono succedere tante. «A nostro parere, Emma Bonino non è il punto di sintesi e di identificazione di una coalizione cosi articolata e plurale com'è il centrosinistra del Lazio», prova a mettere i bastoni fra le ruote un pezzo dell'ala cattolica che fa capo a Giorgio Pasetto, che avverte: «Il dissenso non è confinato in una sorta di obiezione di coscienza di alcuni cattolici impegnati nel Pd». Un'ala di cui fa parte Michele Marini. Ma con cui neppure il cattolico Franco Marini è d'accordo. Ma quale emorragia di voti cattolici: «Noi votiamo per dare un buon presidente alla regione Lazi e la Bonino ha tutte le caratteristiche di preparazione e impegno, come donna di governo e a livello europeo per essere uno straordinario presidente della regione Lazio», assicura.

Ma anche fuori dell'ala cattolica, nel Pd continuano ad agitarsi i malumori. Persino tra gli entusiasti della Bonino. «È giusto tenere conto delle perplessità, ma quella della Bonino è una candidatura che nel giudizio comparativo può convincere anche i cattolici», ribatte il pur cattolico Stefano Ceccanti. E però anche lui ha da ridire, sul metodo. Perché «se il Pd rinuncia alle primarie, regola chiave della sua Costituzione materiale e formale, e la subordina agli alleati, è chiaro che finisce in un vuoto di regole che lo rende subalterno a chi esercita per primo un'iniziativa politica», osserva facendosi a sua volta portavoce di una perplessità non proprio peregrina.

«Il Pd come principale partito della coalizione ha il dovere di verificare fino in fondo candidature di suoi esponenti e di sottoporle agli alleati», avverte il veltroniano Roberto Morassut. L'ala franceschiniana continua a chiedere le primarie: «La candidatura di Emma Bonino è una candidatura di indubbia forza ma proprio per questo non può essere vissuta come un'emergenza e deve comunque rappresentare la natura di una coalizione come quella del centrosinistra composta di diverse identità e culture politiche e con una cultura sociale molto radicata nel mondo del lavoro oltre che dell'impresa». «Guidare il centrosinistra nel Lazio e portarlo alla vittoria richiede un messaggio di grande respiro e a volte anche la capacità di attenuare le proprie specifiche identità».

08 gennaio 2010
da unita.it
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« Risposta #9 inserito:: Gennaio 29, 2010, 03:49:00 pm »

Rivoluzione radicale

di Denise Pardo

Più trasparenza. Regole in stile europeo. Rilancio del turismo. Sanità sul modello Toscana.

La Bonino anticipa il suo programma e spiega come punta a conquistare il Lazio
 

Mercato Casal de' Pazzi, Roma, Lazio, banco macelleria, il titolare si fa largo tra polli ruspanti e quarti di bue: «Ragazzi, eccola: magica Emma!». Mercato di Porta Portese, Roma, baci, abbracci, per tutti è solo Emma. Nessuna macchina blu, anche se è vice presidente del Senato, dunque ne avrebbe diritto, scende da un taxi come una qualunque, serena come chi passeggia in vacanza. È vero che Bonino, ex ministro, ex commissario europeo, ex eurodeputata, ex professore emerito all'Università del Cairo, da radicale di razza è abituata a battaglie ben più feroci. Ora si sta giocando la partita più significativa delle regionali: quella del Lazio.

E fosse solo la designata dei radicali. No, si è miracolosamente materializzata come la candidata del centrosinistra dell'ultim'ora avvelenando l'aria di vittoria che si respirava dall'altra parte, quella di Renata Polverini, per tutti già presidente in pectore. Uscita come un coniglio dal cappello di un Pd in piena lotta fratricida e incapace di trovare un candidato con i quattro quarti democratici, la variabile imprevista Emma avanza, incurante dei malumori dei cattolici, dei timori dei poteri forti, degli anatemi dei nemici.
Lei si è auto candidata... «Alt. Non sono un'autocandidata. E nemmeno un'apolide. Sono la candidata della lista Bonino-Pannella che sarà pure un partito piccolo, ma ha decenza e dignità, oltre a essere il più antico d'Italia. Poi il centrosinistra ha deciso di appoggiarmi. Gli sono gratissima e mi auguro che si riconoscano in questa scelta anche moltissimi elettori di centrodestra».

In questa città e in questa regione, lei è molto lontana dai poteri forti. Per esempio, rapporti con i costruttori, con il re Caltagirone?
«Caltagirone? Gentilissimo. L'ho conosciuto un mese fa alla cena per la raccolta fondi contro la mutilazione genitale femminile organizzata da Anna Fendi, una donna che mi è sempre stata vicino. Ha partecipato con calore, mi ha aiutato a battere due volte l'asta di una bicicletta. Come dice? Ah, sì forse non è Franco, quello del "Messaggero". No no, io ho conosciuto Francesco, il proprietario dell'Acqua marcia, davvero molto gentile. Costruttori, mi spiace, al momento non ne conosco».

Nessuna relazione con il Vaticano, distanza con i cattolici...
«Ho rapporti forti con tantissimi preti e suore in Italia e in tutto il mondo e anche con una larga parte dell'area del volontariato. Ho incontrato un solo papa, Giovanni Paolo II in occasione della campagna sulla fame nel mondo. Ma legami con l'establishment della Chiesa, zero. Questo vuole anche dire che loro non ne hanno con me. Nessuno dei due, a quanto pare, ha mai ritenuto l'altro interessante».

Paola Binetti, Rosy Bindi e altri invocano attenzione per il voto cattolico.
«Ogni elezione c'è l'evergreen del voto cattolico. I suoi paladini, proprio loro, ne parlano come fosse un pacchetto da mandare qua o là. Ne ho più rispetto io di loro perché penso siano cittadini con un credo capaci di fare le loro scelte. Dall'obiezione di coscienza al divorzio, dall'aborto al voto ai diciottenni, le grandi riforme di questo Paese, che non è musulmano che io sappia, sono state possibili perché nonne e nonni cattolici, credenti e praticanti, hanno ben capito che, in un paese civile "io non lo farei" non può diventare "tu non lo devi fare"».

Nei suoi confronti Giuliano Ferrara sul "Foglio" ha rinverdito i toni dell'Inquisizione, odori di rogo e fumi di zolfo e lei come Satana.
«Mi sembrano segni di debolezza sguaiati. Travasi di bile che hanno del patologico. Questo tipo di armi non porta mai bene a chi le usa». È credente? «No. Lo sono a modo mio. Non sono cattolica nel senso delle credenze. Il mio amico iraniano, lo scrittore dissidente Ramin Jahanbegloo, diceva che il problema non sono le credenze, ma l'utilizzo che uno fa delle proprie credenze».

Due donne in corsa per la stessa poltrona. Una campagna elettorale al femminile dovrebbe segnare la differenza. Ma Renata Polverini l'ha attaccata addirittura sulla sua nascita a Bra. Se l'aspettava?

«Io speravo, spero che i toni siano altri. Con lei ci siamo anche sentite per concordare i faccia a faccia. Ma, detto questo, non sono tra chi pensa che basti essere una donna per essere migliore. Né ho mai creduto nella "sorellanza femminile". Sin dall'inizio, ho immaginato che tra noi c'era una buona chance di
correre all'insegna della correttezza. Spero di non essermi sbagliata».

Gianni Alemanno ha scalato il Campidoglio puntando sulla sicurezza. Il punto forte della sua campagna?
«Portare il Lazio in Europa e l'Europa nel Lazio. Adottare le buone pratiche europee. Aumentare il turismo attraverso accordi con i freddi paesi nordici per i quali il Lazio ha un clima tiepido nei mesi invernali. Ma la cifra forte del mio programma è la trasparenza in tutti i settori dell'amministrazione: i trasporti, la viabilità, l'ambiente, i rifiuti, l'impresa e il mondo del lavoro. Senza, credo sia impossibile recuperare la fiducia e il consenso popolare. I cittadini del Lazio credono che non ci siano alloggi. Non è vero e sono in pochi a saperlo. Credono che non ci siano abbastanza posti letto o ambulatori e anche questo non è vero. Il nodo sta nella nebbia, tipicamente italiana, del sistema».

Cosa intende?
«Come altre regioni, il Lazio ha un'amministrazione così farraginosa da diventare opaca. In tutto, gestisce 26 miliardi. Il problema non è l'entità, da commissario europeo ho amministrato somme ingenti, è la montagna di vincoli: lo sa che il regolamento interno ha 500 articoli? Vuol dire che nessuno li ha mai letti, e anche che nessuno può riuscire a leggerli. E bisogna ricordare che l'amministrazione Marrazzo ha fatto miracoli dopo aver ereditato dalla giunta Storace un debito di 10 miliardi certificato dalla Corte dei conti. La sanità non ne parliamo: impenetrabile è dir poco. Non ci sono servizi sociali a domicilio, non c'è un consultorio telefonico per capire a chi rivolgersi. Per legge, gli ospedali pubblici attraverso il centro prenotazioni devono dare il 70 per cento di disponibilità di servizi. È un miracolo se si arriva al 30. Le cliniche private convenzionate non hanno quest'obbligo e alla fine tutto funziona solo attraverso raccomandazioni. Io vorrei più salute e meno sanità».

Attacchi molto pesanti le sono arrivati dai giornali di proprietà della famiglia Angelucci che ha i suoi interessi maggiori nel campo della sanità. Li conosce?
«Non li conosco. Penso che bisognerebbe far rispettare il tetto del 70 per cento, chiedendo per legge anche la disponibilità alle cliniche private. In pratica, la trasparenza della mappa dei posti letto. Al di là dei tecnicismi, vuol dire che gli Angelucci, proprietari di cliniche private, hanno il terrore che tutto si renda pubblico. Per risanare non bisogna essere Amartya Sen. Senza essere esotici, basta copiare quello che si è fatto, per esempio, in Toscana».

Parliamo di Partito democratico, il matrimonio sembra ancora in alto mare.
«Io sono Emma, radicale. Loro sono il Pd. Io ho i miei guai, loro hanno i loro. Non mi sono iscritta al Pd, né loro ai radicali. È una fase e spero che lavorare insieme faccia superare stereotipi e mugugni, che non sono sulla persona ma sui problemi interni sui quali non intervengo».

Due mondi diversi che ora devono per forza incontrarsi. Lei è per il liberismo e il mercato, loro solidali con sindacati e ammortizzatori sociali.
«I radicali e il Pd mica si sono conosciuti adesso. Due anni di lavoro parlamentare insieme, due anni di governo con Pier Luigi Bersani e con lui mi sono sempre trovata d'accordo. Chi ha detto che una visione einaudiana o liberale non preveda reti di protezione sociale? La questione non è la cassa integrazione in deroga, finché c'è si usa, ma il fatto che siamo nel 2010 e gli strumenti creati nel 1970 andrebbero adeguati».

La comunicazione è sempre stata un pezzo forte dei radicali. Gli altri facevano comizi, voi digiunavate e vi imbavagliavate. Che campagna sarà la sua?
«Mi piacerebbe che fosse interattiva. Che tutti quelli che ci credono ci mettano qualcosa di loro, diano di sé quello che possono, lo manifestino su Internet, con un volantino sul finestrino di una macchina, con una bandiera sul balcone. La sfida è far ridiventare la gente cittadina orgogliosa e consapevole delle sue scelte». In giro, le persone la salutano come una di casa, come qualcuno fuori casta. «In carcere, per strada o presiedendo il Senato, non cambio. Mi sembra che la gente percepisca che sia in corso qualcosa di importante in cui si identifica indipendentemente se abbia condiviso o no le mie iniziative. Una scelta coraggiosa: questo è stato il commento più usato dai miei colleghi di destra o di sinistra. Immagino pensassero alle dinamiche tipiche, in cui ti candidi solo se c'è un accordo solo se sei tutelato o cooptato...».

Dalle parti del Pd si dice anche: con le polemiche in corso non era meglio evitare di candidare tra i radicali un eretico come Tinto Brass?
«Si poteva evitare tutto, anche di appoggiarmi. Chi mi critica poteva anche presentare qualcun altro, peccato che non c'era. Brass si è candidato con noi a Venezia nei tempi più bui, perché non dovrebbe farlo adesso? Nella vita, esistono convinzioni e convenienze. Per me contano di più le prime delle seconde».

(27 gennaio 2010)
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/rivoluzione-radicale/2119953//1
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« Risposta #10 inserito:: Dicembre 07, 2010, 03:51:53 pm »

7/12/2010

L'euro si salva se esiste anche l'Europa

EMMA BONINO*

Caro direttore, in un clima da penultima spiaggia, i ministri delle Finanze dell'Ue preparano il Consiglio del 16 dicembre che avrà all'ordine del giorno varie proposte di ingegneria finanziaria.

Tutte alla ricerca dello stesso effetto: calmare i mercati. Funzionerà? Servirà a toglierci dai guai? Eppure, se facessimo lo sforzo di sollevare per qualche istante lo sguardo per osservarci da fuori, scopriremmo che l'area dove viviamo non solo è una delle più ricche del mondo, ma gode anche di una discreta crescita post-crisi, distribuisce più equamente che altrove il reddito che crea, non ha contratto debiti impossibili da ripagare e mantiene col resto del mondo conti in sostanziale equilibrio.

Quest'area, l'area dove viviamo, è l'eurozona. Certo, la Cina e l'India crescono a un ritmo più serrato, ma ci vorrà ancora parecchio tempo prima che il tenore di vita dei loro cittadini raggiunga il nostro. Non c'è nemmeno ragione d'invidiare il Giappone, la cui economia ristagna da quasi vent'anni e il cui debito pubblico è due volte il pil. O gli Stati Uniti, con i loro assai più marcati squilibri interni (distribuzione della ricchezza) ed esterni (bilancia dei pagamenti).

Insomma, se solo riuscissimo a vederci come un tutto, come un insieme, la nostra percezione di noi stessi, abitanti dell'Unione Europea - e dell'eurozona in particolare - sarebbe assai più serena. E ci sembrerebbe assurdo che qualcuno possa mettere in discussione la sopravvivenza della nostra moneta, l'euro.

Ma, appunto, il problema è che non siamo un unico politico e i mercati lo vedono bene: non si "calmano" per questo e non, come si tende a credere, per la "troppa" diversità tra Paesi europei che pure esiste.

Ma se si guarda agli spread sugli strumenti di assicurazione dei titoli pubblici (credit default swaps), la California e l'Illinois sono più a rischio di fallimento del Portogallo e della Spagna. Eppure i conti della California e dell'Illinois non minacciano l'unione monetaria cui appartengono, mentre quelli del Portogallo e della Spagna sì. E il motivo di questa situazione paradossale, è solo e soltanto politico: nessuno si sogna di mettere in discussione l'unità politica degli Stati Uniti, mentre l'unità politica dell'eurozona e dell'Unione europea ancora non c'è.

Unità politica vuol dire avere, oltre a una banca centrale - quella l'abbiamo anche noi - anche un Tesoro che amministra un bilancio federale di dimensioni sufficienti a stabilizzare il sistema quando c'è bisogno, aiutando gli stati in difficoltà con la manovra fiscale - eventi ordinari cui nessuno presta particolare attenzione, diversamente dai nostri continui vertici e dai nostri roboanti annunci di questa o quella manovra di stabilizzazione che, a quanto pare, non stabilizza mai niente.

Per uscire davvero da questa crisi, per stabilizzare davvero l'euro, l'Europa deve dunque affrettarsi a convincere i mercati e il resto del mondo che la sua unità politica non può essere messa in discussione. E l'unico modo per farlo è muoversi subito per renderla più credibile, approfondendola.

Come? Per esempio creando un bilancio federale al servizio di vere funzioni di governo, che finanzi la fornitura di beni pubblici importanti, come la difesa, la diplomazia, i grandi programmi di ricerca scientifica, le reti infrastrutturali trans-europee, la sicurezza dei traffici commerciali e delle persone sul modello della home security americana.

Non stiamo parlando del mostro che turba i sonni degli euroscettici britannici - il Superstato europeo. Al contrario stiamo parlando di una Federazione leggera, che assorba non più del 5% del pil europeo per assolvere alle funzioni di governo cui abbiamo accennato - contro il 20% circa del pil che va al bilancio federale statunitense e contro l'1% dell'attuale bilancio comunitario che serve solo a distribuire sussidi a destra e a manca. Incidentalmente, il 5% del pil europeo corrisponde a circa 650 miliardi di euro, più o meno l'ordine di grandezza dell'attuale fondo di stabilizzazione.

Lo sforzo di immaginazione richiesto agli europei per creare una Federazione leggera è quello del federalismo di Spinelli, Monnet e Adenauer adattato al XXI Secolo, un approccio che prenda semplicemente atto della realtà: che gli eserciti nazionali in Europa non hanno più alcun senso, visto che nessuno minaccia alcuna integrità territoriale; che certa scienza ha bisogno di una scala che nessuno Stato nazionale europeo può più assicurare; che le reti infrastrutturali esistono già a supporto del mercato interno ma le finanziamo male, a pezzi e bocconi, ciascuno per conto suo; che l'unione doganale è già una competenza esclusiva dell'Unione di oggi ed è ridicolo affidarla a 27 diverse organizzazioni nazionali distinte e separate.

Un federazione, dunque, ma una Federazione leggera. Se avessimo il coraggio di farla ora, subito, i mercati e il mondo avrebbero non solo il segnale chiaro e forte che la nostra unità politica non è in discussione, ma saprebbero anche che abbiamo finalmente un bilancio federale di dimensioni sufficienti a rendere la stabilizzazione macroeconomica dell'Europa una faccenda d'ordinaria amministrazione.

Poco dopo il lancio del progetto di Jacques Delors sul mercato unico, il rapporto Cecchini documentò "i costi della non Europa", quelli che derivavano dal persistente frazionamento del mercato europeo lungo linee nazionali. E poiché erano davvero alti, l'idea di Delors ne ricevette grande impulso.

Oggi non c'è bisogno di un rapporto di esperti. I costi della non Europa sono sotto gli occhi di tutti, nei gravissimi e perduranti sacrifici richiesti ai nostri concittadini - un freno all'economia europea nel suo complesso - e nell'inutile convivenza con gli angosciosi dubbi sul futuro dell'euro e dell'intero progetto europeo. Fugarli è non solo urgente. È anche pienamente nelle nostre possibilità.

*vicepresidente del Senato

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