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Autore Discussione: Gli splendori e il buio Iraq  (Letto 2598 volte)
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« inserito:: Giugno 28, 2007, 05:47:13 pm »

Gli splendori e il buio Iraq
Gianni Marsilli


Se non ci fosse stato l’Iraq, con ogni probabilità non staremmo qui a tentare sintetici bilanci di dieci anni di blairismo, perché lui, Tony Blair, sarebbe ancora al suo posto. E se per caso se ne fosse andato, costretto dalla naturale usura del potere o dall’impazienza irrefrenabile di Gordon Brown, l’evento sarebbe stato salutato da toni certamente più celebrativi, fortemente ispirati ad una precoce nostalgia per la «golden age» che l’uomo ha saputo generare e incarnare.

Se non ci fosse stato l’Iraq, l’epoca d’oro detta blairismo potrebbe più legittimamente ambire al ruolo di esperienza di governo esemplare per le sinistre di tutto il mondo. Per alcune di esse sarebbe stato un «totem polemico», ma per molte altre l’indicazione salutare di una strada di realismo e modernità.

Se non ci fosse stato l’Iraq ci sono cose che nel consuntivo di dieci anni di governo brillerebbero come gioielli. I primi tre anni, per esempio, quando la ditta Blair&Brown aveva un obiettivo preciso: far scordare la faciloneria degli ultimi esecutivi Old Labour, la finanza allegra con i soldi dei contribuenti, l’immagine di gestori romantici ma disastrosi. Il rigore di bilancio fu la parola d’ordine del New Labour tra il ’97 e il 2001. I conti tornarono a posto, e fu così che si ricreò una base di fiducia nelle capacità e nell’efficienza della sinistra. Erano gli anni in cui Gordon Brown diceva: «I prestiti si contraggono soltanto per investire».

Fu quello che fece nel quinquennio successivo, allargando i cordoni della Borsa e rilanciando la spesa pubblica con un obiettivo di fondo: creare occupazione. Nel 2000 la spesa pubblica costituiva il 37,5 per cento del prodotto interno lordo, nel 2006 ne è stata il 45,4.

Lo slancio fu caratterizzato da una filosofia basata sull’«etica del lavoro». Meno assistenza, più posti di lavoro. Meno rigidità, più flessibilità del mercato del lavoro. Si licenzia con facilità, ma si assume con grande disinvoltura. La disoccupazione oggi in Gran Bretagna è marginale, e molto spesso provvisoria. Il sistema Paese è in moto, gira a regime. L’«etica del lavoro» l’ha presa in prestito Nicolas Sarkozy, dopo che i socialisti l’avevano svalutata con le 35 ore, e ne ha fatto l’asse della sua campagna elettorale, e sappiamo com’è andata a finire.

Se non ci fosse stato l’Iraq, Tony Blair potrebbe sbattere sul tavolo con legittima insolenza l’assunzione di 200mila insegnanti, di 70mila infermieri, di 20mila medici, e prestarsi con un sorriso di compatimento ai paragoni con Francia e Germania. Potrebbe sventolare le cifre che testimoniano che in dieci anni il bilancio della sanità è triplicato. Che negli ultimi anni per sanità, trasporti, educazione lo Stato ha speso ogni anno il 4,4 per cento in più, e che la metà dei posti di lavori sono stati creati nel settore pubblico. Potrebbe dire con orgoglio per nulla abusivo che i soldi pubblici servono ormai per aiutare i meno fortunati. Che il mercato ha una sua sostanziale autonomia, e che lo Stato si riserva di inquadrarlo. Che è vero che la distanza tra ricchi e poveri non cessa di aumentare, ma è altrettanto vero che la quota dei secondi si è di molto ristretta, e che quella dei primi si è allargata a dismisura.

Se non ci fosse stato l’Iraq, sarebbero molto più numerosi coloro che credono nello sguardo diretto di Tony Blair, sempre diritto negli occhi, nella sua franca e vigorosa stretta di mano, nei suoi passionali discorsi, nelle sue rivendicazioni di sincerità, anche nell’errore. Ammirerebbero, invece di sospettarne, il modo in cui ha fatto suo il vecchio detto americano, messo impareggiabilmente in pratica da Bill Clinton: «You campaign in poetry but you govern in prose», sii poeta quando fai campagna ma prosaico quando governi. Prenderebbero a modello politico-elettorale la chiarezza estrema del suo perenne obiettivo, in società come quella britannica e quelle più generalmente europee, fornite di classe media: conquistare la fiducia del centro, e poi consolidarla, e riconquistarla ancora, sapendo che altrimenti è la destra a vincere. Perché la destra è inefficiente e crudele, mentre il Labour dev’essere «caring», preoccupato, attento ai deboli, e competente.

Gli perdonerebbero facilmente anche le umane debolezze: l’ipersensibilità mediatica, o l’attrazione per le ville delle rockstar alle Bahamas. Ah, se non ci fosse stato l’Iraq e la sua notte nera, dove tutto si è confuso e amalgamato, bushismo e blairismo.



Pubblicato il: 28.06.07
Modificato il: 28.06.07 alle ore 9.34   
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