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Autore Discussione: Maria Serena Palieri Il Lingotto sul vulcano dei sessant´anni di Israele  (Letto 2375 volte)
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« inserito:: Febbraio 03, 2008, 07:36:01 pm »

Il Lingotto sul vulcano dei sessant´anni di Israele

Maria Serena Palieri


La prima miccia non l´ha innescata uno scrittore arabo, ma uno israeliano. E non l´ha accesa contro la nostra Fiera del Libro, che si terrà a Torino in maggio, ma contro il Salon du Livre, che si terrà prima, in marzo, a Parigi. Il 12 dicembre il sessantanovenne Aharon Shabtai, teorico della «Poesia come Resistenza», con una lettera inviata al quotidiano Haaretz, ha rifiutato l´invito a partecipare al drappello di quaranta romanzieri, saggisti, poeti - dai «padri» Aharon Appelfeld e Avraham Yehoshua ai «figli», giovani come Eshkol Nevo e Orly Castel-Bloom - che, dal 23 marzo, rappresenteranno Israele in un Salon che l´ha scelto, quest´anno, come Paese ospite d´onore. «Non penso che uno Stato che ha in corso un´occupazione, commettendo quotidianamente crimini contro i civili, meriti d´essere invitato a una settimana culturale, quale che sia. Questa è anticultura; è una barbarie travestita, con cinismo, da cultura» sono le parole usate da Shabtai. Il Salon l´ha depennato e, per ora, sembra procedere senza scosse verso la realizzazione del suo programma, con i 39 scrittori israeliani rimasti.

A meno che ciò che succede da noi, di qua dalle Alpi, non produca effetti, come un ping pong, anche di là. Ovvero, la polemica sulla presenza di Israele, «nel sessantennale della sua nascita», come ospite d´onore appunto dopo, a maggio, al Lingotto. Le parole tra virgolette vanno tenute da conto. Perché si direbbe sia questa enfatizzazione della ricorrenza ad aver dato la stura a una querelle che, cominciata in sordina (ne demmo conto su queste pagine nove giorni fa) va deflagrando, a livello mediatico e ora anche come argomento di lotta tra i partiti. «Un piccolo gruppo palestinese e il direttore della Rinascita»: così il direttore della Fiera, Ernesto Ferrero, identificava con noi, la settimana scorsa, gli agitatori. Ma, da questa marginalità, la polemica è passata appunto a intellettuali di primo piano: l´invito a boicottare la Fiera è stato rivolto prima da Ibrahim Nasrallah, scrittore palestinese, poi dall´associazione degli scrittori giordani, un intervento di fuoco si deve a Suad Amiry, la fortunata autrice palestinese di Sharon e mia suocera, invitata al Lingotto per «Lingua madre» e il cui nome Ferrero brandiva invece come una bandiera di pace, e il «boycott» è diventata parola d´ordine, da ieri, anche di Tariq Ramadan, in Occidente il più influente (e discusso) intellettuale islamico. Di converso, s´è speso sempre ieri Tahar Ben Jelloun invitando, invece, al dialogo. Ma la disputa s´allarga in altri territori. Rifondazione comunista, in Piemonte, si allinea con i Comunisti italiani e chiede che Mercedes Bresso, presidente di turno della Fiera, con il sindaco Chiamparino, riveda la scelta di «invitare Israele come Stato». Ciò che non si perdona alla Fiera è appunto di celebrare il sessantennale della nascita di Israele. E senza mostrarne l´ombra, cioè la «Nabka», la «catastrofe» che ne è derivata per i palestinesi. Si direbbe sia per questo, per aver sottolineato l´anniversario, che Torino, e non Parigi, venga presa di mira da quella parte di intellettualità araba.

La Fiera, per Torino e il Piemonte, è un grande evento: culturale, di immagine, economico. Il sindaco Chiamparino, rispondendo indirettamente a Comunisti Italiani e Rifondazione, ieri ha parlato di «un fondamentalismo politico, prima ancora che religioso» che avanza. Franzo Grande Stevens, presidente della Compagnia di Sanpaolo (fra i principali sponsor della Fiera), negli ultimi giorni aveva alluso, preoccupato, a un clima «intollerabile, simile a quello del 1939». Perché, sia preveggenza o forzato sillogismo, torna l´equivalenza: critica a Israele uguale antisemitismo. Alla vigilia del consiglio di amministrazione convocato per martedì, i due responsabili della Fiera, con Ferrero il presidente Rolando Picchioni, ribadiscono che il programma resta uguale ma articolano la posizione e scrivono, in una lettera aperta, che «gli anniversari sono semplicemente l´occasione per riflettere su vicende drammatiche che ci riguardano tutti».

Nell´era della comunicazione globale sembra che, in Italia, sia la comunicazione a provocar disastri. Sarebbe stato meglio se, la faccenda del sessantennale, l´avessero messa così fin dall´inizio. Ricordando, magari, che, se c´è una narrativa critica verso la propria classe politica, tormentata dal tema della coesistenza pacifica dei due popoli, martirizzata da quest´aspirazione al dialogo - un nome? David Grossman - è quella israeliana.

Pubblicato il: 03.02.08
Modificato il: 03.02.08 alle ore 11.39   
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