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« inserito:: Luglio 12, 2025, 01:01:11 pm » |
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Marco M. Freddi
ELENA BASILE E FRANCESCA ALBANESE: QUANDO LA CRITICA DIVENTA IDEOLOGIA, E LA SINISTRA SMARRISCE IL SENSO DELLA REALTÀ Nel panorama del dibattito pubblico italiano e internazionale, due figure emergono con una costante: una critica assoluta, ideologica e selettiva nei confronti dell’Occidente. Elena Basile, ex ambasciatrice e oggi editorialista del Fatto Quotidiano, e Francesca Albanese, relatrice speciale dell’ONU per i territori palestinesi, condividono un’impostazione che le rende — pur partendo da ruoli e contesti diversi — parte del problema e non della soluzione, tanto nella guerra in Ucraina quanto nel dramma israelo-palestinese. Entrambe, con toni diversi ma convergenti, attribuiscono all’Occidente ogni responsabilità, rimuovendo o minimizzando le colpe di regimi oppressivi come quello iraniano, russo o delle milizie fondamentaliste attive in Medio Oriente. L’Occidente è sempre il colpevole: per il colonialismo, per l’imperialismo, per l’ipocrisia morale. I BRICS — scrive Basile — rappresentano un “schiaffo morale” all’Occidente. La guerra in Ucraina? Una reazione, se non giustificabile, almeno spiegabile, di Putin contro la NATO. Israele? Uno Stato coloniale che merita solo condanna. Non si salva nulla, se non l’“asse della resistenza”, ovvero Iran, Hezbollah, Hamas, Houthi: attori armati e autoritari, che vengono presentati come risposta al dominio occidentale. Ma dove porta questa narrativa? A un appiattimento ideologico che impedisce ogni capacità di leggere la complessità. L’Occidente viene condannato non per ciò che fa o non fa, ma per ciò che è: una civiltà da smontare. Il rischio è enorme, perché dall’odio ideologico non nascono né pace né giustizia, ma solo nuove guerre e nuove ingiustizie. ED È QUI CHE LA SINISTRA DEMOCRATICA DI GOVERNO DEVE TRACCIARE UNA LINEA DI DEMARCAZIONE NETTA. Non si può, in nome di un generico “anti-imperialismo”, diventare complici della retorica antioccidentale che oggi alimenta le derive autoritarie in Medio Oriente, in America Latina, in Asia. Non si può, come fanno gli esponenti di Potere al Popolo o nostalgici movimenti comunisti limitrofi o al Movimento 5 Stelle, abdicare al senso della realtà in nome dell’ideologia. E non si può neppure, come fa troppo spesso una parte dell’opinione pubblica progressista, adottare una doppia morale: giustificare le repressioni iraniane, minimizzare i crimini russi, tacere sul fondamentalismo islamico, e poi ergersi a paladini della giustizia quando è l’Occidente a sbagliare. La sinistra democratica deve leggere la complessità, riconoscere la pluralità delle responsabilità, difendere i diritti umani sempre, non a giorni alterni, e sapere che la democrazia, per quanto imperfetta, è il terreno su cui si costruisce la giustizia. Se si vuole la pace, bisogna volere anche la verità. E la verità — scomoda per tutti — è che non si combattono le ingiustizie sostenendone altre. Sì, l’Occidente ha colpe. Sì, Israele ha gravi responsabilità. Ma non c’è pace nel giustificare regimi teocratici, fondamentalisti o dittatoriali, solo perché si oppongono all’“Occidente cattivo”. C’è solo l’alimentazione di un odio cieco, che allontana ogni possibilità di giustizia e di riconciliazione. Elena Basile e Francesca Albanese non sono le uniche a cadere in questo schema. Ma la sinistra democratica ha il dovere morale e politico di non seguirle. Se vuole essere parte della soluzione e essere interlocutore credibile non può farsi contagiare da una narrazione che divide il mondo in buoni e cattivi secondo schemi ideologici preconfezionati. Deve scegliere un'altra strada: quella della verità, della giustizia, della libertà. Non esiste pace senza giustizia. E non esiste giustizia senza onestà intellettuale.
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