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Autore Discussione: PopUlivismo: Arlecchino lancia il Movimento PopUlivista in ulivo.it  (Letto 19743 volte)
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« Risposta #15 inserito:: Aprile 13, 2008, 12:38:10 pm »

PREZZI: L'INDIA BLOCCA LE ESPORTAZIONI DI RISO BASMATI
 

Il governo indiano ha bloccato l'esportazione di riso basmati, l'alimento base per oltre un miliardo di poveri che vivono nel paese, per impedire che il prezzo continuasse ad aumentare con i ritmi delle ultime settimane.

Si tratta di una vera e propria emergenza alimentare, dal momento che, scrive l'Independent, "il prezzo del basmati ha raggiunto le 100 rupie al chilo", vale a dire quasi 2 euro.

Prezzi da mondo industrializzato, molto al di la' delle possibilita' per quel terzo della popolazione indiana che, nonostante anni di impressionante sviluppo economico, continua a vivere a ridosso della soglia di poverta'.

Nel corso degli ultimi sei mesi il basmati e' aumentato del 60 percento, mentre il comune riso del 10. La decisione di bloccarne l'export sta avendo serie conseguenze in altri paesi asiatici, dal momento che l'India e' uno dei principali esportatori del continente.

Le Filippine, ad esempio, hanno dovuto mettere mano alle riserve nazionali.

Nel frattempo l'International Rice Research Institute mette in guardia: i prezzi continueranno ad aumentare.

(AGI) - Londra, 12 aprile -
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« Risposta #16 inserito:: Aprile 13, 2008, 12:43:30 pm »

13/4/2008 (7:55) - INCHIESTA SPESA

Il vasetto di marmellata sulle montagne russe

Stesso prodotto, prezzi diversi: dai 6 auro di Londra ai 15 di Torino

GIUSEPPE CULICCHIA


TORINO
Questa è la storia di un'ossessione, la mia, per un certo tipo di marmellata. Ed è anche una storia di prezzi. Prezzi di cui si parla sempre più spesso, in Italia, forse perché da noi sono i più alti d'Europa. Non solo in fatto di marmellate. Ma qui di marmellate si tratta. Perciò andiamo con ordine.

La marmellata di cui vado letteralmente pazzo, è quella alle fragole di bosco, prodotta in Sussex, Inghilterra, dalla ditta Tiptree. Ha un nome romantico, Little Scarlet, come la protagonista di «Via col vento», e nei negozi arriva solo in edizione limitata, perché le fragole della Tiptree sono veramente fragole, e veramente di bosco, e se le guardi con attenzione le puoi distinguere una a una all'interno del loro vasetto. La mia Little Scarlet non l'ho scoperta nella natia Inghilterra e neppure in Italia, ma in Germania, a Berlino, l'estate scorsa.

Un giorno ero al KaDeWe o Kauf Des Westen, il grande magazzino più grande d'Europa (dopo Harrod's: che però, ti fanno notare i tedeschi, non sta sul Continente), e mentre gironzolavo per il reparto alimentari a caccia di miele della Foresta Nera ho adocchiato una fila di barattoli coperti da una fascia dorata con la scritta «limited edition». Mi sono avvicinato. Ho visto le fragole di bosco. E, malgrado il prezzo, mi sono lasciato tentare. Scrivo malgrado il prezzo perché lì al KaDeWe la Little Scarlet mi è costata ben 7 euro, che per una marmellata, pur se in edizione limitata, non sono uno scherzo. Ma in vacanza, si sa, siamo tutti propensi a concederci qualche lusso. Il problema è che poi, una volta tornato a casa, l'ho assaggiata. E allora ho scoperto che la Little Scarlet è una marmellata semplicemente divina, specie se associata a panna montata, yogurt, o meglio ancora gelato. Roba che nemmeno Nonna Papera ha mai fatto una marmellata così per i suoi nipoti.

Bene. A Torino, lì per lì, la Little Scarlet limited edition non l'ho trovata. Nemmeno nei negozi specializzati in alimentari d'importazione. Così mi sono detto: la prima volta che vado in Inghilterra, me ne procuro una scorta. Detto, fatto. A gennaio sono andato a Londra, e in un supermercato di King's Road, della catena Waitrose, ho scoperto che la Little Scarlet limited edition era in vendita a poco meno di 4 sterline, ossia circa 6 euro. Beh, ho pensato, cara è sempre cara, ma qui costa 1 euro in meno perché siamo in Inghilterra e naturalmente le fragole dal bosco fino allo scaffale fanno meno chilometri, ovvio. Tuttavia, mi sono detto, al KaDeWe sono onesti, vista la differenza non elevata di prezzo. Ne ho comprate sei. Ho fatto la figura del terrorista all'aeroporto perché le tenevo nel bagaglio a mano e per gli inglesi la marmellata è «liquido». Ma alla fine sono riuscito a farle arrivare in Italia sane e salve. E a dire la verità, non sono durate granché.

Così ho ricominciato a dare la caccia alla mia ossessione. E cerca oggi, cerca domani, alla fine l'ho trovata. Nella mia Torino, in un negozio del centro specializzato in tè e marmellate. E sapete quanto costava? Un po' più che al KaDeWe, direte, visto che questo è un grande magazzino che compra in quantità certo superiori e dunque con sconti di sicuro maggiori rispetto a un negozio, senza contare che dopotutto Londra è più lontana da qui di quanto non lo sia da Berlino. Già: un po' più che al KaDeWe. Ossia, per la precisione, 15 Euro. Più del doppio di quanto l'avevo pagata in Germania. Va da sé che l'ho lasciata.

Finché un paio di settimane fa, ero a Parigi per lavoro, mi è capitato di passare davanti al Bon Marché, dalle parti del Boulevard Montparnasse. Dalle grandi vetrine ho adocchiato il lussuoso reparto alimentari, e non ho potuto fare a meno di entrare. Subito, ho temuto che la storica rivalità franco-britannica mi avrebbe impedito di trovare prodotti Tiptree. Invece poi li ho trovati. C'era anche lei, la Little Scarlet limited edition, la mia ossessione. E costava la bellezza di… 10 euro. Ben 4 Euro in più che a Londra, e 3 Euro in più che a Berlino. Istintivamente, ho pensato: che ladri, 'sti francesi! Poi però sono stato costretto a concludere che erano ladri onesti, rispetto ai loro colleghi italiani. E che non c'è marmellata migliore di quella della mamma.

da lastampa.it
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« Risposta #17 inserito:: Aprile 13, 2008, 12:45:25 pm »

13/4/2008 (8:24) - DOMENICA CON

Philippe Daverio: "Milano deve salvarsi dall'avidità"
 
Philippe Daverio, critico d'arte
 
L'Expo: «Una vittoria, ma bisogna pensare alla cultura non soltanto agli affari»

ALAIN ELKANN


Daverio, come ha preso la notizia che Milano ha vinto la gara per l'Expo?
«Un misto di entusiasmo e preoccupazione. Quando ero assessore alla Cultura parlavo con il sindaco Formentini, del fatto che ci voleva per Milano un macro evento internazionale per risvegliare la città. Sono però preoccupato perché gli immobiliaristi stanno secretando i loro più potenti succhi gastrici per gli affari da digerire. E siccome gli immobiliaristi a Milano non hanno brillato, temo che il peggio...».

In che senso non hanno brillato?
«Peggio del progetto già in corso sull'ex area fiera non si può fare».

E allora di cosa ha bisogno Milano?
«Di una nuova classe dirigente».

Ma questo vale per tutta l'Italia?
«No. Più del resto dell'Italia, Bologna, Genova, Torino ce l'hanno già, Milano no».

Però per Milano è una bella vittoria.
«Sì. Bisogna esserne fieri, però ci saranno caos e appetiti. Penso che si possa accelerare la riforma del Museo di Brera che versa in situazioni drammatiche, e che si possa spostare l'accademia per migliorare il sistema espositivo».

Ma questo da chi dipende?
«Dal Ministero. Spero che il prossimo ministro prosegua il lavoro di Rutelli che ha dato una mano importante e sta sostenendo l'ipotesi per il Polo Museale milanese. La cultura non c'è più. Sgarbi con i pochi mezzi che ha meglio non potrebbe fare».

Ma cosa ci vuole per Milano?
«Un bilancio preventivo con più soldi alla cultura. Purtroppo l'amministrazione precedente non ha fatto bene in questo senso».

L'Expo può aiutare la cultura?
«Può essere il catalizzatore intorno al quale una borghesia consapevole elabori il sogno per il futuro».

Ma la borghesia milanese non è tradizionalmente legata alla cultura?
«La borghesia di un tempo lo era. Quella di oggi è solo commerciale, finanziaria e non si capisce cosa desideri. Bisogna che la borghesia ritrovi una sua etica, che oggi è solo quella dell'avidità».

E' così in tutta Italia?
«No, non è così nel Veneto. Gli industriali per dare soltanto un piccolo esempio fanno ancora il Premio Campiello».

Per quanto riguarda l'arte in generale?
«Trovo positiva la nuova gestione degli Amici di Brera. Il Presidente è Aldo Bassetti un esempio perfetto di come la vecchia borghesia tenta di passare il testimone ai nuovi, e con il testimone uno stile di vita».

Quale?
«Quello in base al quale non si fanno solo soldi ma si assumono anche impegni nei confronti della società».

Perché in tutti questi anni è rimasto a Milano?
«E' difficile traslocare, abbiamo troppe robe in casa e troppi amici nel telefonino».

Quali sono oggi i suoi progetti?
«Preparare e pubblicare un paio di libri che sono sulla scrivania da anni».

Su cosa?
«Sull'evoluzione dell'estetica e del gusto. Uno è sulla guerra degli stili nel XIII secolo e l'altro è sulla rilettura del barocco».

La televisione la impegna ancora molto?
«Moltissimo. Purtroppo quest'anno faccio trenta puntate, una dopo l'altra e inventare trenta idee non è sempre facile. Ogni volta è una monografia, parleremo di cultura barocca e rapporto tra arte e potere».

Oggi non esiste più questo rapporto?
«Esiste nei Paesi che funzionano, come gli Stati Uniti».

E l'arte italiana?
«Non c'è più quella ufficiale, quella autentica è nascosta tra le pieghe della società, sopravvive a malapena senza istituzioni e senza clienti».

Ma con molte fiere e molte mostre.
«Sì. Ma sono mostre ufficiali non della sperimentazione e anche le fiere diffondono l'arte ufficiale. La creatività la vedo repressa».

Bisognerebbe parlare di più di arte e cultura?
«Sì e bisogna offrire opportunità, aprire il dibattito, forse molto più anticonformiste, abbattere gli idoli e abbattere soprattutto gli idoli commerciali».

Si sta candidando per dirigere la Biennale di Venezia?
«Non me la darebbero mai perché sono troppo anticonformista e fuori dalle regole del commercio. Per ora scrivo libri. Bisogna rivalutare assolutamente la figura dell'intellettuale».

Ma chi è l'intellettuale?
«E' uno che sa ed è anche uomo d'azione. Bisogna sempre ricordare che il primo intellettuale moderno è stato Emile Zola quando scrisse “J'accuse”, quando si impegna sulla scena del mondo».

Oggi non ci sono più gli intellettuali?
«Ci sono, ma non sono uomini d'azione».

Devono fare politica gli intellettuali?
«No, devono agire e cioè dibattere, opporsi, sostenere fino in fondo le loro tesi. L'Occidente si è sempre fondato su quelle figure».

E allora?
«Al lavoro, tiriamoci su le maniche».

da lastampa.it
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« Risposta #18 inserito:: Aprile 13, 2008, 02:41:58 pm »

POLITICA IL CASO

La stampa straniera

Il solito melodramma

di VITTORIO ZUCCONI


Tra il "comic book" e il melodramma, come la sceneggiatura di un brutto film che rimastica se stesso senza mai arrivare a un finale, queste elezioni italiane del 2008 sembrano a chi le guarda da oltre i confini ancor meno comprensibili e ancor più deprimenti di quelle che le hanno precedute. Un personaggio da fumetti, che ripropone 14 anni dopo sempre lo stesso "mix di gaffes, potere mediatico, promesse stravaganti e gigioneria" (Il Times di Londra) duella contro un "Mr. Nice Guy", il signor Gentile, lo "Italy's Obama" come lo aveva battezzato lo stesso quotidiano londinese, che si propone come "tutto ciò che Berlusconi non è", "un unificatore contro un polarizzatore", un possibile campione dei più giovani contro i più vecchi.

E attorno a loro il pulviscolo orbitante di "usual suspects" che fanno, a chi ci vuole ancora bene e di noi si occupa, tristezza, nella concorde profezia internazionale del "declino".

Ci fu, vissuto a Washington, a Londra o a Bruxelles, il tempo teso dei moniti paternalistici lanciati dai tutori americani a votare "bene", vale a dire qualunque partito non fosse comunista. Ci furono poi il tempo dell'angoscia, per la nostra nazione che sembrava sbandare verso la guerriglia, il tempo dello sbalordimento, per un'Italia che in pochi mesi finse di rifondare la Repubblica, il tempo dello stupore per i secessionisti da commedia dialettale con le ampolle di acqua santa del Po, dell'ironica sorpresa per il "tycoon" venuto dal nulla che l'Economist pronunciò seccamente, nel 2001, "unfit to govern", incapace e inadatto a governare. E venne infine questo 2008, il tempo brutto della commiserazione per questa elezione sempre incomprensibile, ma in fondo perfettamente simbolica, scrive il Guardian, di "una nazione che non riesce a sbarazzarsi della propria spazzatura dalle strade delle città e dei rottami dai palazzi del potere".

L'autoannunciato ritorno di "Mr. Berlusconi" non è un evento semplice da capire e spiegare per i media e per il pubblico di grandi nazioni che negli stessi 14 anni dalla sua prima vittoria hanno attraversato le nostre stesse crisi internazionali, ma sono riusciti a cambiare completamente e serenamente la propria dirigenza politica. Quando "l'uomo dei fumetti" assurse alla prima carica esecutiva d'Italia nel 1994, in Francia governavano François Mitterrand e Pierre Beregovoy; in Inghilterra John Major; in Spagna Felipe Gonzalez; in Germania Helmuth Kohl; in Russia Boris Eltsin; in Grecia Costantino Mitsotakis; in Portogallo Cavao Silva; negli Stati Uniti Bill Clinton. Le ruote delle democrazie oltre confine hanno compiuto, in questi tre lustri, rotazioni complete di leader e di personale dirigente. In Italia, ritornano. "Silvio Berlusconi - scrivono in Australia i commentatori della Abc network - si è rifatto la faccia con la plastica, si è rifatto il cuore con il pacemaker, si è rifatto la capigliatura con una sorta di astroturf di erba artificiale" e si prepara, se i sondaggi sono veritieri, a smentire la legge secondo la quale "in politica non ci sono seconde chance dopo le sconfitte, ma ce ne possono essere per lui addirittura una terza o una quarta".

Dagli anni dei governi delle porte girevoli, vige una benevola e sardonica indifferenza per la vita politica italiana, raccontata come un'opera buffa con qualche acuto tragico e largamente irrilevante, per il resto del mondo. Ma questo generale "benign neglect", questa in fondo affettuosa trascuratezza per il melodramma italiana, ha preso, negli anni 2000, una coloritura assai più torva e inquieta. La convergenza di fatti e di simboli, dalla spazzatura di Napoli alla agitazione per l'umile mozzarella, dalla rivelazione dello stato di profonda corruzione sistemica e para mafiosa affiorata con Mani Pulite alla preoccupazione per l'agonia della settima economia mondiale incapace di reagire allo shock dell'11 settembre come altre seppero fare, ha cambiato i toni e strappato gli occhiali affettuosamente paternalistici a chi ci guarda.

Dalle copertine dei grandi settimanali alle inconsuete e irrituali interviste dell'ambasciatore americano uscente, Richard Spogli, sul rischio di declino e di irrilevanza italiana, i giudizi sull'Italia si sono tutti via via incupiti. Anche oltre la tentazione giornalistica del "peggiorismo" che fa notizia, gli occhi che ci guardano da lontano non possono fare a meno di notare, come di nuovo fa un giornale moderato ed editorialmente conservatore quale il Wall Street Journal, la peculiarità di una nazione nella quale "un uomo politico può essere oggetto di almeno una dozzina di inchiesta giudiziarie e imputato in sei processo penali e ancora essere in testa nei sondaggi di popolarità, mentre in altri paesi la sua carriera politica sarebbe stata stroncata".

Se la spazzatura napoletana dilaga sui teleschermi, altrettanto fa sulle pagine dei giornali la storia squallida dei cannoli di Totò Cuffaro, e il New York Times tenta di ridere di fronte allo "endless clowning", alle continue buffonerie del candidato di testa che finge di stramazzare dopo avere addentato una mozzarella alla diossina e "dice qualunque cosa gli passi per la testa, compresa la proposta di sottoporre i magistrati a esami psichiatrici". E ironizza, con molto understatement anglosassone sulle lamentazioni di lui che geme "sotto la croce sempre più pesante del governo che vuole caricarsi in spalla per la terza volta". Il risultato dell'opera buffa, del "clowning", delle promesse, rischia di essere alla fine, almeno "inconcludente", se non "paralizzante". La croce, sembra voler dire il giornale, alla fine non la porta lui, ma noi.

Impossibile, per chiunque sia avvicinato da un conoscente o da un intervistatore straniero, spiegare come sia stato possibile arrivare a una nuova elezione organizzandola con la stessa legge che rese fallimentare la precedente. E che ora "paradossalmente potrebbe rivoltarsi proprio contro Berlusconi che la volle per danneggiare gli avversarsi e che ha rifiutato di modificarla" (New York Times).

Incredibile, per cittadini americani, francesi, inglesi, spagnoli, tedeschi, immaginare che gli italiani abbiano permesso che i due contendenti principali, Berlusconi e Veltroni, non si siano misurati in un confronto diretto, o anche plurimo ma almeno contemporaneo, mentre soltanto fra Barack Obama e Hillary Clinton se ne sono tenuti, se i conteggi sono corretti, ventitré dall'inizio della stagione elettorale, nascondendosi dietro un cavillo leguleio che si sarebbe facilmente superato con la volontà di chi si è sottratto e con la pressione dell'opinione pubblica.

"La politica italiana è sempre stata un teatro dell'assurdo" commentava arrendendosi il New York Times, mentre notava che il duello finale si svolge fra un "baby boomer amante del rock 'n' roll" e "un politico che tenta per la terza volta di rinascere dalle proprie ceneri". Il risultato, secondo il sito di dritte per le scommesse, www.ibetips.com, è scontato. Berlusconi paga appena 20 centesimi per ogni euro puntato e le probabilità di vittoria sono calcolate al 100 per 100. Per i giocatori esteri, altri cinque anni di "endless clowning" ci attendono. Per lui, la croce.

(13 aprile 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #19 inserito:: Aprile 13, 2008, 11:48:57 pm »

13/4/2008 (8:45) - INTERVISTA

"Giornalismo malato di gossip"
 
Carl Bernstein, eroe del Watergate, parla del futuro e dà la sua ricetta per gli scoop: "Saper ascoltare"

MAURIZIO MOLINARI


INVIATO A PERUGIA
Saper ascoltare consente di trovare le notizie, per essere un buon reporter bisogna liberarsi dai propri preconcetti, Internet è uno strumento in più per cercare la migliore versione della verità: è questa la ricetta degli scoop che arriva da Carl Bernstein, classe 1944, che assieme a Bob Woodward consentì al Washington Post di svelare il Watergate, lo scandalo che portò alle dimissioni del presidente Richard Nixon. Bernstein è a Perugia per il Festival del giornalismo internazionale e durante una pausa dei lavori ha spiegato ai lettori de La Stampa il metodo di lavoro che lo distingue.

Cosa suggerisce ad un giovane che vuole diventare giornalista. Qual è il segreto per essere un buon reporter?
«Essere un buon reporter significa saper trovare e scrivere la migliore versione della verità sui singoli eventi».

Quali le difficoltà?
«Innanzitutto il fatto che si tratta di un approccio che con il tempo ha perso valore e importanza. Trovare la miglior versione della verità significa non andare a caccia di farfalle ma parlare con tanta gente, essere persistenti, saper ascoltare ciò che gli altri stanno dicendo e non farsi sedurre dall'idea che il giornalismo sia fatto di controversie e polemiche costruite a tavolino. Gossip e sensazionalismo stanno diventando una tendenza di massa ostacolando la ricerca della verità».

Perché ritiene che sia importante saper ascoltare?
«Per il semplice motivo che nella gran parte dei casi le persone parlano dicendo cose interessanti e, sapendole ascoltare, si ottengono notizie di valore, anche se spesso sono diverse da quelle che si stanno cercando».

Ci faccia qualche esempio.
«Quasi ogni storia che ho trovato si è rivelata diversa da quanto avevo iniziato a cercare. Sono stati i fatti a portarmi altrove. Ciò che io avevo immaginato come vero si è rivelato spesso un buon punto di partenza ma poi sono andato avanti su altre strade. Ad esempio nel caso dello scandalo del Watergate, all'inizio pensavo che poteva esserci la Cia dietro la vicenda di spionaggio ai danni dei democratici ma se fossi rimasto fermo su questa mia convinzione non avrei scoperto nulla. Non immaginavo che altre persone avrebbero potuto essere coinvolte, come invece poi scoprii. Numerose storie diventano diverse da come le pensiamo all'inizio. I preconcetti non aiutano ad essere dei buoni giornalisti».

E l'antitodo qual è?
«Far parlare i protagonisti di una vicenda ed ascoltare ciò che dicono. È questo il momento in cui si ottengono i tasselli di una singola notizia. Si può rimanere molto sorpresi da ciò che si ascolta ma si scoprono le notizie esclusive. Ricordo ad esempio che quando lavoravo per Abc News trovai la notizia relativa al fatto che Stati Uniti, Cina, Egitto e Pakistan avevano creato un'alleanza segreta per armare i mujaheddin in Afghanistan contro l'Armata Rossa sovietica. Ma in realtà stavo cercando tutt'altro, seguivo la pista della controguerriglia in Nicaragua. Stavo parlando con una persona, gli chiesi del Nicaragua e mi sentii rispondere che non aveva fatto mente locale sull'argomento perché era reduce da una riunione nella quale si era discusso molto intensamente su cosa fare per aiutare i ribelli afghani. Lo ascoltai, mi resi conto che stava dicendo qualcosa di interessante e iniziai così a lavorare su una notizia della quale si parlò poi molto. Ecco perché ogni volta che parlo con qualcuno mi chiedo se l'ho ascoltato veramente, se gli ho dato la possibilità di parlare. Alla fine dei conti essere un buon reporter significa sapere usare il buon senso».

L'errore da evitare?
«La mia esperienza, sovrapposta all'osservazione di quanto hanno fatto molti miei colleghi, è che molto spesso i cronisti arrivano di fronte ad una persona con una domanda o al massimo due per provocare una risposta che già immaginano al fine di scatenare la polemica desiderata. In questa maniera si ottiene una dichiarazione che fa sensazione, si corre al proprio tavolo e si scrive la storia che si voleva fare sin dall'inizio. Ma non riusciamo ad avere la migliore versione della verità».

Lei ha collezionato scoop e popolarità con la carta stampata ma ha anche creato il sito di informazione Voter.com. Quale equilibrio è possibile fra Internet e giornali?
«In Nordamerica e in senso più lato nel mondo anglosassone siamo più avanti nello sviluppo di Internet in combinazione con la carta stampata rispetto al giornalismo mediterraneo, in Francia, Italia e Spagna, dove prevale ancora in maniera considerevole la carta stampata con analisi, retroscena e costume che assomigliano spesso all'informazione televisiva. Premessa tale differenza, tanto nel più disciplinato mondo anglosassone che in quello mediterraneo, più ibrido, si sta facendo ugualmente largo un massiccio uso di Internet che ripropone sul web la ricerca da parte dei reporter della migliore possibile versione della verità».

Il web aiuta o nuoce ai reporter?
«Il web è una grande opportunità per i reporter perché gli offre un nuovo spettro di risorse, creando delle alternative alle risorse istituzionali».

Internet come sta cambiando l'approccio dei lettori?
«Internet è una grande opportunità per i lettori, che possono crearsi i propri giornali, ponderati sulle rispettive preferenze. Chi ad esempio si interessa al Medio Oriente può decidere di visitare prima il sito del quotidiano israeliano Haaretz poi quello della tv araba al-Jazeera e quindi di leggere cosa scrive l'arabista di un quotidiano britannico. In questa maniera ogni lettore si costruisce il suo giornale, basato sulla propria gerarchia di interessi. Il giornale tradizionale sopravviverà ma sarà in equilibrio con queste nuove realtà editoriali. Sono gli albori di una vera rivoluzione».

da lastampa.it
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« Risposta #20 inserito:: Aprile 14, 2008, 10:11:16 am »

UN SINDACATO SENZ'ANIMA

Il patto di Faust

di Dario Di Vico


A tratti è persino crudele.
Il libro di Stefano Livadiotti sulla casta dei sindacalisti assesta un colpo da kappaò all'immagine delle grandi confederazioni del lavoro. Le descrive come strutture bizantine quando devono ascoltare la società e prendere decisioni coerenti, ma capaci poi di trasformarsi in vere e proprie catene di montaggio del consenso forzoso e organizzato.

Tutto è finalizzato a produrre tessere, privilegi e denaro.
In quelle pagine il sindacato italiano del 2008 finisce per somigliare alle strutture tipiche della tradizione novecentesca dell'Est europeo più che a moderni strumenti di rappresentanza da paese industrializzato dell'Ovest. La fotografia di Cgil-Cisl-Uil è quella di un kombinat politico-economico che punta prima di tutto a perpetuare se stesso e a garantire i propri apparati. I singoli capi di imputazione sono difficili da contestare ma il pamphlet di Livadiotti ha generato disapprovazione da parte di studiosi del mondo sindacale. Le obiezioni più ricorrenti sottolineano come Cgil-Cisl-Uil sia un corpo intermedio «vivo», legittimato da un rapporto ininterrotto con la propria base. Il coefficiente di coinvolgimento democratico delle strutture sindacali è giudicato nettamente superiore agli standard dei partiti politici o di organizzazioni similari. Molti delegati, inoltre, svolgono compiti di frontiera perché organizzano una sorta di pronto soccorso di socialità nelle piccolissime fabbriche, nelle zone del Sud dove è più forte la pressione mafiosa, nei cantieri fuori norma e sovente sono il riferimento immediato per gli extracomunitari alla ricerca di un percorso di cittadinanza. Si tratta di argomenti a difesa che hanno un'indubbia validità e raccontano l'altra faccia del sindacalismo italiano, quella più capace di onorarne la grande eredità storica e di tradurla in rinnovato impegno.

Ma è anche vero che se i leader di Cgil-Cisl-Uil si accontentassero di ripetere a mo' di litania queste obiezioni sbaglierebbero per manifesta miopia.
 
Il sindacato, preoccupato di rendere permanenti e indistruttibili le basi materiali della propria azione, ha accettato uno scambio di Faust, per il potere ha ceduto l'anima. Per assicurarsi stabilità organizzativa ha chiuso in un armadio l'innocenza.

E il libro di Livadiotti può rappresentare per Cgil-Cisl- Uil una straordinaria occasione. Può diventare lo stimolo «per correre da soli» nella direzione giusta, per prendere con decisione la strada dell'autoriforma, prima che un blitz della politica o le richieste di un'opinione pubblica ostile li obblighi.

Sono diverse le riforme che si possono adottare in tempi brevi. L'istituzione, ad esempio, di limiti di mandato validi per tutti, dalla Rsu ai segretari generali. Tre mandati per i primi, due per gli altri. Si registrano casi limite di segretari di categoria o di Regione che sono rimasti al loro posto per più di 25 anni.

E' fisiologico che cicli di potere così lunghi creino distorsioni in un meccanismo già di per sé delicato come quello della rappresentanza sindacale. Una misura di rotazione degli incarichi dovrebbe abbinarsi a una liberalizzazione degli accessi. Oggi uscire dal sindacato è difficile, gli automatismi nel rinnovo della tessera diventano una barriera all'uscita. Ridare indietro la tessera è un rompicapo burocratico che equivale alla fatica di voler chiudere il proprio conto corrente in banca. La seconda misura che gioverebbe enormemente all'immagine del sindacato riguarda la trasparenza dei rendiconti economici.
Non esistono bilanci consolidati ma solo singoli documenti disaggregati sostanzialmente autocertificati. Va invece adottata una prassi di completa trasparenza, analoga a quella in uso per le società quotate. Ma forse il capitolo più delicato da aprire e la vera chiave di volta di un possibile «rinascimento » sindacale sta nell'adozione di un metodo nuovo nella proclamazione degli scioperi. L'ipotesi di ricorrere al referendum preventivo tra i lavoratori può avere per Cgil-Cisl-Uil l'effetto di un balsamo. Ma come per tutti i medicamenti ci vuole prima di tutto il coraggio di voler guarire.

14 aprile 2008

da corriere.it
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« Risposta #21 inserito:: Aprile 14, 2008, 10:13:37 am »

Emma Bonino: è ora di cambiare la politica agricola comunitaria, basta con la vecchia ricetta degli aiuti

"Uno scandalo l'egoismo dei ricchi agricoltura Ue drogata dai sussidi"

di ROBERTO MANIA


 ROMA - "La politica agricola europea non solo è scandalosa, ma è diventata ormai insostenibile. Ogni vitello che nasce da noi riceve circa un paio di dollari al giorno di sussidio! Così non si può andare avanti. Non si può pensare che in altri paesi del mondo la gente accetti di morire di fame calma e tranquilla, senza ribellarsi". La nuova crisi mondiale ha tante cause e tanti colpevoli, secondo Emma Bonino, ministro uscente per il Commercio estero e le Politiche europee. Ci sono l'impennata del prezzo del petrolio, l'aumento della domanda di prodotti alimentari, la crescita demografica. Ma ci sono anche la miopia e l'egoismo dei paesi ricchi.

Perché va cambiata anche la politica agricola europea?
"La Pac (la politica agricola comunitaria), e lo dico da anni, assorbe circa il 50 per cento dei fondi Ue per sovvenzionare con la mano destra un'agricoltura europea in perdita, che fa concorrenza ai paesi in via di sviluppo che, poi, con la mano sinistra finanziamo attraverso accordi di associazione. Rivedere la politica agricola europea è davvero urgente. E l'Italia può giocare un ruolo da protagonista se solo si desse la forza per farlo".

La Fao ha lanciato l'allarme: servono 500 milioni di dollari per l'emergenza per aiutare i paesi colpiti dalle carestie. Dal G7 di Washington è arrivata una forte preoccupazione perché un miliardo di persone vive con un dollaro al giorno. I Grandi si sono detti pronti a intervenire. Le sembra credibile questa posizione quando in Europa, l'Italia, la Francia e la Gran Bretagna nel 2007 non hanno mantenuto gli impegni presi a favore dei paesi in via di sviluppo, riducendo i propri aiuti rispetto al Pil come ha denunciato il presidente della Commissione Barroso?
"Chi è senza peccato scagli la prima pietra. Ma quella che abbiamo davanti è una crisi così ampia che ha poco a che vedere con la stantia routine degli aiuto allo sviluppo. Qui stiamo assistendo a una crisi planetaria di fronte alla quale l'agenda politica dovrà essere stravolta mettendo la questione in cima alla lista delle priorità da affrontare come comunità internazionale".

Cosa pensa della proposta dell'Onu di una moratoria di cinque anni sulla produzione di biocarburanti che negli Stati Uniti sottraggono terreno coltivabile a mais?
"La moratoria da sola non può rappresentare la soluzione miracolistica, ma può essere utile se parte di un pacchetto di misure: ad una crisi causata da una serie di motivi occorre rispondere con una serie di soluzioni. D'altra parte mi pare che la situazione sia sufficientemente critica per motivare una serie di decisioni drastiche. Invece, continuando così, ignorando il problema, non può che spingerci verso il baratro. Ricorderà la battaglia di noi Radicali contro la fame nel mondo nella prima parte degli anni '80. Ebbene, le conseguenze questa volta rischiano di essere ancora più devastanti perché in vent'anni la popolazione nei paesi più colpiti dalla penuria si è moltiplicata".

L'India ha bloccato le esportazioni del riso. Come giudica questa decisione? Chi ne pagherà le conseguenze?
"Non dimentichiamoci che il riso basmati è l'alimento base in India. Il fatto che abbia raggiunto il prezzo di due euro al chilo lo mette fuori dalla portata della stragrande maggioranza dell'oltre un miliardo di abitanti. Mi sembra che quella decisione fosse obbligata, anche perché in India le capacità di processare e soprattutto di conservare i prodotti alimentari sono scarse. Chi pagherà? Credo che la domanda andrà rivolta al prossimo vertice di giugno della Fao a Roma e al G8 in Giappone".

(14 aprile 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #22 inserito:: Aprile 14, 2008, 11:53:49 am »


ELEZIONI: DISPETTO AL SEGGIO ALLA MONTALCINI, NONOSTANTE L'ETA' NON LE CEDONO IL POSTO


Roma, 14 apr.

- (Adnkronos)

- Nonostante l'eta' della senatrice e premio Nobel Rita Levi Montalcini, quando ieri si e' recata al seggio per votare non le hanno ceduto il posto per farla passare avanti e abbreviarle l'attesa.

Lo riferisce "La Repubblica" sottolineando che la scena si e' svolta nel seggio della scuola di Via Reggio Calabria, vicino a Piazza Bologna.
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« Risposta #23 inserito:: Aprile 15, 2008, 02:28:35 pm »

Arlecchino

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 Posted: 15 Apr 2008 09:11    Post subject: Si deve riparlare di Ulivo e riprenderne la coltivazione   

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Si deve riparlare di Ulivo ...


Non pensavo di dover tornare a parlare di Ulivo, con Prodi al governo... anche se ancora per poche ore.

Purtroppo le circostanze mi sollecitano a farlo e visto che le sconfitte elettorali come primo effetto devono far riflettere, invito i nostri condottieri a riaprire il cassetto in cui riposero l'Ulivo (anche grazie ad una sinistra politicamente stupida), e valutare come il PD, in ogni caso vincente perchè VIVO, possa occuparsi anche degli elettori che la Sinistra si è persa da anni.

Ci sono due strade, la prima è che la componente ex DS del PD, si mette in tuta e calzoni di velluto e torni a parlare anche con gli "ultimi" che non sono più classe o popolo ma persone, gente che DEVE avere un punto di riferimento politico e DEVE sentirsi ascoltata nei problemi che premono, per risolverli.
In tal modo dimostrando con i fatti che non c'è solo la Lega che rozzamente e astutamente se ne occupa e per questo è votata.

Inoltre ristabilire un filo programmatico con la sinistra-sinistra, rigenerata dal bagno di sangue elettorale, meritato, che nel frattempo si sarà fatta capace di ricomporsi mettendosi nella condizione di recitare i ruoli che si è dimenticata di svolgere, anche quando ha avuto la fortuna di andare al governo del paese. Sempre sperando che si ricordi come ci si occupa "concretamente" degli interessi di chi ha meno risorse.

Auspicabile, ovviamente, sappia farlo con uomini diversi e/o con idee proiettate al futuro ed alla soluzione dei problemi che si possono immaginare ci stanno cadendo addosso, sia per la situazione ambientale ed economica che si prospetta, sia per la gestione del potere che il signor B fa già intravedere sarà disastrosa, per la sua indole amorale, per il suo deterioramento non solo fisico e per le cattive compagnie che sino dai tempi antichi lo circondano.

Il Centro ha già dato al PD (problemi compresi) adesso la strada del nostro cammino è far emergere una buona capacità intellettuale, un'ottima organizzazione (compreso occuparsi del localismo che non si deve abbandonare nelle mani della Lega), una efficace valorizzazione del volontariato politico, una progettualità vicina alla realtà del paese (dalla confindustria, alle partite IVA, dai precari ai male occupati, dalle relazioni estere all'immigrazione ben ponderata e limitata all'accoglienza possibile, alla sicurezza nelle nostre case e nelle strade, ecc. ecc.).

Buon lavoro.

ciaoooooooooooo

PS: a proposito: il PD si convinca di ridarci il nostro nome storico, che ci meritiamo anche per il fervore e l'intelligenza con cui abbiamo appoggiato la campagna elettorale.
Il nostro forum è stato un buon esempio di come il volontariato politico può ben operare in piena e libera autogestione.
 

dal forum di www.forumista.net
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« Risposta #24 inserito:: Aprile 15, 2008, 04:17:10 pm »

Propaganda in Rete

E il sito internet di Al Qaeda lancia la sezione in italiano

A gestirla colui che si fa chiamare «sgozzatore di apostati»


WASHINGTON — Gli ideologi qaedisti lo hanno detto: chi non può partecipare alla Jihad con il fucile lo faccia con la penna oppure su Internet. Un consiglio raccolto da una pattuglia di simpatizzanti che ha aperto la sezione in italiano di «Ekhlas», un sito che ospita spesso i messaggi vicino alla rete di Bin Laden. A gestire il forum — come rivela Hamza Boccolini dell'agenzia Aki — è un personaggio che si presenta con il nome di battaglia di «Nahir al Murtadin», lo «sgozzatore di apostati».

Da una prima analisi dei testi, però, chi scrive non sembra avere una grande padronanza della nostra lingua, tanto è vero che lo stesso Nahir lancia un appello perché lo aiutino. E a giudicare dai primi testi pubblicati ne ha davvero bisogno. Ne citiamo uno — firmato Brahim33 — senza correggere gli errori. «Vi racconto la vita degli musulmani arabi in questo paese. Prima di tutto dove sono io, ci sono pochi cha amano benladen e che amano almogiahedin... ecc. hanno paura quando parlo con loro di algihad in afghanistan in iraq... ecc. Basta quando ti vedeno parlare di loro ti fanno un sguardo e pensano che tu anche sei un terrorista heh! magari il popolo italian e a zero di pensiero di studio di logica. Per questo il nostro profeta ha detto che la roma si apre con solo con attakbir (lo slogan "Allah è grande")». Fa sorridere quel «la roma», che ricorda cronache calcistiche.

Nella pagina web, piuttosto modesta per contenuti, vengono affrontati argomenti diversi. Dopo un messaggio di benvenuto ci sono articoli — ripresi dai quotidiani — che spaziano dalla conversione al cristianesimo di Magdi Allam agli «scandali del ministero della difesa italiano». Emerge poi un possibile legame con l'attività dell'ex imam di Carmagnola, Abdul Qadir Mamour, e di sua moglie, una convertita italiana: compare infatti una traduzione dell'ultimo discorso di Bin Laden che era già stato pubblicato sul sito del controverso personaggio, oggi residente in Senegal dopo essere stato espulso dal-l'Italia. Come si ricorderà in febbraio la Digos aveva chiuso quattro blog islamisti gestiti da Mamour con l'appoggio di alcuni cittadini italiani.

L'uso dell'italiano, anche se stentato, è solo l'ultima risorsa adottata dai qaedisti — veri o presunti — per ampliare il bacino d'utenza e reclutare cittadini occidentali. Il Global Islamic Media Front, l'etichetta che con «As Sahab» costituisce la piattaforma mediatica dei terroristi pubblica da tempo materiale in inglese, tedesco e spagnolo. Pur riconoscendo che l'azione, a tratti, appare velleitaria, non si possono trascurare gli effetti sul lungo termine. Un dato. Dopo quasi due anni di propaganda sono apparsi i primi kamikaze venuti dalla Germania. Uno di loro, di origine turca ma cittadino tedesco a tutti gli effetti, si è fatto saltare per aria in Afghanistan. Altri — secondo alcune indiscrezioni — sarebbero pronti a imitarlo.

Guido Olimpio
15 aprile 2008

da corriere.it
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« Risposta #25 inserito:: Aprile 15, 2008, 04:24:40 pm »

L’uovo e la gallina


di Antonio V. Gelormini


Tra l’uovo oggi e la gallina domani il Paese ha scelto l’uovo. Un Paese
impoverito, impaurito e per certi versi abbastanza disorientato, ha reagito
come qualsiasi soggetto in condizione di difficoltà. Con una scelta
pragmatica, che guarda al contingente e rimanda ad altra data, e magari ad
altri destinatari, l’azione responsabile di struttura.

L’affermazione elettorale di Berlusconi e del Popolo della Libertà è per
buona parte la risultante al malcontento diffuso verso il governo Prodi. Un
governo inviso, per aver somministrato un’efficace e improcrastinabile cura
da cavallo, senza aver saputo usare i necessari ammortizzatori mediatici,
per predisporre il malato all’ineludibile amaro della medicina. Un malato
recalcitrante e, per di più, confuso ed allarmato da infermieri ed
assistenti, che dopo aver condiviso diagnosi e terapia d’urto, facevano di
tutto per sabotarne la posologia.

Da tempo il Paese non è più abituato a guardare in prospettiva. Da tempo
paesaggio ed orizzonti sono offuscati da un’intensa cortina di interessi di
parte, che ha reso impercettibile ogni solidale senso del bene comune. E
alla lunga il popolo delle formiche, ammaliato dal canto delle cicale, ha
creduto di potersi affrancare dall’onere dignitoso del sudore della fronte.

Il voto di protesta ci dice che per chiunque sarà difficile governare, al di
là dei numeri più o meno tranquilli, quando una buona parte del Paese non
ama che si affrontino le cose necessarie. Ecco perché la semplificazione
degli assetti parlamentari, di cui si dovrà pur dare merito a Veltroni e al
Partito Democratico, potrebbe favorire non poco il difficile compito di
ridar corpo a un’azione riformatrice fin troppo sfilacciata, inefficace e
chinata su se stessa.

Alcune cose, comunque, ci lasciano perplessi. Il sapore aspro della
scomparsa di fette di società di questo Paese, tra le più deboli, dalla loro
rappresentanza parlamentare. Un ritardo di modernità punito troppo duramente
dagli effetti di un’infame legge elettorale. Lo sconcerto di un Mezzogiorno
che si vedrà governato da una forza, la Lega Nord, che non ha contribuito ad
eleggere. E l’impotenza di non poter ritirarle il voto, per non averglielo
mai dato.

E ancora, il paradosso di ritrovare, tra gli scranni parlamentari, artefici
del deficit di comunicazione dell’attività risanatrice del precedente
governo Prodi o protagonisti discutibili per il prestigio del Paese nel
precedente governo Berlusconi. La beffa, infine, di avere un’Udc mortificata
nella presenza al Senato, rispetto al numero di voti raccolti (in alcune
regioni i senatori non sono scattati per pochi decimi percentuali). Tre soli
senatori, di cui uno è Totò Cuffaro.

Il Paese ha scelto l’uovo. Sulla sua freschezza, però, il canto del gallo
non garantisce alcunché.

(gelormini@katamail.com)


da gargonza
Gargonza mailing list
Gargonza@liste.perlulivo.it
http://liste.perlulivo.it/mailman/listinfo/gargonza
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« Risposta #26 inserito:: Aprile 15, 2008, 11:00:46 pm »

emmepi



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 Posted: 15 Apr 2008 11:51    Post subject: Perché la destra rappresenta anche i ceti deboli ?   

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Dopo anni di sottili distinguo, di ragioni lamentose, di centrosinistra sempre messo in discussione…..dal centrosinistra, il PD non poteva in sei mesi invertire la rotta.

Piccoli politici che vagano con la lanterna alla ricerca di una ragione da testimoniare, contro gli altri diversi da loro, sono finiti un angolo a contare i punti persi e guadagnati, orgogliosi delle loro idee auto-referenziali e senza alcuna possibilità di incidere sulla realtà ( la vita vera ) di milioni di persone.

Le cure che il governo Prodi ha in qualche modo somministrato al paese, che è in condizioni di salute macroeconomica migliore del maggio 2006, sono da tutti – anche dal centrosinistra - sottovalutate e ridotte a niente.

Quando Berlusconi mandava allo sfascio l’economia, non c’era nessuno del centrodestra che lo ammettesse, noi somministriamo delle cure e proprio dentro di noi c’è gente che dice che la cura è quasi peggio del male.

Questa gente non è più in Parlamento.

E la Lega raddoppia i propri voti proprio rappresentando da “Destra” gli operai che la Sinistra Arcobaleno sosteneva che il PD non rappresenta perché troppo poco di “Sinistra”.

E’ un paradosso apparente, perché i valori che si affermano sono trasversali.

Ne cito qualcuno
 la modernità fa paura ed è vissuta come un pericolo
 siamo immersi in una cultura di separazione ( io/altri ), con gioco a somma zero : io vincente/tu perdente io buono/tu cattivo - io furbo/tu coglione - io uguale/tu diverso……
 la visione di collettività è sostituita dalla difesa del proprio interesse individuale e del proprio territorio ;
 la visione economica della vita sembra ormai l’unico pensiero ammesso
 l’economia ( i “soldi” ) non è più al servizio dell’uomo ma è l’uomo a servizio dell’economia
 chiudiamo lo spazio ad altri mondi e ci ritiriamo nelle nostre famiglie ;
 una velina guadagna di più di un parlamentare ( anche di un parlamentare italiano ) ed è ammirata ed invidiata proprio perché prende più “soldi” ;

Questa gente si “difende” e vuole mantenere quello che ha : sono sempre gli “altri” il pericolo ( comunisti…quelli di Roma….etc…)
Essere operai o essere socialmente debole oggi non significa non aderire a questi valori.

E’ tempo di una politica nuova, di una cultura nuova, di scelte nuove : è dimostrato che quelle vecchie hanno fallito è dimostrato che nel nostro vecchio modo non parliamo a questa gente, non ci ascolta, perché ha paura.

Continuiamo con Walter a radicare e a sviluppare il PD.

Si può fare
 

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