Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #1 inserito:: Giugno 27, 2007, 06:21:55 pm » |
|
Mercoledì, 27 Giugno 2007 L’ OPERA
Quella sua lingua fabbricata e magica che voleva rievocare un tempo perduto di Rolando Damiani Come certi scrittori veneti di genio, fioriti per legge di natura su un terreno fertile, Luigi Meneghello divenne scrittore quasi a sua insaputa, maturando nel "dispatrio" in Inghilterra, scelto nel 1947, i ricordi della sua infanzia trascorsa in un paese del Vicentino. Era stato tentato da altre vie, dopo la laurea in filosofia conseguita a Padova. Più che nelle aule universitarie la sua formazione si era compiuta sull'altopiano asiaghese, in mezzo ai partigiani. Quella era stata per eccellenza "l'avventura" della sua vita, animata dagli ideali appresi presso Antonio Giuriolo, la cui lezione sarà a distanza di anni celebrata nei "Piccoli maestri". A Reading, dove giunge nel dopoguerra inconsapevole che sarà la sede fissa della sua attività di docente, Meneghello trova un ambiente «aspro e austero, e meravigliosamente serio» (così racconterà in seguito), un analogo per lui del piccolo mondo di Malo, in cui era nato, che «aveva le sue arti e il suo work creativo» (sono ancora parole sue) e solo sbrigativamente si poteva definire provinciale. «La gente considerava sua la società in cui viveva, era questa la diversità»: la frase relativa a Reading, e presente tra le "Carte" edite nel 1999, si applica perfettamente alla Malo ricreata nella sua epopea narrativa.
Da un luogo lontano, reso dalla memoria uno specchio, una lente di telescopio puntato sul microcosmo nativo, Meneghello inizia la sua perlustrazione su personaggi, parole e fatti che formeranno il suo romanzo d'esordio, "Libera nos a malo", pubblicato a quarant'anni. Si è addestrato con studi e articoli su novità inglesi dati in prevalenza a "Comunità", ma l'intuizione decisiva, che rivela il talento, concerne la forma e la lingua di una narrazione concepita come cronaca familiare o repertorio storico e lessicale di un "tempo perduto", rievocabile per ricordi personali.
La trama, come sempre accadrà in Meneghello, è irregolare, si sviluppa per motivi tematici, per aneddoti, appunti saggistici, visioni (si potrebbe dire) di parole dialettali che si alzano in volo come farfalle, tracciando nell'aria un'allusione o tutta una storia. Il cacciatore di parole, con un retino da linguista-entomologo, precede il romanziere, alla cui fantasia offre spunti per racconti. "Nocciolo di materia primordiale", il dialetto nella teoria di Meneghello si ricollega quasi alla lingua dell'Eden, perché resta «inchiavicchiato alla realtà è la cosa stessa, appercepita prima che imparassimo a ragionare».
Dall'esercizio discontinuo del dialetto, nella tessitura a tappeto dei suoi romanzi, provengono l'ironia e l'understatement, insieme veneto e inglese, caratteristici della prosa di Meneghello. Si è fabbricato una lingua che desse un'impressione di parlata viva, di confidenza orale nelle recite ambientate a Malo. Da quel cerchio magico, che chiamò anche il suo "pozzo di San Patrizio", non si è mai staccato. Nel 1986 confidò di aver pensato a mutare rotta dopo "Pomo pero", uscito nel '75, ma aveva capito subito che la sua natura di scrittore esigeva l'eterno ritorno nella cerchia veneta dove aveva ricevuto l'impronta genetica. Vi restò fedele mentre diventava un "classico" della letteratura contemporanea, pur sentendosi anomalo e antiletterario per vocazione. Alla cerimonia di un premio alla carriera divertì nel 2001 il pubblico, negando di averla avuta: «Non ho mai parlato della mia opera in termini di libri; li ho sempre chiamati "roba che ho scritto". Non ho mai pensato di aver avuto una carriera. Da bambino avevo una sola aspirazione, partecipare alle Olimpiadi del 1940 e vincere i 100 metri, la maratona e il salto con l'asta. C'è stata di mezzo una guerra e non ho potuto realizzare il mio sogno». -----------------------
MASSIMO CACCIARI
«Dietro il suo stile scorrevole
c'era l'affaticarsi sulle parole»
«Apprendo con grande dispiacere la notizia della scomparsa di Luigi Meneghello, che già con il libro d'esordio «Libera nos a Malo» si rivelò uno dei più grandi scrittori italiani del Novecento». Il ricordo è del sindaco di Venezia Massimo Cacciari. «Dietro lo stile scorrevole - sottolinea Cacciari - straordinariamente innovativo nel panorama letterario dei primi anni Sessanta quel libro celava in realtà un esercizio linguistico assai arduo, un affaticarsi sulle parole, che avrebbe nutrito l'ampia produzione saggistica di Meneghello e la sua lunga attività di docente di Letteratura italiana in Inghilterra». ----------------------------
FABIO FAZIO «Una persona eccezionalmente libera,
che l'Italia ha lasciato nella sua riservatezza»
Fabio Fazio (foto) ha avuto ospite Meneghello nella sua trasmissione nel marzo scorso, in una delle rarissime apparizioni televisive dello scrittore. «La sua morte mi dispiace moltissimo, è un'assenza che crea solitudine. Lo ricordo come una persona eccezionalmente libera, moderna e che riusciva - come solo i grandi intellettuali sanno fare - a rendere speciale ogni sua risposta. Qualdo lo abbiamo chiamato, mi sembrava persino sorpreso. Purtroppo questo Paese è fin troppo bravo a lasciare le grandi persone nella loro riservatezza».
-------------------
MARIO RIGONI STERN «I suoi libri sono fondamentali
per conoscere la nostra storia»
Mario Rigoni Stern e Luigi Meneghello si sono conosciuti negli anni '50, quando il professore di Malo saliva sull'Altopiano coi suoi amici (i "piccoli maestri") a incontrare l'autore del "Sergente nella neve". «La nostra frequentazione si fece via via più ricorrente - racconta Rigoni Stern - e anche ultimamente ci siamo visti a cena, a Lusiana. Aveva una maestria meravigliosa nel giocare con le parole, anche nel quotidiano. Ora se n'è andato, e ne sono rattristato, ma a questa età bisogna aspettarselo. Ma i suoi libri restano fondamentali per conoscere il nostro passato»
-------------------------
Thiene (Vicenza) NOSTRO INVIATO
Una busta gialla gonfia di fogli, appoggiata su una sedia, pronta per essere spedita. Una giacca blu in cotone, sull'attaccapanni. Un nodoso bastone di legno, dentro il portaombrelli. E poi i pennarelli e le matite abbandonati alla rinfusa sul tavolo di lavoro, come se uno non pensasse che di lì a poco se ne sarebbe andato. Un tavolo pieno di libri, tanti libri. Occupano ogni spazio, marcano una vita intellettuale attiva, voglia onnivora di assaggiare di tutto, purchè fosse sapere o conoscenza. C'è un'enciclopedia del cinema. Un dizionario di italiano. In evidenza, "Dal Pelmo al Civetta", un omaggio ai monti.
È morto Luigi Meneghello, lo scrittore che ha raccontato il paese delle sue origini, e nel farlo ha estratto dalla memoria - la sua, la nostra - le radici di un popolo, il nostro tempo senza tempo, il mondo com'era e come era destino che diventasse. È morto ieri nella sua casa di Thiene, poco dopo l'ultimo risveglio, quando già aveva spalancato le finestre sul parco profumato dai fiori e dai cedri del Libano. È morto con addosso un accappatoio bianco, a 85 anni, steso su un divano. Chi lo ha visto, dice che i tratti del volto erano sereni. Ma nessuno può dire cosa ha pensato per davvero, mentre veniva colto da un malore, un probabile infarto. E tornano alla mente alcune parole di "Libera nos a malo", il libro più famoso, quando da bimbo si sedeva al caffè a Malo con il padre. Si scambiavano poche parole. «Gioia immensa e perfetta, astratta dal tempo in mezzo al paese. Come fuori dalla portata della morte, rabbrividivo al sole».
Ieri mattina Gigi Meneghello - non solo scrittore, ma anche poeta, saggista e studioso della lingua, uno dei grandi veneti del Dopoguerra - ha rabbrividito, ma non era più fuori dalla portata della morte. Anche se non se l'aspettava, visto che godeva buona salute per un ultraottantenne appena tornato dalla Sicilia dove aveva ricevuto una laureaad honorem. Faceva progetti, pensava al futuro, al premio Feltrinelli che doveva ricevere ai Lincei.
C'è una strana fissità nella casa di Gigi Meneghello, in via Bixio, civico 8, una strada chiusa a due passi dal centro di Thiene. Accade così quando una persona se ne va senza lasciarlo presagire. Ci sono i segni di una vita come sospesa, ancora presente, eppure già cancellata, come dimostrano i necrofori che se ne sono appena andati, portando all'obitorio ciò che rimane dimister Meneghello. Una manciata di ore fa lo scrittore era ancora qui che ideava un nuovo romanzo.
La palazzina color arancio è elegante, senza recinzioni, protetta dal parco di Villa Fabbri diventato pubblico. C'è un che di arioso, caloroso, palpitante in questa casa. Accanto all'ingresso un ceppo, o forse un cartoccio che pare di legno, ed è in realtà una scultura. Il salotto color panna dove Luigi Meneghello ha cessato di vivere ha una sua eleganza fatta di oggetti collocati con posa studiata e di apparente disordine cartaceo. Il metallo, il ferro, il vetro, ancora il legno, sono stati modellati per altre opere d'arte. Il tavolo è quadrato, ingombro di tutto. Su una parete una foto-ritratto di Gigi giovane. E una foto più grande che riproduce un manoscritto e una penna che lo sta vergando.
Il pudore induce ad arrestarsi sul limitare di questo piccolo mondo di un uomo che fu famoso, ma soprattutto ricco di idee. Una scala conduce al piano di sotto, dove si trova il vero antro dell'intellettuale, un mare di libri e documenti, fogli con appunti, opere abbozzate. La biblioteca interrata occupa lo stesso spazio dell'appartamento, un mondo-altro inaccessibile a tutti. Ad aprirci la porta è il nipote Cleto, venuto da Vicenza, figlio di uno dei due fratelli di Gigi, Gaetano, scomparso un anno fa. L'altro fratello Bruno vive nel capoluogo, ma non se l'è sentita di venire. «Mi ha chiamato questa mattina alle 8 una delle due signore che si occupavano della casa da quando mio zio è rimasto vedovo». Si tratta delle fedeli Annamaria e Margherita. È stata la prima a scoprire il corpo steso sul divano. In camera, il letto era sfatto. Segno che lo scrittore aveva dormito, poi si era infilato l'accappatoio e si era alzato per cominciare una giornata attiva di studio. Il malore lo ha colto in quel momento, dopo che aveva spalancato la finestra sul parco, dove alcuni anziani stanno ora seduti sulle panchine, per ripararsi dal caldo sotto gli alberi secolari. E alzano appena la testa verso la terrazza di questa casa in cui, nel silenzio, è morto uno dei grandi vecchi della letteratura italiana nati nella nostra terra.
Malo sta a una decina di chilometri. La casa dei Meneghello è appoggiata al municipio, in via San Bernardino. Al piano terra un negozio di arredatore, una porzione terra-cielo appena ristrutturata è in vendita. Qualche Meneghello vi abita ancora, ma la corte raccontata nel romanzo è inaccessibile. Qualche luogo rimane qua e là. L'angolo dove Gigi si prendeva a botte con Mino, il Monteccio delle avventure dei ragazzi, la piazza grande, la piazzetta, il santuario sulla collina. L'ultima volta che il professore è venuto a Malo è stato sabato, di ritorno da Palermo, con un amico che lo aveva preso in aeroporto e ora dice: «Stava bene, era attivo, lucidissimo, studiava tutto il giorno, leggeva e parlava di tutto. Se stesse scrivendo un libro non me lo ha detto, ma credo di sì». Ha mangiato bigoli e una braciola di maiale alla trattoria "Alla scopa", nel cuore del suo mondo antico, irrimediabilmente un luogo della memoria.
Dal 2004, dopo la morte della moglie Katia Bleier, aveva trasferito la residenza anagrafica da Malo (dove nacque il 16 febbraio 1922) a Thiene. Cosa è rimasto del tempo di "Libera nos a Malo"? «Quasi niente» ammette il sindaco Antonio Antoniazzi, leghista. «Lo abbiamo sacrificato. Al posto dei campi ci sono le fabriche, la gente è più ricca, ma è anche più chiusa». Com'era Meneghello nel suobuen retiro? «Sembrava un po' distaccato, un vero intellettuale. Guardava il nostro mondo conhumorfreddo». Anglosassone. Ma non solo. Lo seppelliranno venerdì a Malo con rito civile.
Giuseppe Pietrobelli
------------------
Lo scrittore è morto ieri mattina nella sua casa di Thiene, all’età di 85 anni, per un arresto cardiocircolatorio. Vi era ritornato dall’Inghilterra nel 1980. Con lui la vicentinità ha conquistato il mondo
Luigi Meneghello, nato a Malo nel 1922, aveva istituito all’Università di Reading la cattedra di italiano e giorni fa aveva ricevuto una laura ad honorem a Palermo Con Gigi Meneghello se ne è andato uno di famiglia per tanti vicentini. Destino che accomuna i grandi scrittori, capaci di intrecciare non solo realtà e finzione, ma anche libri e librerie, vita immaginata e vita vissuta da chi in queste storie non smette più di ritornare. «Io ho appena finito di leggere per la terza volta "Libera nos a Malo" - confessa Toni Vedù, pittore e musico-cabarettista dell'Anonima Magnagati. - Ma non mi è bastato. Così ho iniziato a sfogliare testi mai aperti prima: "Fiori italiani", "I piccoli maestri". Come se mi mancassero pezzi di una persona importante, anche se mai conosciuta a tu per tu. A lui l'Anonima Magnagati rimarrà sempre riconoscente per come l'ha guidata alla scoperta di una cultura veneta di straordinaria originalità». Uno di famiglia, ma non solo da un punto di vista ideale, Meneghello era diventato negli ultimi anni per Ilvo Diamanti, sociologo ed editorialista. «Cenavamo spesso assieme, ed ero felice di poter dialogare in modo così informale con lui. Sapevo di avere di fronte qualcuno che aveva dato voce al nostro passato, un maestro da cui apprendere sempre qualcosa. Soprattutto adesso che i miei studi sono orientati verso le generazioni, e quanto si trasmette o si perde da una all'altra. Penso a quel passo de "I piccoli maestri" in cui Meneghello, appena finita la guerra, confida alla zia di compiere 24 anni, per sentirsi rispondere che è uno già vecchio con tutta quella "storia" sulle spalle. Viene subito il confronto con il nostro presente, dove si dà del giovane a chi ha 60 anni, ma forse non ha vissuto affatto».
Per qualcun'altro Meneghello era di famiglia ancora prima della notorietà. Ad esempio il suo coetaneo di Asiago Mario Rigoni Stern, ora l'ultimo vivente di un Secolo vicentino già lasciato da altre firme: Fogazzaro, Piovene, Parise, Barolini, Scapin. «Nei primi anni '50 - ricorda Mario - veniva sull'altopiano con gli amici raccontati ne "I piccoli maestri": Dante Caneva, Giulio Cisco, Augusto Ghellini. Ci conoscemmo dopo la pubblicazione del mio "Sergente nella neve", e da allora siamo rimasti sempre in contatto. L'ultima volta che l'ho visto è stato a una cena a Lusiana. Se un ragazzo di oggi vuole conoscere il nostro passato, "Libera nos a Malo" vale più di un libro di storia. Sono pagine che hanno fatto conoscere il Veneto al mondo».
Abitò a lungo in quella sua Malo Silvio Lanaro, storico del Risorgimento e dell'Italia contemporanea: «In estate, quando tornava da Londra e io ero un ragazzino, lo vedevo passare pomeriggi interi con gli amici al bar da Davide. Anni dopo ci siamo conosciuti di persona, e allora lui mi ha dato simpaticamente del monello, pur sapendo che non lo ero mai stato. Questo gioco è andato avanti in tutti gli incontri successivi. Mi chiedeva ridendo "Cosa gheto combinà?", e così mi faceva scoprire la sua magica capacità affabulatoria di trasformare la realtà in letteratura».
Stefano Ferrio -----------------
LE REAZIONI DEL MONDO POLITICO Il mondo letterario vicentino da ieri è in lutto per la morte di Luigi Meneghello, scrittore, poeta, insegnante, protagonista da oltre 40 anni del mondo letterario vicentino. Così lo ricorda il professore Ferdinando Offelli, ex insegnante, presidente della biblioteca thienese, uomo di cultura e grande amico di Meneghello: «Luigi ha portato una grande rivoluzione nella scrittura e ha valorizzato la cultura locale rivalutando il dialetto vicentino inteso come cultura e non come ostentazione di suoni.
La sua teoria sui trasporti linguistici che risale ai tempi di Libera nos a Malo (1964) vuole recuperare all'italiano l'espressività dialettale che è andata perduta con l'omologazione dell'italiano televisivo. Luigi Meneghello era un carattere forte, per usare uno dei suoi termini era "ruspio", ma al suo fianco per tanti anni c'era sempre stata Katia, o come la chiamavo io, la dolce Katia, la moglie. Una donna splendida che sapeva mitigare e raddolcire il carattere del marito. Di origine polacca, la dolce Katia, per tutta la vita è stata parte delle vita e fonte d'ispirazione per il marito. Luigi, lo ricordo chino sui suoi vocabolari, anche una decina, che utilizzava per trovare la parola giusta in una ricerca linguistica esasperata che però alla lettura diventava affascinante. Era uno scrittore come ormai ce ne sono pochi portato ad una serietà letteraria anglosassone.
La sua morte è una perdita incolmabile per la cultura». Anche nel mondo politico vicentino la morte di Meneghello ha suscitato grande emozione. Per tutti il presidente della ProvinciaAttilio Schneck ha voluto esprimere il suo cordoglio «per la morte ha detto di uno dei più importanti uomini di cultura vicentini, i cui libri hanno fatto conoscere nel mondo la vicentinità, facendola amare da tutti».Paolo Franco, senatore vicentino della Lega Nord esprime sconforto «per la perdita di una persona che ha saputo tenere salde le nostre radici e ricordarle a noi oggi e ai nostri figli. Un merito incommensurabile». Per Manuela Dal Lago, presidente della Brescia-Padova, «Meneghello è stato negli ultimi cinquant'anni uno degli uomini che più ha onorato il Vicentino con i suoi libri che parlavano della nostra gente e ha avuto la grande capacità di farsi conoscere nel mondo dell'università in altri paesi europei». Profondamente rattristato dalla sua morte il sindaco di Vicenza,Enrico Hllweck ricorda «di essere riuscito a conferirgli nel 2002 la cittadinanza onorarioa. Un gesto che ho voluto fortemente perchè Meneghello non era solo uno scrittore sopraffino, ma un uomo di grande cultura, un vero artista del linguaggio e della comunicazione. Di lui ho potuto apprezzare l'umiltà e la grande serenità. É stato un grande sotto ogni punto di vista». «Con i libri di Meneghello - aggiunge Massimo Caelaro, presidente degli Industriali vicentini - sono cresciute intere generazioni di vicentini. In questo momento mi piace ricordare il Meneghello di "Trapianti", quello capace di tradurre in dialetto persino brani dell'Amleto di Shakespeare. Perdiamo un vicentino che sapeva vivere sino in fondo e senza complessi la sua identità. Gli diciamo addio, ma non ne perdiamo il ricordo».
da gazzettino.quinordest.it
|